Francesco Profumo: i primi passi alla guida del ministero dell’Università

| 13 Gennaio 2012 | Comments (0)

Ovvero perché un ex rettore tecnocrate può essere molto più pericoloso di un avvocato semianalfabeta

Nessuna speranza per l’Università italiana, già stremata da tre anni di tagli feroci del duo Tremonti-Gelmini e tuttora alle prese con il defatigante processo di attuazione della riforma cosiddetta “epocale” varata dal governo Berlusconi. Chi confidava nell’avvento di Francesco Profumo, già rettore del Politecnico di Torino nonché presidente del CNR, alla guida del MIUR si è prontamente ricreduto. Fin dalle prime dichiarazioni alla stampa, è apparsa evidente una linea di condotta ispirata alla massima continuità con l’azione del suo predecessore: «[Mariastella Gelmini ndr] ha avviato una serie di riforme che possono essere migliorate, ma il transitorio sul transitorio non funziona. Bisogna portare a regime ciò che è stato varato e poi, magari, migliorarlo».

Dopo un mese di rodaggio, durante il quale gran parte delle attenzioni del neo ministro è andata al comparto dell’Istruzione, a fine dicembre anche l’Università e la Ricerca sono state destinatarie dei primi atti controfirmati da Profumo. Infatti il 27 dicembre sono stati emanati, con appositi decreti ministeriali, i nuovi bandi per i Progetti di Ricerca di rilevante Interesse Nazionale (PRIN) 2010-2011 e per il Programma “Futuro in Ricerca” (FIRB) 2012. Il giorno successivo, invece, sono stati resi di pubblico dominio i contenuti del decreto ministeriale del 15 dicembre 2011, relativo all’assegnazione delle risorse previste dal piano straordinario 2011 per la chiamata di professori di II fascia, e della annessa nota esplicativa di accompagnamento inviata a tutti i rettori e direttori amministrativi. Nonostante il periodo natalizio, questi provvedimenti hanno suscitato immediatamente aspre polemiche e numerose prese di posizione da parte di diverse componenti del mondo accademico.

Per prima cosa va ricordato che attualmente i finanziamenti PRIN rappresentano in Italia il principale strumento a supporto della ricerca liberamente proposta dalle Università nelle varie aree disciplinari, mentre quelli FIRB costituiscono un prezioso sostegno a favore dell’inserimento di giovani studiosi nel sistema nazionale della ricerca. Sono stati messi a disposizione della comunità scientifica poco più di 175 milioni di euro con il bando PRIN e fino ad un massimo di 64 milioni di euro con il bando FIRB. La vera novità imposta dal ministro Profumo, che segna un punto di discontinuità forte con le precedenti tornate di finanziamenti, sta nella profonda rivisitazione delle procedure di presentazione e valutazione dei progetti.

Innanzitutto sono stati introdotti ex novo limiti numerici alla quantità complessiva di proposte di ricerca producibili in qualità di coordinatori nazionali al ministero da parte di un singolo ateneo (non oltre lo 0,75% della consistenza del corpo docente e ricercatore), così come alla quantità di giovani che possono proporre di svolgere la loro attività di ricerca in uno specifico ateneo (non oltre lo 0,50% della medesima consistenza). Dunque questo significa che gli atenei saranno coinvolti in prima persona in una fase di preselezione iniziale delle proposte, fino alla concorrenza del tetto massimo previsto. Ad esempio, nell’Università di Bologna, a fronte di tremila unità di personale docente e ricercatore presenti in ruolo al momento dell’emanazione dei bandi, potranno essere sottoposte al giudizio del Comitato Nazionale dei Garanti della Ricerca e dei Comitati di Selezione (uno per ogni area disciplinare o settore ERC a seconda dei casi) solamente 23 proposte PRIN e 15 proposte FIRB. Come hanno saggiamente osservato Fabio Beltram e Chiara Carozza, in una lettera aperta indirizzata al ministro, «[…] se questa scelta sottende il principio di mettere tutti sullo stesso piano, a nostro avviso essa parte da un presupposto sbagliato. Non tutti i luoghi sono uguali per svolgere una certa ricerca, e la distribuzione delle “buone idee” non è un fatto statistico che prescinde dalle qualità delle strutture e delle persone. […] Troviamo poi particolarmente inopportuno limitare la libertà di scelta a giovani che vogliono entrare in un particolare ambito di ricerca. […] In questi bandi si chiede agli atenei di preselezionare i progetti tenendo conto del numero delle proposte presentate nei singoli settori scientifici. Un esempio: se in un settore disciplinare vengono presentati molti progetti di scarso valore, mentre in un altro pochi di alto livello, l’ateneo dovrà tenere conto delle proporzioni iniziali nell’effettuare la preselezione scartando così progetti buoni a favore di progetti peggiori».

