Nello Rubattu: Tumori e morte dell’industria a Macomer

| 18 Febbraio 2016 | Comments (0)

 

 

Quando un giorno si scriverà un libro sulla Sardegna del novecento e di questa parte di secolo, non si potranno che segnalare quintalate di incongruenze. La gente in Sardegna odia le basi militari ma allo stesso tempo se una di queste smobilita succede il finimondo; tutti sanno che delle industrie inquinanti lo stato italiano ne ha trasferito graziosamente una parte in Sardegna e queste industrie (leggi petrolchimiche, valorizzatori e simili) sono la causa di un aumento sconsiderato di tumori e anche in questo caso tutti lo sanno. Ma se per caso qualcuno di questi impianti viene messo in liquidazione, in Sardegna si rischia ogni volta la sollevazione popolare.

Vi sembra strano? No, perché è quanto succede nella realtà.

Andiamo per ordine, cominciamo con le industrie responsabili dell’aumento dei tumori. In un  altro momento parleremo delle basi militari.

Il Registro dei tumori dell’Asl di Nuoro ha confermato proprio in questi giorni che Macomer è ai vertici dei tumori in Sardegna. Diligentemente per questo, ha trasmesso al Comune di Macomer i dati ufficiali sulle patologie più frequenti, ricordando, per non fare la parte dei fessachiotti, che il dossier è stato elaborato “come richiesto dall’attuale sindaco in carica”, Antonio Succu, che chiedeva ulteriori informazioni sull’incidenza di alcune patologie tumorali nella sua zona e resi pubblici, sempre dall’Asl del nuorese, nel dicembre dello scorso 2015.

I report, sia quello del dicembre scorso che questo ultimo, confermano i risultati preoccupanti sulla diffusione di patologie tumorali nel distretto di Macomer, dove si vanta la maggiore incidenza di malattie di quella fascia per le donne e un secondo posto dopo Nuoro per gli uomini.

Tutta l’area interessata alla ricerca epidemiologica, per chi non lo sapesse, risulta quella dove è stato costruito lo stabilimento petrolchimico e dove ha sede l’importante inceneritore di Tossilo (chiamatelo però, termovalorizzatore). Il petrolchimico, ormai è in coma profondo, mentre l’inceneritore è in funzione e anzi, lo si vuole raddoppiare. Una cazzata che non sta in piedi, ma che le forze politiche loocali sognano di realizzare al più presto.

Ma torniamo ai dati sull’incidenza dei tumori della Asl di Nuoro che conosce molto bene il dibattito sugli agenti inquinanti e sulle forze che guerreggiano localmente sull’argomento. Per non avere problemi, nella presentazione del loro dossier sono stati chiari e hanno tenuto a sottolineare come: «I dati sono stati raccolti secondo le regole stabilite a livello internazionale e validati dalla Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro e dall’Associazione italiana dei Registri dei tumori. L’utilizzo dei dati non è consentito per svolgere altri studi senza specifica autorizzazione del direttore del registro». La firma è del responsabile del Registro dei tumori di Nuoro, Mario Usala. Il documento dall’Asl nuorese ribadisce che è confermato il tasso «per tutti i tumori più alto nel distretto di Nuoro (secondo Macomer) per i maschi»; mentre «il tasso più alto per tutti i tumori nell’attuale distretto di Macomer (secondo Nuoro) per le femmine».

E che ad essere colpite più le donne che i maschi da agenti inquinanti è anche quello un fatto abbastanza noto. O perlomeno un fatto di cui si discute molto a livello internazionale. Anche perché, le ricerche in generale denotano in questi ultimi decenni la tendenza alla diminuzione del differenziale fra i due sessi

Sta di fatto che l’ISDE, un istituto internazionale indipendente che attraverso i suoi associati in Sardegna monitora la salute dei sardi sottoposti a stress ambientale a causa di industrie inquinanti e senza nessun controllo, lo diceva ormai da molto tempo. Solo che nessuno li ha mai ascoltati. Anzi, proprio l’Isde ha sempre affermato che proprio la zona di Macomer-Ottana è fra quelle messe peggio della Sardegna. Anche perché nella piana di Macomer-Ottana passa il Tirso, il maggiore fra i fiumi dell’isola che trasporta con le sue acque lungo un vasto territorio, le porcherie nascoste nella piana fin nelle acque del Mediterraneo di Oristano.

