Petronia Carillo: La riforma Gelmini. Il giorno dopo

| 14 Ottobre 2014 | Comments (2)

 

 

Pubblichiamo questo intervento di Petronia Carillo (SUN e CoNPass) presentato in occasione del 12° Congresso Nazionale della Società Italiana dei Chirurghi Universitari (SICU), Roma, 13-14 ottobre 2014. La prof Carillo è stata invitata dal Prof Ludovico Docimo a presentare una lettura sulle conseguenze della L.240/2010. Questa Lettura si svolge nell’ambito della mobilitazione europea “Per la Scienza e la Cultura” [1] [2]

 

Breve ed incompleto excursus sulla L. 240/2010 per descrivere i problemi devastanti dell’Università Statale italiana a partire dalla sua applicazione (1383 giorni fa).

Il mondo politico, negli ultimi anni, si è occupato costantemente di Università e Ricerca ma l’ effetto evidente è  stato un taglio massiccio del finanziamento statale, che è diminuito, in termini reali, di circa il 18% negli ultimi 5 anni (al netto dell’inflazione), corrispondenti ad oltre 1 miliardo di euro. La principale giustificazione dei continui tagli all’istruzione e alla ricerca è stata la necessità di ridurre la spesa, per migliorare il deficit di bilancio e rispettare i parametri previsti dagli accordi europei. In tale contesto, i vari governi hanno scelto di tagliare le spese più facilmente aggredibili, dove l’aggredibilità è dipesa soprattutto dalla incapacità di “difendersi” delle categorie sottoposte a tagli[3].

Affinché potesse essere operato il taglio di risorse a ricerca e istruzione senza destare l’indignazione generale, è stato fatto dal governo un utilizzo strumentale dei mezzi di informazione per mettere in cattiva luce l’Università Statale e i docenti universitari. Certamente si è abusato dell’autonomia universitaria per far crescere in maniera sconsiderata alcune aree a scapito di altre, senza un programma di sviluppo organico dell’Università. E non pochi sono stati anche i casi di familismo amorale. Ma questa situazione, amplificata dai media, ha generato perdita di consenso nell’opinione pubblica ed è sfociata in un sistema che ritiene che basti tagliare perché il sistema torni ad avere caratteristiche virtuose.

E’ stato quindi ideato e costruito un pesante apparato normativo atto da un lato a mascherare  con lo slogan “qualità, efficienza ed efficacia“ il definanziamento dell’Università e dall’altro a far portare a casa al governo in carica nel 2010 almeno una riforma e la sua applicazione.

 

La legge 30 dicembre 2010, n. 240  o “riforma Gelmini”, entrata in vigore nel gennaio 2011, ha modificato radicalmente l’Università e “senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica” (cfr. art. 5  l. n. 240/2010).

L’applicazione del solo art. 2 della suddetta legge ha determinato la drastica riduzione dell’autonomia universitaria. Infatti, esso pur citando l’art. 33 della Costituzione “Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”[4], viola, di fatto, questo articolo stabilendo limiti diversi tra i vari atenei in materia di autonomia[5]. Una Università potrà essere tanto più autonoma quanto più è virtuosa: “le università che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonché risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca, possono sperimentare propri modelli funzionali e organizzativi, ivi comprese modalità di composizione e costituzione degli organi di governo e forme sostenibili di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica, diverse da quelle indicate nell’articolo 2”.

La virtuosità, però, viene stabilita ex post, tramite norme e criteri del tutto nuovi a cui si conferisce un’illegittima valenza retroattiva.

Tale articolo dispone che:

– tutti i poteri di governo dell’Università siano attribuiti ad un Consiglio di Amministrazione (CdA) che non è eletto dalle componenti universitarie, ma designato (da una apposita commissione nominata dal Rettore), con soli 5 o 6 professori universitari e con una quota riservata ad esterni. Tale CdA decide l’indirizzo strategico dell’Ateneo ed è tenuto ad operare secondo criteri finanziari.

– il Senato Accademico, in cui sono rappresentate le varie componenti universitarie, viene ridotto ad organo consultivo, infatti è tenuto a formulare proposte e pareri “obbligatori” sulla ricerca e sulla didattica, e sull’attivazione o soppressione  di corsi e sedi. Ma alla fine chi decide è il CdA.

–  la riorganizzazione dei Dipartimenti che fagocitano le Facoltà assumendo funzioni di ricerca e didattica e diventando delle megastrutture costituite da un minimo di 40 (o 35) unità di personale afferenti a SSD omogenei (sulla reale omogeneità dei SSD ci sarebbe da discutere…).

