Bruno Giorgini: L’omicidio di Stefano Cucchi e il sindacato di polizia

| 6 Novembre 2014 | Comments (1)

 

Assolti il primario del reparto detenuti del Pertini, Aldo Fierro, i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite, Silvia Di Carlo e Rosita Caponetti; gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, gli agenti di Polizia Penitenziaria Mario Lucio D’Andriai, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.

Così ha deciso la Corte d’Appello presieduta da Mario Lucio D’Andria in merito all’omicidio di Stefano Cucchi arrestato il 15 ottobre 2009 per detenzione di droga e deceduto – certamente non per cause naturali – una settimana dopo nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini di Roma. E le cause non naturali altrettanto certamente ebbero origine e/o furono comunque propiziate dal feroce pestaggio che Stefano Cucchi subì durante la detenzione, cui si cumularono una serie di angherie e violazioni dei suoi diritti allucinanti.

Cominciando dalla verbalizzazione dell’arresto come “albanese” senza fissa dimora, per cui il giudice, fingendo di non vedere cosa significava il suo volto tumefatto, stabilì che l’imputato non poteva accedere agli arresti domiciliari (e non che se fosse stato albanese i fatti di mala giustizia sarebbero stati meno gravi), per continuare col rifiuto di chiamare l’avvocato da lui indicato, proseguendo coll’interdizione ai suoi familiari di vederlo quando è già in ospedale, terminando col suo corpo abbandonato morente in un reparto detentivo ospedaliero mentre strenuamente con lo sciopero della fame cerca di esistere come essere umano portatore di diritti inalienabili.

Siamo nel paradosso di un omicidio riconosciuto come tale dalla magistratura, tuttavia senza colpevoli riconosciuti. Con un’altra certezza: i colpevoli appartengono ai corpi dello stato, cominciando dai carabinieri, continuando con gli agenti di Polizia Penitenziaria, qualcuno lo picchiò procurandogli gli amatomi che tutti abbbiamo visto e le fratture certificate dall’autopsia, quindi con gli infermieri e i medici che non lo curarono. I colpevoli appartengono ai corpi dello stato che in una catena omertosa si sono protetti a vicenda. Con la vergogna finale documentata da una foto (riportata qui sotto) che sta facendo il giro del mondo, quei diti medi alzati dagli inquisiti rivolti in segno di scherno verso i familiari e gli amici di Stefano Cucchi presenti in aula. dopo la lettura della sentenza assolutoria.

 

 

Così viene subito in mente l’applauso che al congresso del SAP, sindacato autonomo di Polizia, la platea tributò ai poliziotti condannati per l’ assassinio di Federico Aldrovandi, un altro morto per mano di qualche agente delle forze di polizia, in una lista che sta diventando sempre più lunga e insopportabile.

E infatti il SAP non poteva mancare per bocca del suo segretario Gianni Tonelli che dichiara “Tutti assolti, come è giusto che sia. In questo Paese bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze. Senza che siano altri, medici, infermieri o poliziotti in questo caso, ad essere puniti per colpe non proprie”. Sono parole che vanno lette e rilette onde coglierne la portata. In esse il Tonelli riferendosi al caso Cucchi, configura una giustizia  dove esistono persone – i dannati della terra – che per la loro “vita dissoluta” e poichè vivono al “limite della legalità” naturalmente dopo essere entrate vive in galera, cioè deprivate della loro libertà e sotto la responsabilità dello stato, finiscono morte non per suicidio: la giustizia non è, per il nostro, eguale per tutti, esistonoi i condannati per loro natura, sia il colore della pelle, la povertà economica, l’essere stranieri extracomunitari, la religione, la marginalità, i drop out. E’ agghiacciante specie se si pensa che il Tonelli è un poliziotto, cioè un uomo autorizzato all’uso delle armi e della forza, per di più segretario di un sindacato  i cui iscritti, immagino, si muovono sulla falsariga delle sue parole e concezioni.

