Nello Rubattu: Sardegna, la regione più militarizzata d’Europa

| 29 Febbraio 2016 | Comments (1)

 

 

In Sardegna di posti di lavoro se ne ha bisogno come il pane e nessuno si perde in minuzie. Che siano miniere o impianti petrolchimici fuori dal tempo o cicli industriali che lasciano alla fine laghetti di arsenico chi se ne frega, basta che si lavori.

Così è per le basi militari che fanno della Sardegna la regione più militarizzata d’Europa.

Un problema che non finisce di stimolare discussioni e proteste, interessando in questo momento  molta più gente che in passato. Bisogna infatti tenere nella giusta considerazione che mentre un tempo, il discorso sulla presenza delle basi Nato e di quelle italiane, era un argomento che interessava soprattutto la sinistra – quando la si poteva ancora considerare tale – e gli indipendentisti, oggi il malumore è molto più diffuso e colpisce latitudini elettorali un tempo impensabili: tutti – meno qualche stupidotto, bisogna dire – chiedono almeno un sostanzioso ridimensionamento della presenza delle basi. Lo stesso pavido presidente della Regione, Francesco Pigliaru, ha affermato che è un argomento da ridiscutere con lo Stato centrale.

Ma a dire la verità, la Regione e la politica non hanno mai fatto niente di davvero concreto per cambiare lo stato delle cose. I loro brontolii non hanno in questi anni provocato danni à personne.

Un po’ di pianti, di lai sull’uso distorto dei territori e sul fatto che molti di questi si potevano utilizzare meglio si sono sentiti, ma tutto lì… anzi, come dicono in Sardegna, “Alla Nato, al ministero della difesa, agli americani, non abbiamo di certo coricato un pelo”.

La ragione è semplice: nessuno in Sardegna a livello istituzionale ha mai elaborato un piano per la chiusura delle basi e non si è mai presentato uno straccio di documento programmatico, un piano di intervento o delle strategie di dismissioni dal momento che come tutti dicono molti saputelli in Sardegna: “Le basi militari generano lavoro per i civili” e per questa semplice ragione, in territori poveri come i nostri, sono una risorsa.

Ora una piccola domanda: ma quanti diavolo sono questi civili sardi che lavorano nelle basi?

Beh, non scandalizzatevi, sono 218 persone in tutta l’Isola!

Ma cosa ancora più interessante: dove diavolo in queste basi si genera indotto a favore dei territori che ospitano le basi militari?  “Ma se chi fa pulizie o lavori simili è già compreso in quel numero di civili, dove sarebbe questo indotto? forse si producono macchine nelle basi? o si fa agricoltura? commercio? si costruisce? che cosa farebbe questo famoso indotto? non ci sono attività produttive tali da poter parlare di indotto. Per fare un paragone con una vera attività produttiva, pensate che la Saras di Sarroch, che nel bene e nel male produce (eccome), ha 1200 dipendenti circa e altrettanti nell’indotto. Si producono un gran numero di derivati del petrolio, energia elettrica, etc. Nelle basi che cosa farebbe questo famoso indotto? che cosa si produce? boh. Ho sentito perfino un sindacalista Cisl un giorno parlare di edilizia dentro le basi per giustificare quelle migliaia di fantomatici posti di lavoro… “, così ricorda Michele Atzori – uno a cui le basi stanno sullo stomaco – in un suo intervento su “Sardegna possibile”, un blog che viaggia su internet.

E allora perché il sindaco di Decimomannu, Comandini, eletto nelle liste del PD, afferma che la base aerea militare che si trova nel territorio del suo paese origina 5000 posti di lavoro?

“Una cifra assurda”, ricordano quelli che la base proprio non la sopportano. “In pratica, se il sindaco di Decimomannu avesse ragione, vorrebbe dire che tutti coloro che abitano nei paesi del circondario, che hanno un occupazione in agricoltura, nel settore artigiano, nei servizi, vengono generati dalla presenza della base aerea militare!”.

Noi non sappiamo chi ha ragione, ma a “naso”, il ragionamento del sindaco di Decimomannu, sembra proprio una sparata da bar.

