Emilio Rebecchi: Attacchi di panico a specchio. Una patologia psichica empatica

| 1 Aprile 2015 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo da “Inchiesta” gennaio-marzo 2015. Lo psichiatra bolognese Emilio Rebecchi  si interroga su una signora di 40 anni: Perché questa signora sta male? Perché questi attacchi di panico? Questo timore di poter fare la stessa fine della sua amica che, tragicamente, si è suicidata?  Che cosa ha scosso le sue sicurezze?. Il suo progetto di vita?

 

Aveva fatto un sogno angoscioso. Si era risvegliata di pessimo umore. Era piena di timori.

Ma infine, pensava pettinandosi allo specchio, che cosa non funzionava nella sua vita? Di che cosa aveva paura? Nel sogno nasceva una bimba piccola piccola. Pur piccola la testa era normale, così  il collo e il torace, ma dalla cintola in giù’ era informe, non avrebbe potuto camminare.

Era sua figlia? O forse quella bimba era lei stessa, piena di paure, impossibilitata di camminare, prigioniera in un mondo difficile? Perché’ aveva paura? Forse per delle difficoltà’  nel rapporto col suo compagno ?. O per timori riferiti al lavoro? Al giornale avevano annunciato la cassa integrazione.

Se rimaneva a casa cosa avrebbe fatto dopo? I due figli, ancora piccoli, avevano bisogno di lei. Era vero. Però ! Si immaginava a fatica in casa senza lavoro, ad aspettare il ritorno dei figli da scuola, o del marito dal lavoro. Una casalinga disoccupata. Le faceva spavento questa possibilità’ . Tutto quello che aveva desiderato, che aveva costruito negli anni, la sua autonomia, la sua indipendenza, perdute. Il ritorno ad una condizione adolescenziale, o addirittura infantile.

Scosse i capelli. Li scosse scuotendo la testa. Non era possibile. Non poteva lasciarsi vincere dalla paura, dalle paure. Doveva lottare. Quelle immagini sullo schermo televisivo di quei poveretti in fila lungo la spiaggia le tornavano con insistenza. Era davvero un mondo che faceva paura.

Anche i suoi figli erano rimasti impressionati. I neri sono i cattivi aveva detto Pietro. No aveva detto Libera  sono quelli rosa i cattivi. I neri li puniscono per quello che hanno fatto. Ma cosa hanno fatto, ha chiesto Pietro. Non so , aveva detto Libera, forse hanno rubato. No , aveva detto lei, i rosa non hanno fatto niente. Sono degli operai immigrati in Libia dall’Egitto. Sono innocenti. Allora perché’ li uccidono, chiede Pietro. Allora è’ ingiusto, dice Libera.

E’ una signora sui 40 anni, piuttosto magra, slanciata, curata nell’abbigliamento. Due occhi profondi, curiosi. Le mani ben tenute, con unghie laccate. Le muove per accompagnare le parole.

Mi racconta della sua vita, dei suoi problemi. La lascio parlare. Dopo poco viene al dunque del problema clinico per cui le hanno consigliato di consultarmi. Ci sono dei momenti , dice, durante i quali si riempie di angoscia. Cioè’ sente una stretta qui, e indica grosso modo, la zona retrosternale e la bocca dello stomaco. Sono i momenti durante i quali le torna alla mente la sua amica, che si è’ suicidata  dopo la nascita del secondo figlio, e cioè’ di un bel bambino. Era depressa la sua amica, pensava di non farcela, stava già’ male durante la gravidanza. Anche a lei,ora, senza motivo apparente, viene il dubbio di non essere in grado, di non farcela. A tirare avanti, ad allevare i due figli, a conservare il lavoro, per il momento temporaneamente perduto. Così si riempie di paura; della paura di non farcela, di non essere in grado. Poi la paura diventa angoscia. Può’ morire e forse nessuno e’ in grado di aiutarla. Il dolore da psichico diventa fisico, un dolore forte, al petto, al cuore. Che potrebbe portarla alla morte. Chiede aiuto al marito, se è’ presente, oppure ad un’amica. Vuol andare al pronto soccorso. Poi la crisi, che chiamano attacco di panico, si attenua e si dissolve. A volte invece prosegue fino al pronto soccorso dell’ospedale, dove si fa portare. E dove, visitandola, la tranquillizzano parlando e con un’iniezione.

