Gregorio Monasta: Dossetti, un innovatore del dopoguerra

| 11 Agosto 2015 | Comments (0)

 

 

 

Diffondiamo dal Circolo di Bologna Il Manifesto Questo testo è stato pubblicato in calce al libro Giuseppe Dossetti. Un innovatore nella democrazia cristiana del dopoguerra di Fernando Bruno (Bollati Boringhieri, 2014)

Mi pare che Giuseppe Dossetti sia sempre stato in linea, coerente, con la sua coscienza formatasi in funzione della difesa dei più deboli durante la lotta di liberazione dai nazifascisti (era partigiano, operava attorno a Marzabotto ed è sepolto in un piccolo cimitero vicino alle tombe delle vittime della strage) e con l’educazione cristiana rigorosamente legata al messaggio di Gesù.

Per questo non era, a priori, avversario di Alcide De Gasperi: ne era sostenitore appassionato nel tentativo di liberare la politica italiana dalla pesante interferenza della Chiesa “trionfante” e dalla reazionaria ipoteca dei comitati civici di Gedda. Ovviamente era avversario di De Gasperi nel suo tentativo di evitare il referendum Repubblica-Monarchia per non rischiare la sconfitta della Monarchia.

Avversava De Gasperi sul liberalismo che bloccava, tra l’altro, la riforma agraria e, in ogni caso, spingeva l’Italia nell’irreversibile alleanza con gli Stati Uniti allontanandola per sempre dalla funzione di neutrale negoziatrice tra l’Est e l’Ovest. Non poteva andare d’accordo con la mentalità di De Gasperi che aveva una formazione conservatrice fin da quando era parlamentare trentino nel Parlamento di Vienna militando nel partito nemico del partito socialista al quale apparteneva Cesare Battisti.

(Noterella 1: don Lorenzo Milani dirà: “…non abbiamo odiato i poveri, abbiamo solo dormito e nel dormiveglia abbiamo fornicato con il liberalismo di De Gasperi…”).

(Noterella 2: conosco molto bene Marco Battisti, nipote diretto di Cesare e ho lavorato insieme a lui, per anni, in Mozambico. Mi diceva che sua nonna Ernesta, vedova di Cesare, gli aveva raccontato che, dopo la sentenza di morte (1916), nell’ufficio del deputato Alcide De Gasperi, si erano raccolti dei soldi per “ripagare la corda dell’impiccagione”, lugubre rituale in uso presso gli austriaci e gli italiani austriacanti. De Gasperi, probabilmente, non aveva contribuito alla colletta ma non aveva mosso un dito. I due suoi colleghi, italiani, che diedero soldi per la colletta erano gli onorevoli Germano Decarli e Bonfiglio Paolazzi. Quest’ultimo inoltre, alla morte dell’imperatore Francesco Giuseppe, diede un altro e più notevole contributo per la guerra dell’Austria. Il Paolazzi si fece prete da anziano, nel 1952 e, nell’occasione, De Gasperi, presidente del Consiglio della Repubblica, ne sottolineò le doti di “patriota”. Fu per questo che, proprio nel 1952, De Gasperi, salito a Bellamonte per omaggiare la vedova di Cesare Battisti non ne fu ricevuto: la signora Ernesta non lo aveva fatto entrare in casa e aveva rifiutato il mazzo di fiori che l0autista le porgeva. La signora Ernesta aveva a Bellamonte (Trento) una baita in legno che le era stata donata alla fine della Grande Guerra: si dice, e mi fa piacere crederlo, che fosse stata la mensa ufficiali degli austriaci fino al 1918).

Quanto detto a proposito delle relazioni tra Dosetti e De Gasperi non vuole assolutamente sminuire l’alto profilo di statista e la probità personale del politico trentino che, specialmente se confrontato con la maggioranza dei politici dei tempi recenti, rifulge di luce esemplare: la sua povertà personale (commuove l’episodio del cappotto che si fece imprestare per difendersi dal freddo di New York) e la fine, modesta e quasi solitaria fanno ricordare le parole di Sancio Panza alla fine del suo governatorato: “andandomene nudo come quando ho iniziato, vuol dire che ho governato come un angelo”.

I rapporti di Dossetti con Giorgio La Pira furono sempre improntati a grande reciproca stima fin dai tempi della Costituente ma questo non gli impedì di criticare La Pira che voleva definire nella Costituzione la Repubblica Italiana come cristiano-cattolica e lo convinse con argomenti di laica e cristiana spiritualità portando l’amico Giorgio perfino ad opporsi al Vaticano che richiedeva, attraverso il membro costituente Ruini, che il Presidente della Repubblica avrebbe sempre dovuto essere un cattolico!

(Noterella 3: ho conosciuto Dossetti all’inizio del 1962. Ero andato a trovare La Pira per la seconda volta per palesargli il progetto di cambiare “carriera”. Era nella chiesetta di Via degli Alfani, vicino al vecchio Istituto di Matematica e stava parlando della vita di Ozanam a un gruppetto di giovani. Aspettava Dossetti che arrivò da Roma: era da tempo prete e illustre partecipante al Concilio. Andava a Bologna e si era fermato per mettere a punto un concetto e alcune frasi di economia legata alla giustizia sociale che sarebbero poi confluite nei documenti conciliari. I due “grandi” chiacchieravano di fronte ad un rispettoso silenzio. Dissero molte cose ma ricordo bene la frase di La Pira, che mi colpì: “quando, alla fine della vita, mi presenterò al giudizio, so per certo che mi sarà fatta questa domanda nella quale tutte le altre sono contenute – come hai moltiplicato a favore dei tuoi fratelli i talenti pubblici e privati che ti ho affidato? – né potrò addurre a scusa della mia inefficace azione le ragioni scientifiche del sistema economico fondato su un insieme di leggi pretese inviolabili”. Erano entrambi felicemente d’accordo).

