Richard Falk: Il 2014 è stato proclamato Anno Internazionale di solidarietà con il popolo palestinese

| 26 Settembre 2013 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo da www.palestinarossa.it

una iniziativa che stata poco notata, l’Assemblea Generale dell’ONU, il 26 novembre 2013 ha votato per proclamare il 2014 Anno Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese. Al Comitato dell’ONU per l’Esercizio dei Diritti inalienabili del popolo palestinese, è stato richiesto di organizzare attività rilevanti in collaborazione con i governi, il sistema ONU, le organizzazioni intergovernative, e, cosa significativa, con la società civile.

 

Il voto è stato di 110-7, con 56 astensioni, che riflette più o meno i sentimenti ora presenti nella società internazionale. Tra i 7 oppositori dell’iniziativa, oltre a Israele, ci sono stati, come si prevedeva i tre sostenitori più devoti a Israele, ognuno dei quali era una volta colonia britannica: Stati Uniti, Canada, Australia, con l’aggiunta di  stati internazionali di grande peso, come la Micronesia, lo stato insulare di Palau e le Isole Marshall. L’Europa e vari stati del mondo erano tra le 56 astensioni, mentre praticamente l’intero non-Occidente appoggiava solidamente l’idea mettere in luce la solidarietà con il popolo palestinese nella loro lotta per la pace con la giustizia basata sui diritti della legge internazionale.

Tre osservazioni iniziali: quei paesi che sono disposti a stare sfacciatamente dalla parte di Israele, in opposizione alla marea dell’ opinione pubblica mondiale, sono sempre più isolati, e questi governi subiscono la pressione pubblica crescente da parte delle loro società civili che cercano un approccio equilibrato basato sui diritti piuttosto che dominato dal potere; l’Occidente, in generale, è dominato dai governi che si sono astenuti che cercano il profilo più basso possibile per essere considerati né a favore né contro, e in quei paesi  dove la società civile dovrebbe essere ora in grado di mobilitare maggior appoggio alla lotta palestinese; e i paesi che non fanno parte dell’Occidente che sono, come da tempo è successo, solidali in modo retorico con il popolo palestinese ma che devono ancora far corrispondere le loro azioni con le loro parole, sembrano pronti a essere incoraggiati.

Un altro elemento rivelatore è anche è l’argomentazione dell’ organizzazione denominata Osservatorio dell’ONU e di altri, che denunciano questa recentissima iniziativa dell’ONU perché ingiustamente isola soltanto Israele e ignora quei paesi che hanno storie molto peggiori riguardo ai diritti umani. Si dimenticano sempre due elementi del conflitto israelo-palestinese che giustificano la scelta: Israele deve la sua esistenza, in misura significativa, alla comunità internazionale organizzata, a cominciare dalla Lega delle Nazioni, continuando con il Mandato britannico e arrivando al culmine con il Piano di Spartizione del 1947, come esposto nella Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU. Quest’ultima ha ignorato il principio dell’autodeterminazione, insito nella decolonizzazione con una soluzione ideata e imposta dall’esterno; tali antecedenti della attuale situazione israelo-palestinese rivelano anche i fondamenti colonialisti della lotta attuale e richiamano l’attenzione sugli elementi coloniali degli insediamenti, che sono associati con la continua espansione di Israele di rivendicazioni territoriali di risorse e rivendicazioni  etnocratiche, molto al di là di quello che la comunità internazionale dominata dall’Occidente aveva proposto e poi approvato, dopo la fine della II Guerra mondiale.

