Bruno Giorgini: Il Galileo di Heilbron

| 21 Ottobre 2014 | Comments (0)

 

 

 

DIBATTITO SU SCIENZA E FEDE Giovedì 30 ottobre 2014 alle ore 20,30 al Centro delle Donne di Bologna (Via del Piombo 5)  Silvio Bergia e Bruno Giorgini discuteranno su Il Galileo di Heilbron. Vita morte e miracoli della rivoluzione scientifica. Questa iniziativa è patrocinata da Qcodemag, Inchiesta e Libreria Ubik Inrnerio ed è organizzata da Social Street di Via Fondazza.

 


E’cosa inesplicabile, come da cose triviali, quotidiane e sotto gli occhi di tutti, V.S. Ecc. osservi gli effetti della natura, e si alzi a speculationi profundissime.

 

L’estate piovosa concilia le buone letture. Una per me è stata quella del libro Galileo. Scienziato e umanista di John L. Heilbron (Einaudi, Torino  2013), che racconta non solo Galileo (d’ora in poi spesso G.) ma, attraverso lui, vita morte e miracoli della rivoluzione scientifica. G. è in Italia poco più di una icona spesso dimenticata in un angolo, fuori dalla portata e dalla vista del grande pubblico, e anche degli intellettuali, ammesso e non concesso che nel nostro paese ancora qualcuno ce ne sia. Nonostante sia un grandissimo scrittore, che inventa quasi dal nulla la lingua italiana scientifica, non si legge a scuola, nè nei corsi di letteratura italiana nè in quelli di scienza, e neppure si commemora oppure si discute, salvo in ristretti ambiti specialistici. Il libro di Heilbron, uno dei maggiori storici della scienza al mondo, è corredato da una amplissima bibliografia dove si stenta a trovare nomi e opere di autori italici, e quando compaiono si tratta di riviste e/o libri benemeriti ma a circolazione assai ristretta, non so, il Bollettino del Museo Civico di Padova, l’Istituto Veneto di Scienze e Lettere, Nuncius, Nonis, Convivium, e potrei continuare; spiccano tra questi “Galileo e il suo cannocchiale” del 1964, edito da Boringhieri, e “Vita e opere di Galileo” del 1965 edito da Herder, finalmente due editori che è possibile trovare in libreria. Il mio primo incontro con Galileo avvenne al Piccolo di Milano e fu folgorante: eravamo andati ragazzi di provincia in gita scolastica nella grande Milano a vedere “Vita di Galileo” di Bertolt Brecht recitato da Tino Buazzelli per la regia di Giorgio Streheler.  Così anni dopo mi iscrissi a Fisica col modello di Galileo in testa, e non uno dei grandi fisici del 900 Einstein su tutti, come allora era più frequente, e in aula magna campeggiava una scritta del nostro, ma fu tutto. Intendo che anche studiando Fisica, G. si rinchiude nel principio d’inerzia e in quello di relatività galileiana, con qualcosa sulla caduta dei gravi e la famosa isocronia del pendolo, poi il metodo galileiano abbastanza ridotto all’osso; e io fui comunque fortunato avendo come professori di Fisica Classica due scienziati di gran vaglia e amplissima cultura in filosofia naturale come  Giampietro Puppi e Marcello Ceccarelli. Nel corso del tempo lessi il Dialogo sopra i Due Massimi Sistemi del Mondo Tolemaico e Copernicano, un libro d’avventure scientifiche  bello e avvincente almeno tanto quanto I Tre Moschettieri. Ma il nsotro avrebbe preferito che scrivessi : bello e avvincente come L’Orlando Furioso, il poema cavalleresco che amava,leggeva e rileggeva, citava e commentava, mentre non sopportava il Tasso. Secondo  molti, anche contemporanei, i duelli cavallereschi descritti nell’ Orlando modellarono la sua temutissima  feroce abilità nelle discussioni. Scrive qualcuno a proposito del suo stile polemico “Egli non prende mai di fronte l’avversario con assalto violento, ma, dopo averlo cavallerescamente salutato e essersi messo in guardia, attende da lui i primi colpi e, limitandosi a una prodente difesa, lo alletta ad avanzarsi; poi d’improvviso con rapido movimento assale e colpisce dove l’altro non l’aspetta e, profittando della sorpresa, gli si serra addosso, lo incalza, lo riduce all’impotenza e poi l’abbandona senza curarsene”. Ma Ariosto è anche, ci racconta Heilbron, una maestro per la filosofia naturale in particolare nell’uso dell’analogia e dell’arte dell’immaginazione, il fantastico che irrompe.

