Alberto Bradanini: La Cina e il coronavirus

| 10 Marzo 2020 | Comments (0)

 

 

 

Alberto Braganini è stato Ambasciatore d’Italia a Pechino dal 2013 al 2015 e ambasciatore d’Italia in Iran dal 2008 al 2012. Attualmente è Presidente del Centro Studi sulla Cina Copntemporanea

È difficile prevedere gli sviluppi dell’epidemia da Covid-19, ma se tutti agissero come i cinesi, questa finirebbe rapidamente, secondo le parole del più importante virologo russo Lvov[1]. Gli scienziati cinesi hanno rapidamente inquadrato il virus, esaminato la sua struttura genetica e pubblicato i risultati. Pechino ha adottato misure straordinarie per combattere la diffusione del virus, quindi la comunità internazionale dovrebbe congratularsi con il sistema sanitario e con l’organizzazione di contrasto attuata da Pechino per le ferree misure adottate, ha aggiunto Lvov.

Dopo il ritardo nel dare l’allarme, dovuto a inefficienze del sistema cinese e al timore che l’epidemia – evidentemente giudicata meno pericolosa di quanto si stia rivelando – avesse ripercussioni sull’economia, la Cina ha dunque preso piena coscienza che avrebbe dovuto operare con massima trasparenza e che con la salute pubblica non si scherza, poiché i virus non rispettano alcuna frontiera interna o internazionale.

Oggi, alla luce dei risultati incoraggianti seppure ancora provvisori, già raggiunti dalla Cina e pur tenendo conto che numeri e struttura di questa pandemia sono in costante evoluzione, è persino possibile trarre qualche provvisoria conclusione.

Al culmine del capodanno cinese, il periodo più congestionato dell’anno, la Cina ha messo in quarantena 60 milioni di persone, decretato la chiusura di pressoché ogni attività nelle città coinvolte abitate da milioni di persone, ha costruito ospedali dedicati in poche settimane, ha inseguito i contagiati occulti sulla base di liste di persone frequentate da persone infettate, ha disposto il divieto di uscire di casa salvo una persona per famiglia per bisogni primari, imponendo restrizioni che si pensava applicabili sono in tempi di guerra. Si tratta di misure che per portata, estensione e popolazioni coinvolte, solo un sistema di controllo a piramide come quello cinese sembra in grado di attuare. È così che, sebbene sia presto per decretare la fine dell’emergenza, il numero dei contagiati nell’Hubei, dove tutto è iniziato, e nel resto della Cina è in costante diminuzione, anche se deve rilevarsi che non si conosce con attendibilità il numero esatto dei decessi in Cina, numero che secondo taluni osservatori potrebbe essere superiore a quello dichiarato dalle autorità.

Partito con colpevole ritardo, rimanendo inizialmente inattivo per alcune settimane per paura che il virus avesse ripercussioni sull’economia del paese, il governo ha poi agito con straordinaria determinazione, imponendo controlli, comportamenti e sanzioni in misura difficilmente replicabili altrove.

Se è dunque arduo immaginare una replica di tali misure in Italia, è però dovere di tutti manifestare fiducia, poiché l’unico modo per impedire ai malati bisognosi di cure intensive di superare il numero di postazioni ospedaliere capaci di curarli è quello di ridurre i contagi, o almeno spalmarli su un periodo più lungo, dando tempo ai ricoverati di lasciare posto a chi si trova in attesa.

D’altro canto, pur disconoscendo gli sviluppi che ci attendono nelle prossime giornate, è già possibile trarre qualche utile insegnamento.

È evidente innanzitutto che per contrastare con efficacia e tempestività la diffusione del virus ogni provvedimento nazionale dovrebbe essere adottato guardando anche al profilo internazionale, in coordinamento con gli altri paesi e gli Organismi Internazionali interessati (in questo caso l’Oms[2]), alla luce delle comuni esigenze e dei riflessi esterni di tali misure. L’interruzione dei voli diretti tra Cina e Italia ad esempio andava adottata di concerto con le autorità cinesi, con l’Icao[3] e la stessa Oms, oltre che con i paesi dell’area Schengen. Ciò avrebbe consentito un attento monitoraggio di arrivi e partenze dei potenziali contagiati, i quali invece, dopo il blocco dei collegamenti, sono comunque giunti in Italia da paesi terzi senza alcun controllo, allargando presumibilmente il contagio. Altri paesi poi, incuranti dell’emergenza, hanno continuato a collocare al primo posto i loro interessi strategici, senza condividere problemi e sofferenze con altre nazioni (gli Usa non hanno nemmeno allentato le illegittime sanzioni extraterritoriali imposte all’Iran dopo il ritiro dall’accordo nucleare).

 La seconda lezione riguarda l’utilizzo dei cosiddetti big data, vale a dire il controllo a distanza dei comportamenti delle persone e il monitoraggio di spazi pubblici a fini di controllo dei movimenti. Sappiamo che la Cina ha fatto efficientemente uso di tali pratiche tecnologiche per contenere la diffusione del virus. In proposito, sebbene abbiamo qui a che fare con il tema sensibile della libertà individuale e della privacy del cittadino, alcuni suggeriscono che non dovrebbe escludersi la possibile applicazione di tali tecnologie anche in Occidente, beninteso sulla scorta di garanzie che andrebbero attentamente valutate.

Un’ulteriore riflessione riguarda la necessita che le decisioni delle pubbliche autorità siano allo stesso tempo ben meditate e sostenute da una responsabile collaborazione della cittadinanza, un’attitudine questa che la popolazione cinese ha espresso con grande spirito di abnegazione, salvo qualche marginale malumore, ma che non possiamo dare per scontata altrove.

