Nadia Urbinati: Democrazia e costituzione

| 8 Novembre 2016 | Comments (0)

Diffondiamo da  “Inchiesta” luglio-settembre 2016  questo  intervento di Nadia Urbinati intervistata da Sergio Caserta. Nadia Urbinati  è impegnata in Italia nella campagna per il No

 

D. Vorremmo fare una carrellata con te dell’esperienza di questo periodo di tempo in cui sei molto attiva nella campagna referendaria, a sostegno delle ragioni del NO,  anche con lo sguardo di chi sta dall’altra parte dell’Oceano. Come vedi questo tentativo di cambiamento costituzionale in rapporto ad altre analoghe situazioni europee e occidentali, non ti sembra che ci sia  una peculiarità tutta italiana, vedi una diversità sostanziale?

In effetti questo problema esiste.  In altri paesi a democrazia consolidata e matura, quelli occidentali che sono il nostro punto di riferimento, è improbabile assistere a un permanente tentativo di modificare le regole costituzionali – un tentativo la cui storia è altrettanto lunga della Costituzione stessa. In altri paesi (lasciamo stare l’Inghilterra che non ha una struttura costituzionale riferibile al periodo rivoluzionario francese, sul cui solco la nostra è nata) non c’è il tentativo di andare alle sorgenti per modificare le regole del consenso sovrano (l’ultima importane revisione fu quella gollista che diede vita alla Quinta Repubblica). Ci sono altre vie, vie ordinarie e meno radicali, per accomodare il sistema – per correggere quella che è oggi una cronica crisi di legittimità dei partiti, a un tempo fattore e riflesso di una deflazione della rappresentanza; vie che passano attraverso la rinascita dei partiti con immissione di sostanziali dosi di idealità, programmi e partecipazione (come si è di recente assistito in occasione delle primarie democratiche negli Stati Uniti). Da noi, almeno da una trentina d’anni, si  è operato su due fronti: su quello delle regole elettorali e su quello delle regole fondamentali. Noi abbiamo praticato entrambe – con esisti a dir poco deludenti, se si pensa ai mutamenti periodici, e inefficaci, del sistema elettorale; mutamenti che sono stati fatti non per tenere insieme le due radici del potere elettorale – definire una maggioranza e garantire la più ampia rappresentanza – ma per rendere gli eletti meno soggetti alla sorveglianza degli elettori. L’inamovibilità è stata spesso presentata come “governabilità” mentre il mutamento della classe dirigente come “instabilità” – insomma invece di cercare di risolvere la caduta di rappresentanza che tiene molti elettori lontani dalle urne e genera scetticismo nelle istituzioni, si è pensato bene di mettere a tacere le ragioni di questa crisi; si è attribuita la causa del dissesto non ai partiti per esempio, che versano in  uno stato gravissimo di dissesto, ma alla legge fondamentale, alla Costituzione. La crisi dei partiti, invece di ispirare una riorganizzazione degli stessi, viene affrontata andando ad una riorganizzazione dello stato che serva a corazzare i partiti o ciò che resta di loro in modo da incardinarli fortemente nelle istituzioni dello Stato. Sarebbe molto interessante fare una lettura comparatistica tra le diverse situazioni nei diversi paesi. Sarebbe molto interessante comparare gli argomenti usati dai sostenitori del SI che amano fare sfoggio riferendosi a modelli stranieri, come il doppio turno o il maggioritario monocolore o il presidenzialismo,  per giustificare scelte che sono solo una pallida e cattiva copia di quei modelli poiché inserite in un sistema che non ha gli stessi contrappesi istituzionali ed extra-istituzionali che qualificano una democrazia efficace.

 

D. E’ molto chiaro quel che dici, mi veniva in mente che è come se la democrazia diventasse sempre più un peso, non è solo per tagliare welfare, altri diritti e comprimere la spesa pubblica (che resta il vero scopo finale), tutto questo avviene con una scorciatoia: si comprime  ogni dialettica che vada al cuore del progetto di cambiamento costituzionale,  così s’impedisce che i cittadini possono essere resi consapevoli della reale posta in gioco. Non pensi che la funzione dei media sia fondamentale e sia molto negativa in Italia?