Ma proprio a Macomer, la gente protesta perché tutto il comparto industriale di questa vasta area pianeggiante è in crisi. Anzi: si può dire sia morta. E sono in molti coloro che sognano che il petrolchimico di Ottana riapra i suoi battenti, portando così lavoro in una delle aree più depresse di tutta l’isola. E’ anche per questo che le forze politiche locali e buona parte dei sindacati, oggi non vogliono si tocchi l’inceneritore di Tossilo, l’unica industria che ormai resta in piedi, anche se fortemente contestata da un comitato “non bruciamoci il futuro”, sostenuto da oltre 2000 persone e malvisto dall’attuale giunta comunale e dai sindacati che come al solito ritengono doveroso difendere quella quarantina di operai che lavorano nel grande impianto in territorio del comune di Ottana.

“Insomma, siamo alla solita guerra fra poveri”, dicono quelli del comitato di “Non bruciamoci il futuro”.

Perché è indubbio che davvero nessuna delle forze politiche che amministrano il territorio in questo momento riesce a mettere in piedi un minimo di ragionamento realistico sugli effetti dell’inquinamento per tutta la zona.

Ragion per cui, come sottolineano in molti, in questo momento, nessuna forza politica o sindacale ha presentato un progetto di sviluppo degno di questo nome. Tutti, sindacati e partiti, cercano di sviare il problema delle prospettive future di questo territorio, che non potranno essere certamente legate a modelli industriali che ormai non reggono neanche lo spazio di qualche anno: “La nostra priorità non è la produzione dell’energia, ma l’uso razionale dell’energia”, hanno scritto quelli del comitato che sono convinti dell’antieconomicità dell’industria energetica e che non capiscono come mai in una zona dove si produce un bene, l’energia appunto, che a sua volta si vende a soggetti terzi sul mercato, venga a costare di più proprio nella zona in cui viene prodotta! Una incongruenza che dimostra come l’industria legata al termovalorizzatore presente in zona e oggi il più grande di tutta la Sardegna, è un bluff, una balla. Perlomeno un affare che con i problemi del centro Sardegna e di Macomer e Ottana, non c’entra per niente.

Perciò, come dicono quelli del Comitato “Non è un problema di mancanza o meno di energia sull’isola a condizionarne il suo sviluppo”. Forse è più realistico sottolineare che siamo anche in presenza di una cattiva gestione di un ciclo industriale.

Se poi si tiene conto dei danni che una fabbrica come quella dei termovalorizzatori comporta dal punto di vista dei carichi ambientali, il discorso diventa ancora più pesante.

Perché quasi tutto il complesso dei “decisori” sembra non tengano in nessun conto che un territorio, quando viene inquinato ha tempi di ripresa molto lenti: “Quello che si inquina in una decina di anni, poi ci vogliono secoli per eliminarlo”, lo si può leggere in qualsiasi trattato scientifico che parla dei problemi ambientali nelle aree postindustriali.

Perché l’inquinamento quando presenta il conto non necessariamente è estinguibile. Non è come un mutuo che si può rateizzare. Soprattutto non si può pensare che in un territorio inquinato si possa passare in poco tempo da un ciclo industriale ad un altro. Difficilmente dal petrolchimico ci si può riciclare con aziende della filiera dell’agroindustria, del biologico o del turismo.

O si pulisce il territorio e lo si rende appetibile  o qualsiasi modello di sviluppo non solo è impossibile da realizzare ma semplicemente improponibile.

Però questi discorsi che sembrano dettati da un puro e semplice buon senso, in Sardegna, non vengono per niente apprezzati dalle forze politiche locali, specialmente da quelle di Macomer, che sembrano invece alla ricerca di successi immediati da mostrare alla popolazione. Perciò: invece che ricercare strategie di intervento in grado di rispettare le emergenze economiche territoriali, sempre queste forze politiche, si rendono responsabili della nascita di industrie senza senso che distruggono semplicemente le possibilità future del loro territorio.