Sicuramente ci sono stati sempre  problemi delicati e complessi che rendono il ruolo problematico della comunità internazionale in un certo modo più comprensibile. Fino al 1945 c’è stata un’accettazione generalizzata dell’amministrazione coloniale europea, sebbene in Medio Oriente la legittimità coloniale fosse per la prima volta equilibrata  rispetto a un obbligo da parte delle potenze coloniali di preparare un popolo dipendente a stare alla fine in piedi da solo, un riconoscimento ambivalente della morale dell’auto determinazione, anche se non ancora in forma di norma legale. Affermare così l’auto-determinazione, come alternativa al governo coloniale, era stato il progetto speciale del presidente americano Woodrow Wilson, che insisteva che un approccio di quel tipo era un imperativo morale, specialmente occupandosi del periodo seguito, nella regione, all’Impero Ottomano che aveva governato a lungo su molte differenti etnicità.

Oltre a questo, l’esperienza ebraica durante il regno dei regimi fascisti in tutta l’Europa, culminata nell’Olocausto, ha creato una forte spinta  empatica in Europa ad appoggiare il progetto sioinista di una Patria ebraica in Palestina. Come è noto, questa empatia, sebbene fosse genuina in molte zone, mostrava anche un senso di colpa ritardato da parte delle democrazie liberali occidentali che avevano fatto così poco per contestare le politiche di genocidio di Hitler e del nazismo, rifiutandosi affatto di agire fino a quando i loro interessi erano coinvolti direttamente a causa dell’aggressione tedesca. Anche l’appoggio europeo era sincero perché la soluzione del problema ebraico, proposta dai sionisti, da tempo presente in Europa, poteva essere realizzata altrove, a danno di non-europei. Questo altrove era lungi dall’essere vuoto, ed era ambito da altri per varie ragioni. La Palestina è una terra abitata da molto tempo principalmente da arabi , ma anche da un poco da ebrei e da cristiani, e legata in maniera importante alle tradizioni sacre di tutte le tre religioni monoteistiche. Normalmente, nel mondo moderno, la demografia della residenza annuncia con gran fanfara rivendicazioni bibliche o di altro genere basate su  rivendicazioni  di tradizioni nazionali, di identità etnica, e di antica presenza storica. Tuttavia, malgrado questi fattori, c’erano motivi etici subito dopo la persecuzione degli ebrei a prestare aiuto a una versione ragionevole del progetto sionista  come si è evoluto negli anni fino dalla Dichiarazione di Balfour, anche se da una serie di altre prospettive era profondamente ingiusto per gli altri e di disturbo per le relazioni pacifiche, e durante tutta la sua attuazione ha prodotto una catastrofe per la maggior parte dei palestinesi non ebrei.

Tenendo conto di questa complessità morale e storica, ciò che sembra evidente è il fatto che l’ONU abbia fallito nell’assolvere alle sue responsabilità in un modo che fosse efficace e pronto a rispondente alle circostanze umane prevalenti in Palestina. Il rapporto complessivo dell’ONU è molto deludente se considerato dal punto di vista di sistemare gruppi contradditori di considerazione in un modo che riflettesse la legge internazionale e la giustizia globale. L’abilità militare delle forze sioniste in Israele ha inflitto una sconfitta importante al popolo palestinese e ai governi arabi confinanti e nel suo corso ha esteso il dominio politico di Israele dal 55% decretato dall’ONU nel suo piano di spartizione, al 78% dove la linea verde ha stabilito un accordo di armistizio nel 1948. Un tale risultato è stato gradualmente approvato con un consenso geopolitico,  mostrato con l’ammissione di Israele all’ONU senza alcuna soluzione al conflitto alla base, lasciando i palestinesi fuori al freddo e permettendo a Israele di     entro confini molto più ampi di quelli che l’ONU soltanto un anno prima aveva decretato fossero giusti.

