Papa Francesco è marxista?

| 14 Luglio 2014 | Comments (0)

 

 


 

L’ interrogativo : “Papa Francesco è marxista?” indica la distanza tra le parole e le azioni del Papa e quelle della politica perché a nessuno verrebbe in mente di porsi lo stesso interrogativo su Renzi, Grillo o Berlusconi. Dalla rete ho scelto alcuni pezzi che rispondono a questo interrogativo e le illustrazioni permettono di scegliere tra le copertine del Papa del “Time”, “The New Yorker”, “Rolling Stones”, “Charlie Hebdo” e “Il Male” potendo poi scegliere tra due graffiti: quello del Papa in vespa e quello del Papa superman entrambi apparsi in due strade di Roma vicino a S. Pietro. L’ultimo disegno di Vauro vede il Papa lottare contro la guerra

 

 

 

 

 

 

 

1. Amerigo Mascarucci: Papa Francesco è dunque marxista?

[www.intelligonews.it 12 marzo 2014]

 

La domanda si è posta nuovamente in seguito all’intervista che il Santo Padre ha rilasciato al direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli sul primo anno di pontificato.
De Bortoli ha chiesto a Francesco un commento sulle accuse di marxismo piovute su di lui, soprattutto dall’America, dopo la pubblicazione dell’Enciclica “Evangelii Gaudium”. Il Papa con molta franchezza ha risposto: “Non ho mai condiviso l’ideologia marxista perché non è vera, ma ho conosciuto tante brave persone che si professavano marxiste”.

Un lettore ha dunque chiesto all’editorialista Sergio Romano, titolare di una seguitissima rubrica sul Corsera, cosa pensasse dell’espressione del Pontefice relativamente al fatto che il marxismo non fosse vero.
Romano ha quindi fornito la sua chiave di lettura sostenendo che il marxismo ha smesso di essere vero nel momento in cui si è identificato con una patria, l’Unione Sovietica, dove gli ideali marxisti non soltanto non si sono affermati nella loro autenticità, ma addirittura hanno dato vita ad una forma di totalitarismo.


Una cosa però è condannare l’errore, altra cosa è condannare l’errante. E qui, come anche Romano giustamente fa osservare, non si può accusare Bergoglio di essere marxista nel momento in cui il Pontefice argentino si pone in perfetta continuità con il magistero dei suoi predecessori. Il primo a segnare una demarcazione fra il marxismo ed i marxisti fu Giovanni XXIII che ricevette in Vaticano la figlia ed il genero del capo del Partito Comunista Sovietico Nikita Krusciov.

All’epoca i settori più conservatori ed anticomunisti della Curia romana accusarono Roncalli di legittimare indirettamente il comunismo, dopo che Pio XII aveva condannato l’ideologia marxista, minacciando la scomunica per quanti la professavano.
Giovanni XIII non intese mai riabilitare l’ideologia comunista (la condanna inflitta da Pacelli non fu mai revocata) ma cercò di evitare che il bambino fosse buttato insieme all’acqua sporca.


Negli anni successivi la differenza fra il peccato ed il peccatore è stata sempre ribadita da tutti i pontefici, ad iniziare da Giovanni Paolo II, il papa che volle istituire la Giornata della Divina Misericordia, la prima domenica dopo Pasqua.
Eh sì, oggi scopriamo il primato della misericordia ma ci dimentichiamo di quanto Wojtyla fosse devoto a Santa Faustina Kowalska, la suora polacca definitiva “la Segretaria della Divina Misericordia” che volle canonizzare in occasione del grande giubileo del 2000.

Il fatto che Papa Francesco parli del primato della misericordia con cadenza quasi quotidiana, rischia di ingenerare l’equivoco di una Chiesa che soltanto oggi si scopre misericordiosa. Anche Wojtyla e Ratzinger promossero la misericordia per i peccatori, propagandando in ogni occasione utile l’immagine del Padre buono, misericordioso, pieno d’amore per ogni sua creatura, pronto a riaccogliere i propri figli che dopo aver compreso i loro errori tornano a lui come il figliol prodigo del Vangelo.