Ma l’elemento più critico riguarda l’Unione Europea. È da tempo palese, se prendiamo distanza per un istante da una passiva esegesi di mainstream, e a prescindere dall’esplosione del coronavirus, che le politiche di austerità imposte dall’oligarchia tedesca ai paesi dell’Eurozona stanno polverizzando ricchezza e benessere di milioni di cittadini europei, e non solo italiani, causando alti livelli di disoccupazione, precarietà, degrado dei servizi pubblici e altro ancora. Resta incomprensibile in proposito l’immobilismo della classe dirigente del nostro Paese, vittima di un’umiliante “cupidigia dell’asservimento” davanti a un pesante deficit di democrazia (una democrazia appaltata alla tecnocrazia europea colma di privilegi, non-eletta e al servizio della teologia liberista tedesca), prima ancora che di una politica economica distruttiva. Sorprende semmai che l’assenza del coordinamento Ue non sorprenda quasi nessuno: non abbiamo registrato alcun provvedimento da parte dei paesi Schengen, dei ministri della salute Ue, dei responsabili delle Protezioni Civili, di riunioni di condivisione di problemi tra regioni frontaliere con Francia, Austria, Slovenia e Svizzera (anche quest’ultima è legata agli accordi di libera circolazione pur non essendo membro Ue).

La necessità di fronteggiare un nemico insidioso e invisibile come il Covid-19 avrebbe dovuto indurre la pessima burocrazia di Bruxelles a soccorrere un paese già provato da una crisi economica che si protrae da diversi lustri e che ci sta conducendo verso una pesante recessione. Nulla di tutto ciò è invece avvenuto. Germania e Francia hanno persino impedito all’Italia di acquistare (non a gratis dunque) le mascherine indispensabili a tutelare la salute degli operatori sanitari.

Va infine rilevato che questa crisi potrebbe rappresentare anche un’opportunità straordinaria. Nella lingua cinese, il carattere che esprime il concetto di crisi comprende in sé il significato di rischio e opportunità. E dunque una classe politica che avesse lungimiranza, coraggio e conoscenza della storia, della politica e dell’economia del nostro paese, dovrebbe cogliere tale evenienza critica e trasformarla in un trampolino di recupero di lavoro ed efficienza al servizio del benessere della nazione. Il governo italiano, invece di chiedere alla Commissione Europea un umiliante via libera a uno sforamento di qualche decimale del rapporto deficit/Pil, dovrebbe approvare un programma di spesa pubblica che dia un forte impulso alla domanda interna, riorganizzando lo Stato con l’assunzione di milioni di dipendenti di cui necessita come il pane (l’Italia è in fondo alla classifica europea anche sotto questo profilo), a cominciare dal settore della Sanità così fondamentale per la salute degli italiani, aprendo i cantiere per nuovi ospedali, assumendo i medici e infermieri e acquistando gli apparati medicali che occorrono, promuovendo forti investimenti nella ricerca. Tutto ciò consentirà del resto all’Italia di essere pronta per fronteggiare la prossima epidemia, perché è certo che altri virus appariranno prima o poi all’orizzonte, forse ancor più pericolosi del Covid-19.

Inoltre, con l’occasione, alla luce della stagnazione economica dovuta alle assurde politiche germano-centriche, il governo dovrebbe informare le istanze europee che l’Italia procederà all’avvio di un grande piano di sviluppo delle infrastrutture (a cominciare dalle regioni meridionali del paese) a tutela del territorio nazionale colpito da calamità, terremoti, abbandono delle montagne, fiumi mal gestiti, rischi geologici e altro ancora, rifornendo i comuni delle risorse di cui hanno bisogno per migliorare le strutture comunali e assistere scuole, madri e anziani.

Se l’Europa dovesse opporsi, l’Italia andrebbe egualmente avanti per la sua strada, accettandone le conseguenze, consapevole che il Paese sarebbe pienamente in grado di gestirle. Per procedere su tale percorso, i nostri dirigenti dovrebbero sbarazzarsi dell’attitudine all’asservimento. E questa certo è un’altra storia. Tuttavia, se la Cina impara dagli errori propri e dai successi degli altri, allora non si vede per quale ragione tale apprendimento sarebbe precluso all’Italia.

Reggio Emilia 10 marzo 2020

 

 

[1] https://www.rt.com/news/482120-coronavirus-masks-russian-virologist/

[2] Organizzazione Mondiale della Sanità

[3] International Civil Aviation Organization

Category: Archivio, Epidemia coronavirus, Osservatorio Cina, Welfare e Salute

About Alberto Bradanini: Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Laureato in Scienze Politiche all’Università di Roma La Sapienza nel 1974. Entrato in carriera diplomatica nel 1975, ricopre diversi incarichi alla Farnesina e all’estero, tra cui Belgio, Venezuela, Norvegia e Nazione Unite (Direttore dell’Unicri, Istituto di ricerca delle Nazioni Unite sul crimine e la droga, dal 1998 al 2003). Si è occupato di Cina per lunghi anni, trascorrendo in quel paese dieci anni in diversi momenti, in particolare dal 1991 al 1996 quale Consigliere Commerciale presso l’Ambasciata a Pechino, quindi Console Generale d’Italia ad Hong Kong dal 1996 al 1998. Alla Farnesina ha svolto l’incarico di Coordinatore del Comitato Governativo Italia-Cina dal 2004 al 2007, ed è stato responsabile dell’ufficio istituzionale internazionale di Enel (2007-08). Alberto Bradanini è stato quindi Ambasciatore d’Italia in Iran dall’agosto 2008 al dicembre 2012 e infine Ambasciatore d’Italia a Pechino dal 2013 al 2015. È attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea.

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