 

L’intreccio tra studio della natura e quello della poesia

In Galileo lo studio della natura e quello della poesia sono strettamente intrecciati. La poesia non è uno sfizio ma costituente la ricerca sui fenomeni naturali. Non  a caso  le prime lezioni pubbliche che nel 1587 G. tiene, per conto dell’Accademia Fiorentina, sono su scienza e poesia in Dante. Nel libro di Heilbron il Dialogo sopra i Due Massimi Sistemi lo incontriamo a pagina 281, quando Galileo ha ben 58 anni, il dialogo fu infatti pubblicato nel 1632, Galilei essendo nato nel 1564, alla fin fine il testo che lo porterà nelle carceri dell’Inquisizione. E la sua esplosione scientifica per così dire avviene quando egli ne ha 45 di anni, molto tardi secondo i parametri di oggi. Egli procede accumulando scoperte e intuizioni che paiono “incidenti”, le discute e affina con gli amici, e soltanto quando sente di avere raggiunto una compiutezza abbastanza solida si decide a rendere pubblico il suo pensiero. Nasce così il suo  paradigma gnoseologico secondo cui la conoscenza della verità cammina sulle sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni. Intanto studia astrologia, approfondisce i filosofi naturali antichi, in specie Archimede, incontra i suoi due primi maestri del libero pensiero, libertas philosophandi, Buonamici e Borro. Il primo, autore del De Motu, affermava che il nocciolo della filosofia fosse la dottrina del moto, nonchè collocava la specie dei “frati”nella classificazione aristotelica della vita senziente come anello di congiunzione tra l’uomo e le bestie. Il secondo, Borro, aristotelico e seguace di Averro che finì nelle prigioni della Chiesa avendo “sostenuto e dimostrato che non esiste nulla al di là della sfera delle stelle: mi è stato detto di ritrattare; vi assicuro che se c’è qualcosa, può essere solo un piatto di tagliatelle per l’inquisitore”, aveva scritto “Del flusso e riflusso del mare”– e si sa quanto le maree siano state importanti nella scienza galileiana. Inoltre il nostro si iscrive alla facoltà di medicina che abbandona per matematica, senza laurearsi. Nella gerarchia aristotelica i filosofi e i medici stanno al vertice, gli studiosi di grammatica e i matematici in fondo, e Galileo sempre inseguirà il titolo di Filosofo, che tale egli si considerava, arrivandoci quando entra al servizio dei Medici, molti anni dopo. Quindi cerca un posto di professore, prima a Bologna a 23 anni dichiarandone 26, che lo rifiuta, poi a Pisa, dove viene assunto (1589). Insegna i primi cinque libri di Euclide – Galileo non amava l’algebra e in genere la matematica troppo complicata, nei suoi lavori va raramente al di là delle proporzioni e della geometria – e commenta la Sphaera di G. Sacrobosco, un compendio di astronomia vecchio di 450 anni, inoltre insegna astrologia agli studenti di medicina. E’ il periodo in cui scopre l’isocronia del pendolo – usando come orologio i battiti del cuore – riflette sul concetto di vuoto come limite archimedeo di mezzi sempre più fini,  enuncia la proposizione che il moto verso l’alto deve essere forzato e il solo moto naturale è quello diretto verso il centro dell’universo; affermazioni/scoperte  rilevanti cui accenna nel De Motu Antiquiora, un dialogo che rimarrà nel cassetto, e che tutte falsificano proposizioni considerate vere e dimostrate nella fisica aristotelica. Da qui – la fisica terrestre dei pendoli e della caduta dei gravi – comincia la rivoluzione scientifica, ma nessuno per ora se ne accorge, forse nemmeno Galileo. Nel contempo G. molto aveva brigato per ottenere la cattedra a Pisa, epperò ecco insorgere  l’ insofferente Galileo che scrive il Poema della Toga, versi satirici e irridenti l’obbligo per i Professori dello Studio pisano a indossare la toga, pena salatissime multe e rampogne aspre, il secondo testo scandaloso del nostro, il primo essendo stato una sorta di inno alle prostitute. Ma ecco che nell’autunno del 1592 Galileo lascia Pisa chiamato a Padova, dove passerà 16 anni, i migliori della sua  vita ci dice lui stesso. Certo quelli più produttivi in tutti i sensi, scientifico filosofico umano. Non c’è solo una stipendio triplicato ma anche una libertà di ricerca assai ampia, nella Serenissima l’Inquisizione ha un potere molto minore che nel Granducato di Toscana, nonchè un gruppo di studiosi e ricercatori di prim’ordine in molti campi.

