Laura Corradi: Dialoghi sulla Cina con Devi Sacchetto e Ferruccio Gambino

| 16 Settembre 2015 | Comments (0)

 

Laura Corradi: Come avete cominciato ad interessarvi della Cina? Per molti anni vi siete occupati di migranti e di mobilità internazionale di capitali. Ferruccio ha studiato i movimenti di forza-lavoro e di investimenti, Devi ha fatto ricerca nell’Est europeo. Penso che i nostri lettori sarebbero curiosi di sapere quali ragioni vi hanno fatto decidere di lavorare sulla classe operaia cinese.

 

Ferruccio Gambino: Non ci sono ragioni specifiche che ci hanno fatto convergere sulla classe operaia cinese.  In uno scritto del lontano 1998, intitolato Convergenze parziali del lavoro vivo scrivevo: ‘L’inurbamento di una popolazione di 120-150 milioni di proletari cinesi e la loro messa al lavoro prevalentemente industriale sono i fenomeni sociali più importanti di questo ultimo quarto di secolo, anche se qui pochi se ne sono accorti’.

La combinazione di investimenti interni ed esteri di enorme portata, soprattutto da Hong Kong, Taiwan, Nordamerica ed Europa e di libertà  condizionata di giovani cinesi che potevano finalmente emigrare dalle campagne avrebbe dovuto allertare i nostri locali “smaterializzatori” del lavoro, il quale per contro è rimasto più tangibile di quanto sperassero i post-industriali. I giovani cinesi hanno continuato a rimanere fuori dal radar occidentale, mentre qui si è data per scontata la fine del conflitto e si è giunti al dileggio nei confronti di coloro che sommessamente guardavano al mondo e non ai giardini nazionali e distrettuali. Occorre aggiungere che a partire dalla metà  degli anni Novanta tra i nostri temi di ricerca c’erano i paesi dell’Europa orientale. Era già  visibile allora che quell’area poteva costituire solo uno degli sbocchi di molte  multinazionali europee e statunitensi le quali cercavano di affrancarsi dalle richieste di migliori condizioni di lavoro e di più alti livelli di istruzione della manodopera di casa loro.

Laura Corradi: Immagino che l’incontro con la sociologa cinese Pun Ngai e con il suo team di 60 sociologi e sociologhe abbia rappresentato una svolta importante – come è avvenuto? Cosa potete raccontarci della metodologia delle sue ricerche?

Devi Sacchetto: Era inevitabile l’incontro con intellettuali cinesi impegnati in una rischiosa impresa, quella di sensibilizzazione interna e internazionale alle condizioni di vita e di lavoro dei migranti. Questi/e ricercatori/trici cinesi hanno avviato ricerche non sui migranti ma insieme con i/le migranti, in una conricerca con i/le migranti e per i/le migranti. Un gruppo iniziale di pochi individui ha saputo attrarre giovani e giovanissimi/e attraverso un processo di attivismo intrecciato a quella ricerca rigorosa che – ancora una volta – rimanda a una sociologia come “disciplina di combattimento”, secondo Michael Burawoy, e – secondo Pierre Bourdieu – all’abbandono della neutralità, dell’indifferenza, dell’estraneità “alle lotte di cui questo mondo è la posta in gioco”. Gli incontri e le discussioni quotidiane tra migranti, ricercatori e studenti a cui in seguito abbiamo partecipato visitando la Cina, ci paiono un elemento cruciale non solo di questa metodologia di ricerca, ma anche della ricostruzione delle forme di sapere che invece di mirare al profitto cercano di trovare nuove strade per l’emancipazione collettiva.

Mi pare che Pun Ngai riesca a mettere in luce la dimensione e l’intensità di processi di conflitto e di contenimento di giovani vite su scala mai vista in passato, attraverso il regime di fabbrica-dormitorio. Ha così portato non Adam Smith a Pechino ma Edward P. Thompson a Shenzhen e ne ha curvato la lezione per ragionare sull’edizione corretta e riveduta nel XXI secolo della workhouse inglese di fine Settecento e dei primi decenni dell’Ottocento. Vista oggi da Shenzhen, la vicenda del movimento operaio occidentale non è da catalogare tra le pratiche remote e ormai irrilevanti, bensì come un senso comune che contribuisce a costruire esperienze operaie globali tra continuità e rotture.