–  è possibile creare strutture di raccordo (massimo 12 per Ateneo) per il “coordinamento e razionalizzazione attività didattiche”; ma tali strutture sono composte dai direttori dei dipartimenti, rappresentanti degli studenti e pochi docenti scelti tra i componenti delle giunte dei dipartimento con modalità definite dallo Statuto. Si perde così quel prezioso contributo di discussione e confronto accademici che aveva luogo tra tutti i professori e i ricercatori nell’ambito delle Facoltà.

– impone la riscrittura dei nuovi Statuti entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge, pena dopo ulteriori 3 mesi, di incorrere in un commissariamento. Statuti scritti da una commissione (per lo più eletta) di fatto vuoti di contenuto che hanno lasciato ai regolamenti attuativi, ideati per lo più dagli amministrativi e  dal rettore, la regolamentazione dell’Università.

L’art. 3  della l. n. 240/2010, inoltre, tratta la questione della federazione e fusione di Atenei.

Il TITOLO II della l. n. 240/2010 “Norme e delega legislativa in materia di qualità ed efficienza del sistema universitario”, ha aumentato i poteri e le competenze dell’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca (ANVUR), che ha dettato “criteri e parametri” per la valutazione della qualità della ricerca scientifica (VQR), l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), l’accreditamento di Corsi di studio (SUA-CdS), dei Dipartimenti (SUA-RD), dei corsi di dottorato, etc…. ai fini di un gigantesco e costosissimo “esercizio” di valutazione svolto dalla stessa ANVUR.

L’effetto però non sembra essere quello sperato: le continue verifiche della qualità imposte dall’ANVUR stanno paralizzando il sistema. Tutti queste incombenze burocratiche, infatti, richiedono un grandissimo impegno assorbendo sia la componente docente che quella amministrativa[6]. E l’unica cosa comprensibile di tutto questo controllo virtuoso è la ricerca di una motivazione per la riduzione di un inutile costo, quello dell’Università Statale, e non la ricerca di un sistema realmente virtuoso.

L’art.8 della l. n. 240/2010 “Revisione trattamento economico professori e ricercatori universitari”, dispone la trasformazione della progressione biennale per anzianità in progressione triennale su base premiale (accertata la produzione di pubblicazioni scientifiche), e l’eliminazione delle procedure di ricostruzione di carriera e conseguente rivalutazione del trattamento iniziale.

Contemporaneamente viene attuato il blocco  degli scatti d’anzianità, inizialmente previsto dalla legge 30 luglio 2010, n. 122[7] per il triennio 2011-2013 per il personale docente dell’Università e per i dipendenti pubblici contrattualizzati nell’ottica di contribuire al contenimento della spesa pubblica. Le economie derivanti dal blocco degli scatti sarebbero state incamerate dalla fiscalità generale.  Il DPR 4 settembre 2013, n. 122[8] ha prolungato il blocco anche per gli anni 2013-2014. Il 4 settembre scorso il Ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, ha annunciato “ancora un anno, almeno, di blocco salariale”[9], quindi blocco anche per il 2015. Le proteste e le 16.000 firme raccolte dai professori e ricercatori universitari non sono state prese seriamente in considerazione[10], mentre una soluzione è stata trovata solo per forze dell’ordine e militari: per loro in arrivo 900 milioni di euro[11]. In realtà anche in precedenza alcune categorie erano state favorite, la magistratura, infatti, aveva ritenuto legittima l’eccezione di incostituzionalità del blocco sollevata dai magistrati, ai quali fin dal 2010 nulla è stato tolto dal portafogli né dalla carriera, mentre è stata considerata infondata l’analoga eccezione sollevata dai docenti universitari[12]. Davanti alla legge i magistrati sono più uguali degli altri[13]. Nel periodo 2011-2013 il blocco non è stato applicato al personale della Scuola Media Superiore (Decreto-Legge 23 gennaio 2014, n. 3)[14].

I colleghi Massimiliano Tabusi[15] (Ret29Aprile) e Marco Cosentino[16] (CoNPAss) hanno effettuato una stima del danno stipendiale complessivo medio determinato dal blocco degli scatti stipendiali, calcolato tenendo conto dell’età media degli appartenenti a ognuna delle tre fasce, della durata conseguente della carriera e anche,  almeno approssimativamente, dell’incidenza su TFR/buonuscita e pensione usando le tabelle del Prof Alberto Pagliarini[17]. Secondo tale stima la perdita economica sarà pari a circa 114.514 € per i professori ordinari, 155.679 € per i professori associati e 141.600 €         per i ricercatori a tempo indeterminato in ruolo.

