Francesca Brandes: La danza di Beverly

| 29 Settembre 2020 | Comments (0)

 

 

 

 

L’uomo che misura le nuvole di Jan Fabre, dal tetto dello Spazio Thetis all’Arsenale Novissimo di Venezia, accompagna i visitatori. Nel piazzale, solide ed agili ad un tempo, stanno le formidabili quattro Sentinelle di Beverly Pepper, quelle Todi Columns donate dall’artista statunitense ai Musei Civici della città lagunare e qui trasportate negli anni Novanta, grazie soprattutto all’impegno di Antonietta Grandesso, responsabile degli eventi culturali di Thetis.

Così il polo dedicato alle tecnologie del mare, impegnato nel campo dello sviluppo sostenibile e dell’ingegneria ambientale, coniuga attenzione al territorio e volontà di bellezza: una prospettiva che a Beverly è sempre piaciuta molto. Non per nulla, Pepper ha creato per la città un progetto di Land art per l’Isolotto della Bocca di Porto del Lido: idea fantastica d’interazione tra naturale ed artificiale, in totale sinergia. Il piano – descritto in un plastico visibile allo Spazio Thetis – prevede la realizzazione di un anfiteatro presso l’Isolotto Nuovo, tutto in pietra locale, tra aree verdi e sculture in acciaio inox: un’opera monumentale, concepita come un faro per le navi in entrata e un’altra rivolta verso la città, in ideale collegamento tra i fasti del passato e il futuro.

L’iniziativa è stata da poco presentata durante una serata veneziana, a conclusione del Festival delle Arti 2020, organizzato dalla Fondazione Progetti Beverly Pepper, in collaborazione con la Beverly Pepper USA Foundation e il Comune di Todi. I luoghi scelti per il Festival – Todi, dove l’artista ha scelto di risiedere e lavorare per oltre quarant’anni; L’Aquila, dove è stata inaugurata (nell’ambito del progetto Nove artisti per la ricostruzione, ideato e curato da Roberta Semeraro) l’Amphisculpture, un grande anfiteatro all’aperto posto all’interno del Parco del Sole di Collemaggio; Venezia, nello scenario dell’Arsenale Novissimo – testimoniano l’amore che Beverly Pepper, scomparsa nel febbraio scorso a 97 anni, provava per l’Italia.

«Nulla è impossibile»: seguendo questa convinzione incrollabile, Beverly Stoll Pepper ha costruito, in tutta la sua lunga vita, un approccio al paesaggio che la diversifica dalla maggior parte degli artisti della sua epoca. Creare con la natura, piuttosto che forzarla ad accettare ingerenze esterne. Lei, nata in una famiglia ebraica di Brooklyn, dopo aver studiato design pubblicitario ed industriale, passa per Parigi nel 1949 per affrontare l’esperienza pittorica con Fernand Léger e André Lhote; poi, si trasferisce nel 1951 a Roma, grazie ad una borsa di studio del Ministero degli Affari Esteri italiano. È subito amore: la prima mostra come pittrice – dapprima figurativa, poi astratta – è del 1952, sempre a Roma, alla Galleria dello Zodiaco, presentata da Carlo Levi. Il mondo, in quei proficui anni romani, le viene incontro: frequenta il Gruppo Forma 1, il movimento di Giulio Turcato, Piero Dorazio, Pietro Consagra e Achille Perilli; ha l’occasione di conoscere Toti Scialoja e Renato Guttuso, registi come Fellini, Antonioni, Pontecorvo e critici che tanta parte avranno nella sua formazione (soprattutto Giovanni Carandente, Giancarlo Vigorelli e Lorenza Trucchi).

Pepper debutta come scultrice nel 1961, dapprima a New York e poi ancora a Roma, alla galleria Pogliani. È proprio Carandente, all’epoca direttore artistico per le Arti Visive del Festival dei Due Mondi, a proporle di esporre l’anno successivo a Spoleto. La sfida a lavorare il metallo, a sperimentare la saldatura. E Beverly non si scoraggia, finendo così ad operare nelle officine italiane dell’Italsider, con altri dieci fra i maggiori scultori contemporanei. A Piombino, nello stabilimento siderurgico, modella diciassette opere di medie dimensioni e tre più grandi, per la mostra a cielo aperto Sculture nella città che vede tra i partecipanti anche David Smith e Alexander Calder. Tra tutte, la sua scultura Il dono di Icaro resterà in dono al Comune di Spoleto e sarà collocata all’ingresso sud della città.