Secondo quanto previsto dai nuovi bandi, inoltre, i progetti PRIN non avranno più durata biennale, bensì triennale. Data la scarsità dei finanziamenti a disposizione, questa decisione sembra dettata non tanto dalla consapevolezza della necessità di una maggior durata dei progetti scientifici, quanto dalla volontà di allungare i tempi dei progetti a parità di finanziamento erogato.

Anche le dimensioni attese dei progetti PRIN salgono sensibilmente, privilegiando quelli di grande entità (fino a 2 milioni di euro per le aree disciplinari relative alle Scienze fisiche, Scienze chimiche, Scienze biologiche, Scienze mediche e all’Ingegneria industriale e dell’informazione) e che prevedono l’aggregazione di non meno di cinque unità operative. Analogamente, nel caso dei progetti FIRB, le richieste di finanziamento dovranno essere comprese tra 0,5 e 1,2 milioni di euro e prevedere non meno di tre unità operative, fino ad un massimo di cinque. Sono invece esclusi dal finanziamento, sia per PRIN sia per FIRB, i progetti di ricerca individuali o promossi da un numero di ricercatori al di sotto dei limiti citati. Di conseguenza sarà molto inferiore rispetto alle precedenti tornate il numero di progetti ammessi al finanziamento, indipendentemente da qualunque considerazione sulla loro qualità. Come ha osservato molto opportunamente la FLC-CGIL in una sua nota «[…] vi è il rischio che negli atenei molti ottimi progetti finiscano per essere scartati per ragioni non legate al progetto quanto alla collocazione accademica del proponente. Questa norma, peraltro, colpisce in maniera più dura gli atenei più piccoli. Ci sembra quindi pericolosa, irragionevole, viziata da un eccesso di delega, nonché aliena da qualsiasi forma di seria ed effettiva politica di valutazione o promozione scientifica la scelta di fissare per legge i confini di ciò che è meritevole e di ciò che non lo è».

Per ogni area disciplinare è inoltre predeterminata la quota di risorse disponibili, sulla base della media storica delle assegnazioni PRIN degli ultimi cinque anni, allo scopo dichiarato di semplificare le procedure relative alla formazione delle graduatorie per area. Con la stessa motivazione, per ogni linea d’intervento dei progetti FIRB è predeterminata una quota minima/massima di risorse disponibili. Ma così operando si favorisce il cristallizzarsi del cosiddetto “effetto San Matteo”: le nuove risorse che si rendono disponibili vengono ripartite fra i partecipanti in proporzione a quanto già hanno. Ovvero, detto in altri termini, si consolida il divario tendenziale riscontrabile da molti anni nel finanziamento della ricerca universitaria a favore delle discipline scientifico-tecnologiche e a scapito di quelle, latu sensu, umanistiche.

Quest’ultimo aspetto viene ulteriormente amplificato dalla scelta del ministro Profumo di prevedere meccanismi di incentivazione per le proposte relative a settori progettuali “strategici”, ovvero quelli riconducibili agli obiettivi di Horizon 2020. Le valutazioni sintetiche finali dei revisori dei progetti saranno infatti espresse su una scala numerica che potrà raggiungere un massimo di 100 punti; di questi fino a 25 sono riservati al possibile impatto della ricerca proposta e alla potenzialità di realizzazione di un significativo avanzamento delle conoscenze rispetto allo stato dell’arte, con particolare riferimento alle tematiche oggetto del programma Horizon 2020. Di conseguenza Profumo trasferisce esplicitamente all’interno di PRIN e FIRB le priorità indicate dall’Unione europea, contribuendo ad affermare il primato industriale nell’innovazione attraverso investimenti nelle sole tecnologie di punta.

Al contrario la responsabilità prima del MIUR dovrebbe essere quella di assicurare in Italia la tenuta della ricerca di base e di quella mossa da semplice curiosità intellettuale, garantendo il permanere di condizioni soddisfacenti di finanziamento anche per i settori oggi considerati non strategici, ma che in un prossimo futuro potrebbero divenirlo o che comunque offrono un contributo decisivo allo sviluppo delle conoscenze in tutti i campi del sapere. Di nuovo è pienamente condivisibile il grido d’allarme lanciato dalla FLC-CGIL: «[…] nel lungo periodo, il reiterarsi di scelte come questa comporterà l’indebolimento anche dei settori applicati e strategici la cui tenuta è resa possibile proprio dal permanere di una solida ricerca di base e da ricerche il cui portato innovativo è dato nell’essere originali e lontane dai percorsi consolidati. In tal senso, la scelta di favorire il coinvolgimento nei progetti di organismi di ricerca pubblici e anche privati, nazionali e internazionali, che non siano a fini di lucro è di per sé elemento positivo e certamente da valorizzare con politiche di sistema da consolidare. Tuttavia è necessario che questo elemento non si traduca nei PRIN come l’ennesimo strumento di favore ai settori applicati della ricerca a scapito di quelli connessi alla ricerca di base o ai settori umanistici dove il peso del settore privato è di gran lunga minore».

