Franco Cardini: Dopo Parigi che fare?

| 16 Novembre 2015 | Comments (0)

Lo storico Franco Cardini ha proposto, sul suo blog del 16 novembre 2015, un’analisi dei fatti che è tra le più lette in rete. «Tralasciamo ogni considerazione accessoria, che sarebbe ormai superflua, e atteniamoci ad alcuni fatti», scrive, «ll molteplice attacco parigino è stato un vero e proprio atto di guerra, per molti aspetti più grave ancora dell’attacco alle Twin Towers»

È presto per qualsiasi tipo di deduzione. Il molteplice attacco parigino è stato un vero e proprio atto di guerra, per molti aspetti più grave ancora dell’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre 2001. Tralasciamo ogni considerazione accessoria, che sarebbe ormai superflua, e atteniamoci ad alcuni fatti.

Primo: l’IS – prendendo come buona la sua rivedicazione di responsabilità – non è un vero stato riconosciuto come tale a livello internazionale, per quanto si stia dotando di molti strumenti istituzionali che vorrebbero abilitarlo a comportarsi come tale: è un’organizzazione criminale che sta comportandosi in modo terroristico all’interno di due stati internazionalmente riconosciuti e legittimi, la Siria e l’Iraq, per quanto le loro istituzioni siano a loro volta compromesse e il loro funzionamento problematico. Se la Francia o l’Unione Europea, ritenendosi attaccate direttamente e in modo così brutale, volessero reagire, non potrebbero certo dichiarargli guerra; né attaccare militarmente territori che appartengono a due stati diversi, salvo compiere prima tutta una serie di atti politici e diplomatici. In territorio irakeno agisce una coalizione militare che contrasta – poco e male – l’IS con il consenso del governo di Baghdad. In Siria, l’intervento militare russo si è svolto – con efficacia – su richiesta del governo di Damasco. I propositi belluini manifestati adesso da vari politici (“andar lì e attaccare”, o baggianate del genere) sono fuori della realtà.

Secondo: all’IS non si può attribuire a tutt’oggi (qualunque siano l’entità e la frequenza delle sue minacce e delle sue vanterie) il controllo e la gestione di alcuna rete terroristica. Ammesso che nel mondo occidentale vi siano cellule terroristiche ad esso affiliate, nulla sappiamo sulla qualità e sulle modalità dei loro rapporti di dipendenza con la supposta centrale. Per quanto a tutt’oggi ne sappiamo, per i territori che esso non controlla direttamente, l’IS agisce “in franchising”: vi sono gruppi che adottano la sua sigla e la sua bandiera, insomma il suo trade mark, ma agiscono dove si trovano in piena autonomia. Quelle eventuali reti terroristiche e i loro fiancheggiatori, sostenitori e complici vanno individuati e contrastati in loco: con adeguate operazioni d’intelligence e d’infiltrazione. Chi parla di “colpire le centrali del terrorismo” non sa quelle che dice. Contro questo tipo di nemico, in questa “guerra asimmetrica”, non servono né divisioni corazzate, né missili, né aerei, né droni.

Terzo: criminalizzare con un’indiscriminata ostilità e con un’ingiustificata presunzione di complicità associazioni o centri di cultura musulmani è illegittimo sul piano civico e giuridico, insensato su quello tattico-strategico. Le stragi parigine non sono un episodio di alcuna “guerra di religione”, di alcuno “scontro di civiltà”: sono il risultato delle mosse di un’organizzazione criminale che sta facendo proselitismo sulla base di una tesi ideologica, quella che tratta l’Islam non come una fede religiosa bensì come un’ideologia e postula arbitrariamente la necessità che tutti i musulmani sunniti del mondo (un miliardo e mezzo circa) si riuniscano in una sola umma (“matria”, comunità) per combattere sia gli “atei”, gli “idolatri”, i “crociati” (cioè i vari non-musulmani del pianeta), sia gli sciiti (perché la fitna, la guerra civile antisciita, fa parte del programma del califfo esattamente come di quelli arabo-saudita e qatariota). La stragrande maggioranza dei musulmani di tutto il mondo è del tutto estranea a questa follìa: ne è anzi concettualmente parlando la prima vittima, in quanto le azioni criminali dell’IS si riflettono in termini di sospetto e di ostilità da parte dei non-musulmani proprio su di loro.