Francesco sta facendo germogliare ciò che i suoi predecessori hanno seminato.
Il riferimento ai “bravi marxisti” sembra un qualcosa di straordinariamente rivoluzionario, quando in realtà è la semplice constatazione di un dato di fatto. Perché dietro ogni ideologia, giusta o sbagliata che sia, si nascondono uomini che possono essere buoni e giusti pur professando un’idea sbagliata.
Sono le azioni e non le idee a tracciare il profilo umano, etico e morale degli uomini. E queste persone vanno aiutate a comprendere l’errore affinché, con l’aiuto della Divina Misericordia, non ne restino vittime.


Alle volte facendo certe considerazioni si corre il rischio di passare per coloro che vogliono ad ogni costo ridimensionare gli interventi del Papa. Si potrebbe facilmente evitare questo spiacevole esercizio se solo si smettesse di voler fare apparire ad ogni costo Francesco come un rivoluzionario o come un innovatore rispetto alla rigidità dottrinale di Wojtyla e Ratzinger.
Non perché si voglia per forza difendere l’operato dei due illustri predecessori, ma perché una pubblicistica ostile ha cercato di far apparire Giovanni Paolo II come un censore rigido ed inflessibile, una sorta di inquisitore pronto a bruciare sul rogo ogni proposito riformatore.

Il primo a non pensarla così è proprio Francesco che entro l’anno proclamerà santo il Papa polacco. Proprio Wojtyla, il pontefice che più di tutti ha contribuito alla disfatta ed al crollo del comunismo, come Bergoglio è incorso nell’accusa di essere un filo marxista dopo aver osato condannare i molteplici difetti del capitalismo.
Perché se il marxismo non era vero, ciò non significa che fosse automaticamente vero e giusto tutto ciò che stava dalla parte opposta.

 

 

2. Paolo Masrolilli :“Ipocrita e marxista”
. L’America dei Tea Party 
contro Papa Francesco

[La Stampa, 4 dicembre 2013]

 

Papa Francesco è un marxista, e la Chiesa cattolica è ipocrita a criticare il capitalismo che la finanzia. Con la sua consueta violenza verbale, il commentatore radiofonico americano Rush Limbaugh ha scatenato una nuova polemica, dietro cui però si legge il risentimento più o meno esplicito del mondo conservatore Usa verso Bergoglio.

Il motivo dell’attacco è la «Evangelii Gaudium», che Limbaugh ha criticato in una trasmissione intitolata «It’s Sad How Wrong Pope Francis Is (Unless It’s a Deliberate Mistranslation By Leftists)», ossia «è triste quanto sbagli Papa Francesco (a meno che non sia una traduzione deliberatamente manipolata dalla sinistra)». Il più popolare commentatore della destra estrema, come al solito, non ha usato toni miti: «È triste, incredibile. Il Papa ha scritto, in parte, sui mali intrinseci del capitalismo. È triste perché fa capire che non sa di cosa parla, quando si tratta di capitalismo e socialismo». Limbaugh ha descritto la «Evangelii Gaudium» come un assalto alla «nuova tirannia del capitalismo» e un attacco alla «idolatria del denaro», per poi criticarla così: «Io sono stato varie volte in Vaticano: non esisterebbe, senza tonnellate di soldi. Ma a parte ciò, qualcuno ha scritto questa roba per lui, o gliel’ha fatta arrivare. È puro marxismo, che esce dalla bocca del Papa. Capitalismo senza limiti? Non esiste da nessuna parte. Il capitalismo senza limiti è una frase socialista per descrivere gli Stati Uniti. Senza limiti, non regolati». Limbaugh ha denunciato i mali del socialismo e i benefici del capitalismo, inclusa la «trickle-down economic», e si è dichiarato «sbalordito» dalle parole di Francesco: «La Chiesa cattolica americana ha un bilancio annuale da 170 miliardi di dollari. Penso sia più di quello che la General Electric incassa ogni anno. La Chiesa è il principale proprietario edile a Manhattan. Voglio dire: hanno un sacco di soldi. Raccolgono un sacco di soldi. Non potrebbero operare come fanno, senza un sacco di soldi».

