Mario Tronti: Non mettersi a cercare un grillo per la sinistra

| 2 Aprile 2013 | Comments (6)

 

 

DOSSIER DOPO ELEZIONI 43 Riceviamo da Mario Tronti questo testo con queste frasi di accompagnamento: “Cari tutti/e è stata una Pasqua politica: Anche la mia meditazione si è secolarizzata. Il risultato è questo testo. Dite la vostra discutete scrivete. Mario Tronti, 2 aprile 2013

Vediamo. Intanto riassumiamo. Perché c’è un percorso da ricostruire: molto eloquente e che fa chiarezza. C’è stata una lunga campagna elettorale, durata per tutto il tempo del governo Monti in carica. Le elezioni, anticipate, erano infatti all’ordine del giorno al momento della caduta rovinosa del governo Berlusconi. Non furono concesse. Da quelle sarebbe uscita con tutta probabilità una maggioranza certa, con governabilità assicurata per cinque anni. Magari con una manovra di salvataggio senza massacro sociale. Cominciò invece un balletto, con una musica in crescendo fino al 24 febbraio ultimo scorso. Lo scenario: da una parte una forza politica destinata ad assumere il governo del paese, dall’altra tutte le altre forze politiche, e annessi moVimenti, intente a impedire, o a limitare, o ad azzoppare, con tutti i mezzi, quella soluzione. Operazione infine riuscita.

Operazione, però, riuscita a metà. Perché dalle elezioni esce un centro-sinistra con una maggioranza assoluta alla Camera e una maggioranza relativa al Senato. Il pericolo dunque, di una sinistra in qualche modo al governo era ancora presente. Di qui, la seconda fase della manovra di ostruzione da opporre a questa eventualità. Un governo di minoranza era possibile. I precedenti ci sono e la Carta costituzionale non chiede una maggioranza assoluta per la fiducia al governo. La coalizione di centro-sinistra aveva diritto e dovere di andare in Parlamento a presentare la sua proposta di governo. E bene ha fatto Bersani a chiedere con determinazione questo passaggio. Non è stato concesso. A mio parere la proposta del governo di minoranza, monocolore, non di legislatura, ma nemmeno di emergenza, in carica solo per mettere mano ad alcune urgenze politico-istituzionali ed economico-sociali, andava presentata da subito all’intero arco delle forze politiche, con la premessa di un accordo sulle cariche istituzionali, la presidenza di Commissioni, e il progetto, giusto, del doppio registro.

Questa era l’iniziativa che spettava a chi, indicato dalle primarie, aveva condotto la campagna elettorale e vinto appena di misura nel voto. A mancare l’obiettivo pieno non è stato Bersani. L’abbiamo mancato tutti: in primo luogo, collegialmente, un partito, privo di antenne in grado di cogliere lo stato d’animo diffuso nel paese reale. E che, qui veramente come tutti gli altri, si affida alla falsità, manovrata, dei sondaggi. Bersani ha mostrato all’Italia la faccia della politica seria, responsabile, competente, pulita, di impronta popolare e capace di governo. Il messaggio è calato in un contesto malato, inquinato da demagogie populiste, lasciate crescere e accarezzate fino all’ultimo minuto. Ma con questo contesto, era esattamente quella faccia che si voleva oscurare. Tanto più che dietro di essa c’era una storia, che tutto quanto sta avvenendo è incaricato adesso di portare alla fine. Tutto, compresa quella verità sul voto, da tutti riprovata, che ha pronunciato, in libertà, un socialdemocratico tedesco: in Italia hanno vinto due clown. Vittoria, appunto, non spontanea, ma costruita, con una comunicazione di scopo.

Poi, qualcosa non è andata nel verso giusto, anche nella nostra iniziativa. Può darsi che non sia così, ma quanto si è percepito è che, nella proposta, si è voluto privilegiare la parte meno disponibile a qualsiasi tipo di accordo, mirando su questo versante alcune proposte di programma, e risolvendo in quel senso le figure delle cariche istituzionali. Ora, io penso che alle pulsioni antipolitiche non bisogna concedere niente, mai. All’irruzione grillina, la risposta era quella di uno scatto di orgoglio politico. Quello è un vento, forte, un’onda anomala. Lo tsunami arriva, distrugge e passa. Lascia sul terreno solo macerie. Tentare di cavalcarlo è impossibile, e ci si fa solo male. Va semmai previsto, in modo da prendere le misure necessarie per ridurre i danni. Starei attento a darne la lettura corrente: un evento che, comunque, opportunamente scuote e costringe a cambiare. Da quella sponda non si cambia, si abbatte. Qualcuno ricorda queste espressioni? E come non vederci l’altra faccia della rottamazione? E’ lo stesso vento. Questo plebeismo nichilista arriva, ripeto, non a caso, ma come esito naturale di un’intera stagione.

