Barbara Spinelli: I Re dormienti d’Europa e la Lista per Tsipras

| 3 Maggio 2014 | Comments (1)

 

 

Diffondiamo questo intervento di Barbara Spinelli pubblicato su La Repubblica del 23 aprile 2014 con questo commento: “ho trovato in ritardo questo splendido articolo di Barbara Spinelli, candidata nella lista Tsipras, sull’Europa che mi pare importante rilanciare oggi su inchiesta online, dopo la strage per fuoco avvenuta a Odessa, dove sono morte 42 persone, e sulla cui responsabilità i media italici sono stranamente silenti, salvo che andando un poco in giro sul web si scopre che erano presenti e attive squadre neonaziste ucraine di Pravy Sektor (“Settore Destro”), che appoggiano l’attuale governo “filoccidentale”, le quali hanno attaccato una manifestazione non armata di cittadini “filorussi”, molti dei quali si sono rifugiati nel palazzo dei sindacati che poi, dalle stesse squadre, è stato attaccato col fuoco, impedendo tra l’altro agli occupanti, alcuni dei quali si sono gettati dalle finestre schianatndosi al suolo, di uscire.” Su Barbara Spinelli e la Lista Tsipras si rinvia ai suoi articoli diffusi da www.inchiestaonline.it nella sezione “Elezioni europee 2014”.

 

Raggruppati in un’Unione che non ha niente da dire in politica estera – né sulle proprie marche di confine a Est o nel Mediterraneo, né sull’alleanza con gli Stati Uniti, né sulla democrazia che intendono rappresentare – i governi europei s’aggirano sul palcoscenico del mondo come inebetiti, lo sguardo svogliato, le idee sparpagliate e soprattutto incostanti. Si atteggiano a sovrani, ma hanno dimenticato cosa sia una corona, e cosa uno scettro.

L’ossessione è fare affari, e dei mercati continuano a ignorare le incapacità, pur avendole toccate con mano.

S’aggrappano a un’Alleanza atlantica per nulla paritaria, dominata da una superpotenza che è in declino e che proprio per questo tende a riprodurre in Europa il vecchio ordine bipolare, russo-americano, lascito della guerra fredda.

Sono anni che gli Europei dormono, ignari di un mondo che attorno a loro muta.

Non c’è evento, non c’è trattativa internazionale che li veda protagonisti, pronti a unirsi per dire quello che vogliono fare. A volte alzano la voce per difendere posizioni autonome, ma la voce presto scema, s’insabbia.

Lo si vede in Ucraina: marca di confine incandescente sia per l’Unione, sia per la Russia.

Lo si vede nel negoziato euro-americano che darà vita a un patto economico destinato ad affiancare quello militare: il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip).

Lo si vede nella battaglia indolente, e infruttuosa, contro i piani di sorveglianza dell’Agenzia Usa per la sicurezza nazionale (Nsa), disvelati da Edward Snowden nel 2013. Sono tre prove essenziali, e l’Unione le sta fallendo tutte.

Le sta fallendo in Ucraina, perché l’Europa non ha ancora ripensato i rapporti con la Russia. Non sa nulla di quel che si muove e bolle in quel mondo enorme e opaco. Non sa valutare le paure e gli interessi moscoviti, né i pericoli della riaccesa volontà di potenza che Putin incarna. Non capisce come mai Putin sia popolare in patria, e anche in tante regioni ex sovietiche che appartengono ormai a altri Stati e includono vaste e declassate comunità russe. Non sapendo parlare con Mosca, gli Europei lasciano che siano gli Stati Uniti, ancora una volta, a fronteggiare il caos inasprendolo. È Washington a promettere garanzie al governo ucraino, a diffidare Mosca da annessioni, ad allarmarla minacciando di spostare il perimetro Nato a est.