Limbaugh è tanto popolare, quanto controverso. Nonostante sia incline a dare lezioni di morale, in passato era stato arrestato in Florida per abuso di sostanze stupefacenti, assunte attraverso un traffico di antidolorifici. Durante l’ultima campagna elettorale invece era stato costretto alle scuse pubbliche, quando aveva definito Sandra Fluke, una studentessa di Georgetown che appoggiava la riforma sanitaria di Obama, come una prostituta.

Limbaugh però ha circa venti milioni di ascoltatori, ha un contratto da 400 milioni di dollari per condurre il suo show, e non è il solo a ragionare così. Tanto per fare un altro esempio Jonathon Moseley, esponente del Tea Party, ha scritto sul «World Net Daily» che «Gesù sta piangendo in Paradiso per le parole del Papa». Cristo in persona, secondo Moseley, aveva rigettato la teoria della redistribuzione, quando gli avevano chiesto se era giusto che un fratello condividesse con gli altri famigliari un’eredità ricevuta: «Gesù parlava all’individuo, mai allo Stato o alla politica del governo. Era un capitalista, che predicava la responsabilità personale, non un socialista».

Almeno un gruppo cattolico, la Catholics in Alliance for the Common Good, ha criticato Limbaugh e lanciato una petizione per denunciarlo, ma il mondo conservatore americano è in fermento dall’elezione di Francesco. Durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI pensava di avere solidi alleati in Vaticano, tanto per come Papa Wojtyla aveva aiutato a demolire l’Urss, quanto per come lui e Ratzinger si erano impegnati contro l’aborto e nella difesa della vita. Intellettuali tipo Richard John Neuhaus si erano convertiti dal protestantesimo, e filosofi come Michael Novak avevano esaltato la nuova dottrina economica della responsabilità, nonostante anche Giovanni Paolo e Benedetto non avessero mancato di denunciare gli eccessi del capitalismo. I conservatori cattolici ora sono rimasti sconcertati soprattutto dalle parole di Francesco sui temi della vita, e quelli protestanti sull’economia. Ad alzare la voce sono gli estremisti, ma la discussione è aperta.

 

 


 

3. Papa Francesco: “La crisi è il risultato del capitalismo  selvaggio: recuperiamo il dono e la solidarietà “

[Quotidiano net, 21 maggio 2013]

 

Questo è uno dei passaggi più significativi del discorso di saluto che Papa Francesco ha rivolto alle suore di Madre Teresa. Bergoglio ha poi salutato uno per uno le donne e gli uomini ospiti della Casa Dono di Maria e chi vi accede per consumarvi i pasti. Il Pontefice ha rivolto una preghiera alle vittime di Oklahoma

Città del Vaticano, 21 maggio 2013  – “Un capitalismo selvaggio ha insegnato la logica del profitto ad ogni costo, del dare per ottenere, dello sfruttamento senza guardare alle persone… e i risultati li vediamo nella crisi che stiamo vivendo!”. Questo uno dei passaggi più significativi del discorso di saluto che Papa Francesco ha rivolto, durante la sua visita in Vaticano alla casa Dono di Maria, alle suore di Madre Teresa dedicata ai poveri.

Dobbiamo recuperare tutti il senso del dono, della gratuità, della solidarietà”, ha spiegato Bergoglio. “Questa Casa è un luogo che educa alla carità, una ‘scuola’ di carità che insegna ad andare incontro ad ogni persona, non per profitto, ma per amore”. Il Papa, ha spiegato padre Federico Lombardi in una nota, verso le 17.30 ha visitato la Casa Dono di Maria, per commemorare il 25esimo dell’affidamento della stessa Casa alla Beata Madre Teresa di Calcutta da parte del Beato Giovanni Paolo II. Papa Francesco era accompagnato da mons. Georg Gaenswein, Prefetto della Casa Pontificia, e dal Segretario personale Monsignor Alfred Xuereb.

L’incontro si è svolto nel cortile situato fra la Casa Dono di Maria, il Palazzo del Sant’Ufficio e l’Atrio dell’Aula Paolo VI. Il Papa è stato accolto dal cardinale Angelo Comastri e dalla Madre Generale delle Suore della Carità, Suor Pierick Mary Prema. Era presente un folto gruppo di oltre un centinaio di persone, composto dalle ospiti della Casa, dai suoi frequentatori, collaboratori e amici, oltre che dalle Suore della Casa e altre Suore della Carità rappresentati delle diverse comunità di Roma. Le donne ospiti della Casa sono circa 25 e gli uomini che vi consumano i pasti quotidianamente sono circa 60.