Quarto: i migranti non c’entrano. Tutti i “servizi” d’intelligence del mondo concordano sul fatto che non esiste alcun legame sistematico e strutturale fra il movimento di migrazione, nelle sue varie e diverse componenti, e le centrali terroristiche. Casi isolati d’infiltrazione o d’indottrinamento sono sempre possibili, così come sappiamo bene che none siste alcuna città, alcuna installazione che non sia in linea teorica “a rischio”. E’ una delle leggi di base delle “guerre asimmetriche”. Ma il reclutamento di simpatizzanti o di aspiranti terroristi non avviane nei centri di raccolta o di smistamento dei profughi: vi sono luoghi specifici, come le prigioni oppure certe aree urbane o suborbane (le banlieues parigine, ad esempio), dove gli agenti provocatori e i “predicatori” dell’IS raccolgono possibili adepti. Prendersela con i migranti serve solo, semmai, a facilitare il sorgere in alcuni di loro di simpatìe filoterroristiche “di reazione”. I veri complici dell’IS non sono i “buonisti”, bensì quelli che se la prendono senza criterio alcuno con chiunque appaia loro un possibile fiancheggiatore dei terroristi e quelli che contribuiscono a spargere timori e ostilità infondate. Né serve “chiudere le frontiere”, a meno che non si voglia impedire l’espatrio clandestino di qualche sospetto.

Quinto: cerchiamo di capire le ragioni che possono aver indotto gli organizzatori degli attentati parigini a un tanto grave crimine. Non certo “punire la Francia”: il governo francese ha sostenuto i guerriglieri jihadisti sia in Libia contro Gheddafi sia in Siria contro Assad e non ha mai fatto nulla di concreto contro l’IS (a differenza della Russia, sulla quale dopo i raids di qualche giorno fa si è puntualmente abbattuta la vendetta terroristica con l’attenatto all’aereo partito da Sharm al-Sheykh). L’azione terroristica cruenta e spettacolare serve, nelle intenzioni del califfo (se è davvero lui il diretto mandante) per concentrare contro di lui l’azione dei “crociati” occidentali: in tal modo egli potrà presentarsi nei confronti dei tanti musulmani disorientati e incerti che sono la potenziale area d’espansione dei suoi fedeli e/o simpatizzanti come il vero paladino del puro islam, l’autentico martire designato contro cui si sia abbattuta la rabbia degli infedeli. E’ un vantaggio mediatico e propagandistico ch’egli cerca: seminare paura e provocare reazioni inconsulte che si abbattano su innocenti e indirizzino su di lui le simpatie di questi ultimi. Non dobbiamo fare il suo gioco. Le armi delle quali disponiamo sono le seguenti: intelligence, infiltrazione, informazione corretta, massima collaborazione tra musulmani e non musulmani contro il comune avversario terrorista, mantenimento della calma e svolgimento di una normale, serena vita civile nelle nostre città.

Sesto: un po’ di equità non guasterebbe. All’attentato contro l’aereo russo in Occidente si è reagito con noncuranza, in qualche caso quasi con soddisfazione. Eppure la Russia aveva dimostrato da poco di prendere la minaccia dell’IS molto più sul serio della maggior parte dei paesi occidentali. Inoltre, non troppo tempo fa c’è stato un grave attentato terroristico all’aeroporto di Beirut: e della stessa presumibile matrice di quelli di Parigi del 13 scorso; ma da noi non ne ha parlato quasi nessuno. Infine – e ciò sia detto con forza – gli occidentali blaterano sempre sul fatto che “la comunità musulmana moderata” non condanna i terroristi. Contro l’attentato di Parigi si sono espressi con la massima durezza, tra l’altro, l’Associazione Mondiale delle Comunità musulmane, l’università di al-Azhar, il dottor Ezzeddin, presidente dell’unione delle Comunità Islamiche d’Italia (UCOII), e anche Hamas ed Hezbollah. I nostri media non hanno accordato alcuna attenzione a quelle voci. Andiamo avanti così, continuiamo a farci del male…

Settimo: questa tragedia ci ha ricordato una volta di più che per essere dei militanti dell’IS non c’è bisogno di essere arabi, né di venire da chissaddove. Bisogna abituarci all’idea che i terroristi li abbiamo fra noi, che possono essere dei ragazzi nati anche a Liverpool, a Bordeaux, oppure – perché no? – a Pontassieve. Non facciamo la politica dello struzzo, non nascondiamoci dietro la virtù pelosa della nostra cattiva coscienza (noi pacifici, noi razionali, noi democratici…), piantiamola di buttar sempre la colpa tutta addosso agli altri. Perché l’altroieri i ragazzi di vent’anni partivano volontari in camicia nera, perché ieri altri ragazzi di vent’anni sognavano il “Che” e la guerriglia, perché oggi altri ragazzi ancora – allevati in famiglie nelle quali sono magari stati riempiti di computers, di telefonini, di capi firmati e altre belle cose ancora – scelgono la Bella Morte nel nome di Allah? Ci ha mai sfiorato il dubbio che la società dei consumi e dei profitti possa apparire a qualcuno vuota e inutile e viziosa, che qualcuno dei nostri ragazzi voglia guardare oltre, anche a prezzo della vita propria e altrui? Sbaglieranno, certo, questi “fanatici”: ma quali sono stati i disvalori che noi abbiamo offerto loro, e che tali li hanno fatti divenire?