Per non farci mancare niente il SAPPE, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, ha denunciato Ilaria Cucchi, sorella di Stefano,dichiarando che ”L’insieme delle dichiarazioni diffuse da Ilaria Cucchi pare, con ogni evidenza, voler istigare all’odio e al sospetto nei confronti dell’intera categoria di soggetti operanti nell’ambito del comparto sicurezza, con particolare riferimento a chi, per espressa attribuzione di legge, si occupa della custodia di soggetti in stato di arresto o detenzione”, Ecco un esempio da manuale del mondo alla rovescia: chi chiede giustizia viene accusato di istigare all’odio, da un sindacato, sia pure di poliziotti carcerieri. Già il sindacato, i sindacati di polizia.

Da giovane collaborai con Franco Fedeli, direttore della rivista Ordine Pubblico che ebbe l’idea iniziale, a costruire i primi nuclei di poliziotti che si riunivano e assumevano iniziative in funzione della fondazione del sindacato rivendicando innanzitutto la smilitarizzazione del corpo. Non era una mia privata iniziativa ma una azione politica nel quadro dei Proletari In Divisa, i PID, una articolazione di Lotta Continua per l’organizzazione democratica dei soldati di leva, e più, in generale nei cosidetti corpi separati dello Stato, tra cui anche le forze di polizia. Furono tempi paradossali in cui sovversivi dichiarati si incontravano con agenti e ufficiali di polizia in modo riservato, per non dire clandestino, mentre prendeva corpo un movimento che traversava molte espressioni della forza armata statuale. I soldati di leva innazitutto che tra gli applausi parteciparono in divisa a alcuni cortei del primo Maggio,  nonchè fecero quello che, con un po’ di retorica, chiamammo sciopero generale del rancio, nello stesso giorno rifiutando il vassoio del cibo in molte caserme italiane da Nord a Sud , ma poi anche i sottufficiali dell’aviazione, e appunto i poliziotti. Poteva capitare che andando a trovare un ufficiale della polizia di stato in caserma incrociavi nel cortile alcuni agenti che leggevano Lotta Continua, oppure che a una riunione stringevi la mano a qualcuno con cui ti eri scontrato a muso duro nel corso di una manifestazione. L’idea portante era che sviluppando l’autorganizzazione dal basso per ottenere alcuni diritti come quelli sindacali per la polizia, una volta smilitarizzata, smilitarizzazione e costituzione del sindacato andando di pari passo, e/o per i militari dell’esercito il diritto a eleggere organi di rappresentanza, la democrazia sarebbe finalmente entrata nelle caserme, e quindi anche nei comportamenti delle persone preposte per mestiere e dovere all’uso della forza. Insomma la convinzione era che quanto più i poliziotti fossero diventati lavoratori come gli altri, quindi sindacalizzati, tanto più sarebbero stati civili e democratici nell’esercizio delle loro mansioni.