La tua domanda è composta di due parti, di cui la prima può essere resa così: ci sono almeno due modi d’intendere la democrazia rappresentativa,  la prima sostiene che la democrazia senza una corrispondenza nella partecipazione, nei partiti e nei movimenti, è largamente insoddisfacente e votata al declino della legittimità dei processi; se pure gode di legittimità legale, essa tende a perdere la legittimità etica, che è invece cruciale per la democrazia. C’è una seconda visione che ha dominato lo scenario atlantico dalla Seconda guerra mondiale ed è largamente definibile come “minima” o schumpeteriana e che ci riporta a pensatori del leaderismo, da Gaetano Mosca a Roberto Michels a Vilfredo Pareto: la democrazia non è altro che un’ideologia che copre una realtà tutt’altro che democratica, fatta di gruppi di potere che emergono proditoriamente nella società e cercano di dominare la sfera del governo; in democrazia lo fanno attraverso il consenso, che riescono ad aggregare con un forte sostegno dei  media e  le relazioni tra interessi. La democrazia è un sistema per eleggere delle élite, e cambiarle quando necessario. Sarebbe sbagliato pensare che questa seconda visione sia poco impegnativa: essa infatti ci dice che questo sistema di scelta e ricambio della classe politica funziona bene quando i cittadini sono interpellati con il consenso elettorale; poi, come in una qualsiasi divisione del lavoro, ognuno torna a fare il proprio mestiere, per cui è normale che chi viene eletto pensi a governare, ed è normale che chi sta fuori, cioè gli elettori, pensino ai loro affari e alla fine di ogni ciclo vengono interpellati — la democrazia elettorale s’inserisce bene in una società che è fondata sulla divisione del lavoro e su una ancor più netta separazione di poteri.  Ora, che cosa succedere nella farse intermedia, tra una un’elezione e l’altra? In questa fase è necessario che funzionino i media, che i gruppi d’interesse facciano sentire la loro voce, che le associazioni orientino comunque coloro che stanno nelle istituzioni, che insomma i cittadini non scompaiano e chi sta all’opposizione cerchi d’influenzare il sistema preparando l’alternanza.  Stando così le cose, perché scandalizzarsi se chi vuol vincere e vincere bene e se chi sta fuori accetta di stare al gioco perché sa che domani potrebbe vincere? Non è forse segno di un sano realismo pensare che la stabilità e l’efficacia del sistema si dimostri proprio dall’accettare questo gioco delle parti per cui meno i cittadini di lamentano e protestano, più le cose vanno bene? Questa concezione elettoralistica sembra oggi primeggiare, una visione minima che nei decenni è stata brandita dai conservatori (per esempio la Trilateral Committee che stilò il documento sulla “Crisi della democrazia” nel 1975). L’apatia per questi conservatori è il segno di benessere della democrazia elettorale, nella quale gli elettori servono solo a nominare una maggioranza che dev’essere chiara e limpida – se non partecipano è perché non ne sentono l’esigenza e quindi non hanno nulla da obiettare o richiedere. In questo scenario la rappresentanza non ha alcuna funzione reale, è un pura parola che significa lamento, “claim” (richiesta). Alle democrazie spetta solo questo: formare maggioranze.

 

D. Tranne poi, fare in modo che nel periodo intermedio, come dici tu, non si da spazio ad idee e movimenti  diversi da quelli dominanti del pensiero unico ed unilaterale, la dinamica dell’informazione porta il senso comune verso l’accondiscendenza e quindi non c’è spazio per opinioni diverse e per la dialettica vera.

Allora torniamo a quella visione che chiamiamo “minima” o “realistica”, quella di Schumpeter. Leggendo Schumpeter emerge con chiarezza quanto egli poco rispetti la democrazia; ritiene che sia pura ideologia. La sua attitudine può essere compatibile con quella di un marxista e di un liberale anti-marxista – nel senso che per tutti loro la democrazia è un paravento ideologico che ci fa credere di essere noi il sovrano, mentre altri sono gli attori veri. In questo realismo elitistico, quindi, tanto i vecchi comunisti quanto i conservatori antidemocratici vi si possono ritrovare, tutti accomunati dallo scetticismo sulla centralità della politica. Ma occorre riconoscere che Schumpeter aveva comunque una forte considerazione dei diritti; la democrazia minima funzionava a suo modo di vedere a condizione che lo Stato fosse incardinato sui diritti civili protetti da una Corte costituzionale, dalla divisione dei poteri e che garantivano la libertà di stampa, parola e associazione, diritti che potevano intervenire per bloccare le maggioranze politiche quando i loro provvedimenti avessero leso quei diritti. La democrazia “minima” doveva essere abitata da una società plurale nella quale i cittadini non erano dissociati e soli, e dove esisteva un sistema d’informazione pluralistico ed indipendente dal potere politico che consentiva di monitorare l’operato del governo e diffondere informazioni che consentissero ai cittadini di giudicare e scegliere consapevolmente. Senza questa ricchezza istituzionale la democrazia “minima” non potrebbe esistere.

