Raffaella Di Bonito: Sindacato e differenze di genere. Il settore del credito

| 27 Giugno 2014 | Comments (0)

 

 

 

Riceviamo e pubblichiamo dall’Università di Napoli

Che le donne siano poco presenti nei luoghi decisionali delle organizzazioni politiche, economiche e sociali è un dato risaputo. Lo squilibrio di genere è ben visibile se si osservano i parlamenti, i partiti, i media, le organizzazioni economiche. Nonostante alcuni progressi registrati negli ultimi anni, anche in un paese come l’Italia, la parità di genere è lungi dall’essere acquisita.

In un contesto di questo tipo la CGIL rappresenta un’eccezione: in questa organizzazione, infatti, le donne hanno visto aumentare il loro numero in modo significativo anche nelle Segreterie nazionali di categoria.

 

1. Questo saggio si incentra sul settore del credito.

Le ragioni per le quali ho scelto di analizzare la categoria Fisac Cgil sono molteplici. Innanzitutto l’anno di nascita del settore il 1983 coincide con quello di nascita del Coordinamento donne Fisac/Cgil; pertanto tale categoria è stata l’unica i cui coordinamenti femminili sono esistiti fin dall’inizio. In secondo luogo, la storia di tale settore, i suoi avvenimenti, i suoi cambiamenti sono stati oggetto di minore attenzione rispetto ad altri comparti sindacali.

L’indagine si basa su interviste in profondità  a donne che ricoprono ruoli diversi nella Cigl campana: una segretaria generale, due segretarie regionali, responsabili territoriali presso la Camera del lavoro metropolitana di Napoli e presso la sede sindacale Fisac Cgil Napoli/Campania.

Mi interessava conoscere sia le modalità di lavoro della Camera del lavoro e della sede Fisac sia come le intervistate vivono il sindacato in riferimento al loro rapporto con i colleghi uomini.

La mia traccia di intervista, composta di ventisette domande a risposta aperta, era divisa in cinque aree: l’area biografica, l’area esperienziale, l’area riguardante la conciliazione, l’area critica nelle quali chiedo alle donne di indicare quali fossero le mancanze del Sindacato, delle politiche e le relative lacune, l’area dedicata alle proposte.

Le prime tre intervistate hanno un età compresa tra i quarantacinque, e i cinquantacinque anni con una esperienza sindacale ventennale.Una delle intervistateha affermato di provenire da una famiglia comunista nella quale le tematiche sul lavoro sono sempre stati gli argomenti di discussione. A suo papere l’origine familiare l’ha spinta ad avvicinarsi al mondo sindacale: “io provengo da una famiglia nella quale i valori erano molto ancorati al concetto di solidarietà, i miei nonni avevano vissuto la guerra i valori erano quelli comunisti perciò nelle discussioni gli argomenti più ricorrenti erano questi: la Cgil, il partito comunista. E quindi cresciuta con questi valori la mia è stata una scelta non obbligata, ma conseguente dalla posizione che occupavo…” (Int. N°1). L’intervistata ha spiegato di non avere avuto difficoltà con la famiglia di origine che ha appoggiato le sue scelte.

Diverso è invece il caso di un’altra intervistata che ha dovuto lottare col padre contrario alla sua scelta di diventare sindacalista. Quest’ultima non è stata una scelta “naturale” come quella della intervistata precedente: “io ero part time e dopo l’ultima maternità ero iscritta da sempre a FISAC Cgil, dopo l’ultima maternità l’azienda non mi fece ritornare al posto di lavoro, per cui mi rivolsi al sindacato e con molta rabbia cercai di capire se l’azienda era nel giusto, mi avvicinai così al sindacato. Non so se si è trattato di fortuna o meno ma nei miei pensieri l’attività sindacale non esisteva proprio né quand’ero studentessa, né quando ho cominciato a fare la bancaria, per cui è stato una pura coincidenza” (Int. N°2).

L’esperienza della terza intervistataè ancora diversa: “Appena sono entrata nel mondo del lavoro sono stata avvicinata. Pensa che io vengo dal mondo dei ferrovieri, cioè sono entrata in ferrovia, le prime persone che ho incontrato quando sono andata a firmare il mio contratto sono stati i sindacati, tutti e tre, però quelli che più mi appassionavano sono stati gli ideali della Cgil e perciò mi sono iscritta in Cgil. Io divido la mia attività sindacale in due parti: quella del mondo lavorativo e quella propriamente sindacale. Per entrare a far parte dei dirigenti sindacali io ho fatto un corso da dirigente sindacale e quello mi è servito tanto insomma” (Int. N°2).

