Il paradigma di Marsiglia

| 15 Aprile 2012 | Comments (1)

Vivere dentro la crisi, poveri ma non subalterni

 

Il dato della povertà: a Marsiglia i due terzi degli abitanti non pagano le imposte comunali perché il loro reddito si colloca al di sotto di quello minimo. Il dato della disoccupazione giovanile: nei quartieri Nord, quelli più martellati dalla povertà e abitati ieri dalla classe operaia, oggi dai pensionati e dai moltissimi immigrati, o figli di immigrati, specie di origine nord africana, i giovani senza lavoro superano il 40% del totale (quaranta per cento).  Salta agli occhi poi la miriade di attività dismesse, negozi, botteghe artigiane, piccole  aziende, uffici, con le saracinesche abbassate e le porte chiuse da catenacci di lunga durata. Qui per parlare di recessione non bisogna aspettare i numeri dell’ ISTAT o il solito saccente economista che ci spiega l’acqua calda e la potenza (terroristica) dei mercati, basta fare una passeggiata e guardarsi intorno.

Epperò il viaggiatore attento s’accorge ben presto che, al contrario di quel che ci si potrebbe attendere, non c’è la depressione, non  quella individuale e neppure quella collettiva. Anzi si avverte lo scorrere di una vita dura, ma libera, e se una miriade di botteghe sono chiuse, una miriade di ribelli sono in strada, un giorno sì e l’altro pure. Nei due mesi autunnali del 2011, settembre e ottobre, ci saranno state oltre sessanta- settanta manifestazioni, anche due o tre nello stesso giorno, con cortei, occupazioni, blocchi stradali, azioni varie, da quelle con migliaia di persone a quelle con poche decine, e il numero di ore di sciopero è stato il più alto di Francia. D’altra parte Marsiglia è tradizionalmente una città ribelle. Si pensi che i cannoni dei forti che stanno all’entrata del Vieux Port, Fort St. Jean e Fort St. Nicolas, sono rivolti non verso il mare per difendere la città da eventuali nemici esterni, ma puntano le loro bocche da fuoco verso la città. Così volle Luigi XIV, dopo una insurrezione (1658- 60) contro un odiato governatore, e tale rimase nei secoli. Oggi quei cannoni sono un reperto storico, ma non così le forze di polizia che riempiono strade e piazze, a volte quasi grottesche in tuta mimetica, armate fino ai denti e disposte in formazioni di combattimento che ricordano Sarajevo, o forse Algeri occupata dai parà di Massu e Salan al tempo della guerra coloniale, piuttosto che una città francese inserita nella pacifica Unione Europea. Forze di polizia che appaiono essere l’unica autorità statale visibile e presente sul campo.

Invece invisibili sono i ricchi, le auto di lusso e i SUV sono rarissimi, se ne incontri una probabilmente è di un caid della mafia, le milieu come si chiama in gergo, e le moto di grossa cilindrata si contano sulle dita di una mano, le signore ingioiellate nessuna, anche alla prima dell’Operà popolata da persone in jeans, giubbotto, camicia, pochissime cravatte quasi nessuno in smoking, o nessuna in abito lungo, forse quando viene Sarkozy oppure i pinguini di un qualche consesso internazionale l’abbigliamento diventa più sfarzoso, non so. De visu è invece comunque molto casual il popolo della tribuna VIP dello stadio, quando gioca l’amatissima OM, però nell’intervallo tra il primo e secondo tempo ti servono lo champagne, in bicchieri di carta. E a fine partita auto più che discrete, nessuna blu, attendono i vari notabili. Ma questa sobrietà e discrezione quasi mimetica dei ricchi non è del tutto spontanea. Se parcheggi il SUV in città hai molte probabilità di trovarlo bozzato se va bene, devastato se va male, e così per ogni macchina di lusso. Se hai una auto giapponese di grido e altamente tecnologica, ma non di gran lusso, facilmente te la rubano, la smontano e rivendono i pezzi nel giro di poche ore. Con i veicoli francesi, italiani, spagnoli va già meglio, non hanno mercato, al massimo qualche ragazzo la prende “in prestito” e potrai ritrovarla al Vieux Port o nei pressi di qualche spiaggia. Anche andare a passeggio con collane preziose può comportare il rischio di farsela strappare dal collo, lo stesso per una bella e ricca borsetta. Insomma Marsiglia è percorsa da una criminalità estesa e da azioni di violenza individuale che obbligano in specie i ricchi a non mostrarsi come tali, a tentare di rendersi invisibili. Violenza individuale fino alle forme criminali, che si intrecciano con una illegalità diffusa che si respira, si vede, si ascolta sui marciapiedi, nelle piazze, nei caffè.