La situazione è stata ulteriormente aggravata dalla Guerra del 1967 con cui Israele ha occupato tutto il restante territorio della Palestina storica pretendendo di annettersi anche Gerusalemme Est mentre contemporaneamente allargando molto l’area del  municipio di Gerusalemme, incorporando la terra appartenente alla Cisgiordania. Fin dal 1967, ciò che era avanzato del territorio palestinese ha subito un’ulteriore diminuzione a causa del fenomeno del massiccio insediamento, compresa la rete di strade destinate soltanto ai coloni, realizzata in flagrante violazione della legge umanitaria internazionale, con il muro di separazione costruito e mantenuto in segno di sfida per il Parere Consultivo  della Corte Internazionale di  Giustizia e con una varietà di mosse per cambiare la demografia di Gerusalemme Est. In altre parole, le forze di Israele sul terreno di quella che era stata la Palestina, hanno indebolito la visione esposta  nel piano di spartizione in cui era insita una controversa soluzione dell’ONU per il conflitto, che era stata rifiutata dai palestinesi e dai paesi confinanti.

Malgrado molta propaganda in senso contrario, la leadership palestinese ha dimostrato per la maggior parte del periodo della sua lotta, una insolita prontezza ad abbandonare gli obiettivi massimi  e a presentare proposte oneste di realtà di una situazione che era diventata sfavorevole alla realizzazione delle loro precedenti speranze. La disponibilità palestinese, espressa formalmente fino dal 1988, di accettare Israele come stato legittimo all’interno dei confini  della linea verde del 1967, rimane ancora  più di 25 anni dopo la sua articolazione, un’importante iniziativa di pace non riconosciuta e non corrisposta. Che tale proposta sia stata ignorata e continuamente indebolita da Israele con l’acquiescenza di fatto dell’Occidente, e di fronte alle flebili obiezioni retoriche dell’ONU, mostra l’incapacità dell’Organizzazione di adempiere alle sue responsabilità verso il popolo palestinese.

Come c’era da aspettarsi, i palestinesi da lungo tempo sono rimasti disillusi riguardo ai benefici di avere dalla loro parte l’autorità dell’ONU e la legge internazionale. Nel corso degli anni, l’appoggio dell’autorità internazionale non è riuscita a portare a un miglioramento delle circostanze di vita e di posizione politica del popolo palestinese. L’ONU è incapace e designato ad essere incapace ogni volta che  ci si oppone a una posizione con un insieme di forza militare e di allineamento geopolitico. Le possibilità militari di Israele e l’influenza geopolitica americana hanno completamente annullato l’espressa volontà delle Nazioni Unite, ma non hanno sopraffatto il senso di frustrazione o non hanno giustificato l’Organizzazione per non essere riuscita d agire responsabilmente verso il popolo palestinese.

Alla luce di questo contesto, che gli Stati Uniti abbiano fatto così poco per riparare i danni – non che ne abbia fatti molti, o di più di quanto avrebbe potuto, riguardo al problema israelo/palestinese. Certo, ci sono una varietà di altre situazioni in cui le violazioni dei diritti umani sono state peggiori di quelle attribuite a Israele, ma la logica di concentrare l’attenzione sulla Palestina non è soltanto per la negazione dei diritti, ma è anche un problema di giustizia di base, di quello che sembra un assoggettamento di un popolo, in parte dovuto ad accordi che erano stati concepiti e sostenuti per un lungo periodo di tempo dalla comunità internazionale organizzata. Tuttavia, assistere alla triste situazione di emergenza attuale degli abitanti di Gaza, rende per vera l’asserzione che le sfide peri diritti umani che deve affrontare questa grande e vulnerabile comunità palestinese, non sia tra le peggiori violazioni dei diritti umani di tutto il mondo, e ci fa di nuovo chiedere perché l’ONU sembri non disposta e incapace di fare di più!

Possiamo sperare all’alba del 2014 che l’ONU sarà vigorosa nel dare all’Anno Internazionale di solidarietà col Popolo Palestinese un significato politico che vada oltre parola di empatia e di appoggio. C’è l’occasione per fare di più. La risoluzione dell’ONU invita a operare con la società civile. Recenti mosse in America tese a unirsi al boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane e in Europa per rendere le grosse imprese responsabili in base alla legge internazionale per il fatto che hanno attività commerciali con gli insediamenti israeliani, sono importanti successi dell’attivismo della società civile, essendo condotto dalla Campagna BDS che ha l’importante virtù legittimante della leadership e dell’appoggio palestinese. L’ONU può aiutare a creare uno slancio nel movimento globale di solidarietà che incoraggi le forme militanti non violente di azione coercitiva che da sole daranno un buon nome alla ‘solidarietà’.