All’Assemblea Nazionale della Rete29Aprile del 20 settembre a Firenze[18], Massimiliano Tabusi ha affermato che la questione degli scatti stipendiali non è solo una questione di soldi, ma di dignità: “sicurezza, magistratura, scuola, hanno una situazione assai migliore perché hanno affermato con forza l’importanza della loro funzione per il paese. La CRUI sembra non essersi schierata apertamente difendendo i salari di chi lavora negli atenei perché agli establishment universitari questo blocco fa molto comodo. Gli scatti non attribuiti rappresentano una maggiorazione mascherata dell’FFO, pagata -a sottoscrizione- dai lavoratori.  Se ci si autoinfliggono danni, poi la politica non guarda con rispetto alle richieste di finanziamento dell’Università”.

Tramite l’art. 24 della l. n. 240/2010 Ricercatori a tempo determinato, la riforma ha modificato radicalmente l’assetto della docenza universitaria, sopprimendo, senza farne cenno, il ruolo dei ricercatori universitari a tempo indeterminato. Tale articolo introduce una nuova figura di ricercatore a tempo determinato mediante due tipologie di contratti: un contratto (iniziale) di durata triennale e prorogabile per soli due anni (cosiddetto contratto di cui alla lettera a) e un contratto triennale, non rinnovabile, e riservato a candidati che hanno usufruito dei contratti precedenti o di assegni di ricerca o di borse post-dottorato o di analoghe posizioni in atenei stranieri (cosiddetto contratto di cui alla lettera b). Il contratto di tipo b consente un meccanismo agevolato di accesso al ruolo di professore associato per il ricercatore che abbia conseguito l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore associato (tenure-track all’italiana). Tale astuzia ha rivoluzionato il sistema di reclutamento e promozione dei docenti. Al 31 agosto 2014, dall’entrata in vigore della legge, sono stati reclutati solo  188  ricercatori di tip b (dati MIUR[19]), laddove, sotto la vigenza della precedente normativa, il numero medio di ricercatori a tempo indeterminato reclutati ogni anno era all’incirca di 1.700 unità: 188 vs. 6800!

Inoltre, il piano di reclutamento straordinario dei professori associati[20], permetterà nei prossimi tre anni la progressione di carriera di circa 6000 ricercatori a professore associato; ma di fatto si tratterà di un semplice passaggio da ricercatore ad associato di personale già in servizio in quanto la maggior parte degli abilitati risulta già strutturata[21]. Nel frattempo, perdura il blocco del turn over complessivo  (anche se questo vincolo a partire dal 2015 dovrebbe essere abolito[22]) e non è prevista alcuna salvaguardia per la progressione di carriera dei professori associati ad ordinario. Sarebbe in realtà prioritario il passaggio alla I fascia di almeno 6000 associati nel prossimo triennio, numero necessario a rispondere ai pensionamenti di ordinari nei prossimi anni e ai requisiti sempre più stringenti del DM 30 gennaio 2013, n.47 che permette l’accreditamento dei corsi esclusivamente previa verifica del possesso di requisiti di sostenibilità della didattica, “fatta eccezione per le università non statali”[23].

In realtà, subito dopo il movimento del 2010 contro il DDL Gelmini, Renzi criticò la protesta e affermò: “Il Ministro avrebbe dovuto avere il coraggio di chiudere la metà delle università italiane: servono più a mantenere i baroni che a soddisfare le esigenze degli studenti”[24].

In linea con il Renzi-pensiero l’ultima geniale trovata del governo che, al fine di stanziare il piano straordinario di immissioni in ruolo previsto per 148mila docenti precari nel 2015 (tra le misure principali della “Buona Scuola”), utilizzerà un miliardo di euro che verrà finanziato dallo stesso Ministero dell’Istruzione.  Un po’ di quel miliardo si andrà a recuperare, sostiene il Sole 24 ore, tagliando 400 milioni all’Università (FFO) e alla Ricerca (ridimensionamento e  accorpamento degli enti di ricerca)[25]. Naturalmente il Ministro Giannini nega[26].

Ancora una volta Università e Ricerca sono considerati solo come un bacino da cui tagliare e prendere soldi, gli investimenti sono di fatto inesistenti: “una mossa a dir poco contraddittoria, nel momento in cui la volontà vorrebbe essere quella di rimettere al centro del Paese il mondo dell’Istruzione”[27].