In qualche modo, e per vie traverse, questa idea veniva anche dalla famosa poesia di Pasolini a favore degli agenti, appunto lavoratori e dei più bistrattati, che erano intervenuti a sgomberare la facoltà di architettura a Roma in quel di Valle Giulia quando gli studenti – tra cui un giovane e combattivo Giuliano Ferrara – si batterono affrontandoli in scontri particolarmente duri, se non sanguinosi. Per me fu anche una esperienza che chiamerei antropologica. Mio bisnonno repubblicano mazziniano fece dieci anni di fortezza come, non so perchè, si diceva allora, avendo tagliato col rasoio un orecchio a una delle guardie venute per arrestarlo, mentre una seconda la gettò fuori dalla finestra. Uno dei miei nonni bracciante anarchico fu condannato a morte due volte e durante il fascismo messo in galera innumerevoli volte, l’altro minatore socialista ebbe una mano massacrata dai calci del fucili dei carabinieri, durante uno sciopero, rimanendone invalido, quindi disoccupato e nella lista nera dei padroni per il resto della vita. Tralascio gli  altri parenti perchè è più o meno la stessa storia in un susseguirsi di persecuzioni tra prigioni e campi di concentramento fino a mia madre comunista arrestata dalla polizia di Scelba, aggiungendo che non fu mai gente che porgesse l’altra guancia. Così ero curiosissimo di scoprire questi “sbirri”, anzi come si dice in Romagna, birri, e che alcuni la pensavano quasi come dei comunisti, molti erano onesti, parecchi volevano qualche diritto in caserma e durante il servizio, mentre altri erano “inquinati” dall’esercizio della violenza/prepotenza e qualcuno dichiaratamente fascista. Ma anche per costoro avevo fiducia che il possibile e futuro sindacato avrebbe avuto una funzione educativa in senso democratico, o almeno di contenimento delle pulsioni più reazionarie e autoritarie. Una volta discutendo, un ufficiale per dir così della parte avversa ebbe a dirmi grosso modo riferendosi ai suoi uomini, lei vuole la smilitarizzazione ma sa per tenerli a freno è necessaria la dura disciolina da caserma, sono dei bruti, proprio così disse: dei bruti, e io risposi scandalizzato e polemico, mai e poi mai pensando allora che venisse fuori un sindacato come il SAP, o il SAPPE, non solo corporativo  e reazionario ma che mi pare sconfinare nell’omertà e copertura rispetto a comportamenti criminali fino all’omicidio con motivazioni simil razziste, e c’è da averne i capelili dritti in testa. Per fortuna esiste anche l’agente Francesco Nicito della questura di Bologna che scrivendo a L’Espresso dice “Servo lo Stato da 26 anni, soltanto grazie a un prudente disincanto che mi permette ancora di sopravvivere tra le pieghe di quel medesimo nulla costituito per lo più da ingiustizie, bugie, miserie umane, silenzi, paure, sofferenze” quindi pubblicamente chiedendo scusa alla famiglia Cucchi “per questo oltraggio infinito”, denunciando infine l’esistenza di “regolamenti di servizio che impongono e mitizzano l’obbedire tacendo”. Stupisce invece il silenzio degli altri sindacati di polizia, ce ne è una miriade (S.I.A.P, UIL Polizia, Coisp, UGL Polizia di Sato, Consap, Silp, forse qualcun altro ancora) salvo il SIULP che molto cautamente però  qualche distanza la prende dal SAP.

Il movimento per il sindacato di polizia ebbe anche il suo eroe nella persona del capitano Salvatore Margherito in forza al II battaglione celere di Padova, ben noto per la violenza dei suoi interventi contro i manifestanti. Margherito la scoperchiò questa violenza, anche nei suoi aspetti illegali, con una pubblica denuncia venendo prima arrestato, il 24 agosto 1976, imputato di attività sediziosa, violata consegna e diffamazione aggravata delle istituzioni militari in particolare a mezzo stampa con lettere a Ordine Pubblico e al quotidiano Lotta Continua, quindi processato, tra il 15 e il 28 settembre dove non si tira indietro tantomeno ritratta anzi rincara la dose, venendo  condannato in primo grado a un anno quattro mesi e venti giorni con la condizionale, la sospensione dal servizio nonchè dal grado. Ma ormai il percorso della smilitarizzazione è tracciato compiendosi nel 1981, mentre nel 1980 al cinema Adriano di Roma nasce ufficialmente il SIULP che ben presto si frantuma nei molti sindacati di polizia. A questo punto una domanda s’impone: come è potuto accadere che oggi i sindacati di polizia su questioni decisive come l’incolumità di chi viene fermato e/o arrestato, siano degenerati fino alle posizioni corporative e omertose rispetto a azioni criminali che abbiamo visto in questi giorni a proposito dell’omicidio di Stefano Cucchi, o ieri per l’assassinio di Federico Aldrovandi. Già ci furono gli avvenimenti di Genova nel  2001 con l’uccisione di Carlo Giuliani, i pestaggi indiscriminati in piazza, il massacro di chi dormiva alla Diaz, sub specie di detenzione di molotov in numero di due appositamente portate invece da qualcuno appartenente alle stesse forze di polizia, fino alle vere e proprie torture ai fermati rinchiusi nella caserma di Bolzaneto.

Forse è venuto il momento di riprendere un discorso sulla democrazia dei corpi separati dello stato, in modo urgente perchè i morti e i maltrattati cominciano a essere veramente troppi. E la situazione rischia di peggiorare come mostrano le cariche e le manganellate agli operai siderurgici che manifestavano contro i licenziamenti a Roma.