 

Una difesa appassionata dell’Università

Il discorso d’inaugurazione dell’anno accademico 1591 tenuto dal filosofo Cesare Cremonini di fronte al Doge e al Senato ebbe risonanza europea. Si trattò di una appassionata difesa dell’Università contro le intromissioni e appropriazioni dei Gesuiti che già avevano semidistrutto la Sapienza di Roma e la Scuola di Grammatica di Padova, in favore dei loro Studi confessionali. Più o meno Cremonini disse, volete consentire a un principe straniero – il Papa – di mettere in piedi un’università alternativa basata su scadenti prestazioni e insegnamento mnemonico a scapito della libera ricerca, invitando  quindi il senato a intervenire spostando  gli oneri tra l’altro finanziari allo Stato. Un discorso che segna l’atto di nascita dell’Università pubblica contro cui i Gesuiti battagliarono fino al 1606, quando il Senato li espulse da tutti i territori delle Repubblica, e fuori dai sui confini rimasero per 50 anni. Fa impressione constatare quanto questo scontro sia a tutt’oggi aperto, seppure non si veda all’orizzonte qualcuno che prenda la parola per scacciare non i Gesuiti, ma il gesuitismo che impera nei nostri atenei. L’ultimo limpido episodio di indipendenza e libertà laica fu la presa di posizione di 67 docenti della Sapienza, specie di parte scientifica, quando nel 2009 rifiutarono la visita e la prolusione di Papa Ratzinger all’inaugurazione dell’anno accademico, materia del contendere essendo in primis Galileo e il processo con condanna che subì dalla Chiesa Cattolica. Apriti cielo cogli alti lai non solo dei papalini ma pure dei poliltici molti di sinistra ahimè. Dopo il Pontefice saggiamente rimase in Vaticano nonostante il Rettore adepto di Comunione e Liberazione inistesse. In questo clima arriva a Padova orsono molti secoli Galileo con la sua nuova scienza ancora in nuce. Comincia così un periodo insieme tumultuoso e felice per Galileo. Trova una grande casa che si riempie di allievi (16 tra il 1602 e il 1604 coi loro 17 servi-chissà perchè c’è un servo in più) che pagano la pigione e anche gli oroscopi che il padrone di casa redige per loro, artigiani che lavorano alle sue invenzioni come il compasso geometrico e militare – una sorta di calcolatore tascabile – oppure migliorano quelle venute da fuori come il cannocchiale che diventa il telescopio galileiano, amici con cui discutere.  Ha due figlie e un figlio da Marina Gamba che  probabilmente esercita il mestiere di cortigiana “onesta”, come in Venezia venivano chiamate le signore che oltre al piacere erotico elargivano anche dotte conversazioni, teoremi, musiche, poemi, lasciando stupefatto Montaigne perchè si facevano pagare per la conversazione “quanto per l’intero affare”. Incontra molti amici, una mattina del 1593 si trovano da lui fra’ Paolo Sarpi, Tommaso Campanella, Giovan Battista Della Porta per quella che Heilbron chiama una colazione di lavoro tra eretici che avrebbe fatto la felicità dell’inquisitore se avesse potuto ascoltarli. Fra Paolo Sarpi è certamente la personalità più rilevante, eccezionale. Di lui dice Galileo sempre parco nei complimenti agli altri: niuno l’avanza in europa di cognizione di queste scienze matematiche. Sarpi lavora sulle maree, sull’ottica, sulla caduta dei gravi, la sua opera è quasi del tutto inedita, scritta in forma d’appunti sui suoi quaderni, e in molti casi è difficile districare la paternità di una proposizione attinente la filosofia naturale e i fenomeni in studio che corre da Galileo a Sarpi e viceversa, non essendo tempi di diritto d’autore ma cementati dalla comune e rischiosa ricerca della verità. L’Inquisizione tenta più volte di mettere le mani su Sarpi, e poichè non riesce per vie “legali”, Sarpi essendo il teologo ufficiale della Serenissima, ci prova inviando cinque sicari per ucciderlo. Lo aggrediscono per strada, ma non tengono in conto la tempra di fra Paolo che seppur ferito dai pugnali reagisce, e gridando chiama a raccolta un gruppo di cittadini che lo difende, insegue gli assalitori che si rifugiano, manco a dirlo, nella sede della legazione pontificia. L’odio chiesastico per Sarpi è tale che lo scomunicheranno dopo morto, tentando di impedirne la sepoltura in territorio consacrato. Una delle accuse più gravi è la sua frequentazione e discussione con amici ebrei, sempre nel mirino della polizia del pensiero, l’Inquisizione. Quando Papa Paolo V scomunica il Senato e lo stesso Doge (1606) mettendo tutto il popolo veneziano sotto interdetto, lo scontro si indurisce e i maggiori professori della Studio di Padova prendono partito apertamente Cremonini in testa a favore della Serenissimae contro la Chiesa di Roma, mentre Galilei rimane defilato fors’anche perchè nel 1604 tal Pagnoni, uno dei servi di casa Galilei che la madre paga perchè sorvegli il figlio, denuncia Galileo all’ Inquisizione. Una denuncia che rimane lì sospesa, ma che non poteva non inquietare il nostro, cattolico praticante. Tornando agli amici, per qualche tempo Galileo è socio fondatore e partecipa all’Accademia dei Ricovrati, i ricoverati in ospedale (psichiatrico?), che si interroga se sia possibile amare più di una donna allo stesso tempo e/o quale sia il miglior modo di corteggiare una ragazza.