Tolleranza zero sul linguaggio. Non si parla con chi parla in quel modo. Il linguaggio politico è importante. Lì, si specchia sempre, anche senza volerlo, quel che si è. E starei attento a vederci, anche qui, la rappresentazione di domande giuste: ad esempio l’espressione di una comprensibile rabbia. Se si rappresentano così, quelle domande, non sono giuste, sono sbagliate. Non vanno assunte, vanno corrette. Prenderle per buone come tali, porta a risposte subalterne. Esempio: la rabbia oggi diffusa è sacrosanta, e però male indirizzata. Ecco, qui luoghi e tempi dell’azione politica. Se per salire a una carica pubblica si deve presentare al concorso il titolo di non essere stato, di non essere, di non voler essere un “politico”, si innesca una deriva senza fondo. Se il quarto di nobiltà che devi portare nella sfera pubblica consiste nel pronunciare la frase liberatoria: non sono mai stato iscritto a un partito, guardate, qui non c’è il finale di partito, c’è la fine della Repubblica. Sono molto preoccupato. Non vorrei essere tornato in Parlamento per assistere, con angoscia, alla distruzione dell’edificio costituzionale-popolare, di rappresentanza e non di mandato, a tutti i livelli, che i nostri padri hanno costruito, combattendo e pensando. Bisogna reagire, indignarsi da questa parte, dare battaglia. Insisto su questo: spetta alla politica, e in prima persona alla politica della sinistra, chiarire il punto.

E il punto, drammatico, è che il disagio sociale, fortissimo, vera e propria eccezionale emergenza, non si esprime oggi con la politica, ma con l’antipolitica. Come, perché? Ecco la prima cosa da capire. E da rimediare. La condizione oggettiva è quella di un disorientamento politico di massa. Il brodo di coltura viene da lontano, non contrastato, anzi benevolmente accompagnato, per tutta la vicenda di questa devastante cosiddetta seconda Repubblica. Di nuovo, c’è un esito finale, che arriva a colpire le fondamenta del sistema istituzionale. Alla base c’è il patto di sindacato stretto tra le élites economico-finanziarie al governo della globalizzazione neoliberista e, appunto, il populismo antipolitico gestito dalla grande comunicazione. Esattamente il blocco dominante da combattere e da sconfiggere. Un lavoro, pratico, ricostruttivo, e di cultura, di lunga lena. Abbiamo bisogno di tempo. Non farei precipitare la situazione. In questo frangente, è il nostro campo che è stato prima di tutto disordinato. Bisogna riorientarlo, riorganizzarlo, rimotivarlo. Non ci serve un’offerta pubblicitaria, superpersonalizzata, formattata secondo i canoni del mercato elettorale, che ti permetta di competere meglio, subito, sul terreno dell’avversario. L’ultima cosa da fare adesso è mettersi a cercare un grillo per la sinistra. Anzi, la penultima. Perché l’ultima è la pretesa di averlo già trovato, pronto lì a scattare dai nastri di partenza. Come si dice spesso, per motivi più futili: non scherziamo!

Se per vincere si deve diventare un’altra cosa, mi chiedo se valga la pena di vincere. E vincere non è una bella parola, nemmeno per un pensatore del conflitto. La sfida è conquistare il consenso, democratico, necessario per governare, rimanendo se stessi, incardinati nelle ragioni storiche della propria parte. Innovando, certo e nel profondo, rispetto alle grandi trasformazioni in atto, nelle forme, nelle idee, nei comportamenti, nella qualità, soprattutto nella qualità, degli uomini e delle donne. Ma in piena libera autonomia. Senza andare a rimorchio del dominante spirito del tempo. Raccomanderei ai trenta/quarantenni, giustamente emergenti, meno giustamente scalpitanti, di badare, con scrupolosa attenzione, a non far coincidere il ricambio generazionale con una mutazione genetica. Dietro la fine di una storia c’è sempre il pericolo di un cambio di campo. Responsabilità e cambiamento devono valere per noi, prima che per gli altri. E ricordarsi sempre di stare, anzi di mettersi, sotto gli occhi del nostro popolo.