 

Laura Corradi: Il vostro lavoro  segnala condizioni di sfruttamento lavorativo che definirei estreme, sia sul piano ambientale che per i salari e per gli orari. In particolare, il sistema di fabbrica-dormitorio mi pare una novità, unica nel contesto contemporaneo, almeno in dimensioni così colossali. E’ vero che per molti lavoratori migranti il dormitorio è un punto di approdo (circa la metà poi trova una collocazione altrove, seppure a costi molto alti) ma la funzionalità di tale modello non ne esce sminuita.  Mi ha molto colpita il livello di segregazione e sorveglianza all’interno dei dormitori, così come lo raccontano gli operai – e immagino che il sistema di fabbrica-dormitorio sia destinato ad avere successo anche fuori dalla Cina, in futuro, sembra perfetto per le economie in guerra …

 

Ferruccio Gambino: Il regime di fabbrica-dormitorio messo in atto dalla Foxconn in Cina è una peculiare variante del modello di istituzione totale contemporanea. Riassuntivamente, possiamo richiamarci ad Asylum di Erving Goffman  per coglierne le analogie e le differenze rispetto al modello. L’individuo che viene rinchiuso in un’istituzione totale si accorge ben presto che lì sono crollate le barriere che separano i tre normali aspetti della vita: il sonno, la riproduzione quotidiana e il lavoro. Solitamente ciascuna di queste attività era condotta in spazi diversi, con partecipanti diversi, sotto autorità diverse e senza un’unica pianificazione.

Per contro, nell’istituzione totale l’autorità è una sola, ciascuna fase dell’attività è svolta in compagnia di numerosi altri individui,  tutti gli internati  sono trattati alla medesima stregua, e i tempi sono dettati da un unico sistema di regole applicate da un corpo di addetti al disciplinamento. Rispetto a questo modello goffmaniano, nel regime della fabbrica-dormitorio le varianti peculiari sono essenzialmente tre: due aspetti di libertà spaziale e  un aspetto di  illibertà intima e profonda. Teniamo presente che gli/le operai/e dell’elettronica sono giovanissimi e giovani. A 35 anni alle catene delle aziende elettroniche si è già considerati come  limoni spremuti. Chi ha i soldi o i parenti e vuole trovare una sistemazione fuori dei dormitori è libero/a di farlo; chi si acconcia al dormitorio è libero di uscirne nelle poche ore di svago quotidiano  dopo le 12 ore di lavoro in fabbrica e nei giorni di riposo (di solito uno su sette), fatto salvo l’obbligo del rientro nel dormitorio entro la mezzanotte. Questi sono i due aspetti della relativa  libertà spaziale. Ma chi vive nel dormitorio è costantemente vigilato dal personale aziendale, in particolare al fine di impedire la promiscuità.

 

Laura Corradi: Sì, è sconcertante che uomini e donne vengano tenuti divisi – anche questa segregazione ha molto sapore di istituzione totale!

 

Ferruccio Gambino: La vita nel dormitorio è incompatibile con la trasmissione della vita, anche per coppie sposate che vengono separate per genere all’entrata dei dormitori. Ovviamente una coppia sposata o non sposata può concepire un figlio fuori del dormitorio, ma, dopo i 75 giorni di assenza retribuita della madre, la scelta obbligata rimane quasi sempre quella di affidare il neonato ai nonni di campagna, se ci sono.

Questa è illibertà intima e profonda, quella che solo a tratti la schiavitù moderna aveva imposto. Si tratta di altro rispetto alla politica cinese del figlio unico, anche se appare come un suo corollario. Altrettanto indispensabile è la tensione lavorativa. Nell’orario di lavoro la sorveglianza e il controllo dei tempi di produzione sono spinti all’estremo dai capicatena e dai capireparto aziendali, ben oltre i livelli imposti nelle istituzioni totali tradizionali, tradizionalmente poco efficienti. Come anche in altri Paesi, in Cina non mancano i precedenti storici delle istituzioni totali: da una parte, la sovrapposizione di lavoro e abitazione per operaie e operai reclutati e messi al lavoro dalle compagnie occidentali, giapponesi e anche cinesi  nelle loro “Concessioni”, fin dallo scorcio del diciannovesimo secolo; dall’altra, dopo l’avvento al potere del partito comunista cinese nel 1949, il lavoro d’assalto a ritmi spasmodici nei cantieri pionieristici, solitamente isolati.

