Bruno Giorgini: La sconfitta della sinistra

| 7 Maggio 2013 | Comments (0)

 

 

Muore Andreotti, nasce Letta. Non avrei voluto morire democristiano. Forse morirò demoberlusconiano, nel nostro attuale panorama politico la scelta essendo al più tra la padella e la brace. L’ultima tornata elettorale, il suo sbocco istituzionale e di governo rappresentano una sconfitta secca, brutale, della sinistra in tutti i suoi sensi: riformista, rivoluzionaria, alternativa, critica, libertaria e quant’altro. La sinistra e il centrosinistra, quella sociale, quella politica, quella sindacale.

Cominciamo da quella sociale, i movimenti cosidetti. A guardare i risultati in Valsusa,  area dove sono attivi i Notav, divenuti simbolo della resistenza e dell’autorganizzazione, salta agli occhi la straordinaria avanzata del M5S. Lo stesso vale nei quartieri operai torinesi, all’Ilva di Taranto, nel Sulcis in Sardegna, nei comitati per l’acqua pubblica, eccetera. Si può dire che la scelta dei movimenti, compresa larga parte del movimento operaio, non è stata di votare per la coalizione di centrosinistra e/o le forze di sinistra, bensì per un partito/movimento che esplicitamente si dichiara nè di destra nè di sinistra, ma oltre. Essi movimenti hanno evidentemente valutato in maggioranza che la sinistra non volesse, o non potesse, rappresentarli: comunque che fosse, la sinistra, meno affidabile e/o meno adeguata a  raccoglierne contenuti e istanze rispetto al M5S e a Grillo. Intanto sarà bene fare i conti con questa prima ineludibile verità: proprio laddove la sinistra, ripeto: in tutte le sue accezioni, avrebbe dovuto trovare il suo terreno più fertile e propizio perchè si erano espresse e sviluppate lotte sociali di base contro le privatizzazioni, contro il degrado del territorio, per i beni comuni, ebbene là è stata battuta da un movimento come quello di Grillo e Casaleggio. Un fenomeno che si è verificato su scala nazionale, al nord quanto al sud, senza dimenticare le un tempo regioni rosse del centro. Così a livello elettorale SEL e Rivoluzione Civile sono entrambe rimaste sotto la soglia del 4%, veramente poco, anche se SEL in virtù dell’accordo col PD ha un gruppo di rappresentanti in parlamento. Certo molte ragioni si possono trovare per spiegare questa debacle, Rivoluzione Civile era per un verso sgangherata, per l’altro burocratizzata ante litteram, e questa specie di gioco dell’oca con un magistrato, De Magistris, che ne lancia un altro, Ingroia, per eleggerne un terzo, Di Pietro, sfiorava il ridicolo, mentre su SEL ha pesato il fatto di essere percepita come ruota di scorta del PD, per coprirlo a sinistra senza alcuna reale carica innovativa, e altre ragioni contingenti e specifiche ancora ci sono, ma non credo basti. Se poi andiamo dalle parti del partito di centrosinsitra, un fiume di voti si è travasato nel giro di una settimana dal PD a al M5S, una inondazione che nessuno ha visto arrivare. Anche qui molte cause contingenti possono essere indicate, ma mi pare ci sia ben altro sotto.

Quindi, sul piano istituzionale e di governo, la sconfitta è diventata per il partito di centrosinistra PD un vera e propria catastrofe. Nel giro di poche settimane il PD ha autoaffondato Bersani, il segretario leader eletto con milioni di voti alle primarie, e Prodi uno dei padri fondatori, ritrovandosi con Napolitano II, che poco importa avesse giurato e spergiurato che mai e poi mai si sarebbe ricandidato (però qualcuno avvertito non gli credette, per esempio Ugo Mattei sul manifesto già a metà aprile lo indicò). Una operazione di restaurazione da manuale che ha aperto la strada al governo democristian-berlusconiano dei Letta, nella cui compagine gli exDS (democratici di sinistra) sono stati annichiliti, con qualche strapuntino expost.  Così abbiamo il governo di larghe intese e/o dell’inciucio che in campagna elettorale era stato tassativamente escluso più e più volte con toni tra il solenne e lo scandalizzato, perdendo così il PD anche l’onore, governo  tra le cui braccia gli uomini e le donne del PD si sono precipitati quasi come una liberazione, inducendo nell’osservatore il sospetto che l’insano abbraccio con Berlusconi fosse in incubazione già da tempo, e che sicuramente ha trovato nella regia di D’alema contro la candidatura di Prodi la molla per venire interamente alla luce. Non è, si badi bene, il compromesso storico e/o l’unità nazionale di berlingueriana memoria quando il PCI era vivo e vegeto, e di massa, ma qualcosa di peggio per la sinistra riformista: la sua cancellazione, e l’affermazione netta della cultura democristiana che si confronta con la cultura della destra, in un corpo a corpo dentro il governo (chissà se D’alema che di sinistra mai fu, aveva previsto anche questo).

