Jessica Murano: Perché a Parigi i ricercatori si sono “messi in marcia” ?

| 3 Novembre 2014 | Comments (0)

 

Maurizio Matteuzzi ci ha segnalato questo intervento di Jessica Murano, dottoranda in medicina che si trova per studio e ricerca a Parigi. Jessica Murano si interessa di teorie dell’immagine, neuroscienze e storia dell’arte e ha partecipato alla manifestazione di Parigi.

 

Il 29 Settembre a Montpellier si è svolta la prima tappa di “Science en Marche”, conclusasi il 17 ottobre a Parigi. La manifestazione è nata dall’idea di un movimento che comprende più di trecento persone tra tecnici, professori, ricercatori, studenti, figure professionali dell’ambiente della ricerca, tra i quali il Presidente dell’Università Paul Valéry di Montpellier Anne Fraisse, il leader della ricerca del movimento “Sauvons” Alain Trautmann e Patrik Lemaire, direttore del CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique, la più grande organizzazione per ricerca pubblica in Francia). Proprio quest’ultimo, durante il primo incontro avvenuto lo scorso giugno a Montpellier, ha lanciato l’idea: organizzare una marcia su Parigi, una grande manifestazione, magari in bicicletta, per parlare, discutere, portare all’attenzione dei più, il problema dei finanziamenti pubblici alla ricerca. Un’idea semplice, che grazie alla volontà dei partecipanti si è trasformata in Science en Marche, che conta oggi un sito internet, un logo, un’associazione di comitati locali accademici in tutta la Francia, una petizione, che da inizio luglio ad oggi ha raccolto più di 15mila firme, eventi e manifestazioni in tutta la nazione.

Come spiega bene Alain Trautmann, Il CNRS si è riunito quest’anno in un’assemblea straordinaria per la quinta volta dalla sua data di fondazione, nel 1946, per discutere del grave problema del finanziamento pubblico alla ricerca. Una grande battaglia per salvaguardare il destino del mondo accademico, che in questi anni appare sempre più nero. Il posto della Francia nell’entourage della ricerca internazionale è in rapido declino. Nel 2008 si contavano più di 400 ricercatori affiliati al CNRS, 300 nel 2013, 200 (in previsione in rapporto ai costi) nel 2015. Non è solo l’ambiente accademico a risentire di questa perdita: la conseguenza dell’attività dei ricercatori ha ripercussioni in primis nel mondo del lavoro, che in tal modo perde l’opportunità di avere competenze ed eccellenze, nel settore dell’educazione scolastica, che avrà sempre meno menti da mettere a disposizione, infine incide sulla qualità della vita democratica attiva, (che in Francia esiste, e ha un grande valore per la nazione) che perde menti in grado di avere spirito critico. Giustamente il presidente di Sauvons fa notare come questa grave situazione non sia data dalla crisi, bensì da una precisa volontà politica, messa in atto prima da Sarkozy e poi da Hollande.

Così, il 17 ottobre, più di 8mila tra ricercatori, studenti, professori e figure professionali del mondo accademico, hanno sfilato fianco a fianco, chi in bicicletta, chi a piedi. Una marcia pacifica, che non ha richiesto lo schieramento delle forze dell’ordine, ma che ha lasciato la libertà di esprimere disagio e dissenso di fronte ad una situazione di estrema precarietà ove tutti, anche chi ha il contratto a tempo indeterminato, si sentono coinvolti.

Per me, giovane dottoranda italiana arrivata a Parigi, l’argomento dei tagli al mondo della scuola e dell’Università non è certo una novità. Già al liceo ricordo le manifestazioni contro i tagli voluti dall’allora ministro Moratti, quindi le manifestazioni quando ero all’Università contro la riforma scolastica della Gelmini. La novità, per me, è stata vedere la solidarietà. In Italia, ho visto solidarietà tra ricercatori precari, assegnisti precari, post-doc precari. In Francia, ho visto docenti di ruolo, con contratto a tempo indeterminato, scendere nelle strade accanto agli studenti, ai dottorandi, alle figure professionali precarie con cui lavorano quotidianamente fianco a fianco.