 

 

Mario Tronti

 

 

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Category: Elezioni politiche 2013, Politica

About Mario Tronti: Mario Tronti (1931) negli anni Cinquanta aderisce al PCI. Cofondatore con Raniero Panzieri della rivista «Quaderni Rossi», dirige – a partire dal 1963 – la rivista «Classe operaia»; partecipa a «Contropiano»; e fonda, nel 1981, la rivista «Laboratorio politico». Ha insegnato Filosofia politica presso l'Università di Siena e per una legislatura (dal 1992 al 1994) è stato Senatore, eletto fra le fila del Partito Democratico della Sinistra. Attualmente presiede la Fondazione CRS (Centro per la Riforma dello Stato), un luogo di studi e iniziative fondato da Umberto Terracini e a lungo presieduto da Pietro Ingrao. È uno dei principali fondatori dell’operaismo italiano. Il suo libro Operai e capitale – pubblicato da Einaudi nel 1966 e ripubblicato, a quarant’anni di distanza, nel 2006 da DeriveApprodi – è unanimente riconosciuto il testo fondamentale di questa originale e radicale componente del marxismo teorico europeo, la cui diffusione, negli anni Sessanta, ha determinato la formazione di una mentalità e di un lessico fortemente innovativi, diventando un libro culto per le giovani generazioni del Sessantotto. Tra i suoi ultimi libri: Con le spalle al futuro (Editori Riuniti, 1992), La politica al tramonto (Einaudi, 1998), Teologia e politica al crocevia della storia (con Massimo Cacciari, AlboVersorio, 2007), Passaggio Obama. L’America, l’Europa, la Sinistra (Ediesse, 2009), Non si può accettare (Ediesse, 2009), Noi operaisti (DeriveApprodi, 2009), Dall’estremo possibile (Ediesse, 2011).

Comments (6)

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  1. Paolo ha detto:

    Purtroppo si vede la lettura tipica di un uomo del suo tempo, con una visione politica del paese di cinquant’anni fa… non è un giudizio ne positivo ne negativo, ma evidentemente il sig. Tronti vede i vive un mondo completamente diverso da quello che percepisco io (classe 1968), figuratevi poi le generazioni attuali. Ancora di più si vede questo essere legato a un altra epoca, nella lettura partitica della democrazia, a suo dire passaggio obbligato. L’Italia è imprigionata in questa visione e viene venduta come la normalità, come status necessario… queste persone non hanno ancora capito, o fanno finta di non capire, che difronte a questo pensiero statico, lo “tzunami” rappresenta semplicemente la voglia di un cambiamento culturale che viene impedito con ogni mezzo.

  2. elena rapisardi ha detto:

    Grazie per questo suo lucidissimo articolo.
    Ho una domanda sola: siamo pronti per responsabilità e cambiamento?
    Abbiamo gli strumenti culturali per fare questa battaglia?
    Confesso che sento un grande sconforto.
    Ma le sue parole mi fanno riflettere e mi danno uno spunto: riprendere ad analizzare la realtà e trasformare le analisi in pratica politica per il bene comune.
    Grazie.

  3. […] e politiche che hanno modellato il sistema esistente. Tra questi segnali spiccano, mi pare, le riflessioni affidate in questi giorni alla rete da Mario Tronti, che hanno già suscitato un'ampia […]

  4. Valerio Caramassi ha detto:

    Ciao Mario! Grande e funzionante testa della sinistra. Senza sinistra, purtroppo……
    Valerio Caramassi

  5. francesco luciani ha detto:

    Caro Tronti,
    sono solo in parte d’accordo perchè è vero che Grillo non è un uomo affidabile ma è anche vero che la politica si fa con le forze realmente presenti nell’arena politica e non solo con giudizi di valore. Il 5Stelle è un impetuoso anche se disorganizzato e spesso caotico movimento politico che al suo interno ha diverse realtà umane, culturali e politiche: non tutte plebee, non tutte becere, non tutte da buttar via. Alcune di queste realtà sono certamente da valorizzare e utilizzare, attraverso un paziente lavoro di analisi e di studio. Il PD è sempre più succube dei poteri finanziari internazionali, con cui sarebbe tempo di cominciare a rivedere profondamente i rapporti, e, ove nel PD maturasse la felice idea di provare seriamente ad allearsi con il 5Stelle (che da poco ha manifestato una qualche apertura verso il PD) notoriamente contrario a certa dissennata politica europea e ai potentati nazionali e internazionali cui fa capo, potremmo forse cominciare ad assistere a qualcosa di interessante e, dati i tempi, sicuramente di inedito: un governo non populistico ma popolare, un governo la cui politica non sia più l’asservimento alla finanza ma l’elaborazione di una direzione strategica in cui la finanza cominci a prendere altre strade e tutte rigorosamente subordinate alla centralità capace di ottenere una ridefinizione del debito pubblico e di tutta una serie di contratti non solo vessatori ma irrazionali con l’Europa, in modo da poter utilizzare tutti i prelievi fiscali e d’altro genere per la ripresa o il rilancio complessivo del nostro Paese. Il discorso sarebbe lungo, ma il concetto di fondo che né il PD da solo né il PD col PDL sono capaci di dare all’Italia la svolta di cui essa ha bisogno per non peggiorare ulteriormente la sua situazione, Francesco Luciani.

  6. francesco luciani ha detto:

    Errata corrige: alla centralità di una politica capace di…

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