 

Il poemetto amoroso di Galileo

E Galileo non si nega il piacere di scrivere un poemetto amoroso dove gli uomini preferiscono le bionde, come nel Furioso ariosteo, e nei dipinti che ritraggono le cortigiane. Invece sul piano scientifico comincia a occuparsi del magnetismo, probabilmente discutendone con Sarpi, che aveva letto il De Magnete di W. Gilbert, medico della regina Elisabetta I. Sarpi era interessato al magnetismo come esempio della difficoltà epistemologica di ragionare su entità fisiche che non possiamo direttamente osservare e con Sarpi c’è pure Sagredo, insomma il nucleo duro di quello che potremmo chiamare il gruppo di ricerca cui Galileo fa riferimento. A questo punto comincia la cavalcata galileiana verso una adesione pubblica sostenuta da “sensate esperienze con le necessarie dimostrazioni” al cosmo copernicano. Già nel 1597, dopo aver ricevuto una copia del libro di Keplero Mysterium cosmographicum, Galileo scrive all’autore: già da molti anni ho aderito alla dottrina di Copernico e ho dedotto da essa le cause di molti fenomeni naturali che certo restano inspiegabili nell’ipotesi corrente. Ho già scritto molte ragioni in suo favore e molte risposte agli argomenti contrari, che finora non ho osato pubblicare, dissuaso dalla sorte toccata al nostro maestro Copernico.(..) Mi azzarderei a rendere pubblici i miei pensieri se ci fossero più persone simili a te; ma dal momento che non ce ne sono, soprassiederò”. Galileo  sembra procedere con prudenza, scientifica e politica, egli sa che non si può sconvolgere il mare dell’Essere senza provocare onde e tempeste fino  a uno tsunami. Quindi bisogna munirsi di buone barche che sappiano affrontare le tempeste. Tuttavia come emerge dal racconto di Heilbron, il metodo le scoperte le dispute scientifiche autentiche hanno una loro dinamica intrinseca. Lo scienziato può rallentarla forse, ma non interromperla o troppo deviarla, a meno di rinunciare alla sua anima. Galileo è prima di tutto un intelletuale scientifico – lui direbbe un filosofo – che non può disfarsi della verità, seppure le barche siano fragili. Ostinatamente fino alla morte egli continua le sue ricerche e pronuncia le sue verità, nonostante l’abiura che è costretto a pronunciare e la condanna a vita comminatagli dal Sant’ Uffizio. Galileo è rinchiuso nel dramma di un cattolico convinto che il suo talento nel disvelare i misteri naturali sia un dono di Dio, ritrovandosi invece per questo accusato e dichiarato colpevole proprio da quella Santa Madre Chiesa cui egli sente e vuole appartenere; il dramma di un dono di Dio che si trasforma in peccato e colpa. Ma vediamo in breve alcuni passaggi decisivi. Dagli studi sulle maree di Sarpi, Galileo capisce che le maree possono essere causate dalla combinazione del moto diurno  e dal moto annuale della terra proposti da Copernico e questa idea contiene in nuce un’altra scoperta fondamentale, la legge di composizione delle velocità. Galileo riprende quindi i risultati ottenuti a Pisa sulla caduta dei gravi, asumendo che i moti