Nello Rubattu: L’ingombrante presenza delle basi militari in Sardegna

| 20 Ottobre 2014 | Comments (1)

 

 

Diffondiamo da “Inchiesta” cartacea di luglio-settembre 2014

 

“La Sardegna, in servitù militari, paga un prezzo troppo alto rispetto alle altre regioni”. Il commento, nero su bianco è parte di un comunicato del presidente della regione Sardegna presentato in questo inizio di settembre in Consiglio regionale, riunito in seduta straordinaria per fare il punto sul grave incendio, avvenuto durante un’esercitazione militare, proprio nei primi giorni del mese di settembre, nella base di Capo Frasca, una dei poligoni militari più importanti operanti sull’isola.

Quello della presenza delle basi in Sardegna e della loro invadenza, è un dibattito vecchio. E’ dagli anni sessanta che se ne parla. La Sardegna, non bisogna mai dimenticarlo, se paragonato agli standard europei, mantiene sull’isola una popolazione esigua se paragonata alla sua estensione territoriale. Questo ha sempre favorito le esigenze delle gerarchie militari nazionali ed europee che dal secondo dopoguerra in poi, hanno concentrato buona parte delle sue basi e dei suoi poligoni sul territorio dell’isola per scopi militari.

A parte l’ingombrante presenza delle basi italiane, su quest’isola sono passati tutti gli eserciti delle nazioni che fanno parte del sistema Nato. Non è mancata poi una pericolosa presenza americana.

In Sardegna, l’arcipelago della Maddalena, condiviso con la vicina Corsica e considerato un gioiello naturalistico di prima importanza per l’intero Mediterraneo, ha ospitato una delle basi navali più importanti del sistema di difesa degli Stati Uniti: compresa la quasi totalità della loro flotta di sommergibili nucleari. Sommergibili che in questi decenni sono rimasti in buona parte nascosti nelle immense grotte che bordeggiano alcune isole dell’arcipelago.

Sempre in Sardegna, hanno sede i più importanti poligoni di tiro: a cominciare da quello di Perdasdefogu, che viene preso ogni anno in affitto da eserciti e industrie che lavorano nel campo della difesa, per provare i loro sistemi di offesa. Il poligono di Perdasdefogu fra porzioni di terra e di mare interessati alle esercitazioni e sotto stretta competenza del Ministero della difesa italiano (che lo presta ai suoi alleati Nato, i quali pagano per il disturbo direttamente allo Stato molti bei soldini), ha un area grande pressapoco la stessa isola: 23 mila chilometri quadrati. Una enormità. Di cui ai sardi spettano solo gli oneri e nessun introito.

Bisogna poi ricordare che la maggior parte di queste basi militari, occupano interi territori che si affacciano sul mare e che per buona parte dell’anno – a parte due mesi estivi – sono off limits alla popolazione e al milione di turisti che ancora prediligono l’isola per le loro vacanze.

Un problema, soprattutto ora che la Sardegna, con il crollo del suo sistema industriale, vede una parte consistente delle sue entrate derivare dall’industria turistica. Il problema della presenza delle invadenti basi militari, per questo, diventa ogni giorno più pesante.

Da molto tempo la Regione e tutte le categorie interessate – comuni, imprenditori, agricoltori, allevatori e partiti – stanno cercando di trovare una soluzione, ma il problema da risolvere non è certamente fra quelli più facili.

Inoltre non mancano i pericoli oggettivi.

Quello che succede è in parte risaputo: in mare giacciono cimiteri di bombe e di materiali molto spesso radioattivi e lo stesso capita sulla terraferma. Terraferma, dove non si contano non solo gli spezzoni di razzi, bombe, carriaggi, automezzi, ma missili e bombe ancora inesplose.

Addirittura – e lo ha portato alla luce il deputato Mauro Pili – molte di quelle battaglie simulate a forza di mortai, cannoni, carri armati, aerei supersonici con puntamenti da guerre stellari, si sono abbattuti su terreni pieni di storia distruggendoli.

Nessuno fino ad ora ha potuto protestare più di tanto: ogni volta che qualcuno si azzardava a farlo il ministero della Difesa, sollevava il problema del segreto di Stato e tutto veniva messo a tacere.

Non si contano per questo le proteste, le dichiarazioni in Parlamento, in Regione e in molti comuni dell’isola che sono rimasti lettera morta. Tutti i governi nazionali succedutisi in questi ultimi sessant’anni, hanno fatto finta di nulla.

Le classiche orecchie da mercante.

Negli anni scorsi, si è discusso molto sulle malattie provocate dai materiali bellici che venivano provati in Sardegna: le istituzioni mediche, lamentano da decenniun aumento preoccupante di tumori e altri accidenti degenerativi fra la popolazione residente e nei tribunali dell’isola sono depositate denunce circostanziate e si svolgono processi le cui motivazioni fanno venire i brividi.

