Dossier sulla Cina: politica, lavoro e diritti a cura di Ivan Franceschini e Luigi Tomba

| 5 Novembre 2012 | Comments (0)

 

 

 

Ivan Franceschini ( Direttore “Cineresie” e Università Ca’Foscari di Venezia) e Luigi Tomba( professore alla Australian National University, co-editor di “The China Journal”) hanno curato per “Inchiesta” e per “Cineresie”  il Dossier pubblicato su “Inchiesta” 177, luglio-settembre 2012, e questo è il loro articolo introduttivo , pp. 68-70

Nella rubrica di www.omchiestaonline.it “Dossier” oltre a tutti gli articoli di questo dossier abbiamo pubblicato gli articoli sulla Cina pubblicati da “Inchiesta” a partire dal 2009. E’ così possibile approfondire la complessità di ciò che accade in Cina sulla base di un qualificato insieme di testi

 

Sono almeno vent’anni, sin dai tempi della primavera di Pechino, che ci si interroga se la Cina non sia un gigantesco vulcano sociale pronto ad esplodere sull’onda delle decine di migliaia di proteste – o, per usare il gergo ufficiale, ‘incidenti di massa’ (quntixing shijian 群体性事件) – che ogni anno mandano onde d’urto attraverso l’intera società cinese. E in questi decenni le profezie apocalittiche che raccontano di una Cina sull’orlo del collasso non sono mai mancate, basta pensare all’ormai classico volume di Gordon Chang, The Coming Collapse of China, ove l’autore prevedeva il tracollo cinese entro cinque anni. Peccato che allora fosse il 2001 e oggi, più di dieci anni dopo, a dispetto delle varie crisi finanziarie internazionali e degli enormi problemi strutturali del sistema produttivo domestico, le autorità comuniste di Pechino rimangano ancora saldamente al potere di un Paese la cui economia continua a crescere.

Molti hanno iniziato a mettere in discussione l’entità e la natura del rischio posto dagli ‘incidenti di massa’ per la stabilità politica e sociale del paese. Di fatto, i conflitti di cui la stampa internazionale ci informa in continuazione rimangono localizzati e limitati, contribuendo spesso a sottolineare le inefficienze e la corruzione dei governi locali più che mettere in crisi la legittimità del regime. Il sociologo americano Martin K. Whyte si è spinto fino a definire il ‘vulcano sociale’ niente più che un ‘mito’, mentre altri ricercatori sostengono che conflitti sociali controllati e locali finiscono per fare il gioco del regime nel mantenere la stabilità e il controllo sui governi locali, secondo un modello di governo che, ad esempio, Chen Xi chiama ‘conflittualità autoritaria’ (authoritarian contention).

Nell’ultimo paio d’anni il dibattito internazionale sulla Cina è cambiato in modo significativo. Sulla scia di quella crisi finanziaria globale che, secondo molti, avrebbe per l’ennesima volta messo in luce i limiti dei sistemi politici occidentali, il successo economico cinese ha prodotto un nuovo discorso che nella Cina delle riforme vede un esempio da seguire, non solo sul piano economico ma in alcuni casi persino su quello politico. L’equazione che per decenni ha messo sullo stesso piano autoritarismo e violazioni dei diritti umani, mono-partitismo e instabilità sociale, statalismo e inefficienza economica, ha lasciato – almeno temporaneamente – spazio ad una nuova narrazione centrata sull’idea del cosiddetto ‘modello cinese’ (Zhongguo moshi 中国模式). Di punto in bianco, il sistema politico-economico cinese, con la sua enfasi su un ruolo importante per lo Stato nell’economia, sull’efficienza, la flessibilità e la stabilità a tutti i costi, è diventato l’esempio di una possibile alternativa.­

In realtà, tanto l’immagine del vulcano sociale quanto quella di un modello monolitico e razionale è ingannevole ed evade la complessità della realtà cinese. Nel caso della Cina di oggi ci troviamo sì di fronte ad una società in ebollizione, in cui i cittadini seguono con apprensione i temi d’attualità e non esitano a scendere in strada per esprimere il proprio scontento, ma allo stesso tempo abbiamo a che fare con un Partito-Stato che mostra straordinarie doti di adattamento alle nuove sfide della globalizzazione e dell’entropia sociale. Se questa flessibilità istituzionale e politica attrae l’attenzione dei commentatori, rimane comunque difficile additarla a panacea per i mali delle democrazie occidentali, soprattutto se si considera il fatto che quanto viene descritto come il ‘modello cinese’ altro non è che una serie di scelte strategiche, spesso incoerenti o addirittura contraddittorie, mirate fondamentalmente a mantenere lo status quo politico, vale a dire l’autorità del Partito-Stato, ed a riprodurre le elite al potere.

In China’s Communist Party: Atrophy and Adaptation, David Shambaugh rilevava la resilienza del Partito di fronte alle sfide della contemporaneità. In particolare, egli sottolineava come le riforme politiche in Cina siano sistematicamente sottovalutate dagli osservatori occidentali in quanto ‘incrementali e difficili da seguire, avanti luogo in un sistema mono-partitico e mirate a rafforzare – più che rimpiazzare – quel sistema.’ Di fatto, pur essendo spesso condotte in nome di concetti cari all’Occidente, quali lo stato di diritto, la tutela dei diritti dei lavoratori, la partecipazione democratica, queste riforme – o meglio, questi ‘aggiustamenti strategici’, un termine con implicazioni non sistematiche – mantengono come fine ultimo il rafforzamento della legittimità del sistema politico esistente.