di sassi e dei pianeti seguano le medesime leggi. C’è un’unica fisica valida qua in basso e là in alto, almeno dentro il sistema solare, non esiste una gerarchia naturale dei corpi, l’alto non è più degno del basso, e il basso diventa alto, dipende da dove lo si guarda, scompare la distinzione ontologica tra cielo e terra: il cielo cade sulla terra e la terra fa parte del cielo. Affermazione che diventerà quello che conosciamo come principio di relatività galileiana. Questo assunto – che guida tutta la ricerca galileiana – è fondamentalissimo- che non si può dire ma qui ci sta – per la descrizione del mondo, per il metodo scientifico, per il piano epistemologico/ filosofico, nonchè per G. in relazione alla teologia e/o i dogmi della religione cattolica.  Se vogliamo è il paradigma “globale” di Galileo, insieme con il pendolo isocrono. Siamo nel cuore della Rivoluzione Scientifica Galileiana, qui le maiuscole ci vogliono tutte. Altro che polemiche contro il relativismo ancor oggi da qualcuno, specie i baciapile, agitate; si tratta di una proposizione di verità che dà un nuovo significato alle cose, a tutte le cose del Cosmo, non solo al moto dei pianeti e della terra attorno al sole, già peraltro descritti da Keplero (e qui ricordiamo che Galileo mai accettò le ellissi kepleriane che non godono della perfetta simmetria del cerchio).  Intanto all’orizzonte compare Tycho Brahe, il miglior astronomo osservativo dell’epoca, che sulla base della gran massa di dati raccolti aveva costruito un sistema cosmico misto tra Tolomeo e Copernico, che Galileo fin da subito rifiutò in modo secco. Dice il nostro a proposito dell’ acquisizione massiva di dati empirici da parte di Tycho “niente digrada all’ufizio di  matematico il non aver veduta prima apparizione della stella; quasi che sia un obligo stare tutta la notte a osservare per tutta la vita, se compare qualche nuova stella”. Altri fenomeni celesti e terrestri vengono da Galileo analizzati convergendo sempre all’ipotesi copernicana, per esempio la nova del 1604 su cui il nostro fa tre lezioni che destano scalpore. Egli dopo averla collocata oltre il cielo della luna, ipotizza infatti che la materia del firmamento somigli a quella dei corpi terrestri, per cui ancora una volta una teoria del moto costruita in base a esperimenti sulla terra può essere valida per la dinamica dei corpi celesti. Questione delicatissima la struttura della materia, perchè va svelta a interagire con la teoria atomica di Democrito e Leucippo, fuorilegge per la Chiesa. Di nuovo Sarpi (1609) mette il nostro sulle tracce di una cosa nuova “in Italia non abbiamo cosa nuova; solo è comparso quell’occhiale che fa vedere le cose lontane, il quale io ammiro molto per la bellezza dell’invenzione e per la dignità dell’arte”. Galileo prende la prima versione arrivata dai Paesi Bassi a 2-3 X(ingrandimenti) e la trasforma nel telescopio a 9X,  offrendolo alla Serenissima che gli aumenta lo stipendio garantendogli inoltre il posto di Professore a vita, diciamo un’ottima sistemazione.