L’ istruzione è ed è sempre stata un investimento. Investire nella scuola e nell’università fa bene all’economia: “troppo spesso ci si dimentica che migliorare il sistema scolastico e universitario è un investimento che nel lungo termine può contribuire all’aumento del Pil, rendendo la finanza pubblica più sostenibile”3.

Ma questa situazione non interessa solo l’Italia. Nei mesi scorsi il governo portoghese ha deciso di riesaminare la struttura scientifica nazionale commissionando all’European Science Foundation (Esf) una valutazione di tutti i centri di ricerca del paese. Ma l’utilizzo strumentale di valutazioni volutamente scorrette ha determinato il taglio dei finanziamenti e chiusura delle strutture per metà delle unità di ricerca del paese. Il contratto tra l’agenzia nazionale di finanziamento portoghese e la ESF aveva proprio come prerequisito l’eliminazione di tali strutture di ricerca: il governo portoghese, seguendo gli esempi di Grecia, Spagna e Italia, sta dunque per chiudere tra un terzo e la metà dei suoi centri di ricerca. Anche la Francia non è esente da questo tipo di politica. Considerando l’assenza di altri fondi, solo l’8,5% dei progetti di ricerca di base potrà essere finanziato.[28].

E mentre in Portogallo, Francia, Spagna, Grecia e Italia diminuiscono i fondi per Università e Ricerca in Germania vengono abolite le tasse per gli studenti, mettendo in campo politiche volte a facilitare l’accesso agli studi, esaltando quello che è il ruolo sociale dell’università, strumento di emancipazione non solo del singolo, ma della collettività[29].

Si parla ossessivamente di ripresa, rilancio dell’economia e di investimenti e al contempo si continua la distruzione sistematica del mondo della ricerca. Maurizio Matteuzzi[30] (CoNPAss) scrive “Forse che i nostri politici pensano che saranno i nostri concorrenti a fare ricerca per noi, e poi ci regaleranno i risultati? Non è più probabile che ce li venderanno, facendoceli pagare a caro prezzo?”[31]

Un gruppo di scienziati francesi per protestare contro le insensate politiche economiche dell’austerità e per chiedere una vera politica della ricerca, dell’innovazione e dell’istruzione superiore ha ideato il movimento “Sciences en marche” che ha organizzato una grande marcia a piedi, in canoa e in bicicletta che è iniziata contemporaneamente in varie città della Francia il 27 settembre e si concluderà con una manifestazione a Parigi il 18 ottobre[32]. Tutti i laboratori e le università pubbliche, ma anche i ricercatori del settore privato sono stati coinvolti chiedendo loro di promuovere conferenze e seminari al fine di spiegare il lavoro degli scienziati e il ruolo della scienza nella società28.

Molti altri paesi, compreso il nostro, hanno aderito all’iniziativa francese promuovendo una mobilitazione europea “Per la Scienza Per la Cultura”per mettere il tema del definanziamento di ricerca e istruzione al centro del dibattito pubblico, delle agende dei governi nazionale ed europeo[33]. Le Organizzazioni universitarie italiane, rappresentative di tutte le componenti  (professori, ricercatori, tecnico-amministrativi, docenti/ricercatori precari, dottorandi e studenti) partecipano alla mobilitazione europea “Per la Scienza Per la Cultura” condividendo i motivi principali della protesta e chiedendo la fine dei tagli alla Ricerca e all’Università, la deburocratizzazione dei processi, un’attenzione maggiore alla ricerca di base, la cancellazione del lavoro precario nei settori della conoscenza, un reale diritto allo studio, meccanismi democratici di gestione e funzionamento degli Atenei e dei Centri di ricerca. Nella settimana 13-18 ottobre sono state organizzate assemblee e iniziative locali, anche in preparazione della manifestazione nazionale che si terrà al Pantheon di Roma il 18 ottobre 2014[34].

La scorsa settimana, inoltre, alcuni scienziati europei hanno lanciato, con una lettera aperta pubblicata su Euroscience e ripresa anche da Nature, un allarme contro i tagli ai fondi per la ricerca di base in corso in tutti gli Stati dell’Ue. L’obiettivo della petizione[35] è attivare sia i ricercatori sia i cittadini per difendere il ruolo essenziale della scienza nella società.

 


[5] Luigi Spagnolo. Il DDL Gelmini commentato.