Tuttavia, ripeto, il sistema di fabbrica-dormitorio della Foxconn riplasma i residuati del passato trasformandoli in un modello perversamente  nuovo e al tempo stesso inesorabilmente mummificato.  E il regime della fabbrica-dormitorio può diventare contagioso e non soltanto in Asia ma anche in altri continenti.

 

Laura Corradi: Possiamo dire che la Foxconn, con i suoi 10 milioni di lavoratori e lavoratrici, ha fatto un grande esperimento sia sul piano delle relazioni produttive che su quelle del disciplinamento sociale … C’erano stati tentativi di questo tipo nelle aree di produzione maquiladoras al confine tra Messico e Usa – e anche altrove, nel mondo neoliberista …

 

Devi Sacchetto: Rispetto alle maquiladora messicane la scala cinese è immane. Ma cambiando la dimensione si modifica anche il rapporto complessivo tra forza lavoro e direzione aziendale; si formano in modo diverso anche le esperienze di questi/e giovani operai/e. Bar, teatri, campi per vari tipi di attività sportiva, negozi, il campus della Foxconn a Shenzhen evidenzia in modo limpido fino a che punto il sistema capitalistico riesca a inglobare la sfera riproduttiva e a plasmarla sulle esigenze produttive. Tuttavia, un elemento cruciale è che i giovanissimi operai e operaie cinesi nei dormitori hanno cominciato a costruire forme di azione collettiva per contrastare questo sistema. Si trovano di fronte però non solo le direzioni aziendali, ma anche il sindacato e lo stato.

Mentre la solidarietà internazionale riguarda tutt’al più forme di boicottaggio dei prodotti. Io penso che la rimozione in Occidente di quanto sta accadendo in Cina e negli altri paesi asiatici sia figlia dei rigurgiti neo-coloniali e della fretta di archiviare il lavoro industriale con i suoi conflitti per proiettarsi in una dimensione cognitiva in cui asseritamente tutta la vita viene messa al lavoro. In realtà questa è una posizione che renderebbe residuale proprio il tempo di lavoro con le sue gerarchie, i suoi ritmi e le condizioni in cui viene quotidianamente erogato. La situazione cinese che appare molto irreggimentata con turni di lavoro di 12 ore giornaliere e dormitori adiacenti alle fabbriche, evidenzia invece come questi operai riescano a costruirsi margini di ricomposizione e di conflitto.

Per intanto, possiamo notare come il regime della fabbrica dormitorio sia arrivato anche nell’Unione europea, negli stabilimenti che la Foxconn possiede nella Repubblica ceca, sebbene su scala più ridotta e con i dormitori all’esterno dei recinti della fabbrica. Qui una forza lavoro composta da alcune migliaia di migranti esteuropei è assunta attraverso agenzie di intermediazione internazionali direttamente nei paesi di origine, trasferita negli stabilimenti e messa al lavoro in turni di 12 ore. Quindi l’espansione di queste modalità di lavoro verso l’Europa è già avvenuta e l’Ue contiene anche questo tipo di esperimenti.

 

Laura Corradi: Puoi fare qualche esempio …

 

Devi Sacchetto: Le agenzie di intermediazione (Temporary Work Agency) sono in funzione in tutta Europa e concorrono insieme con il lavoro in distacco allo spostamento di forza lavoro nei tempi stabiliti dalle esigenze aziendali. In una ricerca che stiamo conducendo nella Riviera romagnola è evidente ad esempio come l’uso di agenzie di reclutamento internazionali e l’alloggio negli alberghi siano due strumenti che rendono più facile il diffondersi del cosiddetto lavoro gravemente sfruttato. Il lavoro in distacco invece ha una più lunga e tortuosa storia che si è sviluppata grazie ai nuovi confini salariali europei: in breve, venire assunti in un Paese, come ad esempio, l’Italia, ed essere mandati a lavorare in Gran Bretagna a condizioni contrattuali e a salario differito italiano. E’ un sistema che avevamo già studiato alla Fincantieri di Marghera alla metà degli anni Novanta e che imperversa oggi in Italia tra gli autotrasportatori con lavoratori rumeni assunti da imprese – talvolta italiane – con sede in Romania e a condizioni contrattuali del Paese di origine. Ma il lavoro in distacco è diffuso anche in altri paesi dell’Ue, quali ad esempio la Germania, la Finlandia, la Svezia in particolare nel settore dell’edilizia.