Tutte e tre le intervistate citate non hanno partecipato ai movimenti femministi, verso le quali esprimono una certa diffidenza come si nota nei seguenti passaggi:“ci è capitato di intercettare varie volte altre associazioni femminili e femministe in occasione di alcune manifestazioni e la cosa che non ti spieghi è proprio questa, la chiusura. Anche un movimento femminista ha il compito di far acquisire coscienza ad altre donne che non si sono ancora rese conto della posizione che occupano, se ti chiudi diventa soltanto un discorso da salotto” (Int. N°1).

“Bisogna che facciano attenzione a non chiudersi troppo, però con l’ultima esperienza che io ho fatto con questi movimenti, ci siamo aperte molto all’esterno quindi c’è una discussione interna ma poi si cerca il coinvolgimento della società civile e in questo ci aiuta molto facebook ed anche tutti gli altri mezzi di comunicazione” (Int. N°2).

“Si chiudono in se stessi, non si aprono agli altri,  sono dei movimenti carsici cioè esplodono quando ci sono dei problemi e poi naturalmente implodono quando sembra che le cose raggiunte ti rimangano per sempre, invece cosi non è. E’ questo che mi mantiene lontana dal parteciparne attivamente, e poi la stessa parola “lobbie” non mi piace, non mi piace il suono mi dà l’idea del chiuso ma soprattutto del fatto di non volersi confrontare con la società e che non fa parte della società” (Int. N°3).

Le sindacaliste intervistate affermano di aver sempre prediletto le associazioni e, soprattutto, i movimenti di massa: “Prediligo più i forum, i coordinamenti lì dove c’è più democrazia e collettività, i coordinamenti hanno fatto veramente tanto, però c’è da dire anche che le associazioni contemporanee sono molto più aperte al mondo esterno rispetto a quelle passate, si confrontano molto di più, fanno rete. C’è stato un periodo in cui le donne si sono mosse, a partire dai loro attacchi alla 194 e già lì le donne con lo slogan “usciamo dal silenzio” il mondo dell’associazionismo si è messo insieme per  rispondere ad un’esigenza. Poi c’è stato un momento di stasi, di stallo ed è esploso di nuovo con il “Se non ora quando” che è stato proprio il momento clou per far capire che c’era bisogno della rete e che si parlasse tra di noi anche rispettando le proprie autonomie, le proprie idee, ma che ci fosse un’unione molto più ampia, quella mi è piaciuta molto di più e sono stata orgogliosa di farne parte di quella rete. La cgil Napoli è stata tra le organizzatrici, con un milione di donne in piazza ed è stato il momento più grande dell’unione delle associazioni femminili e femministe del territorio. Ed oggi tutte le volte che si parla di associazioni si parla di quel movimento o della “Casa delle donne” che ha riguardato l’unione delle associazioni femminili di Napoli in cui anche lì la Cgil fa parte. quindi sono queste le associazioni per le quali mi sento orgogliosa di averne fatto parte” (Int. N°3).

Entrando più nel merito dei problemi, emerge tuttavia più di unaspetto critico. Secondo una intervistata, ad esempio: “nella contrattazione c’è più difficoltà, perché le donne sono poche tra quelle iscritte al sindacato, e sono poche quelle che avanzano o sostengono le proposte che le donne portano avanti. La contrattazione è fatta di mediazione e nel momento in cui tu porti queste proposte che sono innovative, che sono migliorative per il lavoro delle donne innanzi tutto, possono trovare ostacolo lì dove il mondo è completamente maschile e chiedi una riduzione di orario o chiedi qualcosa che a primo impatto può sembrare un’agevolazione e in effetti non lo è, ma è una tutela, una tutela per le donne che all’interno di quel mondo devono dividersi tra vita e conciliazione. questa è la maggior difficoltà dovuta al fatto che ai tavoli di contrattazione sono poche le donne, quindi le loro istanze sono portate avanti da uomini che dovendo parlare al maschile poco capiscono le esigenze al femminile. Risulta difficile riuscire a raggiungere degli obbiettivi veri. Infatti se ti vai a guardare un contratto nazionale su lavoro è difficile che trovi agevolazioni particolari per le donne per esempio che hanno bambini che non siano dettate dalle leggi, dalle leggi costituzionale o da quelle per la maternità, altro non trovi. E difficile quindi riuscire a compiere azioni positive in materia di lavoro femminile” (Int. N° 3).