IL PAPA SALUTA UNO A UNO I SENZA TETTO  – Papa Francesco ha salutato “uno per uno le donne ospiti della Casa Dono di Maria e gli uomini che vi accedono per consumarvi i pasti”. Si è conclusa con questo gesto la visita del Pontefice all’ostello voluto da Giovanni Paolo II che esattamente 25 anni fa lo affidò a Madre Teresa di Calcutta. Il Papa è stato accolto dal cardinale Angelo Comastri, vicario per la Città del Vaticano, e dalla madre generale delle Suore della Carità, Suor Pierick Mary Prema. Le Suore gli hanno posto al collo una bella ghirlanda di fiori, secondo l’uso indiano.

IL PAPA PREGA PER LE VITTIME DI OKLAHOMA – “Preghiamo per le vittime e i dispersi, specialmente i bambini, colpiti dal violento tornado abbattutosi su Oklahoma City ieri”. È questa l’invocazione di Papa Francesco.

Il Papa ha fatto riferimento a una delle prime notizie disponibili stamani sul bilancio delle vittime (nel suo messaggio fa riferimento, infatti, ad “almeno 50” morti), purtroppo poi aggravatosi nel corso delle ore, raggiungendo la cifra provvisoria di 91 morti, di cui almeno 20 bambini rimasti sotto le macerie di una scuola elementare. Successivamente, Papa Francesco ha lanciato un analogo tweet in inglese e spagnolo dal suo account @Pontifex: “Sono vicino alle famiglie di tutti coloro che sono morti nel tornado di Oklahoma, specialmente per coloro che hanno perso deibambini. Unitevi a me nel pregare per loro”.

 

 

4. Papa Francesco, il capitalismo globale genera violenza

[ Il mondo di Annibale, 1 dicembre 2013]

 

La recente pubblicazione del documento ‘Evangelii Gaudium’, cioè l’esortazione apostolica di papa Francesco, che per intenzione stessa dell’autore ha valore programmatico per tutta la Chiesa, è uno di quei documenti destinati a rimettere in cammino una parte non secondaria del mondo: cioè la chiesa cattolica nelle sue varie articolazioni istituzionali e nella sua moltitudine, sia pure in diminuzione e in crisi, di fedeli in ogni parte del mondo.

Non solo: dato il peso specifico e la capacità del cattolicesimo di interagire con altre culture, governi, religioni, questa ripresa del cammino della Chiesa di Roma nel mondo moderno, questa ripartenza, per dirla tutta, del Concilio Vaticano II, avrà inevitabilmente ripercussioni sociali e culturali vaste e ancora imprevedibili.

Una parte considerevole del documento è dedicata alla riforma della Chiesa, ad aspetti che ne rivoluzionano la struttura e i poteri interni, che ne smantellano le visioni burocratiche e oppressive. Ma se il testo ha un forte valore missionario, teologico ed ecclesiale, le 220 dell’Evangelii Gaudium, sono percorse da una preoccupazione che fa da sfondo a tutta l’elaborazione: è il tema della giustizia, della povertà, di un sistema economico che genera dolore invece di speranza. E’ forse la prima volta in questi ultimi decenni che un’autorità di statura mondiale, un leader con un consenso così vasto, mette sotto accusa non in modo formalistico o semplicemente caritativo, il modello di sviluppo fondato sul capitalismo globale finanziario.

Francesco ne contesta la la natura, gli scopi, le fondamenta, fino a denunciarlo come detonatore delle violenze sociali. E’ un punto di vista nuovo per la Chiesa, è il segno tangibile che a Roma c’è un Papa non più europeo. Se, dunque, per chi ne avesse voglia, il documento di Bergoglio può essere letto tutto per scoprirne i numerosi aspetti, le novità, e anche le contraddizioni, noi qui vi proponiamo alcuni punti che rivestono una particolare importanza sotto il profilo della dottrina sociale.