 

D. Precipitando queste tue osservazioni sul dibattito referendario relativamente ai cambiamenti progettati dal governo, questi prevedono ampie modifiche costituzionali, ben quarantasette articoli, modifiche di fondamentali equilibri tra stato e regioni ma soprattutto un cambio radicale di pesi tra legislativo, esecutivo e giudiziario, determinando un forte squilibrio a vantaggio esclusivo dell’esecutivo

Occorre usare parole chiare. Esiste un fenomeno di concentrazione dei poteri. La concentrazione  dei poteri fa parte di una traiettoria che non è democratica, e che la democrazia dal suo nascere ha cercato di contrastare. Le democrazie sono per la diffusione del potere proprio per evitare quel che al potere viene naturale: concentrarsi per essere assoluto. Le democrazie non vanno d’accordo con i poteri troppo forti e cercano in tutti i modi di creare controlli e limitazioni – per esempio, in una democrazia presidenziale, il presidente non è solo espressione egemonica della maggioranza ma trova anche limiti nella sua maggioranza, come si vede bene negli Stati Uniti. Ma questa revisione costituzionale all’italiana è una scorciatoia per arrivare ad una concentrazione di potere cosicché chi ce l’ha possa operare con meno controlli possibili. Con pochissimi controlli sia istituzionali che extra istituzionali. Come dicevi tu, le Regioni con questa revisione vedrebbero decurtato il loro potere perché il Governo, non il Parlamento, può decidere che per ragioni di necessità o urgenza nazionale, travalica le competenze locali. Il Governo diventa l’organo dell’”interesse nazionale” – si introduce di soppiatto un elemento Smithiano che la nostra Costituzione del ‘48 non ha voluto: ovvero localizzare in una istituzione il potere di decretare l’interesse nazionale. Ora, con questa revisione, il Governo rappresenta questo interesse rispetto e di contro alle Regioni. A me sembra un segno gravissimo, che stravolge lo spirito della Costituzione perché introduce una sorta di organo di potere emergenziale (nelle mani del Presidente del consiglio).  L’altra forma di concentrazione è extra istituzionale, perché se si va ad una riforma maggioritaria, si deve mettere mano al fatto al fatto scandaloso, che in Italia il Parlamento gestisca tre canali televisivi della RAI, ovvero di un servizio pubblico. Come si può accettare di fare una revisione costituzionale di questo topo senza mettere mano al riordino del sistema  pubblico televisivo, eliminando questa vergognosa sua sudditanza alla maggioranza politica? Mi meraviglia che nessuno parli di questo, nemmeno i costituzionalisti, che si concentrano sulle garanzie istituzionali ma tralasciano quelle extra-istituzionali.

 

D. Infatti:  c’è un grande fermento si scrivono molti libri, ma sembra non esservi un’adeguata percezione  della portata dei cambiamenti, della gravità della posta in gioco, Forse perché di fatto la riduzione degli spazi democratici era già in corso da tempo e si è determinata un’assuefazione, basta pensare al controllo dell’esecutivo sul sistema radio televisivo. Prima il sistema era gestito dai partiti ma quando hanno perso la loro influenza e capacità di esprimere delle idee, è diventato potere di gruppi, privatistico e personalistico, ora è nelle mani del capo del governo, perfino più che con Berlusconi.

Hai ragione ma questa non è una lotta per la difesa della Costituzione del 48, è una lotta per la difesa della democrazia costituzionale. Per questo abbiamo bisogno di tutte le  competenze: dei giornalisti, dei sindacalisti, degli insegnanti, dei lavoratori, ecc.. Ognuno ci metta del proprio; ma sarebbe il caso che l’argomentazione centrale, la direzione, non sia monopolio dagli addetti ai lavori, dei costituzionalisti, perché ciò potrebbe intimidire il cittadino ordinario, potrebbe non fargli vedere la rilevanza politica dietro quella tecnica. Vedere le ragioni politica del NO è essenziale, Si dovrebbe procedere verso un altro tipo d’argomentazione, dunque. Questa è una battaglia veramente costituzionale e dev’essere condotta dai cittadini in prima persona. Non si può far affidamento sui partiti, che come hai detto sono in una crisi profonda e quasi tutti defilati perché alla ricerca di quel che conviene loro nell’immediato; partiti senza principi; partiti piccoli. Occorre quindi tornare al punto dal quale abbiamo cominciato questa discussione:  alla base di questa brutta proposta di revisione vi è la grave debolezza dei partiti; ecco perché i partiti non possono essere alleati sicuri in questa battaglia, che è costituzionale nel senso pieno. Battaglia di democrazia e non di partito. Battaglia costituzionale e popolare, di tutti; in cui scendono in campo le competenze tutte, le associazioni, i cittadini in prima persona. Questa è una battaglia dei e sui fondamenti della nostra libertà politica: non un affare che possa essere gestito solo dai giuristi per quanto bravi ed illuminati.