L’Europa sta a guardare, persuasa che bastino i piani di austerità proposti da Fondo Monetario e Commissione europea, se Kiev entrerà nella sua orbita. Questo è infatti lo scettro, l’unico che l’Unione sappia oggi impugnare: non una politica estera, ma un ricettario economico liberista misto a formule moraleggianti sul debito, scrive lo storico russo Dmitri Trenin che dirige a Mosca il Carnegie Endowment for International Peace. Quasi che il dramma degli Stati fallimentari, nel mondo, fosse soltanto finanziario.

La risposta politica a tali fallimenti è affidata a Obama, e per forza gli sbagli commessi dagli Europei si ripetono (basti ricordare l’errore madornale di Kohl, quando disse negli anni ‘90 che la Slovenia “meritava l’indipendenza”, essendo “etnicamente omogenea”).

Depoliticizzata, l’Europa subisce il ritorno anacronistico del duopolio russo-americano. È Washington a decidere se Kiev debba essere il nuovo scudo orientale della Nato, nonostante il popolo ucraino preferisca evidentemente la neutralità. Per quasi mezzo secolo l’avamposto fu la Germania Ovest, poi sostituita dalla Polonia: ora Varsavia spera che al proprio posto s’erga un’Ucraina occidentalizzata d’imperio, frantumabile come lo fu la Jugoslavia. Mosca chiede che il paese diventi una Federazione, anziché un agglomerato babelico di risentimenti nazionalisti. Strano che non sia l’Europa, con le sue esperienze, a domandarlo.

La seconda prova è il patto commerciale con gli Usa: una trattativa colma di agguati, perché molte conquiste normative dell’Europa rischiano d’esser spazzate via. Non a caso le multinazionali negoziano in segreto, lontano da controlli democratici.

Sono sotto attacco leggi sedimentate, diritti per cui l’Unione s’è battuta per decenni: tra questi il diritto alla salute, la cura dell’ambiente, le multe a imprese inquinanti. I sistemi sanitari saranno aperti al libero mercato, che sulle esigenze sociali farà prevalere il profitto. Emblematico: l’assalto delle grandi case farmaceutiche ai medicinali generici low cost.

Sono in pericolo anche tasse cui l’Europa pare tenere, sia per aumentare il magro bilancio comune sia per frenare operazioni speculative e degrado climatico: la tassa sulle transazioni finanziarie, e sulle emissioni di anidride carbonica. Una controffensiva UE contro il trattato commerciale ancora non c’è. Nell’incontro a Roma con Obama, Renzi ha auspicato l’accelerazione del negoziato senza chiedere alcunché, né per noi né per l’Europa.

Numerose mezze verità circolano sul patto. Alcuni assicurano che quando sarà pienamente in funzione, nel 2027, il reddito degli europei crescerà sensibilmente (545 euro all’anno per una famiglia di quattro persone), con un beneficio di 120 miliardi annui per l’Unione e di 95 per gli Usa. Altri calcoli sono meno ottimisti. L’istituto Prometeia, pur favorevole all’accordo, sostiene che i guadagni non supererebbero lo 0,5% di Pil in caso di liberalizzazione totale. L’istituto austriaco Öfse (Ricerca per lo sviluppo internazionale) prevede addirittura un aumento dei disoccupati nel periodo di transizione, a causa della riorganizzazione dei mercati di lavoro imposta dal Partenariato. Non meno grave: le controversie commerciali si risolverebbero non attraverso giudizi in tribunali ordinari, ma in speciali corti extraterritoriali.

Saranno le multinazionali a trascinare in giudizio governi, aziende, servizi pubblici ritenuti non competitivi, e a esigere compensazioni per i mancati guadagni dovuti a diritti del lavoro troppo vincolanti, a leggi ambientali o costituzionali troppo severe.

Tutto questo in nome della “semplificazione burocratica”: parola d’ordine che Renzi predilige, virtuosa e al tempo stesso insidiosa. Nel contesto del Partenariato transatlantico, semplificare vuol dire abbattere le cosiddette “barriere non tariffarie”, un termine criptico che indica parametri europei faticosamente elaborati: regole sanitarie a tutela della salute, canoni di sicurezza delle automobili, procedure di approvazione dei farmaci, e molto altro ancora.

