“Abbiamo avuto il Dalai Lama per cinque secoli. L’attuale, il XIV, è molto popolare. Ma è tempo di smetterla”. Così il 79enne Tenzin Gyatso, premio Nobel per la pace del 1989, in un’intervista al quotidiano tedesco Welt am Sonntag ha suggerito che sarà l’ultimo leader spirituale del buddhismo tibetano. “Il buddhismo tibetano non dipende da un solo individuo”, ha aggiunto, “abbiamo un’ottima struttura organizzata, i nostri studiosi e i nostri monaci sono formati al meglio”. Riconosciuto nel 1937 alla tenera età di due anni, l’attuale Dalai Lama è stato costretto all’esilio dall’invasione del Tibet da parte dell’Esercito di liberazione cinese nel 1959. Pechino ritiene di aver liberato la regione da una teocrazia di stampo feudale e addita il leader tibetano come “un lupo travestito da pecora”. Quest’ultimo – che all’epoca si rifugiò in India a Dharamsala, dove tutt’ora risiede il governo tibetano in esilio – è da sempre è attivo in una sorta di opposizione non violenta alle volontà di Pechino. Pretende che al Tibet sia riconosciuta una piena autonomia, anche se all’interno della Repubblica popolare. Ma il peso sempre maggiore della Cina nell’economia mondiale, soprattutto sulla bilancia commerciale dei singoli paesi, fa sì che l’attuale Dalai Lama abbia sempre più difficoltà a sensibilizzare i capi di stato delle altre nazioni. Un grafico di Foreign Policy mostra come, dal 2000 a oggi, il numero di incontri ufficiali con i capi di stato delle altre nazioni sia sensibilmente diminuito.