 

Laura Corradi: Mi interessa approfondire due elementi chiave che hanno a che fare anche con la corruzione in quanto funzionale alla produzione. Il primo è il ruolo dei giovanissimi, che hai ora menzionato: nella ricerca emerge anche lo sfruttamento specifico degli studenti in quanto ‘tirocinanti’ (a cui viene estorto lo stesso impegno produttivo richiesto agli operai regolarmente assunti) e la complicità della scuola pubblica nel mandare alla Foxconn forza lavoro a bassissimo costo con l’inganno della “formazione”. L’altra questione riguarda la connivenza dei sindacati e di altre agenzie dello stato …

 

Devi Sacchetto: Non so se la questione della formazione possa essere letta in termini di corruzione, sebbene non manchino casi in tal senso. Io penso che l’avviamento al lavoro in giovanissima età risponda a due esigenze: la prima è legata alla progressiva carenza di forza lavoro a bassi salari che si è registrata in Cina, e in particolare nelle aree costiere, a partire dai primi anni 2000. L’assunzione dei tirocinanti corrisponde poi ai bisogni di disciplinamento di giovani non ancora abituati al lavoro industriale ripetitivo e monotono. Si stima che i tirocinanti contino per il 7-8% della forza lavoro cinese. Un risparmio enorme per le imprese poiché sebbene essi ricevano un salario analogo a quello degli altri operai, non godono di nessuna erogazione di previdenza sociale da parte dell’azienda. Inoltre i tirocinanti sono sottoposti a un doppio controllo: quello degli insegnanti che talvolta stanno con loro all’interno delle aziende e quello stabilito dalla gerarchia di fabbrica. Inoltre non essendo considerati lavoratori, gli studenti si vedono preclusa la strada della sindacalizzazione.

La messa al lavoro di questa enorme massa di giovanissimi avviene sulla base delle normative statali che prevedono che il terzo anno delle scuole professionali sia dedicato al tirocinio. E’ chiaro che su questa partita si sviluppano stretti rapporti tra scuole, agenzie di reclutamento, aziende e amministrazioni locali. Alcune delle ricerche effettuate alla Foxconn hanno messo in luce come il tirocinio non sia per nulla connesso con il percorso scolastico degli studenti.
Per quanto riguarda il sindacato esso è largamente funzionale alle esigenze dello stato e delle multinazionali. Certo, la legislazione prevede che in ogni azienda vi sia un sindacato, ma spesso sono i dirigenti che lo gestiscono, vanificando così ogni tentativo di miglioramento delle condizioni di lavoro da parte degli operai.

 

Laura Corradi: Abbiamo visto come nella fabbrica-dormitorio la coazione a tempi e spazi iperproduttivi e disumani invade anche la sfera della riproduzione – restringendo questa al minimo essenziale – con un tributo di malattie e infortuni difficile da valutare, visto che buona parte di questi viene occultata, trattata ‘privatamente’ addirittura nascosta dagli stessi lavoratori …

 

Ferruccio Gambino: Forse occorre distinguere tra riproduzione quotidiana e generatività. La riproduzione quotidiana che viene imposta a chi vive e lavora nel regime di fabbrica-dormitorio è compressa in modo che i costi economici siano ridotti al minimo, come vuole l’impresa appaltatrice Foxconn.  La deprivazione generale a cui i lavoratori e le lavoratrici sono così sottoposti nel regime di fabbrica-dormitorio si è sviluppata su scala enorme in Cina, all’interno di vasti complessi industriali, ciascuno dei quali conta in genere dai centomila ai quattrocentomila occupati/e, ossia grandi numeri che non erano mai stati raggiunti nel passato  industriale.