 

 

Allegato uno: Siamo stufi di essere trattati come animali da fiera

Lettera di alcuni agenti del 2 Celere di Padova a Lotta continua pubblicata l’ 11 agosto 1976

 

Ancora una volta nel secondo Raggruppamento Celere, la bieca reazione fascista ha avuto il sopravvento sul dialogo, sull’incontro delle parti, dell’esposizione democratica di nuove idee aventi l’unico scopo di attuare una seria e impegnata riforma. Per l’ennesima volta si sono messi a tacere i fermenti che ci animano, con l’attuazione di minacce, intimidazioni e trasferimenti. Bollati dal maggiore Mangano di essere “sovversivi”, “rivoluzionari”, fummo a suo tempo messi in guardia a continuare in determinati nostri atteggiamenti. Ora il nostro “ducato” potrà dormire sonni  tranquilli come lui aveva previsto “novella Cassandra”, premonitore di future avventure, ci ritroviamo trasferiti da Padova a Milano.

Sarebbe ora di finirla con simili stantii personaggi, con la nostra partenza sicuramente il secondo Raggruppamento Celere acquisterà senz’altro nuovo mordente e vigoria e il nostro “dux” potrà recuperare quel prestigio perso da quando gli hanno vietato di menare gli operai in piazza. Già a suo tempo chiedemmo l’allontanamento di simile nefasta persona, messosi in luce per i suoi atteggiamenti provocatori, antidemocratici. Il nostro “capomanipolo” ha sempre rifiutato qualsiasi forma di colloquio, ed ora ha tratto nuova linfa dal valido aiuto del pari grado Bertolino, il quale con sicura  azione di comando ha cacciato una guardia dal suo ufficio con un “fuori dai coglioni” perché ha osato chiedere spiegazioni del suo trasferimento.

Siamo stufi di essere trattati come bovini da fiera sbattuti da una città all’altra col solo pretesto di avere idee diverse da chi vorrebbe tenerci, chiassi per quanto tempo, confinati in questo ghetto di caserma, che si risolve in un confino anche dal punto di vista ideologico.

Per noi non è mai esistita alcuna forma di stato giuridico, siamo semplicemente dei numeri, sia quando dobbiamo starcene buoni e in silenzio per servizi che arrivanofino a 20 ore, sia quando veniamo squinzagliati come cani da presa in tutte le piazze d’Italia alla caccia del “famigerato rosso”.

Noi lavoratori in divisa da poliziotto non cerchiamo più la comprensione o la commiserazione, bensì la solidarietà di tutti i lavoratori e dei giovani democratici come noi. La scelta della sede dove si preferisce prestare servizio, il pagamento delle ore di straordinario effettivamente prestato, un adeguato rimborso dei servizi di ordine pubblico fuori sede e, per ultima ma principale cosa, una maggiore democratizzazione dell’ambiente di lavoro sono i principali obiettivi che tutti noi ci proponiamo per porre le basi per la nascita di quel movimento sindacale ormai da molto auspicato.

Consapevoli delle nostre azioni non saranno certamente le minacce di un un qualsiasi Mangano a fermare la nostra avanzata, vuol dire che d’ora in poi , avremo un motivo in più per riaffermare le nostre idee e rafforzare quell’intima convinzione che, domani, ci sarà la forza di rendere partecipi a questi nostri progetti molti atrio colleghi

 

 

Allegato due: Chi protesta all’interno del 2 Celere di Padova è reo di Diffamazione militare aggravata

Lettera dei celerini di Padova inviata e pubblicata da Lotta Continua l’11 agosto 1976

 

Per la diffamazione militare aggravata in concorso “per avere in giorni imprecisati dell’agosto 1976 recapitato al movimento politico “Lotta Continua” sezione di Padova una lettera da pubblicare concernente tra l’altro l’attribuzione ai superiori di una bieca reazione fascista estrinsecantesi in atti di intimidazione nel trasferimento., la definizione del maggiore M. quale “antidemocratico, capomanipolo”; la considerazione che il medesimo “avesse perso credibilità e prestigio da quando gli fu impedito di menare gli operai in piazza”, lettera che veniva pubblicata in data 11 agosto 1976, ritenuta offensiva della reputazione degli indicati superiori, con l’aggravante per il Margherito di avere commesso il fatto in concorso con inferiori. Lettera titolata “Siamo stufi di essere trattati come animali da fiera” che riproduciamo.