Fa fede del sentimento reciproco il discorso omelia di Dossetti alla morte di La Pira.

Anche con Oscar Luigi Scalfaro ci furono affettuosi legami e aspri scontri: all’inizio erano amici e Scalfaro spesso si doleva con De Gasperi perché ad ogni sua critica alla linea del governo il Presidente del Consiglio gli dava di dossettiano, eppure Dossetti criticava anche Scalfaro per aver avallato, da giovane magistrato, una condanna a morte sebbene in corso di guerra e di leggi marziali.

Molto più tardi Dossetti criticò lo Scalfaro ministro dell’Interno del governo Craxi. Poi, di nuovo, si videro idealmente vicini nella difesa della Costituzione, fino alla morte di entrambi, pur avvenuta in tempi diversi. “…sentinella, a che punto è la notte?”

Il cardinale di Bologna Giacomo Lercaro, “convertito” dalla spiritualità di Dossetti, partecipò attivamente al Concilio come avanzato innovatore. Prima degli approfonditi contatti con Dossetti, il cardinal Lercaro era un bieco conservatore che non avrebbe mai potuto essere uno dei moderatori del Concilio e, rimanendo conservatore, non avrebbe mai accettato Dossetti in Vaticano, come consigliere.

(Noterella 4, da atti ufficiali: nel 1956 due giovani di Prato, Mauro Bellandi e Loriana Nunziati, colpevoli di essersi sposati in Comune, vennero definiti dal vescovo Pietro Fiordelli “pubblici concubini e peccatori” e il rito civile che li aveva uniti, “l’inizio di uno scandaloso concubinato”.

Il 12 agosto dello stesso anno il giornale parrocchiale pratese, diretto da Don Danilo Aiazzi, riprodusse la lettera del vescovo. Nella lettera, intrisa di particolare violenza, i due giovani venivano definiti pubblici peccatori e venivano loro negati tutti i Sacramenti. Per rendere più forte la “messa al bando”, vennero condannati anche i genitori dei due giovani, in quanto, “avendo mancato gravemente ai propri doveri di genitori cristiani, avevano permesso questo passo peccaminoso e scandaloso”.

La violenta lettera pastorale letta in tutte le chiese di Prato ebbe conseguenze gravi. Bellandi che aveva una piccola azienda, non ricevendo più prestiti dalle banche, fu costretto a chiudere la sua attività. A ciò, inoltre, si aggiungevano gli insulti, le lettere anonime e le aggressioni subite. Questa situazione rendeva inevitabile la querela dei Bellandi e dei loro genitori contro il vescovo e il parroco di Prato. I giudici affermarono che “con il classificare due persone come pubblici concubini si viene indubbiamente ad offendere la loro reputazione”. E che “le leggi della Chiesa non possono contenere norme che autorizzino le autorità ecclesiastiche a ledere un bene del cittadino tutelato dalle leggi dello Stato”.

I giudici arrivarono alla conclusione che il vescovo di Prato, monsignor Pietro Fiordelli, doveva essere condannato a 40.000 lire di multa, e il parroco don Danilo Aiazzi invece assolto per aver obbedito ad un ordine superiore.

L’indignazione in Vaticano fu enorme: la sentenza fu denunciata come un atto illegale della magistratura che favoriva gli abusi laicisti e fu condannata la debolezza del Governo Italiano, che permetteva ciò. Addirittura il cardinale arcivescovo di Bologna, Giacomo Lercaro paragonò il vescovo di Prato ai martiri cinesi che soffrivano e morivano per mano dei comunisti di Mao e ordinò a tutte le parrocchie di tenere per un mese i portali delle chiese parati a lutto e di suonare le campane a morto, ogni giorno per cinque minuti.

(Noterella nella noterella: le pressioni del Vaticano e di Pio XII in persona sulla Presidenza della Repubblica, sul governo italiano e sui giudici di appello portò poi alla scandalosa assoluzione di monsignor Fiordelli).

Fa parte della “vulgata”, oggi si direbbe “delle leggende metropolitane”, che sia stato il cardinal Lercaro a suggerire a Dossetti la sfida al comunista Dozza per la poltrona di sindaco di Bologna.

(Noterella 5: La campagna elettorale si svolse proprio nel 1956, nello stesso anno in cui Lercaro appoggiava il vescovo di Prato con l’atteggiamento di chi non ha il senso delle proporzioni. Dossetti che in quel tempo non stimava Lercaro e, comunque, stimava l’avversario Dozza, si convinse alla sfida da solo e fu poi appoggiato dal vasto, anche se minoritario gruppo di cattolici bolognesi legato alla rivista francese Esprit, al pensiero del suo fondatore Mounier e al suo direttore Domenac che faceva frequenti visite a Firenze e a Bologna ospite dei gesuiti).

Conclusione: ho riportato alcuni dati storici e alcuni fatti direttamente da me vissuti per ribadire la tesi secondo cui, indipendentemente da affetti e amicizie, Giuseppe Dossetti si comportò sempre seguendo la sua coscienza. Nel suo impegno politico e nel suo impegno religioso era guidato da una forte spiritualità cristiana intrisa di laicità e lottò sempre per il bene comune che non può essere altro che il bene degli ultimi; e la sconfitta nel contrasto con De Gasperi non si tramutò in postuma vittoria, come asserito dai commentatori che citavano il centro-sinistra, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, l’IRI, ecc…Fu una sconfitta, per l’Italia, irreparabile, perché si persero a poco a poco i principi dell’etica individuale che deve guidare ogni politico. Senza questi principi si è arrivati fino alla disgregazione nel marcio della DC e di tutto l’attuale sistema politico.

 

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