In breve, non era mai capitato nella storia umana che nel perimetro entro il quale vive una popolazione di quattrocentomila individui  non sia lecito lasciar dormire un  bambino in un letto.

 

Laura Corradi: Hai messo l’accento su un tema importantissimo: se è vero che il capitale non è sostenibile né sul piano ambientale né sul piano umano, l’attacco alla riproduzione  è triplice: da quella semplice, quotidiana, volta alla ricostituzione della forza lavoro, a quella biologica – che hai definito come possibilità di generare, ovvero di riprodurre la specie – fino a quella ‘allargata’, che guarda alla riproduzione nel mondo …

 

Ferruccio Gambino: Va notato che, in tema di natalità, contrariamente alla politica previdenziale degli Stati Uniti e di Papua-Nuova Guinea, che non concedono neppure un giorno di assenza pagata dal lavoro per la maternità,  la Cina, come altri Paesi asiatici, riconosce 90 giorni di assenza pagata. Per quanto riguarda la generatività, ossia la trasmissione della vita da una generazione all’altra, nell’antichità quella di fare figli era l’unica vera libertà che veniva lasciata allo strato più basso del popolo, appunto ai “proletari”, ossia a coloro che disponevano soltanto dei figli,vuoi per sé vuoi per lo stato. Alle schiave e agli schiavi questa libertà era preclusa se non per concessione paternalistica o per l’interesse degli schiavisti di moltiplicare il numero dei propri schiavi. Oggi questa libertà è conculcata  in varie forme, perlopiù non direttamente per legge ma attraverso vincoli economici che si riassumono nella categoria dell’instabilità sociale.

In un Paese come la Repubblica popolare cinese, che soltanto recentemente ha allentato il vincolo di legge del figlio unico, il regime di fabbrica-dormitorio di fatto inchioda a una condizione di generatività zero un numero impressionate di giovani, a meno che i neonati vengano affidati ai nonni, di solito nelle campagne geograficamente lontane dal luogo di lavoro delle figlie e dei figli.

In tali condizioni il figlio unico per i giovani sottoposti al regime di fabbrica-dormitorio è spesso un miraggio lontano. Se a queste ferite profonde si aggiungono le stressanti condizioni di lavoro, i pericoli incombenti della nocività e degli incidenti, non basta certo un giorno di riposo alla settimana a ricongiungere i labbri delle ferite.

 

Laura Corradi: Sono d’accordo: solo le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici nel mondo possono essere di vero aiuto alla classe operaia cinese, così come la loro resistenza è di grande ispirazione per noi. Le campagne sono utili ma hanno una serie di limiti, faccio un esempio. La sola campagna che mi pare attiva oggi contro iPhone riguarda l’omofobia – parte dal riconoscimento che tutti hanno gioito quando Tim Cook (il CEO di Apple) ha fatto coming out dichiarando di essere orgoglioso di essere gay, e sul fatto che 8000 impiegati Apple hanno partecipato ai Pride di San Francisco, sostenendo che l’azienda sta facendo tanto contro ogni forma di discriminazione…. Ma, denuncia la campagna, se hai un iPhone e chiedi informazioni sul significato della parola ‘gay’ o ‘lesbica’ la risposta è: ‘non è carino da parte tua’ – la stessa risposta che ti dà se scrivi un insulto. Certo questa campagna di Diversity Lab è giusta: le parole gay, lesbica, bisex, non sono insulti – mentre è una offesa a tutta la comunità Queer la risposta che di iPhone. Ma è molto limitata, e sarebbe importante un approccio intersezionale: non si possono combattere le ingiustizie  della Apple sul piano dell’orientamento sessuale, senza dire una parola sul massacro dei loro lavoratori e delle loro lavoratrici!

 

Category: Libri e librerie, Osservatorio Cina

About Laura Corradi: Laura Corradi, nata a Milano nel 1960, è ricercatrice all'Università della Calabria, dove insegna Studi sulla Costruzione Sociale delle Differenze di Genere e Fondamenti Sociali della Salute e della Malattie.

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