Mauro Boarelli: La strada in salita della Coalizione civica per Bologna

| 2 Marzo 2016 | Comments (0)

 

Cosa è stata finora e cosa è diventata Coalizione civica? Le primarie appena concluse segnano indubbiamente uno spartiacque nella sua breve esistenza e quindi offrono una buona occasione per un’analisi in vista della campagna elettorale vera e propria che sta per iniziare. Secondo una vulgata corrente, le primarie hanno sancito la sconfitta di un’anima realmente “civica” per opera di forze politiche che hanno ridotto il “civismo” a mera copertura ideologica. Le cose stanno realmente in questi termini oppure sono più complicate di come appaiono a prima vista?

 

Attori, spettatori e comparse

Partiamo dai soggetti in campo. I fondatori, innanzitutto. Nel nucleo originario si sono ritrovate persone provenienti da esperienze molto diverse tra loro che avrebbero dovuto allargare progressivamente il cerchio iniziale includendo un numero sempre maggior di cittadini disposti ad impegnarsi (individualmente, e non come membri di gruppi o partiti) in un progetto politico originale: una coalizione di cittadini che, su un piano paritario, partecipano a un progetto collettivo per il governo della città, una coalizione che permetta di rileggere attraverso la chiave del “civismo” (concetto su cui mi soffermerò più avanti) l’esperienza dei fallimenti della sinistra e della degenerazione della politica nel suo complesso, e di gettare un seme – e forse anche qualcosa di più – per una pratica politica radicalmente rinnovata. Le cose sono andate subito diversamente. Nel momento in cui altri soggetti hanno manifestato il loro interesse alle elezioni amministrative, la leadership del gruppo fondatore ha scelto la strada della trattativa segreta: incontri riservati con la partecipazione di poche persone in rappresentanza di ciascun “gruppo”, dai quali trapelava poco o nulla (ovvero quasi tutto, come spesso accade in questi casi, tranne – forse – l’essenziale). Partendo dall’esigenza condivisibile di evitare la frammentazione e la proliferazione di liste a sinistra, si è preferito cercare l’unità attraverso il processo inverso rispetto a quello teorizzato (un processo “dal basso”), sacrificando l’assunto di partenza sull’altare della ritualità politica più vecchia e stantia che si potesse immaginare. L’attendismo implicito in questa strategia (l’eterna attesa che la trattativa desse i suoi frutti) ha costretto il gruppo originario a una sostanziale inazione che ha comportato la perdita della capacità di produrre idee e di attrarre persone nuove e l’allontanamento di alcuni tra quelli che avevano aderito sin dall’inizio con aspettative completamente diverse. La conduzione centralista del gruppo – strettamente connessa a una concezione della politica che si pretende rinnovata ma che in realtà è ancorata a schemi politici d’altri tempi – ha preso il posto dell’autonomia sulla quale un progetto del genere avrebbe dovuto essere fondato e ha dissanguato il nucleo originario.

Gli altri protagonisti si sono alleati in un raggruppamento solo apparentemente omogeneo e coeso, dentro il quale sono approdati un pezzo di Sel, la neonata Possibile e due centri sociali fra loro intimamente legati: Tpo e Làbas. Quest’ultimo è senz’altro la componente più innovativa della “coalizione nella coalizione”. L’occupazione di una caserma dismessa del centro storico realizzata da questo collettivo rappresenta un esperimento originale di sottrazione di uno spazio pubblico alla speculazione immobiliare, di intervento sociale in tema di accoglienza, di integrazione con il quartiere (in modo particolare attraverso il mercato di “Campi aperti”), e altro ancora. È il luogo che ha visto alcune delle assemblee più partecipate e vivaci e nel quale è attiva la componente più giovane della Coalizione. Eppure la sua energia è stata in qualche modo “recintata”: anziché farla esprimere in tutta la sua potenzialità all’esterno, è stata usata prioritariamente in termini di rapporti di forza interni. Paradossalmente, anche questa realtà – che per sua natura dovrebbe essere estranea ai logori rituali della politica istituzionale – è stata subordinata ad essi. Sono proprio quei rituali ad avere mediato e ostacolato l’incontro tra due realtà diverse che sono andate strutturandosi l’una indipendentemente dall’altra, e ad avere impedito l’apertura verso altri mondi che sono rimasti a guardare da lontano.