 

 

Allegato tre: Contro i gerarchetti padovani

Lettera di un gruppo di agenti appartenenti al 2 Reparto Celere di Padova al mensile Ordine Pubblico pubblicata nel numero di agosto 1976

 

Il mensile Ordine Pubblico nel numero del luglio – agosto 1976, pubblicò l’ennesima lettera di protesta dal titolo “Gerarchetti padovani” che ricostruiva con particolari inediti l’episodio dell’ammutinamento di un contingente del Reparto avvenuto pochi mesi prima. La pubblichiamo integralmente.

“Siamo degli agenti appartenenti al 2° Reparto Celere di Padova, scriviamo per denunciare un grave episodio di intolleranza e di abuso da parte di alcuni ufficiali e dirigenti. Mercoledì 7 luglio sessanta di noi sono stati messi a disposizione della questura di Venezia sin dalle ore 6 del mattino per uno sgombero di appartamenti da effettuare a Mestre.
Seguendo la prassi tipicamente militare, siamo stati svegliati alle 4:30 e alle 5:45 eravamo già sul posto. Lì venimmo a sapere che gli appartamenti da sgomberare erano della Cassa di Risparmio di Venezia e che erano vuoti da circa otto anni. Erano stati da poco occupati da senzatetto tra i quali anziani, bambini e una donna in stato interessante: insomma, tutta gente alla disperata ricerca di un alloggio alla portata delle loro condizioni economiche.
L’operazione di sgombero, tutta di marca militare, si protraeva sino alle 15 e data la “pericolosità dei facinorosi” non ci è stato dato il tempo neanche di mangiare un panino.
Alle 15 il questore ci metteva in libertà. Sulla strada del ritorno, nei pressi del casello autostradale di Padova, ci veniva comunicato via radio di tornare a Mestre perché la situazione stava diventando critica. Nessuno di noi si sentiva felice e contento di obbedire a quell’ordine: eravamo tutti digiuni e con dieci ore di servizio sulle spalle, svolte sotto il sole.
Per queste ragioni tutti gli autisti hanno accostato le vetture al ciglio della strada protestando contro questo incredibile abuso che violava le note direttive e le circolari ministeriali.
Per radio il maggiore S.M. Si lasciava andare a delle vere e proprie invettive, urlando e imprecando con frasi, la più pulita delle quali è stata: “Miserabili e zamarri!” e ingiungendoci di tornare sul luogo di servizio a Mestre. Dopo 15 minuti di indecisione abbiamo deciso di aderire all’ordine. Appena giunti per la seconda volta a Mestre, lo stesso signor Questore ci comunicava che tutto era stato un falso allarme e che quindi potevamo rientrare a Padova. Alle 17:30 eravamo in caserma per pranzare ma alle 18, come da regolamento, dovevamo anche cenare. Eravamo tutti stanchi e sdegnati per il trattamento vessatorio subìto per circa 13 ore. Il tutto dopo 30 giorni di campagna elettorale fatta stando dietro agli spostamenti dell’on. Almirante, sbattuti quotidianamente da una città all’altra con 10-15 ore di servizio. La stanchezza, i piedi e le gambe doloranti, la schiena a pezzi hanno avuto la meglio sulla fame e ci siamo gettati sul letto anziché andare a mensa. A questo punto si è presentato il solito gerarchetto, il maggiore S.M. Che ci ingiungeva di consumare almeno la cena dicendoci che poi ci sarebbe stato rimborsato il pranzo. Nel darci l’ordine di recarci a mensa, minacciava come al solito trasferimenti a Milano così come era accaduto due anni prima in un’occasione consimile. A queste ingiunzioni di pretta marca fascista noi rispondevamo con un fermo ma democratico rifiuto.