 

La luna vista con un canocchiale/telescopio

Attorno al primo dicembre G.  con un cannocchiale/telescopio 20X  e poi a 30X comincia  a osservare la luna, disegnando ciò che vede (nell’Orlando Furioso, nota Heilbron, Ariosto ha descritto la luna quasi tal quel Galileo la disegna). Quindi osserva nella Via Lattea molte nuove stelle, prima invisibili: la Via Lattea non era il prodotto di una esalazione terrestre come voleva Aristotele ma una congerie di stelle. Quindi arriva un altro pezzo forte,  l’osservazione diretta delle macchie solari che G.rileva nel novembre del 1610 (forse anche prima dato che Micanzio ricordò che le aveva mostrate a Sarpi quando stava a Padova). Christoph Scheiner professore di matematica e di lingua ebraica al collegio dei gesuiti di Ingolstadt, considerato grande esperto di macchie solari e uomo potente tra i gesuiti, confessore dell’arciduca Carlo Giuseppe d’Austria, fratello di Maria Maddalena moglie di Cosimo, e dell’arciduca Leopoldo, manco a dirlo fedele a Aristotele, afferma che le macchie sono gruppi di piccole stelle che girano intorno al sole. Invece Galileo le assimila per analogia alle nubi terrestri “tali macchie essere materie contigue alla superficie del corpo solare (..) ed essere dalla conversione del sole in sé stesso che in un mese lunare in circa finisce il suo periodo, portate in giro; accidente per sé grandissimo, e maggiore per le sue conseguenze” (1612- prefazione al manoscritto “discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono”). Ovvero Galileo annuncia per la prima volta che il sole ruota su sé stesso in un testo che tratta dei corpi galleggianti!  Sempre nel 1610 con un telescopio a 20x Galileo osserva che Giove è allineato lungo l’eclittica con tre stelline. La prima osservazione di questo fatto stupefacente sembra abbia avuto luogo nel monastero di Sarpi a Venezia. Galileo segue l’evoluzione delle “stelline” di Giove, per concludere che non si tratta di stelle, ma di lune. L’ipotesi che ruotassero attorno a Giove dava conto del loro apparire  e scomparire. Il 30 gennaio 1610 Galileo può affermare al segretario di stato toscano Vinta che siamo di fronte a “ quattro pianeti di nuovo che si muovono intorno a un’altra stella molto grande, non altrimenti che si muovino venere et mercurio, et per avventura li altri pianeti conosciuti intorno al sole”. Nel cosmo esiste un modello su scala ridotta del sistema solare copernicano che ciascuno può osservare col cannocchiale! E Galileo crede di avere in mano la carta vincente per convincere i prelati romani, prima di tutto gli astronomi pontifici. Adesso è pronto per rendere pubblico il suo pensiero, il dado è tratto e  nel marzo del 1610 Galileo pubblica il Sidereus Nuncius, indicando le lune di Giove come stelle medicee, preceduto da una ossequiosa dedica a Cosimo, il che non piacque molto a Venezia, nè allo Stato nè agli amici che avevano collaborato alla scoperta, Sarpi, Micalzio, Mula, Pignoria. Il fatto è che Galilei vuole abbandonare Padova per tornare a Firenze, mettendosi al servizio del Granduca. Perchè G. scelga di lasciare Padova è difficile capire. A Padova è abbastanza garantita la sua libertà di pensiero e di ricerca, mentre cercando di tornare  a Firenze, per servire un principe assoluto mediocre cade nell’orbita stretta dell’Inquisizione, a Venezia molto meno potente; inoltre abbandonerà così sia il prestigioso Studio di Padova e la sua cerchia di amici geniali  nella ricerca e discussione,  Sagredo, Sarpi, Cremonini. Nella lettera che scrive a Cosimo un passo viene considerato da Heilbron rivelatore: havendo hormai travagliato 20 anni et i migliori della mia età, in dispensare, come si dice, a minuto, alle richieste di ogn’uno, quel poco di talento che da dio e da le mie fatiche mi è stato conceduto nella mia professione (non avrebbe voluto lasciare Padova ma..) con tutto ciò né anco la libertà che ho qui mi basta, bisognandomi a richiesta di questo e di quello consumar diverse hore del giorno, et ben spesso le migliori. Ottenere da una repubblica, benchè splendida et generosa, stipendii senza servire al publico, non si costuma, perchè per cavar utile dal publico bisogna satisfare al publico, et non ad un solo particulare; et mentre io sono potente a leggere et servire, non può alcuno di republica esentarmi da questo incarico, lasciandomi li emolumenti:  et in somma simile comodità non posso io sperare da altri, che da un principe assoluto. Galileo vorrebbe cioè semplicemente avere tempo libero per dedicarsi a raccogliere e scrivere le sue ricerche, senza più dover rendere in cambio un servizio pubblico. Non so se sia credibile, fatto è che da quando Galileo torna a Firenze comincia un corpo a corpo con la Chiesa nella persona del Sant’Uffizio da cui altro non può che uscire perdente, anzi schiacciato. Egli sembra illudersi che riuscirà a convincere la Chiesa sulla verità della teoria copernicana, apparentemente discute con tutti ma in realtà non accetta nessun compromesso.