Anche il mondo dell’agricoltura è in fermento: “Molte greggi di pecore, di mucche, che su quei terreni spesso vengono lasciate a pascolare nel periodo di ferma delle esercitazioni ma anche nei terreni vicini, in questi anni, sono state colpite da strane malattie: pecore con due teste o nate senza cervello o morte in maniera strana”, così ricordano dall’associazione dei pastori.

Denunce su denunce, accompagnate da lungaggini incredibili e da pool di esperti che si sono confrontati a suon di teorie e statistiche che fino a questo momento non hanno prodotto quasi nulla in termini di sentenze.

Niente, il problema è sempre rimasto con le classiche bocce ferme.

I presidenti della regione, fino a questo momento, sembravano dei tenenti Bastiani che nel deserto dei Tartari dell’immobilità burocratica, attendevano accadesse qualcosa.

Ma questo ultimo episodio avvenuto nel poligono militare di Capo Frasca, sembra essere diventato la classica goccia in grado di provocare una frana capace finalmente di squarciare il muro di sessanta anni di silenzio.

Interessante come tutto questo stia accadendo dopo l’incidente avvenuto nel poligono di Capo Frasca.

Vediamo la la cronaca.

E’ avvenuto che nei giorni 3,4 settembre, durante un’esercitazione nel poligono militare, a causa delle bombe lanciate sia scoppiato un incendio. La colonna di fumo si è vista per chilometri e chilometri e ha destato un grande interesse ed una iniziale curiosità fra quei turisti che ancora, in questo caldo settembre, popolano le coste occidentali vicine ad Oristano, provincia di riferimento dell’insediamento militare.

L’incendio è stato segnalato al corpo delle guardie forestali e a quello dei vigili del fuoco che sono intervenuti (in Sardegna ci si fa vanto di avere un buon sistema di prevenzione. Ed è vero). Ma i forestali accorsi e i vigili del fuoco sono stati bloccati ai cancelli della base: “Off limits – hanno detto i militari – nella base non si può entrare. Ci stiamo esercitando”. I forestali e i vigili non si sono dati per vinti e hanno insistito forzando quasi i cancelli e alla fine sono riusciti ad entrare. Ma oltre trentatre ettari di terreno erano già andati perduti.

La rabbia dei forestali e dei vigili è stata grande e i loro comandi hanno vivacemente protestato e sui giornali sono usciti articoli che si sono dilungati sulla descrizione dell’accaduto.

Intanto, negli stessi giorni in Parlamento, Mauro Pili, già presidente della Regione ed eletto a suo tempo nelle file del centrodestra – da cui si è negli scorsi anni clamorosamente staccato dando vita ad un suo movimento “Unidos” di impronta chiaramente sovranista – si è presentato in aula parlamentare con residui metallici di bombe e altri oggetti esplosi nel poligono. Denunciando, tra l’altro che molti siti archeologici della zona sono andati perduti nelle esercitazioni a forza di esplosivi.

I militari, hanno cercato di giustificarsi “Erano sterpaglie, bassa macchia degradata” e i forestali hanno reagito con un comunicato ricordando che la bassa macchia di cui parlavano i militari, erano alberi centenari di olivastro, stupendi ginepri, colonie di lentischi e mirti secolari.

Questo battibecco a mezzo stampa, ha costretto i militari a far entrare i giornalisti nella loro base per spiegare che spesso, le loro bombe hanno qualche difetto e invece che deflagare… prendono fuoco. Insomma anche i nostri professionisti della difesa, fanno i loro errori e quindi…”a perdonare”, come dicono in Sardegna.

La reazione politica che si è sviluppata è stata di quelle a catena: “Entro questa legislatura dobbiamo arrivare alla riduzione delle servitù militari”, ha annunciato in Consiglio il presidente della Regione Francesco Pigliaru. Il quale, descrivendo quanto accaduto nel poligono di Capo Frasca, ha anche rivelato che: “L’aviazione tedesca – a quanto pare è lei la responsabile dell’incendio – ha pagato per fare si che i suoi aerei potessero esercitarsi a Capo Frasca con i loro missili. Lo Stato prende soldi dalle forze armate straniere che sparano sul nostro territorio e la Difesa intasca il denaro per attività che impongono un costo salato alla Sardegna”.

Di quei soldi, inutile dirlo, neanche un euro è arrivato nelle casse della Regione. “I sardi come al solito ne sono venuti fuori cornuti e mazziati”, ha ricordato ironicamente, Claudia Zuncheddu, ex consigliere indipendentista, nella passata legislatura che sulle basi militari e i danni che sta producendo al territorio dell’isola, ha sempre dato battaglia.

Ma la cosa più incredibile è stato l’andamento dell’incendio: i forestali e i vigili del fuoco che cercavano di raggiungere le zone colpite, ad un certo punto si sono dovute fermare. Intorno a quel terreno, proprio a causa dell’alto calore raggiunto dalle fiamme, hanno cominciato a esplodere ordigni che facevano sicuramente parte di quelli lanciati dai velivoli tedeschi: “Hanno cominciato a scoppiare bombe a neanche cinquanta metri dei nostri mezzi di soccorso. Sembrava di essere in guerra”, hanno ricordato i forestali in conferenza stampa. Questo pericolo, li ha costretti a bloccarsi e a lasciar fare tutto il lavoro direttamente agli elicotteri della protezione sarda che hanno effettuato 86 lanci circoscrivendo l’incendio e infine spegnendolo.

