Francesco Casula: Quando a scuola si insegnava la lingua sarda

| 13 Gennaio 2016 | Comments (0)

 

Diffondiamo da  www.il manifestobologna.it del 13 gennaio 2016 . Nella immagine  Sa pandela sarda, di Cici Peis

 

Pochi sanno che c’è stato un periodo della nostra storia in cui a scuola si insegnava la cultura, la storia e la lingua sarda. Paradossalmente proprio durante i primi anni di quel regime, che poi sarebbe stato il nemico più brutale e feroce nei confronti di tutto quello che atteneva al locale e alla specificità sarda.

Siamo negli anni 19221924 quando il valente e avveduto pedagogista Giuseppe Lombardo Radice, alle dirette dipendenze dell’allora ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile, come direttore generale dell’Istruzione primaria e popolare, provvide alla stesura dei programmi ministeriali per le scuole elementari, prevedendo fra le altre anche l’uso delle lingue regionali nei testi didattici per le scuole con il programma Dal dialetto alla lingua, nel rispetto delle differenze storiche degli italiani e per facilitare l’apprendimento e lo sviluppo intellettuale degli scolari, partendo dalla lingua viva: a questo proposito rimando alle sue magistrali Lezioni di Didattica, (l’ultima edizione, in versione anastatica, è del 1970).

In seguito all’approvazione dei nuovi Programmi per le scuole elementari (17 novembre 1923) in Sardegna furono adottati per l’anno scolastico 1924-25 testi scolastici di vari autori ma uno in particolare, Sardegna-Almanacco per ragazzi di Pantaleo Ledda.

Con questo sussidiario nelle scuole primarie della nostra Isola irrompeva l’intero universo culturale sardo: dalla cultura materiale e dalle risorse e attività economiche e produttive (agricoltura, pastorizia, miniere, pesca, saline, acque termali) alla cultura immateriale (letteratura in primis); dalla geografia alla storia: dalle origini alla civiltà nuragica alle invasioni straniere. Con gli uomini sardi più famosi :da Amsicora a Mariano IV, da Eleonora d’Arborea a Leonardo d’Alagon; da Giovanni Maria Angioy a Gianbattista Tuveri; da Grazia Deledda e Montanaru. Ma anche da uomini (poeti, scrittori, storici, letterati, vescovi e giuristi, scienziati e medici) meno conosciuti ma ugualmente illustri e che comunque hanno fatto la storia della Sardegna, arricchendola con la loro opera.

Catalogati per singole città e paesi nativi, e ricordati in brevi ritratti, i Sardi li conoscono oggi quasi esclusivamente perché hanno loro intitolato qualche via, piazza o qualche scuola: penso a Sigismondo Arquer (l’intellettuale cagliaritano vittima dell’Inquisizione e condannato al rogo in Spagna), o penso a Vincenzo Sulis e a Domenico Millelire, due dei protagonisti nella lotta vittoriosa contro i Francesi nel 1793. O penso ancora al bosano Nicolò Canelles che introdusse la stampa in Sardegna; al medico di Arbus Pietro Leo, che contribuì grandemente alla rigenerazione della medicina sarda; allo storico Pietro Martini, uno dei fondatori della storiografia isolana; all’archeologo e linguista ploaghese Giovanni Spano (autore di un dizionario sardo-logudorese); all’oristanese Salvator Angelo de Castro, che si adoperò per l’istituzione delle scuole elementari in molti comuni della Sardegna. E a tanti altri ricordati in questo sussidiario.

Insieme alla storia, la protagonista assoluta del libro di Pantaleo Ledda è la lingua sarda: nelle sue varianti e varietà ma anche nelle Isole alloglotte (è presente il Gallurese come il Sassarese). Il Sardo viene utilizzato nelle poesie: ad ogni stagione ne viene dedicata una. Ma anche nelle preghiere e nei precetti, nelle canzoni e canzoncine, nei proverbi e nei motti, negli scongiuri e nei dicius, negli scioglilingua,nelle cantilene e nelle ninne nanna, nei giochi, negli indovinelli e nelle leggende. Ad esprimere una vastissima e ricchissima tradizione culturale, soprattutto orale, una saggezza antica che ha sostenuto e guidato i sardi nella loro millenaria storia.

Con la storia e la lingua sarda sono presenti le città, le località e i paesi sardi: con le feste e le sagre, i costumi e i riti. E le attività produttive, specie quelle legate alla campagna e all’agricoltura: con l’aratura e la semina, la fienagione,la mietitura e la trebbiatura, la raccolta delle ortaglie, la vendemmia e la panificazione. Ma anche la pesca: soprattutto del tonno. Il sussidiario rappresenta così per gli scolari del triennio delle elementari una vera e propria full immersione nelle cultura locale e nella sua economia.

Purtroppo questa ventata liberalizzatrice di lingua e cultura locale durò pochissimo: con il consolidarsi del regime fascista specie dopo l’assassinio di Matteotti, inizia a prevalere l’enfasi unificatrice, omologatrice e livellatrice tanto che fu avviata un’azione repressiva nei confronti degli alloglotti e, per quanto ci riguarda, della lingua e cultura sarda: fu vietato non solo l’uso della lingua sarda ma le stesse gare poetiche estemporanee. Anzi, il Fascismo ben presto, ad iniziare dagli anni trenta, imboccata la strada dell’imperialismo e dell’autarchia, tenterà di cancellare il concetto stesso di civiltà regionale e di regione e abolirà l’uso del Sardo, in nome dell’italianità, minacciata a suo dire da tutto quanto era “locale”.