 

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Category: Culture e Religioni, Guerre, torture, attentati, Osservatorio internazionale

About Franco Cardini: Franco Cardini è nato a Firenze nel 1940. Consegue la laurea in Lettere presso l'Università di Firenze nel 1966. Nel 1967 diventa assistente volontario di Ernesto Sestan. Assistente ordinario alla cattedra di storia medievale e moderna della facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Firenze, poi professore incaricato di storia medievale nella stessa università e, nel 1985, professore associato e ordinario all'Università di Bari; nel 1989 ottiene la cattedra di Storia medievale a Firenze. Attualmente è professore ordinario presso l'Istituto Italiano di Scienze Umane (Sum) e fa parte del Consiglio scientifico della Scuola Superiore di Studi Storici di San Marino. Il campo di studi principale di Cardini è quello della storia delle Crociate, affrontato con studi su scritti cristiani e arabo-islamici. Cardini ritiene che le crociate non siano state uno scontro di civiltà o guerra di religione, ma un "pellegrinaggio armato" volto a mettere la Terra Santa sotto il controllo politico di singoli potentati cristiani. Tutto questo senza che vi fosse la percezione, da una parte come dall'altra, dell'esistenza di due schieramenti nettamente distinti in funzione delle divisioni religiose: cristiani e musulmani si sono combattuti ma si sono anche alleati a seconda delle convenienze contingenti. In gioventù è stato iscritto al Movimento Sociale Italiano, poi alla Jeune Europe, il movimento transnazionale fondato da Jean Thiriart. È stato a volte definito dai media come politicamente di "destra", ma respinge questa etichetta. Ha preso posizione contro le guerre in Afghanistan (iniziata nel 2001) e contro la guerra in Iraq (iniziata nel 2003), ha inoltre aderito alla manifestazione unitaria in favore della "resistenza irachena" del 13 dicembre 2003 promossa dal campo antimperialista, manifestazione che ha attirato l'interesse dei media soprattutto per via della presenza di una raccolta fondi in favore della "resistenza irachena". Cardini non ha mai nascosto, inoltre, la sua ammirazione per il rivoluzionario Ernesto Che Guevara.Nel 2004 fu candidato sindaco alle elezioni comunali di Firenze, sostenuto dalle liste civiche Sinistra per Firenze, Iniziativa popolare per Cardini, Lega pensionati e disabili per Firenze, Sovranità popolare, Democrazia della terra. Ha raccolto il 4,56% e 10.155 voti. Dal luglio 1994 allo stesso mese del 1996 è stato membro del consiglio d'amministrazione della RAI. È socio di numerose organizzazioni scientifiche italiane e straniere e ha ottenuto numerosi riconoscimenti per i suoi studi accademici, tra cui si ricorda l'elezione ad Accademico Ordinario della Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. Dal 1997 è membro del comitato consultivo del Myfest di Cattolica. È stato direttore editoriale del mensile della Fondazione Federico II di Palermo, L'Euromediterraneo. È stato fondatore della rivista "Percorsi" e collabora frequentemente con il quotidiano Avvenire. Da gennaio 2012 è entrato a far parte del comitato scientifico della rivista Eurasia. Dal maggio 2012 è membro del Collegio dei Reggenti dell'Associazione Fiorentini nel Mondo. Nel luglio 2015 ha fondato Civitas Dei, un’istituzione culturale preposta alla ricerca ed alla documentazione della storia e dell’archeologia gerosolimitane e dedicata alla valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, religioso e culturale di Gerusalemme, con Andrea Claudio Galluzzo, Oleg Sisi, Marco Fagotti, Simone Tani, Tommaso Conforti e Franco Lucchesi, presidente dell'Opera di Santa Maria del Fiore presso la quale Civitas Dei è ospitata. Cardini ne ha assunto la carica di Presidente Onorario. Tra i sui ultimi libri: Gerusalemme. Una storia, Bologna, Il Mulino, 2012; Il grande blu. Il Mediterraneo, mare di tesori. Avventure, sogni, commerci, battaglie, Roma, Salerno Editrice 2014; L'appetito dell'imperatore. Storie e sapori segreti della Storia, Milano, Mondadori 2014; Istanbul. Seduttrice, conquistatrice, sovrana, Bologna, Il Mulino, 2014; La Sindone di Torino oltre il pregiudizio. La storia, la reliquia, l'enigma, Milano, Medusa Edizioni 2015; L'ipocrisia dell'Occidente. Il Califfo, il terrore e la storia, Roma-Bari, Laterza 2015; Arte gradita agli dèi immortali. La magia tra mondo antico e rinascimento, Torino, Yume 2015

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