I palestinesi stanno iniziando a vincere la Guerra della Legittimità intrapresa contro le politiche illegali israeliane e in nome del raggiungimento dei diritti palestinesi. La svolta nell’opinione pubblica mondiale si può probabilmente far risalire al modo in cui Israele ha intrapreso le Guerra Libanese del 1982, specialmente al dichiarato affidamento sulla forza sproporzionata diretta ai quartieri residenziali specialmente a Beirut sud, una tattica divenuta nota come la Dottrina Dahiya.  Il momento critico in cui la identità  collettiva israeliana è passata da quella di vittime e di eroici perdenti a quella di perpetratori senza legge della guerra di oppressione contro un popolo totalmente vulnerabile, è arrivato con l’Operazione Piombo Fuso, l’assalto  prolungato con armamenti di alta tecnologia contro il popolo di Gaza, durato tre settimane alla fine del 2008. Dopo questi sviluppi, è diventata più vasta la comprensione della realtà che i palestinesi erano un popolo perseguitato, impegnato in una lotta per ottenere i propri diritti in base alla legge internazionale, che aveva  necessità e meritava un movimento internazionale di sostegno per compensare il potere violento di Israele e il  suo dominio geopolitico.

I capi e gli esperti di Israele provano e riprovano a screditare la Guerra palestinese della legittimità, sostenendo falsamente che è diretta contro la legittimità di Israele come stato invece che contro le politiche illegali dello stato di Israele. Questa è una differenza fondamentale, e la distinzione sembra deliberatamente oscurata dalla propaganda israeliana che ha esagerato quello che i palestinesi stanno cercando, in modo da far apparire iperbolico il loro attivismo, con richieste irragionevoli e inaccettabili, e questo rende più facile ignorare invece che occuparsi in maniera critica delle lamentele dei palestinesi nella loro forma reale. Si deve quindi sperare che l’Anno Internazionale di Solidarietà con la sua opera  chiarifichi questa distinzione tra Israele come stato e le sue politiche. In questo quadro l’ONU meriterà credito per aver contribuito alle vittorie in tutto il mondo che fanno progredire il programma della Guerra di Legittimità che viene intrapresa dal popolo palestinese e  a suo nome,  facendo così  spostare il dibattito  più vicino alla realizzazione di una pace giusta e durevole per entrambi i popoli.

 

Category: Osservatorio Palestina

About Richard Falk: Richard Anderson Falk Nato nel 1930 è professore emerito alla Princeton University in Diritto internazionale. Nel 2008 l'United Nations Human Right Council (UNHRC) lo ha incaricato di scrivere un rapporto sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati a partire dal 1967. Questo rapporto suscitò violenti attacchi da parte del governo israeliano. Tra i suoi scritti più recenti: Can Humanitarian Intervention be Humanitarian? International Policy Digest, Author, August 5, 2011; Syria: Geopolitical Mentoring versus Rehab for Addicted Geopolitical Leaders International Policy Digest, Author, August 19, 2011; Rethinking Afghanistan After a Decade International Policy Digest, Author, September 19, 2011; Opening the Other Eye: Charles Taylor and Selective Criminal Accountability International Policy Digest, Author, April 27, 2012; How to Save a Stumbling 'Economic Europe' International Policy Digest, Author, June 11, 2012;The Path to Zero: Dialogues on Nuclear Dangers, with David A. Krieger, Paradigm Publishers 2012; Reflections on Teju Cole's Open City International Policy Digest, Author, February 21, 2013; "(Re)Imagining Humane Global Governance," Richard Falk (author) 2014

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