A questo punto il maggiore M., aiutato da un suo parigrado, insisteva nell’invitarci a mensa dove lui ci avrebbe atteso, elenco nominativo alla mano. Dopo averci radunato nella sala mensa, a gambe larghe, strillando come un ossesso ci chiamava “vigliacchi” e ci invitava, davanti a lui, a non dire nemmeno una parola. A questo atteggiamento abbiamo risposto depositando i vassoi del cibo e allontanandoci dal locale mensa. Questo – a nostro avviso – è un episodio estremamente grave, lesivo della dignità di qualunque democratico e comunque dichiaratamente contrario ai più elementari diritti umani e civili. Fatti come quello cui abbiamo accennato sono troppo frequenti nel nostro reparto, governato da uomini che rispecchiano fedelmente quelli del trascorso regime fascista.

Noi poliziotti del 2° Reparto Celere chiediamo che sia aperta un’inchiesta ministeriale sull’accaduto e che sia preso il provvedimento di allontanamento nei confronti del questore di Venezia (non nuovo a queste azioni sconsiderate), del maggiore M. per la tracotante arroganza e villania nei nostri confronti e infine del ten. col. Ricciato, responsabile del totale disordine dei servizi e delle condizioni di noi poliziotti costretti a servirci di camerate, mensa, servizi che sono dei veri e propri letamai. Eppure il giorno della Festa della Polizia si è trovato il tempo e gli uomini per abbellire…il campo ove doveva svolgersi la cerimonia celebrativa.
Il clima esistente qui da noi certo non facilita il costruttivo colloquio coi nostri superiori di cui si sente tanto parlare. Qualsiasi idea, critica, suggerimento, richiesta di confronto che esprimiamo viene considerata “ribellione”, “sovversione” e vengono minacciati trasferimenti. Ma da parte superiore, però, si tollerano frequentazioni e contatti pericolosi di alcuni nostri colleghi coi fascisti di via Zabarella. Unica eccezione, tra gli ufficiali, è il cap. Margherito che ha compreso la nostra situazione e cerca di trattarci come esseri umani e non come lebbrosi”.

 

I DISEGNI RELATIVI AGLI ALLEGATI SONO DEL NON DIMENTICATO ROBERTO ZAMARIN  (ROMA 1940. AUTOSTRADA DEL SOLE 1972) CHE INVENTO’ IL PERSONAGGIO DI GASPARAZZO OPERAIO MERIDIONALE IMPIEGATO ALLA FIAT DI TORINO. QUESTE VIGNETTE SONO STATE PIU VOLTE PUBBLICATE DA “INCHIESTA” AGLI INIZI DEGLI ANNI ’70 E QUANDO ZAMARIN MORI IN UN INCIDENTE STRADALE LA NOTTE DEL 19 DICEMBRE SULL’AUTOSTRADA DEL SOLE VICINO AD AREZZO IL DIRETTORE DI INCHIESTA SCRISSE UN EDITORIALE PER RICORDARLO.

 

 

 

 

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Category: Carceri, Politica

About Bruno Giorgini: Bruno Giorgini è attualmente ricercatore senior associato all'INFN (Iatitutp Nazionale di Fisica Nucleare) e direttore resposnsabile di Radio Popolare di Milano in precedenza ha studiato i buchi neri,le onde gravitazionali e il cosmo, scendendo poi dal cielo sulla terra con la teoria delle fratture, i sistemi complessi e la fisica della città. Da giovane ha praticato molti stravizi rivoluzionari, ha scritto per Lotta Continua quotidiano e parlato dai microfoni di Radio Alice e Radio Città. I due arcobaleni - viaggio di un fisico teorico nella costellazione del cancro - Aracne è il suo ultimo libro.

Comments (1)

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  1. paolo ha detto:

    Buongiorno,

    segnalo un’altra attività che stiamo portando in porto qui ad Herat noi Carabinieri

    http://www.ladigetto.it/permalink/39567.html

    cordiali saluti,

    p.s. prego non citare mio nome

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