Se ci volgiamo adesso al sindacato, ecco che le grandi intese diventano subito un nuovo tipo di unità sindacale, per cui il sindacato da strumento di organizzazione autonoma dei lavoratori per i diritti, l’occupazione e il salario, diventa appendice statuale cogestore delle flessibilità estreme sul mercato del lavoro e nell’organizzazione della produzione, nonchè garante della pace sociale dentro e fuori le fabbriche, avendo cancellato dal suo orizzonte ogni conflittualità, e un  assaggio lo abbiamo avuto il primo maggio.

Facendo un rapido riassunto dello stato dell’arte, tutte le culture della sinistra come uscirono dalla Resistenza oggi non esistono più. Lo stesso dicasi per le culture politiche generate dal ’68. Scancellata già con le elezioni del ’48 la cultura azionista erede di Giustizia e Libertà, anche se di tanto in tanto fa capolino in persone come Zagrebelsky, Rodota, Flores d’Arcais, annichilita la cultura socialista che col governo di centrosinistra Moro Nenni, e quelli che lo seguirono, contribuì in modo essenziale a riforme come la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la riforma delle pensioni, il sistema sanitario nazionale, la legge statuto dei lavoratori, in un rapporto a volte duro e conflittuale, a volte di mediazione, sia coi movimenti operaio e studentesco sia col PCI. Ma poi il PSI si è immelmato con Craxi, e il resto della sinistra, essenzialmente il PCI, ma anche la sinistra estrema, non capirono quale tragedia fosse la scomparsa del PSI, e della cultura socialista. Basti pensare una città come Milano un tempo piena di circoli, fondazioni, istituzioni culturali di ispirazione socialista, desertificata lasciando uno spazio vuoto, occupato non dal PCI e/o dai rivoluzionari (si fa per dire) come qualche imbecille pensava possibile, ma dalla Lega e da Forza Italia. Infine è stata la volta della cultura comunista prima erosa, quindi scalzata, infine spazzata via,  e quale contrappasso migliore poteva esserci che l’artefice finale di questa operazione fosse un ex-comunista come Napolitano, il Presidente della Repubblica che spazza via anche i rimasugli del riformismo emiliano, una costola, l’ultima, del vecchio corpo ormai disarticolato. Il Presidente che umilia Bersani dandogli un incarico che non è un incarico ma un boccone avvelenato che per un verso lo strangoli, e per l’altro lo metta alla berlina. Non si era mai visto nella storia repubblicana un tale malcelato disprezzo della prassi, se non dell’onore, quanti onori perduti inquesta vicenda,  costituzionale, verso un “incaricato” che incaricato non era, in nome di un segreto rancore forse, oppure di un disegno politico chiaramente reazionario e restauratore, come spesso accade agli excomunisti, che spretati diventano più realisti del re.