Cioè’ parole e benzodiazepine per allontanare paura ed angoscia. L’ospedale mi calma, dice la signora , io mi ritrovo.

Perché’ questa signora sta male? Perché questi attacchi di panico? Questo timore di poter fare la stessa fine della sua amica che, tragicamente, si è’ suicidata?  Che cosa ha scosso le sue sicurezze?. Il suo progetto di vita?

Le possibili cause sono  numerose ed è’ lecito chiedersi quali abbiano determinato la comparsa della sua crisi.. Ma la risposta non e’ per nulla facile. Fattori biografici , altri di natura sociale, altri ancora di natura economica potrebbero essere in gioco. Potrebbe  anche essere  coinvolto un meccanismo psicologico specifico, un disturbo psichico a specchio. Fino ad oggi non descritto come tale.

Oppure l’organizzazione   stessa della società’ , nella sua mutevolezza storica potrebbe avere un ruolo centrale. L’orientamento ai consumi avrebbe provocato l’abbandono di precedenti concezioni di vita , avrebbe portato da una weltanshaung orientata al dovere ad una piegata verso il piacere. La signora in questione , e tante altre come lei , non sarebbero più’ capaci di  sacrificio , e vedendo solo, o principalmente, loro stesse avrebbero avuto uno sviluppo narcisistico?

In un recentissimo articolo su Repubblica  sostiene una tesi di questo tipo Recalcati.. Un tempo , dice lo psicoanalista lacaniano,, nella cultura patriarcale  la madre tendeva ad uccidere la donna. Adesso, egli dice, il rischio è l’opposto, quello cioè’ che la donna possa sopprimere la madre. Dalla mitologia del sacrificio , dice  il sottotitolo dell’interessante articolo sul giornale Repubblica , alla ricerca della libertà assoluta. Così’ cambia un’immagine secolare. Quella della madre, si intende.

Lo stimolo per queste considerazioni  proviene dalla visione di un film del regista Xavier Dolan Intitolato Mommie, dove si dipana la storia di una crisi familiare, della difficile convivenza fra una madre e un figlio, entrambi molto sofferenti. Un film  ad alta emotività’ espressa , ricco di situazioni violente , e dove la madre presenta indubbi tratti narcisistici. Recalcati ne trae spunto per sottolinearli e per vedere nella protagonista una donna che smarrisce le capacità.

Materne a fronte del tentativo di realizzare la propria identità’ femminile.  Una lettura possibile, ma non del tutto convincente. Anch’io ho visto il film presso la cineteca Gambalunga di Rimini, anch’io ho colto i tratti narcisistici della protagonista. Ma sono rimasto colpito anche dal fatto che è rimasta vedova e che cerca un lavoro, che non pensa tanto alla carriera quanto a trovare un po’ di soldi, e forse si anche l’affetto di un uomo. Non riesce ad avere un rapporto equilibrato col figlio proprio perché manca il padre. E infine la disastrosa conclusione del film, e cioè il trattamento sanitario obbligatorio (tso) al figlio,  un’azione violenta ed orribile, non è forse una disperata ed errata ricerca del padre che è venuto a mancare?

C’era una volta … Non dobbiamo ritornare , credo, a quando la letteratura psichiatrica ricercava nella madre la causa delle malattie mentali . Allora c’era la madre iperprotettiva, quella rifiutante  la madre seduttiva, la madre fredda, quella schizofrenogena e via dicendo. Non era forse colpa della madre se quel bambino , poi adolescente, infine giovane uomo, giovane donna, presentava dei disturbi psichici ( e di comportamento!) piuttosto gravi? O non era a causa del padre mancante? O della famiglia ammalata? Allora ancora imperava l’immagine di una madre dedita al sacrificio.