 

I due Galileo

Sembrano esserci due persone: Galilei fedele cattolico della Chiesa Romana e ossequioso vassallo di un principe assoluto imbelle e mediocre, un Galilei che restringe i suoi orizzonti tra Roma  e Firenze, e insieme c’è il Galileo audace ricercatore scientifico che mette in atto una rivoluzione essendone pienamente cosciente, e pagandone un prezzo salatissimo. C’è qui tutta l’ambiguità italica? O questa schizofrenia nasconde un machiavellico disegno per cambiare il volto e l’attitudine della chiesa?.

O forse il Galilei buon cattolico vuole punire il Galileo rivoluzionario copernicano, perchè egli non poteva non sapere che sarebbe finito nelle fauci dell’Inquisizione. La condanna viene sancita da un Pontefice che Galileo crede amico, e come tale gli parla, quel Maffeo Barberini che aveva studiato a Pisa, diventando poi Papa Urbano. Amicizia che si trasformerà in una inimicizia per Galileo quasi letale. E’ Urbano che sancisce la sua condanna al carcere a vita, sia pure ai domiciliari  diremmo oggi. Tutti lo avvertono del pericolo. Per esempio Sagredo:“la libertà et la monarchia di sé stessa dove potrà trovarla come in venetia (..) serve il presente principe (se vuole); ma qui ella aveva il commando sopra quelli che comandano et governano gli altri, et non haveva a servire se non a sé stessa, quasi monarca dell’universo” . Oppure l’ambasciatore del Granducato  a Roma Guicciardini:  G. si ostina “a combattere con chi egli non può se non perdere”.

Galileo tenta una intrepretazione eliocentrica della Sacre Scritture, una esegesi in senso copernicano ma questo aggrava, se possibile, la sua posizione perchè entra in una materia che la Chiesa ritiene di sua esclusiva e assoluta competenza. Senza qui svolgere le vicende del processo, narrate in modo assai preciso da Heilbron, che in varie fasi vanno dal 1630 al 1633, anche se già da molti anni egli è una sorta di sorvegliato speciale, arriviamo alla condanna. Galilei giunto  a Roma il 14 febbraio, il 21 giugno 1633 viene condannato “al carcere formale da questo Sant’Uuffizio ad arbitrio nostro” con l’obbligo di recitare i sette salmi penitenziali una volta la settimana per i successivi tre anni. Quindi si inginocchia davanti ai propri giudici e a altri venti testimoni leggendo a voce alta l’abiura “..abiuro maledico e detesto li sudetti errori et heresie, e generalmente ogni et qualunque altro errore, heresia e setta contraria alla S. Chiesa e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa haver di me simil sospitione”, si alza e fa ritorno, solo, alla sua stanza nel palazzo dell’Inquisizione. La rivoluzione scientifica italiana e la libera ricerca come fatti pubblici vengono così uccise, espunte dalla dinamica sociale con conseguenze che paghiamo ancor oggi: dopo Giordano Bruno e Tommaso Campanella, la condanna di Galileo conclude il ciclo lasciando l’Italia non solo priva di una stato ma anche di una cultura. Per dir così: un paese senza stato e senza testa, se non quella dei dogmi del cattolicesimo. Rimane la ricerca individuale cui G., seppur recluso, non rinuncia nonostante tutto, lavorando a un ultimo geniale dialogo, e così nel 1638 uscirono stampati all’estero  i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica et i movimenti locali. Vale la pena vederne brevemente la prima giornata – il dialogo si dipana in quattro giornate – perchè rappresenta una piccola rivoluzione nella rivoluzione. Si discute della resistenza di una trave, poichè Sagredo ha avuto una controversia su questo con gli operai, e Salviati afferma che l’operaio ha ragione (dev’essere la prima volta che il parere di un operaio fa fede, cioè assurge a verità rispetto a un nobile e acculturato come Sagredo nel quadro di un dotto dialogo di filosofia naturale). Salviati sostiene di poter dimostrare per via geometrica non essere vero, come afferma Sagredo che se una trave di legno può sostenere un peso w, una trave simile dieci volte più grande in dimensioni regge un peso 10w. Invece c’è una relativa debolezza di strutture più grandi costruite in scala a partire da strutture più piccole.