Non è certo un caso che – come spiega Flora Sapio nel suo contributo a questo Dossier – negli ultimi anni il Partito abbia fatto del ‘rinnovamento della gestione sociale’ (shehui guanli chuangxin 社会管理创新) una delle proprie priorità. In un articolo pubblicato nel maggio del 2011 su Qiushi 求是, la rivista di teoria politica del Partito, Zhou Benshun 周本顺, segretario generale della Commissione affari politici e legislativi del Partito, spiegava tale ‘rinnovamento’ in questi termini: ‘Per rinnovare la gestione sociale, il nostro governo e le nostre istituzioni devono essere mantenuti come elementi fondamentali. I leader del Partito, le persone che ricoprono ruoli nel governo, coloro che lavorano in coordinamento con la società, le strutture di controllo a partecipazione pubblica sono i nostri punti saldi sul piano politico. […] È necessario mantenere salda la posizione dominante del Partito, a difesa di un lungo periodo di buon governo e pace nel Paese. […] Per fare tutto questo vanno combattute le false credenze (wuxin 误信) e le mistificazioni (wuchuan 误传), onde evitare di finire nel tranello senza scampo che alcune nazioni occidentali hanno preparato per noi, ovvero la cosiddetta “società civile” (gongmin shehui 公民社会).’

Questo rinnovato ruolo dello Stato e del Partito, più sofisticato e più discreto rispetto al passato ‘maoista’, risulta particolarmente evidente nei contributi raccolti in questo Dossier, ove l’idea della ‘nuova gestione sociale’ viene declinata dal punto di vista di temi caldi quali il diritto penale, il lavoro, le politiche agricole e il web. Il Partito che emerge da questi scritti è molto abile a manipolare il discorso pubblico, alternando concessioni apparenti a chiusure reali, strumentalizzando il discorso su diritto e diritti a proprio uso e consumo.

Ecco allora che, come spiega Flora Sapio, la nuova disponibilità dello Stato di fronte a collaborazioni tra pubblico e privato si traduce non tanto in nuovi spazi di apertura per la società civile, quanto in una riproduzione delle strategie e tecniche della pubblica sicurezza; o, come racconta Elisa Nesossi, il recente emendamento al Codice penale contiene ambiguità che vanno a vantaggio del potere discrezionale degli organi di giustizia locali. Secondo Andrea Pia, le nuove politiche nelle aree rurali puntano ad ‘armonizzare’ la società, rendendola più stabile, mentre Kevin Lin, sostiene che lo Stato ha recuperato e rafforzato settori strategici dell’industria non pubblica, creando una forza lavoro frammentata e vulnerabile. Come sottolineano Ivan Franceschini e Valentina Bellomo, l’emanazione di una legislazione sul lavoro si rivela uno strumento con cui prevenire l’emergere di un reale movimento operaio nel Paese e la contrattazione collettiva si trasforma in un pretesto per rafforzare la legittimità delle autorità centrali. Infine, come racconta Tommaso Facchin, il web viene utilizzato per manipolare e controllare l’opinione pubblica. In tutte queste analisi, rimane chiaro che il ruolo dello Stato è dominante e che, a dispetto di significative variazioni – lungo linee geografiche, sociali ed economiche – nel rapporto tra cittadini e Stato, il cambiamento rimane mirato al rafforzamento e non al superamento dell’attuale regime.

La tentazione dell’osservatore è quella di leggere in eventi contingenti – la protesta contro gli abusi dei diritti collettivi sui terreni a Wukan , le mobilitazioni ambientali dei cittadini di Dalian 大连 e Qidong , lo sciopero dei lavoratori della Honda di Foshan 佛山, la mobilitazione sul web sull’onda della tragedia ferroviaria di Wenzhou 温州, per citare solo alcuni esempi recenti – dei ‘punti di svolta’, delle crepe che presto porteranno all’implosione dell’intero sistema politico cinese. D’altra parte, altrettanto semplice è sottovalutare la portata dei cambiamenti in atto nei rapporti tra Stato e società in Cina. Né ‘vulcano sociale’ né ‘modello cinese’ sembrano ai nostri autori termini utili per descrivere la situazione cinese. I pezzi che leggerete in questo dossier cercano di evitare i tranelli della semplificazione, esplorando per quanto possibile la complessità dei processi in corso in Cina, con la speranza che una più attenta valutazione dell’esperienza cinese possa consentirci di comprenderne tanto i vantaggi quanto i limiti.

 

 

 

 

 

 

 

 


Category: Osservatorio Cina, Osservatorio internazionale

About Ivan Franceschini: Ivan Franceschini. Ha conseguito il Dottorato in Lingue, culture e società presso l'Università Ca' Foscari di Venezia. Oggi è Marie Curie Fellow presso l'Australian Centre on China in the World (Camberra) con un progetto di ricerca sul lavoro cinese in prospettiva globale. Ha vissuto iim Cina dal 2006 e poi in Cambogia per un anno e mezzo. Ha pubblicato nel 2009 Cronache dalle fornaci cinesi (Cafoscarina). Nel 2010 ha curato Germogli di società civile in Cina (Brioschi) insieme a Renzo Cavalieri. Nel 2012 ha scritto il libro Cina.net Post dalla Cina del nuovo millennio, Edizioni O barra O. Nel 2015 ha curato il rapporto Made in China 2014 per conto dell'Iscos Cisl. Sempre nel 2015 ha curato e tradotto l'il libro di Lu Xun, Fuga sulla luna e altre antiche storie rinarrate, Edizioni ObarraO , Milano, 2015

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