Le nuove procedure di presentazione e di valutazione dei progetti finiranno per ridurre ulteriormente gli spazi di partecipazione a favore di aree scientifiche che già oggi godono di maggiori opportunità di finanziamento e renderanno più difficile per i gruppi di ricerca appartenenti ad aree minoritarie, negli atenei e nel sistema nazionale, l’accesso ai finanziamenti. Inoltre l’approccio alla valutazione proposto dal MIUR porterà quasi inevitabilmente alla formazione di “cordate” accademiche e di turnazioni nell’assegnazione dei fondi di ricerca che poco o nulla hanno a che fare con la qualità scientifica dei progetti presentati.

Le assegnazioni dei finanziamenti PRIN e FIRB hanno spesso mostrato, negli scorsi anni, vari limiti. Se possibile il regolamento proposto dal ministro Profumo ne amplifica le rigidità e gli elementi di controllo da parte dei gruppi scientifici più forti, rendendo ineludibile al tempo stesso un vaglio preventivo diretto, assai “pericoloso”, degli atenei sulle richieste di finanziamento da parte dei gruppi di ricerca. Così come la legge 240/2010 è concepita e pensata per rafforzare le baronie accademiche, non per combatterle, lo stesso si può tranquillamente affermare per i bandi in oggetto. Se questo poteva forse sfuggire all’ex ministro, estraneo all’ambiente di ricerca, per non dir di peggio, non può certo sfuggire all’ex rettore Profumo.

Il 28 dicembre il ministro ha inviato a rettori e direttori amministrativi una nota esplicativa al decreto ministeriale del 15 dicembre 2011, depositato di soppiatto poco prima delle festività e relativo all’assegnazione delle risorse previste dal piano straordinario 2011 per la chiamata di professori di II fascia. Quelle risorse dovevano originariamente essere utilizzate per chiamare i ricercatori “abilitati nazionali” secondo le nuove regole previste dalla legge 240/2010, ma non ancora attuate. Pertanto, in fase transitoria, Profumo ha deciso di promuovere i ricercatori che fossero già in possesso di un’idoneità a professore associato ottenuta secondo le vecchie regole in concorsi banditi a livello locale (e non su scala nazionale) nel corso del 2008 e del 2009: si tratta di poche centinaia di unità. Poi, in mancanza di altri ricercatori da promuovere perché nel frattempo i concorsi non si sono più potuti svolgere, Profumo ha stabilito di usare quelle risorse per chiamare professori dall’estero oppure per far trasferire professori associati già in servizio da un ateneo all’altro.

La pubblicizzazione dei contenuti del decreto e della relativa nota di accompagnamento ha messo tutta la comunità accademica di fronte ad una “sgradita” sorpresa natalizia: sono stati esclusi dalla distribuzione delle risorse previste dal piano straordinario tutti gli atenei (in gran parte meridionali) che avevano sforato al 31/12/2010 il tetto del 90% di spese fisse per il personale sul Fondo di Finanziamento Ordinario. Di conseguenza Profumo ha sancito il fatto che la carriera accademica dei ricercatori italiani ora non dipende più da pubblicazioni, attività di ricerca e meriti scientifici, ma dal loro domicilio. Come evidenziato in maniera pienamente condivisibile da un comunicato della Rete 29 Aprile, «[…] questa non è, come potrebbe suggerire un interprete ingenuo (o malizioso), la banale applicazione del principio del merito, ma il suo plateale capovolgimento: e infatti, le colpe degli incauti amministratori di alcuni atenei ricadranno su coloro che non hanno avuto alcuna possibilità di controllo sulla variabile contabile. Ai responsabili della cattiva gestione, nessuna sanzione. Agli studiosi colpevoli di svolgere al meglio il proprio lavoro presso atenei male amministrati, tutta la croce. Il demerito “contabile” (non scientifico) della comunità (non dell’individuo) determina la condanna a morte del singolo ricercatore. La sede di appartenenza determina la possibilità di carriera, a parità di titoli e di curricula. Il merito scientifico individuale non conta nulla. Contano solo l’appartenenza, il casato, la comunità di provenienza».

Il ricercatore in servizio presso un ateneo che ha superato il tetto del 90%, dunque, è messo fuori gioco da una variabile che nulla ha a che fare con le sue qualità scientifiche e con il fantomatico merito. Si tratta per di più di una variabile contabile volatile, ampiamente manipolabile e sulla quale, soprattutto, non ha alcuna possibilità d’incidere. Il ricercatore paga individualmente la colpa di un’entità collettiva; non è più un membro della comunità scientifica internazionale, né di quella italiana. È solo un ricercatore “in servizio presso l’università X che ha sforato”. E per questo motivo la sua idoneità non è più spendibile nella stessa università. Può solo sperare di “emigrare” verso un ateneo “virtuoso”, che accetti di chiamarlo anche se a costo pieno per il proprio bilancio. Altrimenti, il suo valore scientifico non conterà più nulla.