È l’inizio per Beverly (ormai sposata con il giornalista Curtis Bill Pepper e madre di due figli) di una fantastica avventura artistica ed umana. La coppia sceglie Todi – «o fu Todi, a scegliermi?» ha confessato l’artista in un’intervista – e vi si trasferisce nel 1972. La scultrice non si accontenta di modalità convenzionali; la sua è opera di pioniera nella ricerca dei materiali. Cemento e acciaio prendono via via il posto di legno e argilla, specie dopo un viaggio in Cambogia dove visita il tempio di Angkor Wat: «È lì – racconterà in seguito – che ho cominciato ad apprezzare la misura monumentale, ma è anche lì che ho compreso che la monumentalità di un’opera non è legata alle sue dimensioni, ma alla proporzione tra le sue parti». Nei decenni, l’immagine di Beverly Pepper non è stata connotata dalla presenza a vernissage o a ricevimenti. Per lo più, la si ritrae al lavoro nelle fonderie italiane, dove studia le tecniche più disparate per trattare il ferro o la ghisa; fa indagini sulla ruggine, sulle patine grezze o su nuovi materiali per l’epoca come l’acciaio inossidabile, quel Cor-Ten che sabbia esternamente e dipinge all’interno. Tra le sue belle mani, la materia si piega a progetti ambientali; usa l’erba, la curvatura delle colline umbre, la terra, il verde pubblico. Quella di Pepper è anche, felicemente connective art, quando mette in luce la funzione sociale, di aggregazione delle sue installazioni, soprattutto in aree urbane periferiche.

Vanno in alto, le sue sculture: «Vorrei fare un monumento al cielo – dichiarava qualche anno fa – ma non ci sono ancora riuscita». «E le dispiace?» incalzava l’intervistatore. «No, affatto. Ho detto non ancora … Vede, – una luce vagamente canzonatoria illuminava, con un guizzo, gli occhi ancora vivaci – la terra sta, come un buon marito. Il cielo no, è mutevole, bello e sfuggente come un amante».

In nome di quell’azzardo, quasi totem della presenza umana, le sue sculture dialogano con lo spazio circostante, lo scandiscono in un continuo confronto tra materia e spirito, tra certezza e sogno. È solo dell’anno scorso, in settembre, l’inaugurazione del Beverly Pepper Park a Todi, tutto dedicato alla scultura contemporanea: «Vedo il Parco come una grande porta, che cela tante possibilità – ha commentato l’artista – Sento di voler dare alla città una nuova energia, sento di aver trasmesso coraggio e vitalità».

Alla chiusura veneziana del Festival delle Arti 2020, i musicisti di La Mama Umbria International hanno suonato tra le Sentinelle di Beverly nel grande piazzale dello Spazio Thetis, accompagnando la performance di ContemportaneaMente Gruppo Danza: The Memoria Circle hanno intitolato l’evento, sincopato, energetico e drammatico.

Un’energia che sarebbe piaciuta a Beverly. Lei, immutabile nel tempo, miracolosa come chi crede che tutto sia possibile, ha danzato con loro, e ancora danza.

Category: Arte e Poesia, Donne, lavoro, femminismi, Osservatorio internazionale

About Francesca Brandes: Francesca Ruth Brandes vive ed opera a Venezia. Giornalista, saggista e curatrice d’arte, ha scritto e condotto per RadioRai programmi di attualità culturale. Si è spesso occupata di tematiche ebraiche. Ha pubblicato, fra gli altri, per i tipi di Marsilio Itinerari ebraici del Veneto, oltre a testi per il teatro e cataloghi monografici. È collaboratrice del Centro Internazionale della Grafica di Venezia e redattrice della rivista TESSERE.org. Tra le pubblicazioni si possono ricordare: L’altra storia, Eidos, 1995; La casa dei viventi. L’antico Beth Chaim di San Nicolò del Lido, Venezia, Atiesse, 1997; L’ultima farfalla a Terezin, testo teatrale, 1998; Canto a più grida (poesie), Venezia, 2005; Piccole benedizioni (poesie), Padova, 2006; Tikkun, Milano, 2008; Virgiliana, Mantova, 2008; Non appena avrò taciuto, Bassano, 2009; Trasporto (poesie), Faloppio (Co), LietoColle, 2009; L’undicesimo giorno (poesie), Faloppio (Co), LietoColle, 2012; Il dono di Ernani, Venezia, 2014; Ernani Costantini in privato, Venezia, 2016; Storie dal giardino (poesie), Milano, La Vita Felice, 2017

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