Si ha l’impressione di una popolazione anarchica, nel bene e nel male, che non soffre in generale della sindrome dell’insicurezza e non sembra ossessionata dalla paura, nonostante la destra batta questo tasto in continuazione.  A considerare altamente insicura la città sono piuttosto quelli che vengono da fuori, e i «giornali parigini che vogliono tenere Marsiglia a l’ecart, a latere» racconta Constance, ricercatrice biomedica di chiara fama, appunto emigrata da Parigi a Marsiglia, dove nel suo campo ci sono alcuni dei laboratori migliori al mondo. «Dovevi sentire mia madre  dirmi che ero matta a venir qua, per di più con dei figli piccoli, e mi sarei fatta aggredire e violentare nel giro di un mese. Invece in dieci anno non mi è capitato niente, e vado spesso in giro da sola anche di sera. Certo bisogna muoversi con quattro occhi, due davanti e due dietro, e seguire alcune regole elementari, mai mettere una collana per esempio, il che è un po’ un peccato, perché qui le scollate sono più generose, e una bella collana mette bene in luce». Ci sono poi le forme criminali più violente, e simil mafiose, le grand banditisme come lo chiamano,  spesso intricate col mondo della politica e quello degli affari, tradizionali a Marsiglia, nonché le nuove organizzazioni e gruppi che irrompono sul mercato della droga, composti da persone molto giovani, quasi adolescenti, e che regolano i conti direttamente a colpi di kalashnikov. In particolare esistono dei fortilizi in alcune citè, i grandi agglomerati di torri abitate da immigrati o cittadini francesi di recente acquisizione, o poveri senza distinzioni, dove si entra a stento dopo aver traversato veri e propri posti di blocco o gruppi che sorvegliano il territorio, e al meglio ti guardano in cagnesco. Posti dove è meglio andare con qualcuno di lì.

Ma il discorso sulla criminalità marsigliese sarebbe lungo, e parecchio difficile, per cui torniamo sulla strada principale, perché se i ricchi non si vedono, però esistono ma si sono ritirati in collina, dove vivono in grandi ville, con guardie private e alti cancelli, da dove ovviamente esercitano potere. Scendendo in città, incontriamo i poveri. Cominciamo dai più poveri, i mendicanti che a dire il vero a Marsiglia sono pochi, assai meno che a Bologna per esempio. Forse per questo a ottobre 2011 il Comune ha emanato una ordinanza che vietava la manche, la questua, specie nelle zone centrali, pensando che non avrebbe suscitato reazioni consistenti. Ebbene invece detto il proclama, fatta la protesta: la mattina dopo alcune centinaia di cittadini autoconvocati stavano sotto il Comune a chiedere la carità, per tutto il giorno è durata la manche publique, come l’hanno chiamata. Un esempio del principio dominante di ogni protesta e dissenso a Marsiglia, quello dell’azione diretta, senza molti comizi, anzi nessuno, senza molte bandiere anzi nessuna, senza molti manifesti anzi nessuno, senza molte mediazioni politiche anzi nessuna, ma con una pratica comune immediata sul terreno. Rimanendo ancora tra i poveri, andiamo dai clochard e sdf, sans domicile fixe, che troviamo nella sala d’aspetto del commissariato di polizia lungo la Canebière, la strada che traversa Marsiglia dividendola tra i quartieri nord e quelli sud, una sorta di Spaccanapoli. No, non stanno lì in stato di fermo o qualcosa di simile, fatto è che questa sala d’aspetto è molto confortevole e calda, il caffè e il cappuccino erogati dalla macchinetta automatica costano pochi centesimi e sono buoni o almeno bevibili, così qua s’accampano i clochard da mane a sera e anche di notte se del caso, coi flic che fanno finta di non vedere quando non offrono qualche piatto della mensa, i flic marsigliesi che hanno fama di essere tra i più duri. Uno dei tanti paradossi di cui è intessuta la città.