Ho sentito dire ai docenti di ruolo che hanno bisogno di questi giovani precari, perché sono i giovani il futuro della ricerca. Nella mia nazione sono pochi i docenti che hanno a cuore il destino del mondo accademico: molto spesso si bada soltanto ad avere il proprio posto, il resto non ha importanza. Ho sentito e visto molte volte quei docenti soprannominati baroni che sospirando affermavano che sì, in effetti siamo proprio in una brutta situazione, “ma che ci vuoi fare, colpa del governo”. Certamente il governo è il primo accusato in questo processo. Ma poi ci sono gli omertosi, che sanno perfettamente come stanno le cose, ma preferiscono stare dietro la scrivania e fare finta di niente. Poi ci sono i professori che di professore hanno solo il titolo, in quanto all’Università passano solo una volta al mese, quando sono costretti a mettere una firma. Poi ci sono i professori che non si sa in che modo lo siano diventati, che non fanno ricerca ma usano il loro posto per i loro scopi personali e politici. E poi ci sono i Professori, i Ricercatori, gli Assegnisti, i Dottorandi, i Precari della ricerca, le uniche persone per cui varrebbe la pena usare la lettera maiuscola. Essi credono in quello che fanno, hanno a cuore la loro disciplina, passano anni in attesa di un concorso per scalare la gerarchia dell’accademia (che il più delle volte si rivela truccato, ma vanno avanti), per il loro lavoro e per il futuro del mondo accademico.

Poi c’è la reazione della società. In Francia ho visto una grande sensibilità rispetto al tema dell’educazione e dei tagli alla ricerca. C’è una solidarietà che non sfocia in cinici commenti, come spesso ho sentito in Italia, su quanto gli universitari abbiano poco da lamentarsi. Qui vedo riconosciuto il valore di una professione e di una professionalità che sta a cuore a tutto il Paese, perché tutti riconoscono l’importanza e la necessità di un finanziamento pubblico alla ricerca. A malincuore in Italia troppo spesso ho visto puntare il dito contro i manifestanti, accusati di essere “sinistrorsi” o appartenenti ai centri sociali. Vedo, in Italia, un fittissimo intreccio tra politica e Accademia, che si dipana a tutti livelli, in alto, dove nel mondo universitario spesso la linea tra interessi politici e interessi pubblici e dell’Università è sottilissima, quasi invisibile, e in basso, dove un’informazione pubblica evidentemente mal efficiente e un’ignoranza decisamente troppo elevata fanno chiudere gli occhi davanti ai problemi reali di una nazione.

Io, giovane dottoranda italiana laureata alla statale di Milano, sono riconosciuta in Francia come studiosa di valore. La nomea della mia Università, le menti che hanno reso la Statale celebre all’estero, non smette di esercitare la sua influenza. La mia Università mi ha dato un’eccellente formazione, con docenti di tutto rispetto. In Italia dovremmo fermarci e riflettere su quello che abbiamo e quello che abbiamo creato negli anni passati. Oggi non si fa altro che parlare di cervelli in fuga. Forse accanto a queste notizie, sarebbe bene darne altre, di positive, che mostrino alla nazione come l’Università italiana sia ancora capace di fare ricerca di alto livello. Se si parla, e si è parlato di Università solo in termini di baronato poi non ci si può stupire se i più associno al mondo accademico l’abuso di potere.

I ricercatori in Francia sono in marcia per difendere il proprio diritto al lavoro, allo studio, alla carriera, per la lotta al precariato. In Italia forse i ricercatori dovrebbero scendere in piazza prima per spiegare alla propria nazione cosa fanno, perché è importante finanziare il loro settore, e perché è importante l’educazione. Senza queste premesse, qualsiasi manifestazione per la ricerca sarà un grande buco nell’acqua, com’è stato finora.

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Category: Osservatorio Europa, Ricerca e Innovazione

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