 

DALL’EVANGELII GAUDIUM

52.L’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione. Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste.

Aumentano alcune patologie. Il timore e la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti paesi ricchi. La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’iniquità diventa sempre più evidente. Bisogna lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità. Questo cambiamento epocale è stato causato dai balzi enormi che, per qualità, quantità, velocità e accumulazione, si verificano nel progresso scientifico, nelle innovazioni tecnologiche e nelle loro rapide applicazioni in diversi ambiti della natura e della vita. Siamo nell’era della conoscenza e dell’informazione, fonte di nuove forme di un potere molto spesso anonimo.

No a un’economia dell’esclusione 53. Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole.

Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.

54. In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare.

Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo.

56. Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune.

Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta.

No all’inequità che genera violenza 59. Oggi da molte parti si reclama maggiore sicurezza. Ma fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità.

Ciò non accade soltanto perché l’iniquità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice. Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire.
Se ogni azione ha delle conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di dissoluzione e di morte. È il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a partire dal quale non ci si può attendere un futuro migliore. Siamo lontani dal cosiddetto “fine della storia”, giacché le condizioni di uno sviluppo sostenibile e pacifico non sono ancora adeguatamente impiantate e realizzate.

 

 

 

Story

5. Papa Francesco: “Marxista io? No, ma ne conosco tanti che sono brave persone”

[L’Huffington Post 15 dicembre 2013]

 

L’ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuto tanti marxisti buoni come persone, e per questo non mi sento offeso”. Così il Papa in una lunga intervista a La Stampa in cui risponde a chi gli dà del marxista, in seguito alle sue accuse contro il capitalismo sfrenato. “Nell’esortazione non c’è nulla che non si ritrovi nella Dottrina sociale della Chiesa”, tiene a precisare Bergoglio.

Non ho parlato da un punto di vista tecnico, ho cercato di presentare una fotografia di quanto accade. L’unica citazione specifica è stata per le teorie della “ricaduta favorevole”, secondo le quali ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. C’era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri. Questo è stato l’unico riferimento a una teoria specifica”.

Il Papa si riferisce all’esortazione apostolica Evangelii Gaudium pubblicata a marzo in occasione della fine dell’anno della fede. Qui il Papa affermava che “non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato” in cui il Francesco esortava ad””una riforma finanziaria che non ignori l’etica” e spiegava: “La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga; richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo”.

Nell’intervista il Papa parla dell’importanza dell’ecumenismo nella comunità cristiana, un’unità che, dice, per il momento esiste solo nel sangue versato indistintamente dalle varie correnti negli attenti contro i cristiani nel mondo. Per quanto riguarda le donne cardinale Francesco ironizza: “Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non “clericalizzate”. Chi pensa alle donne cardinale soffre un po’ di clericalismo”.

Le critiche di marxismo erano arrivate da alcuni conservatori americani, che aveva commentato: “Le parole che escono dalla bocca del Papa sono puro marxismo. Capitalismo sfrenato? Non esiste da nessuna parte. Il capitalismo sfrenato è una frase usata di socialisti liberali per descrivere gli Stati Uniti. Sfrenato. Senza regole”.

Marxista. insomma, il Papa non lo è ma non la ritiene nemmeno un’offesa. Certo è che il pontefice sembra più vicino a quella corrente storica di pensiero piuttosto che al capitalismo ed al libero mercato.


 

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6. Claudio Sardo: Papa Francesco critica il capitalismo

[L’Unità 1 maggio 2014]