Se dai clochard ci allontaniamo per andare a cercare i lavoratori, in fretta  ci accorgiamo che la città non ha più un cuore operaio, le fabbriche del celebre sapone di Marsiglia dismesse, alcune diventate musei dell’industria, e anche i mitici camalli, gli scaricatori d’antan, si sono assottigliati e hanno cambiato pelle e professionalità. Ma a due passi c’è Fos con le aziende petrolchimiche e le raffinerie, un sito costruito quando a Venezia nasceva il complesso di Porto Marghera, e la Giudecca diventava il sestiere operaio della città lagunare, mentre a Marsiglia per i lavoratori si sviluppavano i quartieri nord e le citè, gli agglomerati di torri hlm (habitation à loyer modéré), le case popolari. Quando in autunno a Fos i dirigenti di una raffineria annunciano l’intenzione di chiudere a fine anno, delocalizzando la produzione, la reazione è immediata. Di buon mattino gli operai bloccano la produzione, e picchettano i cancelli. Quindi vanno negli altri stabilimenti, e tutti nel giro di poche ore scendono in sciopero. Nel piazzale si riunisce l’assemblea generale che decide di bloccare l’intero sito, non un camion entra non un camion esce. I sindacati seguono di mal grado o buon grado che sia. I politici, se si esclude una toccata e fuga dei socialisti e dei verdi, stanno alla larga.  Arrivano invece i familiari e gli amici, e gli amici degli amici: il piazzale diventa il luogo di una sorta di assemblea popolare permanente, e di domenica si riempie anche di bambini e barbecue. Dopo una settimana il prefetto (l’equivalente del nostro questore) fa la voce grossa, e la magistratura sembra orientata a rispondere positivamente alla denuncia dell’azienda che reclama la libertà di movimento delle merci. La risposta è netta, e votata all’unanimità: il blocco resta, anzi si rinforza. Inoltre l’assemblea comunica che, se dovessero comparire  all’orizzonte le forze di polizia, gli operai non sarebbero più in grado di garantire la sicurezza degli impianti. Tradotto: rischia di saltare tutto. A fronte di questa determinazione dopo qualche giorno interviene il governo, che intima all’azienda di ritirare la chiusura annunciata e i licenziamenti connessi, convocando le parti per l’anno nuovo a una trattativa, che deve garantire almeno la ricollocazione di tutte le maestranze a parità di salario, in Francia i lavoratori petrolchimici hanno salari superiori a quelli di quasi tutte le altre categorie. È questo il minimo sindacale da cui si partirà nell’incontro padroni, sindacati, delegati operai e ministri. Altre lotte di lavoratori hanno costellato l’autunno anche con occupazioni di fabbrica e autogestione, con missioni di solidarietà provenienti da tutta la Francia, specie nel comparto agroalimentare. In città si sono soprattutto mossi i lavoratori dei trasporti pubblici, metrò, tramvai, bus, treni locali, in specie per le questioni della sicurezza, usate in modo intelligente: esiste in Francia una legge che dà ai lavoratori pubblici il diritto di scendere in sciopero totale senza preavviso e senza scadenza se sono in ballo questioni attinenti la sicurezza. Notoriamente problemi di sicurezza insorgono in ogni dove su una rete di trasporti, così si può con buona ragione attuare lo sciopero improvviso e a oltranza senza violare la legge e senza la necessità di garantire il trasporto minimo.

La trama e l’ordito della città sono comunque le associazioni di cittadini, centinaia che intervengono in varie forme su tutto lo spettro dei problemi della vita associata. Uno degli esempi più significativi della loro azione militante è la costruzione di Place Louise Michel.