Anche per questo, un presidente della Regione stizzito ha nervosamente annunciato che “In quei due giorni di intervento sono stati spesi ventimila euro: saranno inviati e fatturati al ministero della Difesa”.

D’altronde, i conti degli ettari di boschi secolari bruciati nei territori sotto vincolo militare non si contano: 440 ettari sono quelli andati in fumo nella base di Teulada, nell’estremo sud dell’isola. E proprio l’amministrazione è in lite con la base militare: “oltre ai terreni – ricordano a Teulada – le loro esercitazioni mettono in pericolo la vita dei pescatori, a cui per buona parte dell’anno, viene proibita la pesca”.

Comunque, come ricordano i giornali sardi, il ministro della difesa Pinotti, ha comunicato il blocco delle esercitazioni fino al prossimo 15 settembre…dopodiché riprenderanno. Insomma, a giudizio unanime di tutte le forze politiche una beffa.

Persino il presidente della Regione uscente, Ugo Cappellacci, è saltato su e ha rilasciato una dichiarazione di fuoco: “Il decreto sulle esercitazioni è firmato dallo stesso ministro che parla di riduzione delle servitù. Un ministro che è venuto in Sardegna snobbando la Regione e che dovrebbe essere sfiduciato». E il centrodestra ha ribadito in aula consiliare che «la questione sarda, nel rapporto con il governo Renzi, esiste. È una ferita sull’insularità, sull’energia, sulle servitù e sulle risorse, tutto ciò che crea diseguaglianza tra i sardi e gli altri cittadini».

Non si sono fatti attendere i commenti degli indipendentisti e dei sovranisti, i quali ormai formano una pattuglia numerosa in Consiglio regionale che hanno ribadito come la Regione sarda deve aprire il prima possibile un tavolo di trattative che abbia quale scopo quello della drastica diminuzione della presenza militare nell’isola: soprattutto si deve con forza richiedere la chiusura dei poligoni militari che non portano nessun giovamento alle casse regionali e aumentano semplicemente i danni ambientali.

Ultimamente, proprio gli indipendentisti e i sovranisti, insieme, avevano organizzato una conferenza stampa per chiedere scusa ai palestinesi, perché le bombe che in questo periodo venivano lanciate sulle loro città, le loro scuole e i loro ospedali dagli aerei israeliani, erano state testate in Sardegna: “Noi, come popolo e come voi, subiamo la pressione militare e le nostre proteste fino a questo momento non hanno avuto nessuna risposta”

Gavino Sale, leader storico degli indipendentisti, ha ribadito in questi giorni che è tempo di indire un referendum consultivo: “Non è difficile – hanno ribadito in aula consiliare – sono sufficienti venti firme di consiglieri regionali. E’ ora che il nostro popolo dica chiaramente cosa ne pensa di questa continua aggressione”

La loro proposta è appoggiata un po’ da tutti. Solo il Pd, a quanto pare ha qualche mal di pancia.

Anche Franciscu Sedda, segretario del Partito dei sardi, si è detto d’accordo con la proposta e ha annunciato che parteciperà alla raccolta delle firme. Lo stesso ha sottolineato Angelo Caria dello storico Partito sardo d’Azione, ribadendo che “in questo momento la coesione su questa battaglia è importante”.

Mentre si svolgeva nell’aula consiliare della Regione il dibattito sull’episodio dell’incendio nel Poligono di Capo Frasca, nelle tribune riservate al pubblico, si è notata la presenza di molti sindaci e del presidente dell’Anci, Pier Sandro Arbau che ha detto molto chiaramente qual’è il punto di vista della più importante associazione dei comuni presente in Sardegna: «I sindaci – ha affermato – hanno il polso della situazione e per questo ritengono venuto il momento di pensare alle dismissioni con proposte concrete per capire quali sono le esigenze dei rispettivi territori».

Intanto, un ampio fronte di forze politiche di tutti gli schieramenti – di centrodestra, di centrosinistra , di sovranisti e indipendentisti – sabato, 13 settembre, si sono diretti verso i cancelli del poligono militare di capo Frasca, per chiedere il blocco di tutte le esercitazioni in programma.

 

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Category: Osservatorio Sardegna

About Nello Rubattu: Nello Rubattu è nato a Sassari. Dopo gli studi a Bologna ha lavorato come addetto stampa per importanti organizzazioni e aziende italiane. Ha vissuto buona parte della sua vita all'estero ed è presidente di Su Disterru-Onlus che sta dando vita ad Asuni, un piccolo centro della Sardegna, ad un centro di documentazione sulle culture migranti. Ha scritto alcuni romanzi e un libro sul mondo delle cooperative agricole europee. Attualmente vive a Bologna

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