Un twitter di Papa Francesco ha seminato il panico fra i teo-con e, più in generale, fra quanti intendono il capitalismo come la religione naturale dell’uomo moderno. «L’inequità è la radice dei mali sociali»: è il messaggio lanciato il 28 aprile dall’account @Pontifex. Non si tratta, a dire il vero, di una novità assoluta. L’espressione è la sintesi di un più complesso periodo della Evangelii gaudium, l’esortazione apostolica che costituisce finora il «manifesto programmatico» di Francesco. Il problema è che soltanto nella lingua italiana il termine inequità attenua la forza della condanna morale. In inglese inequality vuol dire ineguaglianza. In tedesco ungleichheit si traduce con diseguaglianza. E così anche in spagnolo, la lingua del Papa: la parola inequidad non consente altra traduzione che diseguaglianza. Insomma, non c’è più una diseguaglianza iniqua da condannare e una più morbida da perseguire: la radice del male è l’«economia dello scarto» che rende gli uomini sempre più diseguali.
L’impatto non poteva non essere traumatico, soprattutto negli Stati Uniti dove si è scatenata immediatamente una vivace polemica sui social network. Stiamo parlando dei fondamenti stessi dell’etica del capitalismo. La diseguaglianza non è più un male necessario, il costo inevitabile di un meccanismo sociale che comunque assicura sviluppo e dividendi per la comunità. È la sua giustificazione morale a venir meno. E questo avviene mentre la crisi sta cambiando i paradigmi stessi della scienza economica. Non c’è soltanto Papa Francesco a delegittimare l’etica del capitalismo e l’idea di una sua «naturalità». Ormai il fior fiore degli economisti spiega, numeri alla mano, che la crescita delle diseguaglianze nelle società avanzate sta favorendo la decrescita, la recessione, la rottura delle reti di coesione sociale. Fa riflettere il successo nelle librerie americane dell’ultimo libro del francese Thomas Piketty. Il filone è lo stesso di Joseph Stiglitz e di Paul Krugman: il prezzo della diseguaglianza è ormai insostenibile nella prospettiva stessa del mercato e dello sviluppo.
Tornano alla mente gli articoli di Michael Novak, guida intellettuale dei teo-con, a commento della Evangelii gaudium. L’avversione era netta. Anche se la critica trattenuta da ragioni diplomatiche. A Novak non era sfuggito nel testo del Papa la contestazione più radicale al cuore del capitalismo, e cioè alla teoria della «ricaduta favorevole». Non è vero, ha scritto il Papa, che «ogni crescita economica, favorita dal libero mercato» produce maggiore equità e inclusione sociale. «Questa opinione, mai confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante». Quel participio, «sacralizzati», è spietato: denuncia ogni tentativo di assimilare il capitalismo alla natura o alla religione.
C’è nuovo materiale per discutere le diversità tra culture cattoliche e protestanti. La prospettiva di Francesco, comunque, non è quella di aggiornare la dottrina sociale della Chiesa. Non gli interessa una terza via cattolica tra il liberismo e il marxismo. Né tra il mercato e lo Stato. Alla Chiesa chiede di stare evangelicamente con i poveri e di guardare il mondo dal loro punto di vista. Di gridare le ingiustizie che altri non denunciano. Di offrire al mondo, ai cattolici in special modo, una riserva di pensiero critico sulla contemporaneità. Questo non è il solo mondo possibile. Non c’è sfiducia, o delegittimazione della politica. Anzi, Papa Francesco mostra di avere un’idea alta della politica (il contrario del populismo). Ma devono svolgerla i laici, i cittadini del mondo, di cui i credenti sono parte. Se i cattolici hanno un segno particolare, è quello di non fare un «idolo» di questa economia o di qualche altra ideologia.
Per i teo-con il cristianesimo è il cemento dell’Occidente, l’impronta morale sul capitalismo, la fortezza da difendere contro la secolarizzazione e l’Islam. Ora attaccano il Papa sostenendo che è comunista o che deraglia dalla dottrina millenaria: argomenti ricorrenti delle destre reazionarie. Per Francesco vale invece, come per Paolo VI, il principio di «non appagamento» della politica. I governi, i partiti devono fare di tutto per il bene comune, ma qualunque soluzione sarà sempre criticabile e perfettibile. Il pensiero critico resta la risorsa più preziosa a disposizione dell’uomo.
Anche a sinistra c’è chi farebbe volentieri a meno del principio di uguaglianza. Nel dibattito di questi anni è entrata a sinistra, eccome, la parola «equità» proprio per ammorbidire il senso dell’uguaglianza e per tenersi nel mainstream. Ma così la sinistra si è allontanata dalle contraddizioni reali. Nell’illusione di conquistare la modernità ha pagato un tributo al pensiero unico. La radicalità sta soprattutto nel pensiero, nella libertà di sottrarsi all’omologazione. La politica concreta sarà comunque e sempre un compromesso. Il problema è se nel compromesso la sinistra si sentirà appagata, o penserà ancora a un domani più giusto.