Sul’uso del Sardo abbiamo una vasta eco in una polemica scoppiata nel 1933 fra un certo Gino Anchisi, giornalista dell’Unione Sarda e il nostro grande poeta Montanaru, in occasione della pubblicazione dei suoi Sos cantos de sa solitudine. In un articolo Anchisi esortava Montanaru a scrivere in Italiano perché un poeta come lui aveva diritto a un pubblico più vasto. E concludeva affermando che la poesia dialettale era anacronistica, roba d’altri tempi e come tale andava relegata nel regno d’oltretomba.

Montanaru rispondeva, sullo stesso giornale, affermando che i rintocchi funebri per la fine dei dialetti, da qualunque parte venissero, erano per lo meno immaturi. Seguiva la replica dell’Anchisi che ribadiva l’anacronismo e la fine dei dialetti e della regione: Morta o moribonda la regione, è morto o moribondo il dialetto.

Scriverà Cicitu Masala: “È morto il fascismo ma la lingua sarda, bene o male continuò a vivere” sussidiario di Pantaleo Ledda, un vero e proprio frutto fuori stagione, rivisitato e depurato della retorica patriottarda e italocentrica del Fascismo, sarebbe ancora utile, anche per l’apprendimento della lingua sarda.

L’articolo è stato pubblicato precedentemente su il manifesto sardo

 

 

Category: Osservatorio Sardegna

About Francesco Casula: Francesco Casula nasce a Ollolai (NU). Dopo gli studi medi-superiori fatti dai Gesuiti, -frequenta il Liceo “Sociale” di Torino, dove studiò Cesare Pavese- a Roma nel 1970 si laurea in Storia e Filosofia. Tra i suoi professori Natalino Sapegno e Alberto Asor Rosa. Dopo aver insegnato a Macomer (prima Storia e Filosofia nei licei poi Italiano e Storia nell’Istituo tecnico e per geometri) si trasferisce a Cagliari dove insegna per più di trent’anni Italiano e Storia negli Istituti superiori, soprattutto –negli ultimi 30 anni- al “Martini” di Cagliari. La sua prima esperienza politica –dopo gli anni del ’68 vissuto a Roma- la fa con l’MPL (Movimento politico lavoratori) di Livio Labor, già Presidente delle ACLI, in cui nel 1972 si candida alle elezioni politiche a soli 26 anni. Nello stesso anno a Macomer fonda il Circolo politico-culturale “Camillo Torres” in onore del sacerdote cattolico colombiano guerrigliero, morto combattendo le unità antiguerriglia governative. Al circolo aderiscono soprattutto studenti e insegnanti con cui poi entrerà nel PDUP (Partito di unità proletaria) che confluirà in Democrazia Proletaria di Mario Capanna, Vittorio Foa e altri. Per circa un decennio sarà leader in Sardegna di questo partito della Nuova Sinistra che soprattutto grazie alla sua opera ben presto si “sardizzerà” diventando Democrazia proletaria sarda, autonomo da Dp Italia e a questa federata. Sciolta Dp sarda, per qualche anno aderirà al Partito sardo d’azione (di cui sarà il responsabile nazionale del Settore scuola) ma soprattutto lascerà la CGIL-scuola –di cui a Macomer era stato uno dei fondatori- per iscriversi alla Confederazione sindacale sarda (CSS) il sindacato etnico sardo fondato da Eliseo Spiga. Nella CSS diventerà responsabile della Federazione scuola poi segretario nazionale aggiunto e quindi Segretario nazionale generale. Dimessosi da segretario nazionale della CSS –in continua la sua militanza- e abbandonato il PSD’AZ si dedica soprattutto ad attività culturali, pubblicistiche ed editoriali, in cui attualmente è impegnato. E’ giornalista pubblicista dal 1989 ed è regolarmente iscritto all’Albo dei giornalisti pubblicisti E’ stato collaboratore del Quotidiano sardo “L’Unione Sarda” per i problemi della scuola e attualmente scrive ancora su questo quotidiano nella pagina dedicata ai Commenti. Scrive in Lingua italiana e in Lingua sarda anche per il Quotidiano Il Sardegna, -dove ogni Sabato tiene una rubrica “Memorie”; per il periodico Sa Repubblica sarda; per la Rivista “Camineras” di Sassari; per Lacanas, rivista bilingue delle identità, fondata e diretta da Paolo Pillonca. E’ attualmente Direttore Responsabile e redattore di “Liberatzione sarda“,periodico bilingue; di “Madiapolis” periodico degli studenti universitari di Cagliari. Negli anni passati è stato direttore responsabile de “Il Solco” il prestigioso giornale del PSD’AZ e di Emilio Lussu; del periodico bilingue della Confederazione sindacale sarda “Tempus de Sardinnia“; di “Liberamenti” periodico di Quartucciu, di “Clacson” periodico di Dolianova; di “Saturru” periodico di Selargius. E’ stato per più di un anno redattore-opinionista del Quotidiano sardo “Sardigna.com”. Tra i suoi i scritti:. Antonio Gramsci, (coautore Matteo Porru), Alfa editrice; Letteratura e civiltà della Sardegna due vol), Edizione grafica del Parteolla Dolianova 2014

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