Non per ultimo, la terza prova: il caso Snowden, l’informatico dei servizi Usa che portò alla luce un sistema di sorveglianza tentacolare, predisposto dai servizi americani con la scusa di prevenire attentati terroristici. Grazie a Snowden si è saputo che erano intercettati perfino i cellulari di leader europei (tra cui Angela Merkel), non si sa per quali ragioni di sicurezza. I governi dell’Unione hanno protestato, ma ciascuno per conto suo e sempre più flebilmente. In un messaggio al Parlamento europeo, il 7 marzo, Snowden ha ironizzato sulle sovranità presunte dei singoli Stati, spiegando come sia assurdo il compiacimento di governi che immaginano di poter fermare il Datagate senza mobilitare l’Unione intera.

La vicenda Snowden è anche questione di civiltà democratica. L’esistenza di smascheratori di misfatti – non spie ma whistleblower, denunziatori di reati commessi dalla propria organizzazione – potenzia la democrazia. È un bruttissimo segno e paradossale che i giornalisti implicati nel Datagate a fianco di Snowden abbiano ricevuto il Premio Pulitzer (uno schiaffo per Obama), e che lui stesso, il soffiatore di fischietto, abbia trovato riparo non in un’Europa che promette nella sua Carta la “libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”, ma nella Russia di Putin.

 

 

Category: Elezioni europee 2014, Osservatorio Europa

About Barbara Spinelli: Barbara Spinelli. Nata a Roma nel 1946 da Altiero Spinelli e Ursula Hirschmann, lui antifascista e lei ebrea (conosciutisi a Ventotene durante il confino di Spinelli e di Eugenio Colorni, marito di Ursula), inizia la carriera scrivendo articoli per "Il Globo". È stata tra i fondatori del quotidiano "La Repubblica" per passare, negli anni 1984- 1985, al "Corriere della sera" e alla "La Stampa", prima come corrispondente da Parigi, dove tuttora lavora e vive, poi come editorialista. Ad ottobre 2010 è stato ufficializzato il suo ritorno a "La Repubblica". È stata la compagna dell'economista Tommaso Padoa-Schioppa, morto il 18 dicembre 2010. Nel marzo del 2013, in seguito alle Elezioni politiche, assieme ad altri personaggi famosi, lancia una raccolta firme con l'appoggio di MicroMega con l'intento di non fare entrare al Senato Silvio Berlusconi per la questione del conflitto d'interessi facendo applicare la legge 361 del 1957, riprendendo peraltro l'iniziativa portata avanti già nel 1994 e nel 1996 da un altro comitato di personaggi e conclusasi con il parere sfavorevole della Giunta delle elezioni della Camera dei deputati. Il 14 marzo 2014 si candida alle elezioni europee del 25 maggio come Capolista per L'Altra Europa con Tsipras nelle Circoscrizione Italia centrale (che raccoglie i collegi di Toscana, Lazio, Umbria, e Marche) e nella [[Circoscrizione Italia insulare) (che comprende i collegi di Sicilia e Sardegna), dopo aver contribuito alla stesura delle liste elettorali come membro del collegio dei garanti. Con 36.759 preferenze è la prima nella Circoscrizione Centro e con 27.955 prima nella Circoscrizione Isole per la Lista Tsipras viene eletta in entrambe le due circoscrizioni (unica insieme a Moni Ovadia ad essere eletta per il partito alle Europee 2014). Sin da subito dichiara che la sua candidatura doveva principalmente dare visibilità alla lista e che avrebbe rinunciato al seggio in caso di elezione. Dando seguito a tale promessa, il 25 maggio rinuncia alla carica di europarlamentare in favore di Marco Furfaro ed Eleonora Forenza (i primi non eletti delle circoscrizioni "centro" e "sud").

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  1. […] avevo già scritto due settimane fa. E avrei scritto di peggio oggi, dopo il recente articolo di Barbara Spinelli. Comunque, sarebbe stato un mero esercizio letterario considerato che da quella Armata Brancaleone […]

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