Barbara Gruning: Costituzione via maestra, oltre l’evento

| 22 Ottobre 2013 | Comments (0)

 

 

 

 

Barbara Gruning è ricercatrice precaria del Coordinamento precari Flc Cgil

 

Dubbi su una manifestazione in difesa della costituzione inizialmente c’erano. Non certo per la Costituzione in quanto principio del nostro ordinamento democratico, piuttosto era l’idea di mettersi ancora nella posizione di dover difendere qualcosa a creare scetticismo. E perché a lanciarla era un gruppo di ‘saggi’, con tutto rispetto per il loro impegno pubblico e per aver promosso un’iniziativa in una fase di semi-paralisi istituzionale e di immobilismo civico. In quell’annuncio si sentiva però l’assenza, debolezza e stanchezza di una o più generazioni. Quelle socializzatesi politicamente dopo la caduta del muro sulle macerie camuffate della prima repubblica italiana. Quelle che quando sono state protagoniste, da Genova 2001 a Roma 2011 passando per le proteste contro la riforma Gelmini del 2010, hanno in parte assunto come proprio il sapore della sconfitta e della frustrazione.

Ma un segnale è pur sempre un segnale, anche se non si ha fiducia che indichi effettivamente una svolta. E quel segnale, con più o meno scetticismo, è stato infine accolto anche dalle ultime generazioni, dai minorenni delle scuole superiori agli ‘storicamente’ giovani, ormai trentenni o quarantenni che, per esperienza, diffiderebbero di certi eventi. Ma gli eventi sono anche e sempre uno spazio di possibilità, richiamano l’idea di un inizio. Così come l’annuncio di un evento è già, di per sé, avvio di un processo, di costruzione di un nuovo spazio sociale, seppure questo si riveli poi effimero e di breve durata.

Ed è qui, forse, che è necessario un chiarimento, su cosa intendiamo con ‘nuovo’. Perché il ‘nuovo’, come ricordavano il 12 ottobre dal palco, quando diventa ideologia populista, supplisce da un punto di vista semantico alla vuotezza di ogni messaggio politico e da un punto di vista dell’agire all’assenza di una progettualità politica. E così il culto dell’immediato riguarda tanto il rapporto tra eletti e elettori, tra guida e popolo, quanto quello tra passato e futuro, tra esperienza e orizzonti d’attesa. Presuppone, infine, una nuova soggettività ‘antropologica’ che si sostituisce a qualsiasi soggettività politica, perché si colloca (o pretende di collocarsi) al di fuori di questo campo. Non c’era questo a Roma il 12 ottobre, non vi era nessuna entità-monade formatasi dal nulla che rispondeva ai ‘richiami della pancia’. La piazza era invece l’attuazione simbolica e transitoria di reti sociali costruitesi in precedenza sui territori attraverso discussioni e negoziazioni tra attori individuali e collettivi, sulla condivisione di qualcosa d’altrettanto artificiale, la Costituzione, fondamento della propria esistenza e del proprio agire di cittadini. Questo, in sintesi e in astratto, era quanto veniva ripetuto e reso palpabile dal palco. Questo, dando ascolto alle proprie sensazioni, quello che si provava, partiti da piazza della Repubblica per arrivare a Piazza del Popolo: un clima dalle emozioni moderate ma di intensa passione civile, dai liceali romani che in corteo giocavano con la rima costituzione-formazione, al segretario della FIOM, Landini, che ricordava il caso Fiat e le condizioni delle carceri italiane, sovraffollate.

Uno dei nodi della fase preparatoria al 12 ottobre era proprio il possibile connubio tra attori individuali e collettivi. Così almeno era risultato dalle discussioni del comitato bolognese, tra chi temeva una appropriazione dell’evento da parte di organizzazioni politiche e/o sindacali, chi criticava la loro incapacità ad affrontare le trasformazioni nel mondo del lavoro, e chi desiderava partecipare alla manifestazione con le sue plurime appartenenze sociali – dai gruppi studenteschi alle associazioni di volontariato, ai comitati per i beni comuni fino ai partiti della sinistra radicale e alle categorie sindacali Fiom e Flc – soggetti riconosciuti anch’essi dalla Costituzione come parte ‘vivente’ della società civile.