L’unica intervistata che ha vissuto in passato un’esperienza ai tavoli di trattativa a riguardo afferma: “io ho avuto un’esperienza in una trattativa nella mia azienda L’Unicredito su un contratto integrativo. Chiaramente nel momento in cui si fa un contratto integrativo, l’azienda mette sul tavolo dei soldi da distribuire nella contrattazione di secondo livello. Nell’ambito di questa contrattazione quando si cerca di portare delle azioni positive per le donne per esempio il ticket alle donne in allattamento, oppure delle aule di formazione per le donne part-time, ovviamente tutte queste cose hanno un costo, quindi tra le somme messe a disposizione una parte deve andare alle politiche che riguardano le donne e non distribuite a tutti gli altri, chiaramente là c’è un freno da parte degli uomini, perciò è molto importante che ai tavoli di trattativa ci siano le donne cosi come questo vale se si fanno trattative nazionali è importante che ci siano persone del sud per portare le condizioni del sud, se ci sono trattative in generale che riguardano le immigrate è importante che ci siano le immigrate al tavolo perché si difende bene la categoria se ci sei, capisci meglio la situazione e puoi portare avanti le rivendicazioni” (Int N° 2 ).

Per quanto concerne l’area relativa alla conciliazione e delle critiche verso il sindacato si coglie una convergenza di opinioni. Infatti le donne riescono a conciliare poco il lavoro sindacale con quello domestico e di cura familiare, causa: i tempi lunghi del sindacato, un lavoro che continua anche a casa. Tutte le intervistate hanno ad esempio lamentato la difficoltà di programmare una vacanza o un viaggio a causa della imprevedibilità della vita sindacale. Le ore dedicate alla famiglia sono “tutte quelle che mi rimangono” (Int. N°3). Un tempo dedicato anche il sabato e la domenica alla famiglia e alla pulizia della casa. Le intervistate affermano pertanto di aver dovuto responsabilizzare i loro figli fin da piccoli insegnando loro ad essere indipendenti, a cucinarsi e a badare a se stessi.. Hanno però avuto tutte la fortuna di avere mariti e compagni collaborativi e soprattutto l’appoggio della madre. Come afferma una delle intervistate “ Mia mamma è il mio Welfare”.

Una intervistata aggiunge che: “Non si tengono in considerazione dei tempi delle donne, quindi o hai una famiglia come la mia, o hai una situazione che ti permette di lavorare a certi ritmi e a certi livelli. Anche alla Cgil le riunioni sono quasi sempre tutte in orari serali dalle 19 in poi non c’è assolutamente l’occhio di riguardo verso il fatto che magari puoi avere figli piccoli, anzi a volte sembra quasi essere una colpa l’avere figli data la scelta di lavorare in sindacato”. Un’intervistata sottolinea invece che: “il sindacato vuole sempre che  siano le donne a dimostrare di essere “brave”, tutti dobbiamo essere bravi, tutti dovremmo avere passione chi non è bravo impara un po’ alla volta anche perché ci sono metodi e mezzi per farlo ma è solo alle donne che si richiede ciò. Ci sono tanti uomini all’interno del sindacato che non dimostrano proprio niente e non lavorano per niente” (Int. N°3).

 

2. Il caso della Fisac Cgil

Nel settore del credito l’accesso ai posti dirigenziali ancora comporta un adattamento ai tempi, ai ritmi e alle modalità di lavoro che si sono cristallizzati nel tempo in cui il sindacato è stato a prevalenza maschile. Il percorso di carriera e di accesso delle donne alle cariche decisionali rimane relativamente lungo.

Le donne hanno raggiunto posizioni apicali in età non giovanissima, hanno maturato la propria formazione ai ruoli dirigenziali sui luoghi di lavoro piuttosto che attraverso un elevato titolo di studio. Ma soprattutto le donne hanno incontrato ed incontrano maggiori difficoltà proprio per l’appartenenza di genere.

Va detto che, per la maggior parte, i processi istituzionali politici sono analizzati senza tener conto delle differenze di genere. Pertanto le carriere delle donne tendono ad essere equiparate a quelle maschili e considerate non problematiche.

Tra l’altro più si sale nella scala gerarchica, più è difficile trovare donne che occupano posizioni di alto prestigio (dirigenza e supervisione).

A tal proposito sono molto significative le interviste presso la sede sindacale Fisac Cgil. Le intervistate hanno tutte un’esperienza trentennale al Sindacato. La loro scelta è riferita a motivazioni personali, anche se non mancano piccoli costi dovuti a battaglie personali, e familiari. Le tre donne svolgono ruoli molto importanti, soprattutto la terza intervistata di questo gruppo che è la segretaria generale del settore da circa due anni.

Vi sono molti aspetti in comune tra le interviste sindacaliste della Camera del lavoro e le donne della Fisac, allo stesso tempo emergono modi diversi di pensare su questioni riguardanti le loro scelte di vita privata. Infatti le intervistate alla Fisac a differenza delle prime non hanno figli, ma ciò non comporta un’assenza di difficoltà sul posto di lavoro e nella conciliazione dei tempi.

Infatti alla domanda: per fare dei passi avanti per le donne, abbiamo bisogno di sole donne, o anche gli uomini possono contribuire alla realizzazione di questo obiettivo?