Il vero problema ci sembra in effetti la mancanza in Sardegna, almeno a livello istituzionale, di una seria programmazione territoriale. Nessuno ha idea, o programma o ha impostato una discussione su cosa si può fare senza le basi militari:

“ noi dovremo ricordarci anche di quelli che (grazie alle basi in Sardegna) non lavorano – ricorda sempre Michele Atzori – quelli che sono emigrati, quelli che si sono ammalati. Penso che non dobbiamo fregarcene di Teulada che da 6mila abitanti, dopo la installazione forzata della base, si è dimezzata, mentre tutti i paesi della zona (e tutti quelli della costa in Sardegna), son cresciuti. E’ altrettanto evidente che dopo la bonifica di tutte le basi militari in Sardegna (oltre 24.000 ettari), i posti di lavoro che si possano creare (in qualsiasi settore si riutilizzino quei territori, agricoltura ma non solo) siano molti ma molti ma molti ma molti più di 218. Senza contare che nelle bonifiche, di durata perlomeno trentennale, (quelle che sia possibile fare, magari ci son territori non bonificabili) verrebbero impiegati migliaia di addetti e addette, sia specializzati che non.
Solo la base di Decimo ruba ai paesi limitrofi centinaia e centinaia di ettari di ottima terra del Basso Campidano. Possibile che non si riesca a trovare una soluzione che non sia lasciateci le briciole della fabbrica di veleni, disoccupazione e guerra?”

Perciò, la verità brutta è come al solito molto complessa, perché lo smantellamento delle basi militari, se dovesse avvenire senza un minimo di programmazione produrrebbe solo ulteriori costi sociali ad un’area già di suo vicina al collasso… E il fatto di non tenerne conto è da delinquenti! Perché l’assurdità della vicenda è vedere come gli organismi regionali fanno finta di niente e lasciano tutto al come viene viene, aspettando che la faccenda si risolva da sola.

Ma se permettete, esiste un interrogativo reale a cui nessuno vuole dare una risposta: quanto hanno fruttato in termini economici le basi militari in Sardegna al governo italiano? E quanto di questi introiti sono rimasti sull’isola? Per esempio nessuno in Sardegna sembra interessato a sapere che l’affitto di uno dei tre poligoni militari oggi presenti sul nostro territorio (sono i più grandi in Europa) costa mediamente intorno ai 50.000 euro all’ora. Proprio così, 50.000 euro l’ora!

Questi soldi non sono mai arrivati alle casse regionali! Se li sono sempre ciucciati quelli del Governo. Forse il Ministero della Difesa? Chi lo sa! Sta di fatto che quei 218 impiegati sardi civili sono stati ampiamente pagati e di certo non sono un favore che viene concesso graziosamente dallo Stato centrale ai sardi. Insomma, se propria la vogliamo dire tutta, l’inculata che lo stato italiano ha organizzato ai sardi è da manuale.

Perché questo vizietto di intascarsi i soldi che si guadagnano grazie alle basi militari, il governo italiano lo porta avanti da almeno un sessantennio. Domandona: quanto ha guadagnato lo stato italiano in questi decenni dagli affitti dei poligoni ai loro fratellini Nato? Nessuno lo ha mai chiesto.

E quale prestigio ha accumulato in sede di alleanza lo stato italiano per il fatto di essere in grado di poter concedere la disponibilità di territori ai giochini di guerra dei paesi dell’alleanza?

L’anno scorso, proprio in Sardegna, la Nato ha realizzato la più grande kermesse di guerra figurata con eserciti di tutte le nazioni di questi ultimi cinquanta anni, distribuendo nei territori dei poligoni tante di quelle bombe e armi che sembrava la festa in onore del dottor Stranamore.

Inoltre, questi signori della guerra dell’alleanza non hanno di certo obblighi nei confronti della Sardegna e dei suoi abitanti: il giorno che decidono di andarsene lo fanno e su questa terra lasciano solo le loro scorie. E’ già successo alla Maddalena che dopo quarant’anni, finita la guerra fredda, finito l’impero sovietico, il circo di fesserie politiche sulla difesa della democrazia occidentale e quindi le esigenze di controllo del mediterraneo, gli americani – che proprio in questa isola della Sardegna avevano la loro base più importante – se ne sono andati lasciando un cumulo di macerie buona parte delle quali pesantemente radioattive. Tutto questo l’hanno fatto in neanche un anno, portandosi via i loro sommergibili nucleari e il resto delle loro armi strategiche. Ai sardi è rimasto il cerino acceso e un buffone di presidente del Consiglio, Berlusconi in questo caso, che non contento del fatto di aver dato il culo agli americani, non si è neanche azzardato a chiedergli dei rimborsi e un minimo di danni ambientali. Alla Maddalena sono rimaste le macerie e una bella fetta di disoccupazione in più.

Lo stesso ora sta capitando con i tedeschi che occupano quasi stabilmente la base aerea di Decimomannu. La decisione dei vertici dell’Aeronautica militare tedesca, riferiscono fonti di agenzia, è ora in fase di valutazione e sarebbe riconducibile ai contenuti dell’accordo tra il Governo e la Regione, sulla futura chiusura del poligono di tiro di Capo Frasca per due mesi in più rispetto agli anni scorsi.