Poi vengono le domande teoretiche: qual’è la causa della resistenza alla rottura?  Nel caso del legno sono le fibre, come delle corde tese, ma per la pietra o i metalli? Come si può spiegare l’adesione reciproca tra i corpi? E qui torna in ballo la teoria atomistica: forse la resistenza è la resistenza a scoprire l’infinità di vuoti infinitesimali che possono sussistere tra la infinità di particelle infinitesimali che potrebbero costituire la superficie delle pietre. Insomma a tenere insieme il mondo non è l’horror vacui, la paura del vuoto  (Aristotele) che avrebbe la natura, ma un fenomeno più complesso microscopico.  Qui Galileo vecchio malato prigioniero in casa sua supera se stesso arrivando d’un balzo fino a noi. E’ giunto il tempo di concludere questo schematico e lacunoso percorso attraverso il libro di Heilbron con qualche considerazione finale. La  prima è che forse può esserci un Papa comunista ma non ci sarà mai un Papa galileiano. La seconda che la cultura cattocomunista a lungo imperante in Italia non a caso ha tenuto lontano Galileo dal dibattito pubblico, troppo sovversivo e complesso il suo pensiero. E pure la cultura critica e libertaria, quella del ’68 per intenderci, se ne è tenuta lontana, forse per la ostinata convinzione cattolica di Galileo, forse per la sua abiura letta come mancanza di coraggio, il che non fu, forse per semplice ignoranza. La terza riguarda la comunità scientifica che ha perso l’attenzione galileaina al mondo, il suo impegnarsi nella società, Galileo non per caso scrisse in volgare, egli esplicitamente si riferisce alla volontà di coinvolgere i giovani nell’apprendimento della filosofia naturale. E in qualche modo funzionò nonostante i preti neri, se è vero che il Dialogo sopra i Massimi Sistemi è all’epoca così ricercato in Italia che una copia costa sei scudi, lo stipendio mensile di un matematico al suo primo incarico. Viene indi la questione del genio, sempre difficile da definire, da comprendere: dove sta il genio di Galileo.

Leggendo il libro emerge una risposta: Galileo è geniale nelle connessioni che egli riesce  a fare tra terra e cielo, tra mondo microscopicio e macroscopico, tra fenomeni quotidiani, la rottura di una trave, e eccezionali, una nova che compare  nel cosmo, tra tecnologia, il cannocchiale che egli perfeziona, e scoperta, le lune di Giove che osserva, connessioni tra esseri umani costituendo delle reti di ricercatori che diventano comunità solidali. Col mistero delle ragioni per cui Galileo abbandona la sua comunità in Venezia, e Sarpi non la prende bene, per andarsene a Firenze, nella bocca del lupo inquisitore che già lo teneva d’occhio, facendosene sbranare. Infine spicca la pochezza miserrima del Granduca di Toscana, un’autorità politica tanto assoluta sui sudditi quanto del tutto sottomessa al papato e ai pregiudizi, come quasi tutti i principi dell’epoca con l’eccezione della Serenissima Repubblica, parziale ma comunque significativa. Potendoci domandare da ultimo se il pensiero galileiano possa oggidì costituire un filo per una necessaria nuova rivoluzione copernicana nel nome di scienza e democrazia, o semplicemente rimanga una utopica nostalgia.

 

 

Category: Dibattiti, Storia della scienza e filosofia

About Bruno Giorgini: Bruno Giorgini è attualmente ricercatore senior associato all'INFN (Iatitutp Nazionale di Fisica Nucleare) e direttore resposnsabile di Radio Popolare di Milano in precedenza ha studiato i buchi neri,le onde gravitazionali e il cosmo, scendendo poi dal cielo sulla terra con la teoria delle fratture, i sistemi complessi e la fisica della città. Da giovane ha praticato molti stravizi rivoluzionari, ha scritto per Lotta Continua quotidiano e parlato dai microfoni di Radio Alice e Radio Città. I due arcobaleni - viaggio di un fisico teorico nella costellazione del cancro - Aracne è il suo ultimo libro.

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