Le prime due intervistate alla Fisac hanno risposto in questo modo: “Per fare dei passi avanti abbiamo bisogno innanzitutto delle donne, che le donne facciano rete, che le donne si riconoscano, che le donne non vedano il riferimento negli uomini ma nelle stesse donne ed è un problema ancora oggi” (Int. N° 2).

La segretaria generale invece crede che la maggior parte delle donne rispetto agli uomini purtroppo tenda ancora all’individualismo “gli uomini sviluppano un senso di forte solidarietà, cosa che molte volte nelle donne non si riscontra. Le donne tendono più all’individualismo, al protagonismo, la solidarietà è difficile. Dipende anche dalla cultura perché nelle donne vi è sempre l’esigenza di dimostrare. A volte le donne cercano più di allearsi con gli uomini, questo purtroppo è un problema” (Int. N° 1).

Per ciò che concerne le discriminazioni di genere , soltanto una ha risposto di non aver avuto problemi al riguardo, mentre le altre due hanno risposto in modo positivo.. Le loro parole sono state: “i segnali li riconosci, per cui sei pronta a non farti discriminare. I segnali sono quelli di non coinvolgimento iniziale, del poi ti faccio sapere, poi ti racconto, poi ti dico o del “non ti preoccupare… la rassicurazione eccessiva da parte degli uomini nei confronti delle donne è un chiaro sintomo di discriminazione. Il non coinvolgerti nelle decisioni e nelle valutazioni e la forma di discriminazione più grave che fanno. Soprattutto nel nostro settore , e soprattutto quando poi le donne hanno occupato posti di rilievo, Tra un uomo e una donna si sceglie un uomo. A me è capitato varie volte che tra incarichi da ricevere tra un uomo e una donna si sceglieva un uomo”. (Int. N° 3).

Tutte e tre tra l’altro concordano sul fatto che le donne siano più pragmatiche e che abbiano una naturale predisposizione a risolvere i problemi e nell’essere maggiormente e velocemente flessibili e versatili. Tra l’altro credono che le donne con maggiori problemi, e discriminazioni siano quelle che occupano posti di rilievo.

Per quanto riguarda le proposte che hanno trovato un ostacolo da parte degli uomini, anche su questo punto soltanto una non ha saputo rispondere, ma le altre due sono in pieno accordo: “le proposte ostacolate attengono sempre alle politiche che riguardano le donne. Sono quelle che gli uomini vivono male, le vivono marginalmente come se non fossero necessarie. Invece sono necessarie come i tempi di conciliazioni, spesso nei contratti le aziende tendono a tenere fuori la tematica relativa ai tempi delle donne. Quando si parla di “tempi delle donne” sembra che già si vuole marcare una differenza, fermo restando che non c’è nessuna differenza, però i tempi che hanno le donne (famiglia, figli etc), avrebbero bisogno di un’attenzione diversa nei momenti in cui si vanno a fare dei contratti nelle aziende. Cioè stabilire politiche che vengano poi calate a tutto il personale, ma un’attenzione particolare alla questione di genere, ma non deve esser discriminante. Cioè il garantire che una donna continui il suo percorso lavorativo dopo la maternità è un dovere nostro che deve passare anche per la cultura maschile. La figura della lavoratrice madre esiste, e non deve ad un certo punto essere buttata fuori dal ciclo produttivo” (Int. N°2).

Spostandoci all’area relativa la conciliazione, fanno fatica a mettere insieme il loro lavoro con quello familiare nonostante la mancanza di figli.

Infine tra le critiche che le tre intervistate muovono al sindacato vi sono le difficoltà di accedere a ruoli di responsabilità“non in particolare nella atteggiamento verso le donne, ma nella selezione dei quadri dirigenti non applica tutti i principi che andrebbero applicati. Principi di professionalità, noi qualche volta tendiamo a dirimere da questo modo di fare che sempre più spesso è a favore della controparte” (Int. N°1).

In aggiunta secondo un’altra intervistata: “il sindacato ha un’azione troppo lenta rispetto alle donne, ma questo dipende anche delle donne perché non sempre stanno dietro a questo. La donna a volte non crede che si possono sfondare delle porte. Sono più lente nel metabolizzare questo pensiero” (Int. N°2).

Dalle interviste dunque emerge come anche le stesse sindacaliste vivano alcune delle problematiche di discriminazione, e di difficoltà di conciliazione dei tempi che le donne lavoratrici sperimentano sul luogo di lavoro, anche se esse a volte non sono apertamente tematizzate, e soltanto a fatica entrano nei tavoli di contrattazione come problematiche di tutti e non solo delle donne.

 

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Category: Lavoro e Sindacato, Osservatorio Sud Italia, Vite, lavoro, non lavoro delle donne

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