“Si addensano nubi fitte sulla base di Decimomannu”, hanno titolato i quotidiani dell’isola. L’aeronautica tedesca paga, infatti a quella italiana la metà dei costi di gestione del poligono e quindi, siccome a loro non va giù la chiusura ogni anno per quattro mesi delle esercitazioni “pensano di trasferirsi in un altro paese, dove i militari possano addestrarsi con maggiore continuità e trovare un clima più accogliente”. La chiusura per 4 mesi del poligono – così dicono i tedeschi – renderebbe difficoltoso per i militari addestrarsi.

Lo Stato Maggiore italiano dell’Aeronautica, sentiti gli umori dei tedeschi, avrebbe fermato i progetti messi in cantiere per la base sarda, alla luce dei risvolti legati all’accordo e in attesa della decisione definitiva dei tedeschi.

Per la Sardegna la conseguenza sarebbe quella del trasferimento anche dell’80° Gruppo Sar dell’Aeronautica, unico che utilizza nell’isola elicotteri abilitati al volo notturno per i soccorsi, la chiusura dell’ente di controllo dello spazio aereo militare, che gestisce anche il traffico civile (che passerebbe all’Enav), e della pista, spesso utilizzata come alternativa a quella dell’Aeroporto ‘Mameli’ di Elmas.

Che poi i tedeschi se ne vogliono andare lo si capisce anche da altri fatti: proprio di recente, Die Linke, partito della sinistra tedesca, ha chiesto con un’interrogazione al Governo Merkel se corrispondeva al vero l’incendio di una ventina di ettari di macchia mediterranea, durante una esercitazione di velivoli tedeschi nel poligono di Capo Frasca.  Il governo tedesco ha confermato l’episodio e la responsabilità della loro aviazione. I parlamentari della Die Linke hanno chiesto allora se il Governo stava progettando di andarsene dalla Sardegna e se avesse intenzione di contribuire alla bonifica dei siti militari utilizzati sull’isola. A quanto pare il governo tedesco ha detto che sarebbe un loro desiderio solo quello di abbandonare la Sardegna. Di bonifiche non ne parla nessuno

Ovviamente il sindaco di Decimomannu (paese nel cui territorio si trova peraltro una importante fabbrica di munizioni di cui buona parte della produzione viene comprata dai sauditi per bombardare gli sciiti dello Yemen), sta chiedendo che i tedeschi non se ne vadano, che si lasci in pace il paese e la sua fabbrica di armi, che se chiudesse la base e quella fabbrica ci sarebbe per il paese la morte dei suoi abitanti.

Il bello che è vero. A Decimomannu non esiste nulla a cui aggrapparsi in termini di lavoro… e il lavoro nelle basi e quello nella fabbrica di armi è l’unico che dà loro qualcosa.

Come si dice in questi casi: che fare?

Ma dove diavolo si sono nascosti gli amministratori regionali come Francesco Pigliaru e la sua Giunta che dicono di essere contro le basi? Sparano slogan terzomondisti che meglio non possono fare neanche a Cuba e allo stesso tempo lasciano che le cose si incancreniscano, sapendo benissimo di non avere fra le loro priorità quelle di un piano su quei territori appesantiti da ormai sessanta anni di presenza militare.

Non hanno piani!

E’ meglio ripeterlo ed è la pura e semplice verità.

Questi rappresentanti della nostra casta isolana stanno semplicemente aspettando che la storia faccia il suo corso, non vogliono intervenire. Si stanno dimostrando peggio dei governi inglesi che nell’ottocento non fecero nulla quando ci fu la carestia delle patate in Irlanda.

I nostri politici regionali, stanno solo aspettando che questi futuri disoccupati, i loro figli e tutti i loro parenti prossimi, si scavino il prima possibile dalle palle o con una bella malattia o prendendo la valigia per un lungo viaggio o al limite ritornando nostalgicamente quando arriveranno alla pensione per rimettere a posto la casa in paese e coltivare l’orto di famiglia.

Perché lo abbiamo già detto: in Sardegna il saldo della popolazione è negativo e il rapporto fra giovani e vecchi è di uno a sei. Ancora trent’anni di questo andazzo e dei sardi su quest’isola

 

Category: Osservatorio Sardegna

About Nello Rubattu: Nello Rubattu è nato a Sassari. Dopo gli studi a Bologna ha lavorato come addetto stampa per importanti organizzazioni e aziende italiane. Ha vissuto buona parte della sua vita all'estero ed è presidente di Su Disterru-Onlus che sta dando vita ad Asuni, un piccolo centro della Sardegna, ad un centro di documentazione sulle culture migranti. Ha scritto alcuni romanzi e un libro sul mondo delle cooperative agricole europee. Attualmente vive a Bologna

Comments (1)

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  1. Grazia Pintori ha detto:

    La verità brutale è che essendo la Sardegna lontana da tutto, i probemi, compresi queli di salute pubblica o le prevedibii conseguenze dell’inquinamento ambientale, restano confinati sul suo territorio. Siamo di fatto considerati sacrificabii.

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