Se cercate Place Louise Michel sulla  pianta del comune  di Marsiglia, non la troverete. Per le autorità amministrative e politiche della città questa piazza non esiste. C’è uno slargo all’incrocio di due strade nel cuore di Belsunce, il più “arabo dei quartieri marsigliesi e fino a poco tempo fa, uno dei più malfamati. Uno spazio tra alcuni palazzi abbastanza vecchi, quasi fatiscenti, che doveva essere venduto a un qualche speculatore immobiliare, trovandosi in centro città a due passi dal Vieux Port,  dove Marsiglia sbocca meravigliosamente sul mare, luogo del passeggio e dei ristoranti, del mercato del pesce e dell’Operà. Ma sia il Comune gestito dalla destra che gli speculatori immobiliari avevano fatto i conti senza l’oste. Cioè i cittadini. Per un verso è nata e si è mobilitata l’Associazione Commercianti del quartiere, Association des Commercants et des Artisans de Proximité Marseille Méditteranée, per l’altro è intervenuta una associazione cittadina  Nouvelles Energies Citoyennes. Il loro lavoro congiunto ha, prima di tutto, ridotto fortemente il tasso di piccola criminalità, «col dialogo, col dialogo» ripete il Presidente dell’Associazione commercianti e artigiani, Ali Tamizar spiegando come hanno convinto molti giovani a «comportarsi bene» attraverso una sorta di educazione sociale a cui prendevano parte attiva i cittadini adulti e/o anziani nei confronti dei giovani. In secondo luogo le associazioni insieme hanno deciso di inventare e costruire una agorà, un luogo aperto di pubblico dibattito e incontro e convivenza civile e anche per stare seduti al sole su una bella panchina a chiacchierare cogli amici. Ovvero di trasformare lo slargo in una Piazza, bella, comoda, accogliente. Une Place Citoyenne, dicono.

Tutti gli abitanti partecipano a ripulirla e sistemarla, gli idraulici, i muratori, i falegnami, portano materiali, attrezzi, competenze fornendo lavoro, e contribuiscono a progettarla dicendo come la vorrebbero, arrivano anche artisti e architetti e urbanisti: nel progetto Renovation de la place Louise Michel, infine, tutto questo lavoro si condensa anche in un nuovo piano per la mobilità, perché oggi la zona è ingorgata di automobili, e siamo in vie strette, quindi diventa rumorosa e molto inquinata, per non dire delle difficoltà che hanno le madri con bambini piccoli e i rischi che corrono quelli più grandicelli.  Cioè la piazza e i suoi dintorni devono essere agibili per i pedoni, che la mobilità pedonale è un vettore di socialità. Insomma nasce, cresce, si autorganizza un movimento di cittadini senza distinzione di cultura, religione, origini, per costruire dal basso Place Louise Michel, che verrà inaugurata il 9 Dicembre, in Francia giornata della laicità, a cui tengono molto.

Per avere la percezione della natura di questo movimento, vediamo in breve come nasce l’idea di chiamarla Place Louise Michel. Oggi è un luogo di ritrovo di anziani quasi tutti cittadini francesi di origine maghrebina, gli chibanis come sono chiamati a Marsiglia, e qualcuno proponeva di chiamarla  piazza degli Chibanis, ma poi discutendo tutti sono stati d’accordo che avrebbe avuto così un connotato troppo chiuso, “etnico” e di “generazione”, insomma una agorà dove essere tale anche nel nome. Quindi una giovane donna dell’Associazione dei Commercianti scopre che, due strade più giù, ha vissuto per qualche tempo Louise Michel, «una donna, una grande figura della Repubblica, una Comunarda rivoluzionaria», e propone di chiamare la piazza «Louise Michel», «perché la piazza vuol anche significare che noi siamo cittadini repubblicani, e per la libertà della donna», e la proposta è passata, anzi ha trovato tutte/i entusiasti. Ricordiamoci: siamo nel cuore del quartiere più “arabo” di Marsiglia, la città più “araba” di Francia, probabilmente d’Europa. Leggiamo per un momento alcuni capitoli della prima pagina del progetto: Un quartier reconnu et vivant..meme le soir (un quartiere riconosciuto e vivente..anche di sera), Conserver  notre  identité populaire..et solidaire (conservare la nostra identità popolare..e solidale), Belsunce, culture pour tous à tous les étages (Belsunce, cultura per tutti a tutti i livelli), e infine Etre un quartier exemplaire en matière d’environnement (essere un quartiere esemplare in materia di ambiente).