Se poi si aggiunge che molti amministratori locali ritengono che dalle industrie inquinanti ci si possa guadagnare anche nella fase di dismissione grazie a favolistici progetti di disinquinamento, siamo davvero alla frutta. E’ una follia bella e buona quella dell’industria del disinquinamento. Perché anche la fase del disinquinamento parte da un presupposto di spreco di denaro che così, invece che dirottarlo verso “cicli economici sani” lo si usa per tamponare le falle.

Una follia di cui nessuno parla.

Anche perché l’inquinamento di cui si parla non riguarda i territori ma ciò che sul territorio esiste: non solo gli animali, i vegetali, ma gli esseri umani.

Perciò, la maggiore incidenza dei tumori nel territorio di Macomer e dei paesi vicini, forse bisogna leggerla sotto questa luce. Soprattutto bisogna ricordare a questi amministratori locali, ai politici e ai sindacati che il disinquinamento non è per niente un affare e che i soldi che normalmente vengono erogati per rimettere in sesto un territorio distrutto dalle industrie inquinanti ripagano solo in parte l’entità dei danni: risanare è un problema di lunga durata. E come già si ricordava, ci vogliono secoli prima che un territorio rimargini le ferite provocate da una sua cattiva gestione.

Basta pensare che non esiste tecnico di settore di questo mondo che non ricordi come un corretto disinquinamento della valle del Tirso – che per questo comprende i territori del centro Sardegna e di Macomer – avranno bisogno almeno di qualche secolo; e questo a fronte di un danno provocato in neanche trenta anni di industria chimica e di termovalorizzatori! Spesso infatti si confonde l’intervento durante la fase acuta che dura normalmente intorno ad un trentennio, con il resto dei processi di disinquinamento… e questa “confusione”, viene utilizzata per giustificare gli interventi industriali inquinanti, fatti passare per momenti di sviluppo industriale. Non è così, ormai lo sanno anche i bambini: i danni provocati al territorio da certi cicli industriali sono pesanti da digerire. Punto e basta.

Solo che il fatto di tenerne realisticamente conto, rompe le uova nel paniere a molta gente. Soprattutto a coloro che con troppa leggerezza parlano di occupazione legandola a certi cicli industriali che spesso soddisfano la ricerca immediata di soluzioni, ma che hanno la caratteristica di non durare nel tempo. In Sardegna in questi ultimi 50 anni è successo proprio questo: l’industria pesante, figlia di politiche nella maggior parte dei casi legate ai giochini delle caste pubbliche, hanno prodotto solo disoccupazione e spopolamento.

Lo sviluppo economico dell’isola infatti non solo dimostra una sua forte instabilità, ma si regge sul nulla : Non bisogna dimenticare che i dati sulla popolazione residente della nostra isola, pubblicati nel 2015, indicano una flessione degli abitanti. E’ la prima volta che accade e nei prossimi anni la cosa continuerà pesantemente, ma il rapporto fra vecchi e giovani oggi in Sardegna è di sei anziani per ogni giovane. Insomma, forse qualcuno in Sardegna rimarrà, ma sicuramente per il 2030, le previsioni parlano di un 30% di diminuzione,  della popolazione. Se continua così, grazie ad una classe interna di decisori cretina e senza prospettiva, i sardi scompariranno… l’unica soddisfazione che rimarrà è che scomparirà anche la casta dei leccaculi locali. Una Sardegna spopolata e con alti tassi di pericolosi inquinamenti non servirà a nessuno, neanche a loro.

 

 

Category: Ambiente, Lavoro e Sindacato, Osservatorio Sardegna

About Nello Rubattu: Nello Rubattu è nato a Sassari. Dopo gli studi a Bologna ha lavorato come addetto stampa per importanti organizzazioni e aziende italiane. Ha vissuto buona parte della sua vita all'estero ed è presidente di Su Disterru-Onlus che sta dando vita ad Asuni, un piccolo centro della Sardegna, ad un centro di documentazione sulle culture migranti. Ha scritto alcuni romanzi e un libro sul mondo delle cooperative agricole europee. Attualmente vive a Bologna

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