[6] http://www.rete29aprile.it/index.php/comunicati-stampa-menu/399-stanno-uccidendo-l-universita

[7] http://www.lavoro.gov.it/Strumenti/normativa/Documents/2010/20100730_L_122.pdf

[8] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/10/25/13G00166/sg

[9] http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2014/09/03/-p.a-madia-non-ci-sono-risorse-per-sblocco-salari-_1abeb14b-442c-45c1-b216-be99bd2b291d.html

[10] http://www.lettera43.it/economia/macro/universita-i-docenti-a-renzi-basta-tagli-o-esami-a-rischio_43675140338.htm

[11] http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_18/stipendi-carabinieri-polizia-pronta-l-intesa-43dc5026-3ef4-11e4-97e5-7c54525b65fe.shtml

[12] https://www.inchiestaonline.it/scuola-e-universita/adriana-brancaccio-maurizio-matteuzzi-la-patria-del-diritto-e-il-diritto-della-patria/

[14] http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=35873

[16] http://www4.uninsubria.it/on-line/home/rubrica/home-page-docente.html?P1_m=P000089

[17] http://alpaglia.xoom.it/alberto_pagliarini/TAB2010Aumento3e09percento.htm

[18] http://rete29aprile.it/index.php/90-notizie/422-firenze-20-settembre-2014-ore-10-assemblea-nazionale-della-rete29aprile

[19] http://cercauniversita.cineca.it/php5/docenti/cerca.php

[20] http://www.camera.it/leg17/561?appro=895& La+nuova+disciplina+per+il+reclutamento+dei+professori+e+ricercatori+universitari #paragrafo4174

[21] http://www.roars.it/online/asn-2012-ecco-le-statistiche-finali-diverse-da-quelle-anvur/

[23] http://attiministeriali.miur.it/anno-2013/gennaio/dm-30012013.aspx

[24] http://firenze.repubblica.it/cronaca/2011/02/03/news/renzi_mat_delle_universit_dovrebbero_essere_chiuse-12010731/

[25] http://www.repubblica.it/rubriche/la-scuola-siamo-noi /2014/09/28/ news/ tagli_alla_ricerca_l_universit_si_ribella-96837478/

[27] http://www.unionedegliuniversitari.it/renzi-e-giannini-tagliare-ai-poveri-per-dare-ai-poveri-in-arrivo-400-milioni-di-tagli-allistruzione/

[28] http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/16/ scienza-e-cultura-in-marcia-per-unambiziosa-politica-della-ricerca/1122067/

[29] http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/02/ universita-la-germania-abolisce-le-tasse-di-iscrizione-quale-lezione-per-litalia/1140422/

[30] http://unibo.academia.edu/mauriziomatteuzzi

[31] http://www.ilmanifestobologna.it/wp/2013/11/la-distruzione-del-pubblico-il-suicidio-del-paese-passa-dal-soffocamento-della-ricerca/

[32] http://sciencesenmarche.org/fr/

[33] http://www.roars.it/online/per-la-scienza-e-la-cultura/

[34] http://www.unionedegliuniversitari.it/per-la-scienza-per-la-cultura-manifestazione-nazionale-il-18-ottobre/

[35] http://openletter.euroscience.org/

 

 

 

Category: Scuola e Università

About Petronia Carillo: Petronia Carillo (1969) è professore associato di Fisiologia Vegetale presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali, Biologiche e Farmaceutiche (DiSTABiF) della Seconda Università di Napoli. Insegna Fisiologia molecolare delle piante, Biochimica vegetale e Fisiologia di Post-raccolta. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso l'Università di Napoli Federico II. E' stata ricercatrice di Fisiologia vegetale dal 1999 al 2010. Come Visiting Scientist nel 2000 ha lavorato presso l'Istituto di Botanica dell'Università di Heidelberg e dal 2001 collabora con il Max- Planck-Institut für Molekulare Pflanzenphysiologie di Potsdam-Golm, Germania. Si è principalmente interessata di integrazione e regolazione di processi metabolici coinvolti nel metabolismo primario e secondario del carbonio e dell'azoto nelle piante. Attualmente I suoi principali interessi di ricerca riguardano lo studio degli effetti di stress abiotici su piante coltivate e sistemi vegetali modello e la produzione di bioidrogeno e biometano da biomasse vegetali e animali. Come ricercatore aderente alla Rete29Aprile, in opposizione al DDL Gelmini, aveva dichiarato la propria indisponibilità alla didattica. E' socio fondatore e membro del Direttivo Nazionale CoNPAss.

Comments (2)

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  1. nadia breda ha detto:

    Grazie a Petronia Carillo per questo post importante…

  2. Alberto Di Cintio ha detto:

    Complimenti a Petronia,
    davvero una accurata, documentata, efficace, disamina e lettura del nostro “stato”, senz’altro molto utile per la nostra attività quotidiana di resistenza, contrasto e proposizione.

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