Marc Augé: elogio della lentezza ai tavoli di un bistrot

| 15 Ottobre 2015 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo da La Repubblica del 15 ottobre 2015 l’intervista di Fabio Gambero a Marc Augé . Nella foto il Cafè Pierre all’angolo di Place de la Repubblique che è il bistrot frequentato da Amina Crisma e Vittorio Capecchi quando vanno a Parigi

PARIGI. «Seduti ai tavolini di un bistrot si oscilla tra nostalgia e attesa della sorpresa.» Da sempre Marc Augé ama frequentare i celebri locali parigini, di cui apprezza le atmosfere accoglienti, le conversazioni improvvisate, il tranquillo trascorrere del tempo, come pure la disposizione spaziale che, non escludendo nessuno, favorisce la comunicazione con gli altri. A questi luoghi tipici della ville lumiere carichi di storia e di reminiscenze letterarie, il celebre antropologo della modernità dedica ora un piccolo intrigante saggio in cui alterna ricordi personali e acute riflessioni: Un etnologo al Bistrot (Raffaello Cortina). Non senza una vena di malinconia, Augé vi analizza il fascino che questi locali esercitano sugli avventori, sottolineandone anche l’involontaria funzione sociale orientata a facilitare il contatto tra gli individui, dando così una risposta al nostro bisogno — «inconsapevole, illusorio o superficiale» — di allacciare relazioni con gli altri. «Per me, i bistrot non sono solo un oggetto di studio», spiega l’ottantenne intellettuale francese autore di saggi celebri come Nonluoghi , Un etnologo nel metrò e L’antropologo e il mondo globale .

La tipologia dei bistrot è molto varia, qual è l’elemento che li caratterizza?
«Entrando in un bistrot, si ha sempre l’impressione di un incontro possibile. È infatti un luogo che favorisce la comunicazione e lo scambio. Ai suoi tavolini è possibile intrecciare relazioni con gli sconosciuti di passaggio, oltre che con i camerieri e gli habitué. Anche quando è connotato socialmente per via del quartiere in cui si trova, il bistrot resta comunque un luogo in cui è possibile mescolarsi. Il bistrot non è un club e non esclude nessuno. È un spazio aperto su altri spazi, sulla strada e sulla vita. È un’eterotopia, come diceva Michel Foucault, che, pur essendo artificiale, può anche avere radici profonde che lo legano al passato».

Che tipo di relazioni vi nascono?
«Sono relazioni che perlopiù vivono solo in quel luogo, producendo una sorta di familiarità che, pur essendo effimera, resta comunque significativa. Sono relazioni di superficie, in cui conta soprattutto il gesto dello scambio più che le sue motivazioni e i suoi contenuti. Queste relazioni sono però utili, perché hanno un carattere rituale e quindi ci aiutano a vivere. Da questo punto di vista, i bistrot hanno oggi una funzione sociale più netta e importante che in passato. Offrono l’occasione di una relazione in una società spesso dominata dalla solitudine degli individui. Al bistrot ci è data la possibilità di sentirci esistere nello sguardo degli altri».

I bistrot sono anche caratterizzati da un rapporto particolare con il tempo.
«I questi locali non si conosce la fretta, ci si entra per restarvi. In un bistrot possiamo trascorrere il tempo a lavorare, a studiare, a scrivere o semplicemente a guardarci attorno, osservando lo spettacolo della vita. Questo marcato uso sociale e culturale dei bistrot è probabilmente una caratteristica tipicamente francese. E se ai loro tavolini stiamo così bene, è perché ci sentiamo al contempo a casa e altrove, provando una dimensione di familiarità tutta particolare. Seduti al bistrot, si ha la sensazione di sfuggire alla solitudine domestica, ma contemporaneamente ci si sente un luogo conosciuto e sicuro. Forse è per questo che alcuni scrittori scelgono il bistrot per scrivere i loro romanzi ».

Non a caso molti bistrot sono legati a una certa tradizione letteraria e intellettuale.
«In effetti, alla mitologia e al fascino dei bistrot ha contribuito molto la sovradeterminazione simbolica della cultura, dato che in questi locali si sono spesso ritrovati artisti e scrittori. Alcuni movimenti intellettuali sono particolarmente legati ai bistrot, dal surrealismo all’esistenzialismo. Quando poi quei gruppi in principio marginali diventano celebri, si tende a nobilitare i loro luoghi. A Parigi sono molti i locali di questo tipo, che, grazie al passato letterario, sono diventati indirizzi eleganti e costosi».

Lei sostiene che nei bistrot sia presente una dimensione romanzesca…
«Entrando in un bistrot, sappiamo che può sempre accadere qualcosa e quindi quasi inconsciamente ci mettiamo in attesa di quel qualcosa. Guardandoci attorno e osservando gli altri clienti, cogliamo frammenti di storie vissute che la nostra immaginazione può ricostruire a piacimento seguendo gli stimoli della fantasia. Sedendoci a un tavolino, facciamo prova di una sorta di passività attenta, proprio come quando leggiamo un romanzo. Siamo disponibili alla sorpresa, all’avventura, agli incontri, alle conversazioni, eccetera. In fondo, entrare in un bistrot è un modo per vivere qualcosa d’inatteso. Da questo punto di vista, chi si lascia andare a questo tipo d’esperienza è sempre un po’ un avventuriero del quotidiano».