La presenza in uno Stato di corpi intermedi spinge d’altra parte a riflettere sull’invocazione che ci giunge ormai da più fronti di una democrazia diretta contro ogni forma di mediazione sociale e simbolica. Un’idea che fa perno sull’illusione di un re spoglio di ogni appartenenza e interesse politico o sociale. Un’illusione che di riflesso priva anche ciascun singolo partecipante delle proprie esperienze derivanti dai propri ruoli e dalle proprie competenze sociali e/o lavorative, siano quelli del giurista, dello studente, del sindacalista, del precario o dell’immigrato. Ossia di occultarle e rinnegarle, occultando con ciò anche le differenze fattuali di potere, per proiettare un immaginario in cui costruzioni e organizzazioni sociali risultano non tanto inesistenti, quanto privi di valore. Un immaginario che esprime con ciò anche l’irrilevanza della Costituzione, non solo perché sarebbe sorpassata nei suoi contenuti, ma perché oggetto di negoziazione del passato tra soggetti collettivi non più riconosciuti come validi.

Chi parlava dal palco affermava però qualcosa di ben diverso da questo immaginario e, al di là delle differenti provenienze sociali, professionali e geografiche, al di là delle differenti identità di genere e generazionali e al di là delle differenti appartenenze associative, sosteneva qualcosa di simile: la costituzione non va difesa, la costituzione va applicata. Ed è, come ricordava Zagrebelsky, innanzitutto una questione che concerne gli attori politici in campo: una cattiva Costituzione con un buon governo è meglio di una buona Costituzione con dei cattivi governanti. Una massima, questa, che allude non solo al pericolo che può comportare il modificare la struttura stessa della Costituzione (andando cioè a modificarne l’articolo 138), ma anche al fatto che la Costituzione, in quanto prodotto umano, patto che indica determinati processi performativi, richiama il soggetto (l’insieme dei soggetti che la Costituzione interpella) alla responsabilità del proprio agire. Sotto questa luce anche i principi contenuti nella Costituzione – purtroppo ancora inattuati, dal diritto alla formazione, al diritto alla cittadinanza, fino alla eliminazione delle disuguaglianze sociali – acquistavano quel giorno una dimensione etica differente rispetto a quella cui siamo abituati dal senso comune: non un asettico dover essere ma un dovrebbe essere che contiene in sé un principio di futuro in forma di possibilità, quella di poter operare sul reale e non, viceversa, di operare sulle fondamenta del nostro ordinamento sociale, annullando così i presupposti per poter cambiare le proprie condizioni di vita ed esercitare una critica reale e del reale.

 


 

Category: Politica, Precariato

About Barbara Gruning: Barbara Grüning (1980) è dottore di ricerca in sociologia (2009) e assegnista presso il dipartimento di Filosofia e Comunicazione, Università di Bologna, con un progetto INTERCO-SSH sulla istituzionalizzazione delle scienze sociali e umane in Europa. Fa parte della redazione delle riviste “Sociologica” ed “Ere” e collabora con l'IRES al progetto 'Ho-stage' sui tirocini formativi nella provincia di Bologna. Si è occupata di memoria e dittatura nella Repubblica democratica tedesca e delle forme di socialità negli spazi pubblici urbani. Di recente i suoi interessi di ricerca vertono sulla sociologia durante il nazionalsocialismo e sulla narrativa e sociologia dei comics. Tra le sue pubblicazioni: Memoria e riconoscimento. Il caso della Germania Orientale [in «Rassegna Italiana di Sociologia» 4/2006]; Cultura politica, vita quotidiana e memoria: il caso della DDR, [in Aa.Vv., AIS. Giovani Sociologi 2008, Scriptaweb, 2009]; Luoghi della memoria e identità collettive. La rielaborazione del passato tedesco orientale [Carocci 2010]; Diritto, norma e memorie. La Germania dell'est nel processo di transizione, [Eum 2010]; Transition, memory and narrations in the urban space. The case of East German cities, [in G. Sonda, C. Coletta e F. Gabbi (a cura di), Urban Plots, Organizing Cities, Ashgate, 2010]; The art of narrating and the question of cultural acknowledgment: the case of ‘Die Kinder von Golzow’ and a reunified Germany, [in R. Munro and M. Benson (a cura di), Sociological routes & Political roots, Wiley-Blackwell, 2011]; Narrating the cities in comics. The case of Bologna, [in «International Journal of Comics Art», 2/2011], Kommerzielle (N)Ostalgie als Vergessensform [in N. Diasio e K. Wieland (a cura di), Die Sozio-kulturelle (De-)Konstruktion des Vergessens. Bruch und Kontinuität in den Gedächtnisrahmen um 1945 und 1989, Aisthesis, 2012]; Living public spaces. New forms of collective experience of a generation «without future», [in «Rassegna italiana di sociologia», 3/2012]; Atmosfere locali: spazi e pratiche di vita urbana [Pellegrini 2012]; Suoni fuori luogo. Una cartografia acustica dei locali pubblici a Bologna, [in «Studi culturali», 1/2013]; Musica, suoni e gentrificazione della nuova Berlino, [in «Lo Squaderno», 28/2013].

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