 

Il mito delle primarie, il “civismo” e la trappola delle identità

In questa situazione, la scelta di organizzare elezioni primarie per la scelta del candidato sindaco ha indubbiamente peggiorato la situazione. Era facile prevedere, infatti, che una competizione di questo tipo avrebbe radicalizzato la contrapposizione noi/loro che aveva caratterizzato la vita della Coalizione fino a quel momento.

Ma ci sono altre due chiavi di lettura attraverso le quali sottoporre a critica la scelta di ricorrere alle primarie. Una attiene alla natura stessa della Coalizione: scimmiottando scelte praticate da altri, si è rinunciato alla ricerca di un metodo diverso e originale che corrispondesse maggiormente alla natura del progetto. La seconda ha a che fare con la democrazia: l’idea che la partecipazione dei cittadini alla politica sia legata in maniera prevalente (o addirittura esclusiva) alla scelta delle persone distorce la natura stessa dei diritti di cittadinanza e accentua la personalizzazione della politica che ha inquinato la vita pubblica italiana negli ultimi vent’anni.

Questa considerazione conduce direttamente a un aspetto centrale nel progetto politico della Coalizione, al punto da essere stato scelto per la sua denominazione: il concetto di “civismo”. Su questa parola si sono giocati molti equivoci, soprattutto perché si è scelto – all’inizio – di non spiegarne il significato. Poiché l’idea originaria metteva al centro le persone sulla base della loro soggettività e non della loro appartenenza, credo che – per essere coerente con questo assunto di partenza – il concetto di “civismo” debba riassumere una serie di questioni cruciali intorno al nodo della cittadinanza: che cosa è oggi la nostra città, chi la governa, che poteri reali hanno i suoi cittadini e in che modo è possibile restituire loro poteri che oggi sono in gran parte esercitati da entità extraistituzionali prive di legittimazione. Questi temi, finora, sono stati elusi: il concetto di “civismo” è stato declinato dagli uni come sinonimo di senza partito (variante poco originale di uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5stelle) e vissuto con fastidio dagli altri, che hanno preferito attribuirgli un generico significato di impegno pubblico. Il concetto è stato quindi depotenziato, impoverito e – paradossalmente – depoliticizzato. Inoltre, il passaggio da una accezione centrata sui diritti di cittadinanza a una basata sulla connotazione personale dei contendenti ne ha decretato una vera e propria metamorfosi: da apertura verso i cittadini a chiusura sulle identità individuali.

C’è anche un altro punto cruciale. Era naturale (e auspicabile) che nel progetto di coalizione confluissero anche molte persone che militano o hanno militato in partiti o in strutture organizzate. Si è chiesto loro di partecipare in quanto singoli, non in quanto membri di gruppi. Ma cosa comporta questo passaggio? Accantonare l’identità di gruppo non significa dimenticare o rinnegare la propria storia e i propri percorsi di formazione. Significa – invece –  reinterpretarli. Ma reinterpretarli in funzione di cosa? Mi era piaciuto molto un pezzo di Bruno Giorgini, che su Inchiesta online aveva definito la Coalizione “un sistema di differenze  potenzialmente capace di esplorare una spazio assai ampio di opinioni  e proposte, con tutta la biodiversità della sinistra in campo parlando all’intera città”. Ma finora le differenze sono state utilizzate per definire confini interni anziché per esplorare lo spazio esterno. D’altra parte sarebbe ingenuo pensare che processi di questo tipo, ad elevato tasso di contaminazione, possano avvenire solo sulla base del volontarismo. Occorrono azioni politiche che li incoraggino e li rendano concretamente possibili. Ma le azioni messe in campo sono andate tutte in direzione opposta, a partire dalle scelte sui tempi.

 

I tempi della politica

Nella politica i tempi sono importanti, ma in questa vicenda sono stati trascurati. Basti pensare che un progetto per le elezioni amministrative lanciato agli inizi di luglio arriva ad individuare il candidato sindaco alla fine di febbraio, a soli tre mesi dal voto: un tempo del tutto insufficiente per una formazione che nasce dal nulla ed è priva di una solida struttura organizzativa. La discreta affluenza alle primarie non può occultare il fatto che gran parte della città non conosce neanche l’esistenza della Coalizione.