 

 

 

7. Il Papa e il capitalismo

[Il Post 27 novembre 2013]

Un po’ di estratti dalla sua prima “esortazione apostolica”, di cui si parla molto: sul libero mercato, il consumismo, la politica, le donne

Martedì 26 novembre Papa Francesco ha reso pubblica la sua prima “esortazione apostolica”, intitolata Evangelii Gaudium (“La Gioia del Vangelo”). L’esortazione apostolica è un documento ufficiale redatto solitamente a seguito di un Sinodo dei vescovi, l’assemblea che ha il compito di aiutare e indirizzare il pontefice nel governo della chiesa. Nella gerarchia degli scritti ufficiali l’esortazione apostolica viene dopo l’enciclica – indirizzata ai vescovi e ai fedeli contenente importanti questioni di carattere dottrinale, morale, sociale o politico – ma prima della lettera apostolica: una lettera aperta indirizzata a un destinatario in particolare e non a tutti i vescovi, e resa pubblica perché di interesse generale per la chiesa.

Evangelii gaudium raccoglie il contributo dei lavori del Sinodo che si è svolto in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012. Il documento è lungo 224 pagine, è scritto con uno stile semplice e diretto (molto diverso da quello più accademico dell’enciclica pubblicata a luglio e che era stata iniziata da Benedetto XVI), si conclude con una preghiera a Maria per tornare «a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto» e, in generale, definisce quanto già detto dal Papa nei suoi discorsi da quando è stato eletto.

In particolare il Papa affronta alcune questioni di carattere dottrinale e indica alcune «vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni»: tra le altre cose, allude a «una conversione del papato» sulla via di una «salutare decentralizzazione» e dice che la chiesa deve dialogare con le altre religioni («condizione necessaria per la pace nel mondo») e con i non credenti. Il testo affronta anche questioni che hanno a che fare con la politica, l’economia, il consumismo, il debito pubblico e la finanza. Prendendo una serie di posizioni molto radicali che sono state etichettate come «anticapitaliste» soprattutto perché, spiega ad esempio l’Atlantic, segnano uno spostamento definitivo della chiesa dalle posizioni storicamente anticomuniste assunte nell’ultimo mezzo secolo.

Su economia, finanza e denaro:

Alcune sfide del mondo attuale
52. L’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione. Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. (…) Questo cambiamento epocale è stato causato dai balzi enormi che, per qualità, quantità, velocità e accumulazione, si verificano nel progresso scientifico, nelle innovazioni tecnologiche e nelle loro rapide applicazioni in diversi ambiti della natura e della vita. Siamo nell’era della conoscenza e dell’informazione, fonte di nuove forme di un potere molto spesso anonimo.

No a un’economia dell’esclusione
53. Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma  di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.

54. In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo.

No alla nuova idolatria del denaro
55. Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo.

56. Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta.

58. Una riforma finanziaria che non ignori l’etica richiederebbe un vigoroso cambio di atteggiamento da parte dei dirigenti politici, che esorto ad affrontare questa sfida con determinazione e con lungimiranza, senza ignorare, naturalmente, la specificità di ogni contesto. Il denaro deve servire e non governare! Il Papa ama tutti, ricchi e poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i ricchi devono aiutare i poveri, rispettarli e promuoverli. Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano.

La questione della sicurezza e del bene comune:

No all’inequità che genera violenza
59. Oggi da molte parti si reclama maggiore sicurezza. Ma fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice.

60. I meccanismi dell’economia attuale promuovono un’esasperazione del consumo, ma risulta che il consumismo sfrenato, unito all’inequità, danneggia doppiamente il tessuto sociale. In tal modo la disparità sociale genera prima o poi una violenza che la corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai. Essa serve solo a cercare di ingannare coloro che reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti. Alcuni semplicemente si compiacciono incolpando i poveri e i paesi poveri dei propri mali, con indebite generalizzazioni, e pretendono di trovare la soluzione in una “educazione” che li tranquillizzi e li trasformi in esseri addomesticati e inoffensivi. Questo diventa ancora più irritante se gli esclusi vedono crescere questo cancro sociale che è la corruzione profondamente radicata in molti Paesi – nei governi, nell’imprenditoria e nelle istituzioni – qualunque sia l’ideologia politica dei governanti.