Ma oggi? La donna , secondo lo psicoanalista lacaniano, transiterebbe dalla mitologia del sacrificio a quella della ricerca della libertà’ assoluta. Per quali vie allora questa donna/madre protesa verso il piacere e la assoluta libertà’ danneggerebbe  il figlio?  Sarebbe forse più’ una sorella che una madre? Oppure una madre assente, abbandonica  oppure una madre seduttiva,

Sarebbe una madre debole? Insufficiente? E via dicendo.

Ma una donna  quanto  è donna e quanto è madre?

Si può’ separare la funzione materna dalla femminilità’? Non credo sia possibile.

Ed è’ possibile generalizzare delle tendenze?  Credo sia sempre pericoloso ed anche arbitrario.

Da sempre si cercano colpevoli, ma a che servono.?.

La madre sarebbe oggi, o tenderebbe a divenire, sempre più narcisista? Preoccupata dii se stessa piuttosto che del figlio? Si tratta di donne, sostiene sempre Recalcati, che vivono innanzitutto per la loro carriera, e solo secondariamente e senza grande trasporto, per i loro figli. E’ legittimo, sostiene ancora, che la donna rivendichi il diritto ad una propria passione e superi quindi il concetto di sacrificio (con mie parole è legittimo lasciare il medioevo), ma la donna deve essere in grado di trasmettere al figlio la possibilità dell’amore come realizzazione del desiderio. E non come sacrificio mortifero. ( di nuovo con mie parole, la donna deve desiderare il figlio e amarlo perché lo desidera, e non farlo per dovere). Credo che ciò sia condivisibile!. Ma credo inopportuno contrapporre figlio e lavoro, donna e lavoro. Perché una donna non dovrebbe desiderare un lavoro e una carriera.?  Forse questo si oppone all’amore per i figli? Non lo ritengo vero. Piuttosto

Il contrario. Tanto più’ la donna, come l’uomo per altro, e’ realizzata, tanto più’ ha una vita soddisfacente, tanto più’ sarà’ capace di affrontare il difficile ruolo di madre.

 

La madre nel film Mommie ha indubbi tratti narcisistici, ma è anche una donna sola e piena di paure. Come sono spesso le donne oggi. Piene di paure a fronte di ruoli molto difficili.

La signora che mi ha consultato e di cui ho riferito in apertura deve affrontare anche lei problemi molto complessi. Il giornale presso cui lavorava l’ ha collocata in cassa integrazione, ha subito di recente la perdita del padre, deve allevare due bambini ed ha scarse risorse economiche.

Il suicidio dell’amica più cara ha aperto grandi  e pesanti interrogativi. Ma sostanzialmente uno: E’ possibile non farcela? E’ possibile fallire nella propria vita? patire un dolore così grande da non poterlo sopportare?

La paura si affaccia nella coscienza. E’ la paura di provare angoscia. Poi compare l’angoscia  e insieme  la paura di non essere in grado di sopportarla. Quando poi la paura e l’angoscia si allontanano allora si avverte l’ansia  e   cioè’ un’ attesa angosciosa per  il possibile ritorno dei sintomi . La paura di star male diviene il male..

Parafrasando Rizzolatti e Gallese (mi perdonino l’irritualità) chiamerei questi attacchi di panico attacchi di panico a specchio. La mia cliente  una signora sofferente per una nevrosi a specchio.

O se si preferisce sofferente per un disturbo psichico di natura empatica. Molto lontana quindi dal  narcisismo e dalla pura ricerca di libertà’.