In definitiva, il bistrot è un luogo o un nonluogo?
«In realtà, dipende dal nostro atteggiamento e dalle relazioni che abbiamo con il suo spazio. I bistrot possono essere nonluoghi provvisori e di passaggio, ma anche luoghi d’immaginazione e d’incontro. Dipende dal nostro atteggiamento e dalle relazioni che intrecciamo con gli altri. I bistrot sono dunque una possibilità che possiamo usare o meno, quindi sia luoghi che nonluoghi».

Perché considera il bistrot un simbolo dell’arte di vivere francese?
«Perché esprime l’arte dell’incontro, che probabilmente è tipicamente francese. Nel tempo naturalmente il bistrot ha conosciuto una certa evoluzione. All’inizio era un luogo poco raccomandabile dove si andava soprattutto a bere, in seguito vi si è potuto anche mangiare, prima modestamente e poi in maniera sempre più raffinata. A poco a poco, è diventato il simbolo di una certa autenticità, che oggi si contrappone alla logica delle catene di fast food. I bistrot sono locali semplici, non troppo cari, dove ci si sente bene e dove viene trasmessa una certa tradizione gastronomica, che può essere legata a una regione o una vino. Da questa tradizione di autenticità nasce la dimensione nostalgica che li caratterizza ».

Lei frequenta ancora i bistrot parigini?
«In passato li ho molto frequentati, oggi un po’ meno. Per esempio, negli anni in cui insegnavo all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, spesso tenevo il seminario in un bistrot lì vicino. Alcuni indirizzi sono scomparsi, altri sono cambiati, alcuni hanno conservato il loro aspetto di un tempo. A volte mi capita di ritornarci. E siccome nei bistrot è presente una dimensione nostalgica, questi spazi si prestano particolarmente alla riflessione personale sul tempo che passa, all’analisi dei propri sentimenti e dei propri ricordi. Il che è un esercizio sempre interessante».

 

 

 

 

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Category: Cibi e tradizioni, Libri e librerie, Osservatorio sulle città

About Marc Augé: Marc Augé, nato a Poitiers nel 1935, è un etnologo e antropologo Le sue numerose ricerche etnografiche in Africa, soprattutto in Costa d'Avorio e Togo hanno prodotto la pubblicazione dei suoi primi tre saggi (vedi Pubblicazioni principali). In questi primi lavori, per descrivere l'oggetto della sua ricerca, Augé ha coniato il termine idéo-logique che può essere inteso come quella logica interna alla rappresentazione che una società fa di se stessa. Dopo la metà degli anni Ottanta, ha diversificato i suoi campi di osservazione, effettuando numerosi soggiorni in America latina. In particolare, osservando la realtà del mondo contemporaneo nel contesto più immediato (vale a dire Parigi, la Francia, l'Italia, la Spagna), ha applicato metodi innovativi di indagine, usando vedute teoriche e metodi da lui già sviluppati lavorando in Africa. Attraverso la teorizzazione di una antropologia della Surmodernità ha focalizzato alcuni aspetti prioritari della società contemporanea metropolitana, quali il paradossale incremento della solitudine nonostante l'evoluzione dei mezzi di comunicazione; lo strano percorso relazionale dell'"io" e dell'"altro" immersi in un contesto europeo di fine millennio; il nonluogo, ovverosia quello spazio utilizzato per usi molteplici, anonimo e stereotipato, privo di storicità e frequentato da gruppi di persone freneticamente in transito, che non si relazionano, situazione riscontrabile negli aeroporti, negli alberghi, sulle autostrade, nei grandi magazzini; infine l'oblio e l'aberrazione della memoria. Augé ha eseguito un attento lavoro di raffronto fra l'impressione che questi "nonluoghi" suscitano nella gente comune e quella prodotta da alcuni grandi scrittori della letteratura francese. Il risultato di questa analisi è stato un apparente insuperabile gap fra il linguaggio e l'esperienza. Dal 2012 è membro del comitato d’onore dell'Associazione Fare arte nel nostro tempo / Making art in our time. È stato direttore dell'École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) a Parigi ed è stato direttore fino al 1970 dell'Ufficio della ricerca scientifica e tecnica d'oltremare (ORSTOM - ora Istituto di Ricerche per lo Sviluppo, IRD). Tra i suoi ultimi libri : Une ethnologie de soi : Le temps sans âge, Paris, Le Seuil, 2014; trad. Il tempo senza età: la vecchiaia non esiste, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014; Éloge du bistrot parisien, Paris, Payot & Rivages, 2015; trad. Un etnologo al Bistrot, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015

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