Bruno Giorgini: I neri fascisti di Daesh e noi

| 25 Maggio 2015 | Comments (0)

 

 

Il califfato, daesh, dilaga. In pochi mesi ha guadagnato un 20% circa di territorio. Ormai è padrone di mezza Siria, dell’intera linea di frontiera con l’Iraq, dove si attesta a non più di 110 km da Baghdad. Così le 6000 (seimila) incursioni aeree che dall’agosto 2014 la coalizione guidata dagli USA ha compiuto, paiono almeno inadeguate a contrastare l’avanzata politico militare dell’esercito di daesh. Obama ha recentemente dichiarato “se gli iracheni non vogliono combattere per il loro Paese, non saremo noi a poterlo fare” (fonte La Stampa, 23/05/2015). Affermazione di somma idiozia, se non del tutto demenziale. Non esistono più “gli iracheni”, tantomeno “il loro paese”, con buona pace del Presidente USA. Furono proprio gli USA del resto a distruggere il tessuto connettivo costituente l’Iraq.

Il re de facto dell’Iraq fu un accolito di Kissinger, l. Paul Brenner III. Assumendo la carica di governatore emise due editti che hanno definito il quadro dell’occupazione USA in Iraq. Il primo decreto deliberava che  qualsiasi membro del partito Ba’ath, il partito di governo, e dello Stato (come per il nostro fascismo, partito e stato si sovrapponevano) al di sopra di un certo grado doveva essere licenziato, diciamo ogni quadro intermedio. Così Brenner ha rottamato, per dirla in linguaggio odierno, i funzionari pubblici: scienziati, ingegneri, poliziotti, medici, contabili, giudici eccetera si trovarono da un giorno all’altro buttati in strada. Con un duplice risultato: oltre 50.000 (cinquantamila) colletti bianchi  e tecnici per un verso vennero a mancare alla ricostruzione del paese – e infatti non ci fu nessuna ricostruzione – per l’altro diventando disoccupati poveri e reietti, moltissimi si trasformarono in nemici implacabili degli USA, tornando per il resto alle tribù e clan d’appartenenza. Con il secondo editto Brenner ordinò la smobilitazione dell’esercito, senza arretrati, senza pensione, senza più alcuno status sociale e/o fonte di sopravvivenza.  Così quel genio yankee dell’imbecillità rovinosa creò trecentosettantacinquemila (375.000) potenziali ribelli addestrati alla guerra con tanto di strateghi, ufficiali, truppe d’elite e armamenti moderni. Questo serbatoio di potenziali rivoltosi, composto quasi interamente da sunniti, fu poi preso in eredità e coltivato dagli ideologi della jihad, innanzi tutto Al Qaida (la base), dando loro una missione di alto profilo e grande ambizione, la costruzione di uno stato islamico. Uno stato rigorosamente fondato sulla legge coranica assunta alla lettera, uno stato indipendente dalle antiche potenze coloniali che avevano disegnato con riga e squadra i confini, e configurato le nazioni, Iraq e Siria in specifico, senza nessun rispetto per i popoli ma solo sulla base degli interessi  economici e delle politiche di dominio proprie in particolare a Francia e Inghilterra, poi arrivarono gli US.

Costoro, queste decine se non centinaia di migliaia di quadri politici e tecnici con alte competenze, nonchè di ex soldati professionali sono il nucleo dell’attuale esercito del califfato, altro che i foreign fighters occidentali. I giovanotti e/o le ragazze che vengono dal nostro mondo in cerca d’avventure teologiche, per quanto crudeli servono soprattutto per la propaganda, come testimonia la foto pubblicata sulla rivista di daesh Dabiq, scaricabile in rete e scritta in inglese come si conviene nel mondo globale, dove posano due gemelli tedeschi, biondi e dagli occhi azzurri – quasi un manifesto della razza ariana di nazista memoria – morti in combattimento a aprile, uno come kamikaze.  Viva la muerte era lo slogan sventolato dai legionari fascisti che combattevano con Franco contro i repubblicani spagnoli e le brigate internazionali,  l’esaltazione della morte eroica essendo un tratto comune dei due eserciti, quello fascista “occidentale e cristiano” d’allora e quello fascista “medio orientale e mussulmano” del califfato oggi. A questo proposito una sorta di escalation kamikaze è stata messa in atto nell’attacco a Ramadi. Trenta autobombe corazzate di alta potenza guidate da kamikaze sono sbucate alle spalle dell’esercito iracheno, scompaginando le linee di difesa in una sequenza terrificante di esplosioni. Queste hanno provocato nei difensori un effetto panico, generando un’ondata di terrore che, sommandosi all’onda d’urto fisica, ha sconvolto i reparti buttandoli nel caos. E invece di una ritirata ordinata si è avuta una miriade di individui pazzi di paura in fuga disordinata, come accade quando si gettino oggeti incendiari in un formicaio. Così gli strateghi neri hanno combinato la guerra materiale delle bombe con la guerra psicologica, dimostrando ancora una volta, ove ce ne fosse biosogno, che essi combattono usando e modulando le tattiche e gli strumenti più moderni, altroche barbari incolti.