 

Concludo questo breve articolo, che fa seguito ad altri comparsi in alcuni numeri precedenti della rivista ricordando che proprio per lottare contro le angosce e le paure, la malattia in generale, abbiamo costituito recentemente un’associazione che abbiamo chiamato Stigma.

 

Abbiamo poi dato vita a l’io e il mondo di TJ  scrivendo :

 

Siamo per prima cosa genitori.

Anche di figli che non abbiamo fatto.

E nonni. Anche di ragazzi non nostri

E zii. Anche se siamo figli unici.

Poi siamo anche chi artista, chi psichiatra, chi altro ancora.

Genitori, nonni e zii che

Da artista, psichiatra, o quel che siamo,

Cerchiamo di dare ai nostri figli e ai nostri nipoti,

Uno spazio più’ libero e un tempo più’ sereno

In cui tentare di essere felici.

Insieme agli altri. Nel mondo.

Per questo e’ nata l’Io e il mondo di TJ

Solo per provarci

 

L’Io e il mondo di TJ hanno fino ad oggi prodotto 6 libri/quaderno che riportano il seguente risvolto di copertina:

 

Rispondere ai perché  è difficilissimo. Perché ci sono cose di cui non è facile

Parlare e perché molte richiedono conoscenze troppo specifiche

Il buon senso non sempre è sufficiente, anzi spesso sbaglia.

Troppe volte ci si infilano pregiudizio e diffidenza.

La diversità è una virgola che va a cambiare un’umanità che, quasi per

Intero, condivide esperienze, paure e meccanismi.

Cerchiamo con leggerezza, di introdurre argomenti complessi, come

L’angoscia, l’iperattività, la depressione. Tutte cose che abbiamo molto

Vicine, che conosciamo, anche se forse non sappiamo come si chiamano, e

Con cui è difficile rapportarsi. Soprattutto se non c’è un perché cui

Aggrapparci.

 

I volumi usciti fino ad oggi (gli autori sono Jaia Pasquini, Emilio Rebecchi, Tommi):

-Pace e liberi tutti . l’Io e il mondo .il libro delle paure

Datemi una palla e vi colorerò. l’Io e il mondo .il libro del fare e del non fare (iperattività’ /gioco

Violenza/aggressività’ )

Non perdiamoci di vista .l’Io e il mondo .  il libro dei vuoti ( ansia/attesa, angoscia/perdita)

Immagino e misuro . l’Io e il mondo. il libro delle storie ( deliri/fantasie, persecuzioni/illusioni)

– Sono la mia casa. L’Io e il mondo. Il libro delle lacrime ( depressione/ tristezza)

 

E’ uscito inoltre il primo volume/quaderno sulle feste laiche illustrate ai bambini:

I miei primi primo maggio (autori Maurizio Landini, Umberto Romagnoli)

 

Category: Psicologia, psicoanalisi, terapie, Welfare e Salute

About Emilio Rebecchi: 
Specilalista in clinica delle malattie nervose e mentali - psicoterapeuta Da dopo la laurea, conseguita a Bologna nel 1965, ha svolto attività clinica e di ricerca presso la clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università di Bologna. Dal 1965 al 2000 ha lavorato presso i Servizi Psichiatrici del Servizio Sanitario Nazionale, in Ospedale e nel territorio. Dal 1983 al 2000 è stato Primario del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale S. Orsola Malpighi. Dal 1993 al 1998 ha diretto il Dipartimento di Psichiatria dell’Azienda USL città di Bologna. Dal 2000 svolge l’attività clinica presso l’ambulatorio di Via S. VITTORE 13 a Bologna e attività di consulenza presso la Casa di Cura “Ai Colli”, Villa Bellombra e “Santa Viola”. Ha svolto insegnamenti di Psichiatria Sociale e Psicoterapia presso le Scuole di varie Università: Bologna, Chieti, Ferrara e presso la struttura del Servizio Sanitario Nazionale.
Attualmente ha incarichi presso scuole di specializzazione di Bologna e Teramo.

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