Ma non ci sono solo le associazioni e i cittadini del quartiere in ballo, entra in gioco anche l’IMéRA, Institut d’Etudes Avancées (IEA), un Istituto di Studi Avanzati in Sciences and Humanities, dove si sviluppa un progetto scientifico di ricerca delle Agorà di Marsiglia, e delle loro dinamiche, e che quindi del tutto naturalmente incontra il gruppo che discute e costruisce Place Louise Michel, e infatti il 2 Dicembre si tiene all’IMéRA un Atelier «Comment créer une agora ? Le cas de la place Louise Michel ». Ovvero i protagonisti di una esperienza di base, militante  e autorganizzata, per l’autocostruzione e l’autogestione di uno spazio pubblico libero e aperto, si incontrano e discutono con ricercatori e accademici, artisti, architetti , sociologi urbani, storici, fisici, matematici, urbanisti , antropologi ecc.. per riflettere e collocare in un quadro teorico più ampio il proprio lavoro e impegno civile.

Il che significa anche che questa esperienza acquista un valore generale, diventando materia per un modello delle dinamiche sociali di agorà.

Infine le autorità: per ora quelle centrali fanno come le tre scimmiette, non vedono, non sentono, non parlano, però il maire (sindaco, Marsiglia è organizzata su base metropolitana come Parigi e Londra) del quartiere ha convocato in Place Louise Michel un’assemblea dei cittadini, e la lettera di convocazione è per ora l’unico documento ufficiale dove la piazza autocostruita e autogestita viene nominata . Nella foto (autore E. Boscarol)  si vede la piazza dopo le prime sistemazioni, frutto del lavoro volontario e gratuito dei cittadini del quartiere.

Viceversa una giovane autorevole architetta, Corinne Vezzoni, presenta a un pubblico concorso indetto ad hoc, un progetto di ristrutturazione della zona del Vieux Port, per aprirla ai cittadini, trasformandola in una grande piazza a uso pedonale, anche qui dal nome significativo, Place de la Fraternité. Però, nonostante venga classificato primo dagli organi competenti,  il progetto viene rifiutato dal sindaco di destra che considera troppo rivoluzionaria l’idea di un’area pedonalizzata e sottratta al traffico, a Marsiglia spesso infernale. Forse lo inquieta anche l’idea di avere sotto le sue finestre una grande piazza dove tutti i fermenti e i rivoli di contestazione e rivolta potrebbero un giorno confluire creando una grande onda di marea.  In figura la simulazione di Place de la Fraternité. (Corinne Vezzoni Project).


A proposito di uso del territorio, raccontiamo un’altra storia di confronto tra cittadini e autorità locali, nonché speculatori edilizi. Siamo a rue de la République, dove la speculazione edilizia e l’autorità pubblica, sostanzialmente il comune, hanno progettato una strada sul modello di rue de Rivolì o addirittura degli ChampsÉlysées a Parigi. Ovvero una strada del lusso e abitata dai ricchi, via Condotti a Roma oppure via Monte Napoleone a Milano. Ovviamente bisognava scacciare i vecchi abitanti, e dopo una lunga fase di lotta-trattativa-lotta, si è addivenuti a un compromesso: un terzo degli appartamenti dei palazzi ristrutturati a lusso dovevano essere riservati ai vecchi inquilini, con affitti hlm, cioè a canone da casa popolare. Il che è avvenuto, e a ottobre 2011 il sindaco ha consegnato le chiavi. Con un paradosso assai interessante: nel frattempo è sopravvenuta la crisi e gli appartamenti a fitto libero sono diventati troppo costosi per il ceto medio, e anche medio alto, rimanendo così desolatamente vuoti, almeno fino a oggi. Mentre anche i negozi dove si sperava arrivassero i marchi del lusso, da Armani a Kenzo, e gli altri, non trovano né acquirenti né locatari, stanno con le saracinesche abbassate.