 

D. Venendo all’esperienza di questi mesi che stai compiendo attivamente, partecipando a molte iniziative, scrivendo numerosi articoli e post sui social network, abbiamo visto le difficoltà di raccolta di firme, gestita da attivisti volenterosi ma sostanzialmente pochi e frammentati, nel frattempo altri hanno raccolto le firme per altri referendum ma separatamente, non c’è  ancora un movimento generale, veramente  costituzionale come giustamente sottolineavi. Anche per quanto riguarda la partecipazione attiva della gente, da noi è come se ci fosse una remora, in questo caso i partiti al potere mentre sono in crisi, sono anche macchine di potere influenti in senso deterrente. Faccio un salto logico e un raffronto:  in America con le elezioni presidenziali dove lo scontro è veramente molto duro sembra più intensamente partecipato, è così?

I partiti sono a questo punto macchine di potere che stanno dentro le istituzioni e non fuori. La differenza rispetto agli Usa è che lì i partiti sono senz’altro macchine elettorali ma non solo quello: al loro esterno c’è un arcipelago vastissimo di movimenti, associazioni, gruppi d’interessi che si alleano e usano il partito.  La partigianeria è forte e riconosciuta, valorizzata ma questo non comporta mettere in discussione le regole del gioco. Da noi chi vince le primarie per diventare Segretario del proprio partito diventa come uno schiacciasassi che tutto pialla e così chi perde non ha alcuna motivazione ad impegnarsi per concorrere, nessun potere di trattativa. Magari facessimo le primarie come negli Usa! Dove chi perde partecipa lo stesso perché poco o molto che sia sa di poter far contare la sua forza e di far pesare i propri voti. La lotta politica è vera. Da noi chi vince prende tutto e può anche pensare di cambiare la costituzione! Qui i Italia sembra che ci sia timore del conflitto, nonostante la nostra sia una società litigiosa; nessuno si fida dell’altro; tutti litigano su tutto e con tutti — quando si fa una fila o si guida. Siamo un paese di individualisti litigiosi. Ma quando si tratta di mostrare la propria opinione la gente si ritrae, non si espone come se tesse rappresaglie o conseguenze. Manca fiducia. Quando si raccoglievano le firme, si vedeva che  le persona avevano paura di esprimere pubblicamente la loro opinione. La raccolta di firme per il No non è per nulla simile alla raccolta di firme per i quesiti sociali perché nel caso della Costituzione le posizioni sono espressione di una forte contrapposizione che è davvero partigiana. Per questo non mi preoccupo troppo se non abbiamo raggiunto il quorum delle firme, perché capisco che molte persone non si volevano esprimere di fronte a tutti, ma volevano tenere il segreto. Molti di coloro che non hanno firmato per il NO voteranno NO nel segreto dell’urna.  Quanti amici si possono perdere in questa orrenda campagna? Io ne ho persi e quindi capisco coloro che preferiscono non esporsi.  Questa campagna ci dice molto sullo stato etico della nostra vita politica. Ripeto: la società italiana è molto litigiosa ma non ha più il senso del conflitto organizzato, Una volta c’era il paravento dei partiti che erano macchine ideologiche come delle chiese, e quindi servivano da protezione,  le persone si sentivano garantite da quelle chiese. Ora non è più così. Ora ciascun cittadino è solo e quindi più debole. La segretezza dell’urna lo proteggerà.

 

 

 

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Category: Osservatorio internazionale, Politica

About Nadia Urbinati: Nadia Urbinati: Nata a Rimini nel 1955 è titolare della cattedra di Scienze Politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. E' membro nel Comitato Scientifico dell’Associazione Reset. Ha pubblicato saggi sul liberalismo, su John Stuart Mill, su individualismo, sui fondamenti della democrazia rappresentativa, su Carlo Rosselli. Collabora con i quotidiani L'Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il sole 24 ore. Negli Stati Uniti è stata condirettrice della rivista Constellations. Tra i suoi ultimi libri: Nadia Urbinati, Democrazia rappresentativa. Sovranità e controllo dei poteri, collana: Saggi.Storia e scienze sociali, Donzelli, 2010; Nadia Urbinati, Liberi e uguali. Contro l'ideologia individualista, collana: Anticorpi, Laterza, 2011; Nadia Urbinati e marco Marzano, Missione impossibile. La riconquista cattolica della sfera pubblica, Bologna, Il Mulino, 2013.

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