Questo meccanismo perverso renderà dunque del tutto legittimo (e anzi probabile) il drenaggio di risorse umane pregiate da atenei in crisi (quindi impossibilitati ad assumere) verso atenei sani, secondo i principi di una sorta di darwinismo socio-accademico. Ora è sotto gli occhi di tutti che, da quando Francesco Profumo ha sostituito al MIUR Mariastella Gelmini, l’Università italiana è sempre più saldamente affidata alla guida della longa manus confindustriale. Come è noto la legge di riforma dell’Università, approvata a dicembre 2010 in un clima di proteste e mobilitazioni generalizzate in tutto il Paese, è stata voluta più intensamente di ogni altro attore istituzionale proprio da Confindustria. A distanza di un anno poi, nel novembre 2011, è stato siglato un accordo tra CRUI e Confindustria per monitorare l’evoluzione della governance degli Atenei e definire i criteri per la valutazione della qualità di ricercatori e docenti da proporre all’ANVUR. Prontamente Gianfelice Rocca, vicepresidente di Confindustria con delega all’Education, è stato designato alla presidenza del comitato consultivo dell’ANVUR che ha il compito di fornire pareri e formulare proposte al suo consiglio direttivo, in particolare sui programmi di attività e sulla scelta dei criteri e dei metodi di valutazione.

Da tempo Confindustria ha reso espliciti le sue intenzioni e i suoi interessi: ridurre a non più di una ventina gli atenei “veri”, cioè quelli che possono mantenere in essere attività didattiche e di ricerca qualificate, assicurandosi nel frattempo la partecipazione diretta nella gestione di tutte le università attraverso la nomina di “esterni” nei nuovi consigli di amministrazione dotati di pieni poteri. La concentrazione delle risorse umane eccellenti in pochi atenei è un passaggio inevitabile di questo processo, che mira non tanto ad innalzare la qualità media della ricerca in Italia, ma piuttosto a rendere più facilmente controllabile e dominabile l’intero sistema universitario pubblico.

Il punto d’arrivo più probabile è quello di un’Università “piegata” completamente alle esigenze dei processi produttivi di merci e servizi. Qualche giorno fa Pier Luigi Celli, direttore generale della Luiss, ha persino proposto di obbligare i docenti universitari ad effettuare periodicamente un semestre di stage in azienda. Il punto è che per i tecnocrati, dei quali il ministro Profumo e il governo Monti nel suo insieme incarnano e tutelano gli interessi, la cultura e la scienza di base rappresentano qualcosa di superfluo. La loro unica e vera priorità è quella di riconfigurare il comparto dell’istruzione superiore sotto le sembianze di un’enorme scuola di formazione per tecnici – o al massimo per ingegneri – obbedendo ciecamente a prescrizioni europee volte a garantire soprattutto la massima mobilità/precarietà all’interno del mercato del lavoro, in piena conformità con le famose competenze di Lisbona e i principi del Bologna Process.

 

 

Category: Scuola e Università

About Sergio Brasini: Sergio Brasini è Professore Ordinario di Statistica Economica dal primo ottobre del 2005 presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Presiede attualmente il Corso di Laurea in Finanza, Assicurazioni e Impresa nella sede di Rimini della stessa Facoltà. È socio della Società Italiana di Statistica e membro dello European Network for Business and Industrial Statistics. Per quanto riguarda i suoi interessi di ricerca, sono principalmente orientati verso le aree tematiche della Statistica Aziendale e dell’Analisi di Mercato. I lavori pubblicati negli ultimi anni sono dedicati in particolare all’impiego dei modelli statistici ed econometrici per l’analisi del comportamento del consumatore. Un’attenzione specifica è riservata alla valutazione delle determinanti della soddisfazione della clientela e della fedeltà alla marca, nonché alla verifica empirica dell’esistenza di nessi causali tra questi due concetti. Alcuni contributi hanno preso in considerazione il tema dell’analisi dell’efficacia delle strategie e degli strumenti di marketing-mix delle aziende in termini di risposta comportamentale del consumatore. Altri hanno riguardato la valutazione del “time to market” per nuovi prodotti da lanciare nel mercato e i criteri di misurazione della audience di Internet. Un’ulteriore linea di ricerca sviluppata è quella orientata a tematiche tipiche della Statistica Economica. Tra gli argomenti affrontati assume particolare rilievo quello della valutazione della diffusione e dell’intensità della povertà in Italia secondo vari approcci disponibili in letteratura.

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