Ma a questo punto è lecito chiedersi come campano i poveri di cui abbiamo parlato all’inizio. Intanto esiste in Francia il reddito di cittadinanza (RMI, revenu minimum d’insertion), ovvero ogni cittadino francese ha diritto a un reddito mensile di 466.99 euro se è disoccupato, più un aiuto per l’affitto che cambia da città a città. Se il cittadino ha un figlio l’RMI sale a 700.49 euro. Inoltre in Francia la scuola è completamente gratuita, libri di testo compresi che sono forniti dalla Repubblica, dalla nascita fino alla fine del liceo. All’Università si pagano tasse annuali per la laurea di 174 euro l’anno, 116 per i meritevoli, poi di 237 euro per il master, 157 per i meritevoli, e 564 per il diploma di ingegnere. Per il dottorato infine si pagano 359 euro l’anno, 239 per i meritevoli. Gli studenti universitari hanno diritto all’assistenza sanitaria gratuita, e i loro anni di studio sono conteggiati per la pensione. Poi se lavori, esiste lo SMIC, cioè il salario minimo definito per legge e per tutti i lavoratori, pubblici e privati, oggi eguale a 1.393, 82 euro lordi, con deroghe per i giovani al primo impiego, purché assunti a tempo indeterminato e su un arco di tempo definito dai vari contratti di categoria. Ma quando lo stato sociale non basta allora intervengono forme spurie, per esempio i mercati rionali autogestiti dai cittadini che espongono sui marciapiedi ogni sorta di vecchie cose, dai libri ai vestiti, dagli elettrodomestici ai telefonini. Vien da dire: i mercati cittadini di mutuo soccorso e del valore d’uso contrapposti ai mercati finanziari del valore di scambio e della miseria per i popoli.

In fine di questa lacunosa e provvisoria storia, le esperienze di lotta, di resistenza, di rivolta del proletariato marsigliese hanno un loro organo di stampa «La Marseillese» antico giornale comunista, che in occasione di Occupy Wall Street ha titolato: il proletariato insorge contro il capitalismo finanziario, e tutti lo hanno preso sul serio, perché è un giornale molto letto, nei bar, sulle panchine, lungo i docks, e in molti altri posti dove si riunisce la gente. Molto letto e molto bene informato, sempre pronto a raccogliere le proteste di un caseggiato come di un gruppo operaio, oppure a mettere in luce le malefatte del ceto politico e dei padroni del vapore. Poca politica e molto racconto, poca politica e molta denuncia, poca politica e molta rivolta, poca politica e molta società, poca politica e molta inchiesta, persino con qualche sense of humour, che per un giornale “comunista” è quasi una eresia. Insomma aderisce alla città come un guanto e la città lo ripaga comprandolo, tanto che si autofinanzia e pure bene, per ora.

Ci sono atri aspetti che meriterebbero attenzione, la presenza della più grande università di Francia e di molti laboratori scientifici di eccellenza mondiale, oppure la quantità di giovani artisti che percorrono la città in lungo e in largo, producendo opere, idee, azioni e performance di strada, ma per ora mi fremo qui.  Senza conclusioni, se non questa: non so se l’esperienza marsigliese, laddove cioè i poveri e gli sfruttati non sono deboli e nemmeno subalterni, e si autogestiscono spesso la vita, in modo individuale e collettivo, possa diventare un modello e/o un paradigma, certo a starci se ne ricava un grande senso di liberazione e di libertà, nonché una gran voglia di cambiare il mondo. Se osassi direi: una gran voglia di fare la rivoluzione.

 

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Category: Osservatorio internazionale

About Bruno Giorgini: Bruno Giorgini è attualmente ricercatore senior associato all'INFN (Iatitutp Nazionale di Fisica Nucleare) e direttore resposnsabile di Radio Popolare di Milano in precedenza ha studiato i buchi neri,le onde gravitazionali e il cosmo, scendendo poi dal cielo sulla terra con la teoria delle fratture, i sistemi complessi e la fisica della città. Da giovane ha praticato molti stravizi rivoluzionari, ha scritto per Lotta Continua quotidiano e parlato dai microfoni di Radio Alice e Radio Città. I due arcobaleni - viaggio di un fisico teorico nella costellazione del cancro - Aracne è il suo ultimo libro.

Comments (1)

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  1. laila ha detto:

    Scusate solo una piccola cosa, credo ci sia un errore , io vivo in Francia e al contrario di quello che dice l’articolo i libri per le scuole superiori, come quelli per l’università, non vengono forniti dal governamento ma comprati in privato. Al limite vengono in parte rimborsati e si possono rivendere nelle librerie (se in buono stato e ancora validi poiché ogni 5 anni si cambiano) apposite.

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