Tornando ai foreign fighters, che qualcuno stima a più di 20.000 (ventimila) unità, oltre ai ceceni e ai bosniaci combattenti esperti, figli di guerre sconsiderate che hanno dovuto subire nei loro paesi, il colpo grosso è l’alleanza col gruppo “Khosaran”, i talebani che hanno abbandonato il Mullah Omar, quello che scappò in motocicletta beffando le truppe speciali USA. Quest’alleanza allargherebbe la strategia del califfato fino all’Afghanistan e al Pakistan, dandogli una dimensione politico militare fino a ieri impensabile e imprevista per gli strateghi occidentali. Sull’altro versante daesh si rafforza in Libia, dove occupa Derna,  scorazza liberamente a Bengasi e appare insediato a Sirte col controllo di almeno una ventina di pozzi di petrolio che funzionano a pieno regime.

Ma i veri foreign fighters sono gli stati che stanno dietro e a latere di daesh. In una sorta di paradosso, l’Arabia Saudita, che partecipa alla coalizione guidata dagli USA, e il Qatar, sebbene sul territorio della prima recentemente un attentato abbia colpito una moschea sciita – nonchè la Turchia, che addirittura è un membro della NATO, ebbene questi stati in modi diversi costituiscono retrovie logistiche, fonti di finanziamento e armamenti per daesh. Nel contempo probabilmente una parte almeno dei loro oligarchi  sono padrini e ispiratori strategici del califfato, forse avendo evocato un “mostro” che rischia di sfuggirgli, perchè, per dirla con Machiavelli –cito a memoria –  viene il momento in cui i capitani di ventura mercenari vogliono far da soli, costituire il loro principato ribellandosi agli stessi che li hanno allevati con denaro e aiuti.

Sempre nell’ambito dei paradossi  in Iraq resistono contro gli uomini neri soprattutto le milizie sciite innervate dai pasdaran iraniani, mentre l’Iran non partecipa alla coalizione USA, e anzi è in urto con l’Arabia Saudita sul fronte yemenita. Altra spina sono i curdi, anch’essi malvisti se non osteggiati dalla Turchia, però finora unici a avere ottenuto una vittoria indiscutibile a terra. In Siria l’argine è costituito dagli Hezbollah sciiti che però difendono il il dittatore Assad, sunnita, mentre le tribù sunnite sono in rivolta contro lo stesso Assad e il suo regime, più o meno alleandosi con gli armati del califfo. Sembra uno scioglilingua, ma così è il ginepraio dell’attuale guerra a tutto campo che ha luogo in MO.

Infine mi pare che ancora in Europa non si sia colto il pericolo costituito da daesh per la libertà, la democrazia, la convivenza civile, i diritti umani, civili, politici di tutti noi. Il pericolo, stando almeno alle dichiarazioni e azioni pubbliche, non è colto nè  dai governi nazionali nè dalla UE nel suo complesso, Parlamento Europeo, Commissione Esecutiva ecc..tutti rincagnati sull’austerità  e la finanza.  Neppure tra i popoli esiste la percezione del rischio.  Pochi sembrano accorgersi che daesh è un cancro che ben difficilmente può essere confinato nel MO. Sta nella natura intrinseca di uno stato totalitario similfascista l’aggressività verso l’esterno, la guerra come sistema di governo, nella forma terroristica che abbiamo già visto all’opera per esempio a Parigi con la strage della redazione di Charlie Hebdo, ma  in ipotesi anche oltre. Nonchè l’inquinamento velenoso, impasto di oppressioni, macelli, umiliazioni, odio, fanatismo che ogni giorno si diffonde attraverso i mezzi di comunicazione, informazione e social media in tutta la società, e nella nostra vita. Dicendolo con le parole di un poeta, siamo forse in un tempo dove “ i migliori sono privi di ogni convinzione, mentre i peggiori sono pieni di appassionata densità”. Dopo di che dobbiamo rimboccarci le maniche per cercare di cambiare le cose, e noi stessi.

 

 

Category: Osservatorio internazionale

About Bruno Giorgini: Bruno Giorgini è attualmente ricercatore senior associato all'INFN (Iatitutp Nazionale di Fisica Nucleare) e direttore resposnsabile di Radio Popolare di Milano in precedenza ha studiato i buchi neri,le onde gravitazionali e il cosmo, scendendo poi dal cielo sulla terra con la teoria delle fratture, i sistemi complessi e la fisica della città. Da giovane ha praticato molti stravizi rivoluzionari, ha scritto per Lotta Continua quotidiano e parlato dai microfoni di Radio Alice e Radio Città. I due arcobaleni - viaggio di un fisico teorico nella costellazione del cancro - Aracne è il suo ultimo libro.

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