Renza Ravagnan: La didattica a distanza nelle scuole superiori.

| 16 Maggio 2020 | Comments (0)

Renza Ravagnan è insegnante, ora in pensione, per più di quarant’anni nella scuola secondaria superiore, molti di questi in una maxi sperimentazione. Docente nei percorsi di formazione del personale scolastico all’uso delle tecnologie informatiche promossi dal MIUR.
Responsabile di gestione del sistema qualità. Formatrice del personale educativo di asilo nido e scuola dell’infanzia per la Pratica Psicomotoria nell’ambito di un progetto sperimentale promosso dal comune di Venezia.

 

Si sente molto parlare in questi giorni di didattica a distanza, c’è chi ne loda i pregi e la rapidità con cui la si è approntata e chi solleva dubbi e invita alla riflessione sul suo valore e sul fatto che non possa in alcun modo essere considerata sostitutiva dell’insegnamento in presenza, e quindi sull’importanza della relazione nel processo formativo.

Io mi trovo a vivere la situazione di riflesso, ma il fatto di non essere direttamente coinvolta mi fa cogliere aspetti che altrimenti sfuggono.

Parlo soltanto in merito a quanto sta accadendo nel liceo dove lavora mio marito, mi trovo ad essere mio malgrado testimone delle sue lezioni, sento come si svolgono, ascolto i commenti e le domande degli studenti ma non so se ciò che emerge è la tendenza generale.

Ho l’impressione che la gran parte dei docenti si sia buttata su queste piattaforme riversandovi tutta la loro carica di ansia.

Ansia per le routine che sono venute meno, programmi, valutazioni, scritto, orale, colloqui coi genitori, insomma per tutto quello che concerne il loro ruolo e la professione. Ansia di ripristinarle al più presto, di occupare subito i propri spazi, il proprio orario di cattedra, anzi, magari anche qualcosa di più.

All’inizio erano i genitori preoccupati per il vuoto lasciato dalla scuola e che inevitabilmente avrebbero dovuto riempire loro, in qualche modo, e non avvezzi a farlo per tempi così lunghi. E poi, suvvia, che gli insegnanti lavorino, loro che sono pagati anche se la scuola è chiusa!

Adesso, con l’entrata a regime dell’uso delle piattaforme assisto al fenomeno inverso, è scattata una sorta di compulsione all’insegnamento, gli studenti sono chiamati a seguire lezioni oltre l’orario scolastico, non ci sono più limiti, totalmente liberati dai tempi e dai problemi che le relazioni umane comportano, si svolgono contenuti che mai erano stati trattati, scaricando sugli studenti, dapprima disorientati ma adesso incazzati, una quantità enorme di materiale. Ciascuna disciplina va per la propria strada, senza una riflessione su quanto sta accadendo e sul mezzo che si sta usando. Ciascuno, in totale solitudine, interpreta a modo proprio l’uso del nuovo strumento.

Gli studenti denunciano che sono impegnati anche trenta ore a settimana davanti al monitor in un flusso mono direzionale di informazioni nel totale, loro, sconcerto. E il flusso, come accade a scuola, ora che ci sia avvia alla fine dell’anno scolastico, pare aumentare di portata!

A me, che assisto di nascosto, e da ex insegnante, pare appunto, che la didattica online sia chiamata a contenere le ansie dei docenti, i loro problemi di ruolo, non solo quelli dovuti alla drammaticità del momento, anzi di questo non si parla proprio, è come se lo sforzo fosse tutto teso a rimuovere ciò che sta accadendo, di morte non si parla (per inciso è morto di covid19 il preside del liceo)! Ma dentro si riversa anche tanta frustrazione accumulata in anni di perdita di importanza del ruolo professionale.

Tutto questo accade in assenza di una seria riflessione sullo strumento nuovo, non ci si interroga sull’efficacia della lezione frontale, ora che questa si svolge nel migliore dei casi, attraverso un computer, ma molto spesso è seguita sullo schermo di un telefono. Ma come si può pensare di mantenere viva l’attenzione di un adolescente attraverso il flusso a direzione unica di nozioni e per quattro ore ogni giorno attraverso un monitor! Efficacia che già era messa in discussione, ogni tanto, in situazione normale. E penso a tutti gli sforzi per introdurre l’uso delle tecnologie, e al modo in cui in generale si cerca di promuovere i cambiamenti nel nostro Paese, cioè senza costi aggiuntivi. Penso al grande nodo da affrontare della modulazione tra conoscenze e competenze.

Ebbene, anche in questo frangente di tragica emergenza, che per cause di forza maggiore dovrebbe privilegiare le competenze, mi pare che gli insegnanti ancor di più si mostrino legati alla loro bella lezione, intesa come enunciazione di contenuti. Poco ci si interroga sul valore delle piccole cose che fanno parte della vita quotidiana all’interno di una classe.

E nemmeno ci si interroga sull’ingresso brutale nella vita privata di tutti, docenti e studenti, che l’uso di questo strumento comporta, nella vita privata di famiglie normali che spesso vivono in piccole case fatte di stanze condivise da più persone. Penso anche alla mia vita che per cinque giorni a settimana, per metà giornata, e qualche volta anche il pomeriggio per le riunioni collegiali, sarà sospesa, in punta di piedi, per non disturbare, perché anch’io vivo in una casa normale,

Mi fermo qua, penso a quale scenario si aprirà a settembre se, come pare probabile, sarà necessario continuare a lavorare a distanza. Penso che anche questa sarà un’occasione mancata. E da ultimo, le piattaforme gratuite funzionano malissimo, spesso la connessione salta, la qualità audio video, nelle ore di punta lascia a desiderare, come tutto ciò che viene dato in uso gratuitamente!

Category: Epidemia coronavirus, Ricerca e Innovazione, Scuola e Università

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