203. La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale. Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora. La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato. La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo.

204. Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.

La politica.  la sovranità delle nazioni e la complicità:

205. Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune. Dobbiamo convincerci che la carità «è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici ». Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale.

206. L’economia, come indica la stessa parola, dovrebbe essere l’arte di raggiungere un’adeguata amministrazione della casa comune, che è il mondo intero. Ogni azione economica di una certa portata, messa in atto in una parte del pianeta, si ripercuote sul tutto; perciò nessun governo può agire al di fuori di una comune responsabilità. Di fatto, diventa sempre più difficile individuare soluzioni a livello locale per le enormi contraddizioni globali, per cui la politica locale si riempie di problemi da risolvere. Se realmente vogliamo raggiungere una sana economia mondiale, c’è bisogno in questa fase storica di un modo più efficiente di interazione che, fatta salva la sovranità delle nazioni, assicuri il benessere economico di tutti i Paesi e non solo di pochi.

211. Mi ha sempre addolorato la situazione di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta di persone. Vorrei che si ascoltasse il grido di Dio che chiede a tutti noi: « Dov’è tuo fratello? » (Gen 4,9). Dov’è il tuo fratello schiavo? Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità. La domanda è per tutti! Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta.

Infine, ci sono diversi passaggi che affrontano questioni legale alle donne, ai loro diritti e all’aborto: «La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società», scrive Papa Francesco, ma «c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa». Deve essere garantita la presenza delle donne «nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali». Ancora: «Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere». Nella Chiesa, precisa, le funzioni «non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri. Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi».

Sull’aborto, Papa Francesco spiega che oggi si pretende di «negare dignità umana promuovendo legislazioni» ai «bambini nascituri» e che la chiesa, su questo, non cambierà la propria posizione («Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a ‘modernizzazioni’»). Però, aggiunge, «è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie».


 

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Category: Culture e Religioni, Politica

About Vittorio Capecchi: Vittorio Capecchi (1938) è professore emerito dell’Università di Bologna. Laureatosi in Economia nel 1961 all’Università Bocconi di Milano con una tesi sperimentale dedicata a “I processi stocastici markoviani per studiare la mobilità sociale”, fu segnalato e ammesso al seminario coordinato da Lazarsfeld (sociologo ebreo viennese, direttore del Bureau of Applied Social Research all'interno del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York) tenuto a Gosing dal 3 al 27 luglio 1962. Nel 1975 è diventato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. Negli ultimi anni ha diretto il Master “Tecnologie per la qualità della vita” dell’Università di Bologna, facendo ricerche comparate in Cina e Vietnam. Gli anni '60 a New York hanno significato per Capecchi non solo i rapporti con Lazarsfeld e la sociologia matematica, ma anche i rapporti con la radical sociology e la Montly Review, che si concretizzarono, nel 1970, in una presa di posizione radicale sulla metodologia sociologica [si veda a questo proposito Il ruolo del sociologo (a cura di P. Rossi), Il Mulino, 1972], e con la decisione di diventare direttore responsabile dell'Ufficio studi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), carica che manterrà fino allo scioglimento della FLM. La sua lunga e poliedrica storia intellettuale è comunque segnata da due costanti e fondamentali interessi, quello per le discipline economiche e sociali e quello per la matematica, passioni queste che si sono tradotte nella fondazione e direzione di due riviste tuttora attive: «Quality and Quantity» (rivista di modelli matematici fondata nel 1966) e «Inchiesta» (fondata nel 1971, alla quale si è aggiunta più di recente la sua versione online). Tra i suoi ultimi libri: La responsabilità sociale dell'impresa (Carocci, 2005), Valori e competizione (curato insieme a D. Bellotti, Il Mulino, 2007), Applications of Mathematics in Models, Artificial Neural Networks and Arts (con M. Buscema, P.Contucci, B. D'Amore, Springer, 2010).

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