Il lungo tempo trascorso in un regime di separazione ha impedito quella “mescolanza” che è stata predicata ma che non può avvenire a comando, in modo artificiale. Si tratta di persone che provengono da esperienze diverse, di modi differenti di intendere la politica, di relazioni da costruire: si tratta, in definitiva, di tutto ciò che fa della vita associata un’esperienza reale e non virtuale, un’esperienza che necessita di cure e di tempo.

In quel tempo che è mancato, in quel tempo espropriato, avrebbero dovuto vedere la luce idee e proposte concrete per il governo della città che – invece – sono rimaste ad uno stadio embrionale, come dimostra l’estrema genericità che ha contraddistinto la campagna delle primarie. E si sarebbe dovuto parlare alla città, attraversarla fisicamente con mille incontri, spiegare i punti cruciali di un programma di governo, poche e incisive idee forti che dessero il senso di un impegno sincero, di una conoscenza profonda, di una visione ampia, di un cambiamento radicale, di una connessione con la vita quotidiana, con i problemi e le preoccupazioni dei cittadini. Ma il tempo trascorso fin qui è stato un tempo sospeso.

 

E adesso?

Non ci sono, in definitiva, “civici puri” e “civici impuri”, non ci sono buoni e cattivi. Ci sono solo soggetti diversi ciascuno dei quali ha giocato la propria partita nella convinzione che gli altri fossero politicamente minoritari ed elettoralmente ininfluenti. Chi oggi lamenta la propria ingenuità di fronte agli “invasori” sposta su altri responsabilità che – invece – sono condivise e che derivano dall’avere agito con modalità e pratiche incompatibili con lo spirito originario del progetto.

Ma, giunti a questo punto, cosa succede da qui alle elezioni? Cosa è possibile fare perché il tempo perduto e gli errori commessi non pregiudichino definitivamente un risultato elettorale che – nelle condizioni attuali – sarebbe decisamente modesto? E cosa si può fare perché la Coalizione diventi un solido punto di riferimento politico per la città dopo le elezioni?

Intanto si può partire da ciò che di positivo è stato comunque realizzato (una lista unica di opposizione da sinistra al Pd) e fare subito tre cose: sradicare la logica amico/nemico – che avvelena i pozzi di qualsiasi iniziativa politica e rappresenta una pesante eredità culturale del secolo scorso – e ricomporre un clima unitario dopo le contrapposizioni delle primarie e del periodo precedente; mettere al centro le persone per quello che sono individualmente e non per quello che rappresentano come membri di organizzazioni, per non tradire le aspettative di tanta gente che – nonostante tutto –  ha creduto nel progetto e per aprire le porte a tutti quelli che l’hanno invece guardato con diffidenza (a questo proposito, saranno molto importanti la composizione della lista per il Consiglio comunale e il modo in cui sarà costruita); parlare alla città e non a una élite, parlare con tante voci diverse e con un linguaggio ancorato nella conoscenza dei problemi quotidiani e nella consapevolezza della drammaticità della crisi. Tre cose da fare nell’immediato con azioni politiche concrete, non con artifici retorici. Il tempo non può rimanere sospeso.

 

 

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Category: Osservatorio sulle città, Politica

About Mauro Boarelli: Mauro Boarelli (Macerata, 1962) ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia presso l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole. Si è occupato di storia dell’Italia contemporanea ed ha dedicato una monografia al rapporto tra militanza politica, scrittura popolare e forme di disciplinamento (La fabbrica del passato. Autobiografie di militanti comunisti 1945-1956, Feltrinelli, 2007). Collabora alla rivista “Lo straniero”, per la quale ha curato – fra l’altro – una serie di interventi sul rapporto tra ricerca storica e formazione del “senso comune storiografico” e sul ruolo innovativo della “microstoria” (consultabile on line il dialogo con Carlo Ginzburg). Per la rivista di educazione e intervento sociale “Gli asini” ha curato il numero monografico su Valutazione e meritocrazia. Sull’argomento ha inoltre scritto L’inganno della meritocrazia (“Lo straniero”, aprile 2010).Insieme a Luca Lambertini e Mimmo Perrotta ha curato Bologna al bivio. Una città come le altre? (Edizioni dell’asino, 2010). Da questo libro è nato il Laboratorio “Bologna al bivio”: www.bolognaalbivio.wordpress.com. Attualmente si occupa di programmazione culturale presso un ente pubblico.

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