Quindi la sconfitta della sinistra è inequivocabile su tutti i fronti. Sconfitta non tattica ma strategica, nella società, nella politica, nelle istituzioni. Fino a doversi porre la domanda, ma serve ancora una sinistra per affrontare i problemi economici sociali politici di oggi. Libertè egalitè fraternitè della rivoluzione francese, l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo di Marx, una società multietnica e multiculturale dei movimenti antirazzisti, la differenza sessuale del movimento femminista, un nuovo contratto di eguaglianza tra gli esseri umani e la natura dei movimenti ecologisti, la volontà di pace, tutti questi valori che costituiscono il patrimonio della sinistra possono ancora farsi politica, incarnarsi in una  forza politica, in uno o più partiti? Oppure il tentativo di configurare una politica di sinistra equivale più o meno a pestare l’acqua in un mortaio, e quindi per chi vuole rimane soltanto l’impegno a livello sociale e civile in associazioni varie da Amnesty a Emergency, dai comitati per l’acqua pubblica a quelli per il riciclo dei rifiuti o per una mobilità sostenibile, da occupy wall street alla citizens science, e altri ancora ce ne sono talchè l’elenco sarebbe troppo lungo. Si può anche scegliere di andarsene dall’Italia come annuncia in via di ipotesi per esempio Luciano Gallino sul Manifesto, e come già fanno migliaia di giovani, soprattutto ricercatori e studenti, ogni anno.

Perchè la ultraventennale egemonia della destra e la parallela vicenda della distruzione della sinistra italiana organizzata, con l’inquinamento di tutti i rapporti sociali, la loro frantumazione e degenerazione egoistica fino a ammorbare la stessa aria che respiriamo, è specificamente italica. Nel resto d’Europa esistono partiti socialisti, socialdemocratici, comunisti, di nuova sinistra, laburisti, e capita persino che vincano le elezioni e che governino, cosa da noi mai accaduta in oltre cento anni di storia, al massimo abbiamo avuto governi di centrosinistra. E laddove funziona una alternanza tra destra e sinistra si vive molto meglio, la democrazia è più ariosa, i diritti più ampi, le libertà più estese, la scuola e la ricerca migliori.  Ogni tanto anche lì succede che la sinistra subisca sconfitte durissime ma, per esempio, quando la SFIO, il partito socialista francese, letteralmente si dissolve, Mitterand fonda un piccolo partito, che non va oltre il 2%, ma che poi, in congiunzione col maggio ’68, diventa il nucleo del Partito Socialista che rinasce nel 1971 e lo porta a conquistare nell’ 81 la Presidenza della Repubblica con la sinistra unita – Radicali, PS e PCF – nel programma comune.  Gia Gramsci interrogandosi sulla forza del fascismo e sulla simmetrica debolezza della sinistra in Italia, tentava una risposta nella mancata rivoluzione borghese, e industriale, e nella frattura, la discrasia, tra nord e sud Italia,  la questione meridionale ancor oggi irrisolta.

Comunque per l’intanto credo sarebbe importante capire per esempio quale microdinamica sociale invisibile ha prodotto il macroscopico tsunami grillino, e quali forme di aggregazione sociale stanno nascendo, così come sia mutata la natura del lavoro, e dei lavoratori, e se sia possibile costruire una strategia di ricomposizione dei lavoratori in grado di contrastare la frammentazione, nonchè quale rapporto uomo natura possiamo immaginare che tenga conto del limite in cui siamo confinati, questa terra che non è un reservoir infinito di materie prime, di energia, di acqua, di suolo eccetera, ma è inesorabilmente finita. Senza abbandonare i luoghi e momenti di mobilitazione parziale che volta a volta si presentano. Ma credo che l’intelligenza collettiva necessaria anche soltanto per capire non possa darsi nell sua generalità senza cominciare la costruzione  di un partito. Non sarà cosa di domani, nemmeno di dopodomani. Ma se non si comincia a mettere la prima pietra, la città della sinistra nel nuovo secolo non sarà mai costruita.


 

Category: Elezioni politiche 2013, Politica

About Bruno Giorgini: Bruno Giorgini è attualmente ricercatore senior associato all'INFN (Iatitutp Nazionale di Fisica Nucleare) e direttore resposnsabile di Radio Popolare di Milano in precedenza ha studiato i buchi neri,le onde gravitazionali e il cosmo, scendendo poi dal cielo sulla terra con la teoria delle fratture, i sistemi complessi e la fisica della città. Da giovane ha praticato molti stravizi rivoluzionari, ha scritto per Lotta Continua quotidiano e parlato dai microfoni di Radio Alice e Radio Città. I due arcobaleni - viaggio di un fisico teorico nella costellazione del cancro - Aracne è il suo ultimo libro.

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