Nello Rubattu: L’inquinamento della zona industriale di Porto Torres

| 30 Luglio 2015 | Comments (0)

 

Quando i dati dello studio “Sentieri”, sull’inquinamento della zona industriale di porto Torres, stilato dall’Istituto superiore di Sanità è stato pubblicato, sui quotidiani sardi non sono ovviamente mancati i commenti. Perché quei dati, sono davvero drammatici e pesanti come pallettoni da caccia grossa.

La cosa più malinconica è che molti della nostra classe castale locale, si sono messi a fare la parte dei colpiti da una botta di meraviglia: “ma come, siamo davvero messi così male?”, “Da non crederci. Non è che si sono sbagliati?”.

No, non si è sbagliato nessuno e l’area industriale di porto Torres (vedi foto) è un cesso cielo aperto, una discarica delle peggiori schifezze che non fanno male solo al territorio, ma a chi ci abita. Come ricorda in un passaggio l’articolista della Nuova Sardegna “gli impianti si sono fermati ma non l’inquinamento che viaggia sotto traccia, si mischia alla terra e all’acqua di falda, e continua a fare brutti regali”.

E se vi può interessare, questi dati confermano che Porto Torres supera come inquinamento ambientale e conseguenze alla salute delle persone, i peggiori orrori di Taranto e Porto Marghera. Tutto questo in un territorio che cinquanta anni fa era un Paradiso per i pesci. Un tratto di mare fra i più pescosi di tutto il Mediterraneo. Un posto, dove, se volevi mangiarti un’aragosta dovevi solo fornirti di una nassa da piazzare al tramonto e l’indomani mattina qualcosa te la trovavi per fare Bingo. Ora è praticamente dead sea, direbbero gli inglesi e i pesci vengono fuori già drogati di fenoli: “Se ti volevi fare una spaghettata ai frutti di mare, fino agli anni sessanta, ti dovevi solo attrezzare di un rastrello e lungo le spiagge trovavi tutto quello che ti serviva per il condimento. Le cozze, quando erano in periodo di maturazione, avevi bisogno di farti solo il giro degli scogli e raccoglierle con le mani”. Ma questo lo dicono gli attuali abitanti sessantenni di Porto Torres e sembra una favola per chi sogna i bei tempi andati. Di certo, però, tutti da queste parti raccontano che da ragazzi, facevano il bagno direttamente in porto. L’acqua era pulita e nessuno ci trovava niente di strano.

Però, ad un certo punto, la classe castale italiana, ha cominciato a dire che in Sardegna mancava l’industria e che per una questione di modernità, bisognava mettere su dei begli impianti chimici dove tramutare il petrolio in materie plastiche. Per realizzare questa “rivoluzione”, hanno dato carta bianca all’ingegner Rovelli, il solito milanesotto con le amicizie giuste nei ministeri romani, che ha trasformato questo tratto di costa del Nord Sardegna in un incubo da post guerra nucleare, in una cloaca da brutto vedere.

In tutti questi anni è stato inutile parlare di costi collaterali. Lorsignori ne conoscevano allora il termine, come non lo conoscono oggi, bisogna dire. Così, in venti anni di polo chimico Sir, questa parte di Sardegna è diventato il Paradiso delle tangenti, del clientelismo, dei favori e della distribuzione di soldi fitti ai soliti noti.

Dovevano modernizzare la Sardegna e ci sono riusciti. Alla loro maniera, bisogna dire.

E come succede sempre nel Bel Paese, oggi nessuno è responsabile di questo casino: non lo sono di certo lorsignori, non lo sono i tecnici che avrebbero dovuto controllare il rispetto di certi valori ambientali, non lo sono i politici locali che se non conniventi hanno solo saputo chiudere gli occhi e il naso, non lo sono i sindacati che hanno sempre pensato che la prima cosa che bisognava difendere erano i posti di lavoro.

Niente, se vai a cercare i responsabili di questo disastro, manco a balla che ne trovi! A quanto pare nessuno sapeva e tutti volevano il bene di una popolazione sfigata come quella del Nord Sardegna. L’ipocrisia, come da copione, da queste parti la distribuiscono a pacchi dono!

Ma ora, i dati che sono stati diffusi raccontano un’altra realtà, costruita su tumori e patologie collegate agli inquinanti ambientali dell’area di Sassari-Porto Torres. E tutti i dati del rapporto dicono che questi tumori sono in aumento.

Gli unici che in questi anni hanno voluto raccontare un’altra verità, sono sempre state le sezioni Sardegna di Isde-Medici per l’Ambiente, Aiea-Associazione italiana esposti amianto e Medicina democratica, che sulla base del rapporto dell’Istituto superiore di Sanità, stanno chiedendo l’istituzione di un Comitato di garanti.

C’è una mortalità del +49 per cento rispetto alla media regionale sarda per tumori dell’apparato respiratorio che colpiscono in particolare le donne nella zone tra Porto Torres e Sassari: ed è questo, il dato più preoccupante. Perché quando le più colpite sono le donne vuol dire che i bambini che nasceranno saranno geneticamente indeboliti e maggiormente predisposti a malattie.

Che nessuno, poi, dica che si tratta di allarmi e non di realtà nuda e cruda: l’indagine è stata svolta su una popolazione di 141.793 abitanti, sulla base del censimento del 2011 e ha riguardato il periodo 2003-2010 (escluso il 2004-2005. E il quadro che emerge, purtroppo, non sposta i risultati delle valutazioni già conosciute.

Ecco per esteso quello che dicono questi “folli” ambientalisti: “Il quadro conferma quanto denunciamo da tempo – hanno sottolineato i rappresentanti delle sezioni sarde di Isde-Medici per l’Ambiente, Aiea-Associazione italiana esposti amianto e Medicina democratica – . In soli sei anni si è registrato un +6 per cento di mortalità in generale e per tutte le cause, rispetto alla media regionale, con eccessi di decessi per tutti i tumori in entrambi i sessi, ma anche con una maggiore incidenza per le patologie connesse alle condizioni ambientali”.

Le donne, come abbiamo già detto, sono quelle messe peggio: «La loro maggiore vulnerabilità – spiega Vincenzo Migaleddu, presidente dell’Isde-Medici per l’Ambiente Sardegna – per il tumore polmonare, ma in particolare per l’adenocarcinoma, anche in soggetti non fumatori, è dovuta a condizioni ambientali che trovano nell’assetto ormonale dell’organismo femminile una maggiore fragilità rispetto ai contaminanti presenti da tempo nell’ambiente».

E che non siano solo le “fesserie” di questo medico che si batte da una vita contro questo disatro ambientale di Porto Torres, lo si capisce dalla semplice constatazione che Vincenzo Migaleddu, non ha fatto altro che riportare i dati ufficiali sulla diffusione degli inquinanti che si trovano nella Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia del 2012, a cura della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, e nella Conferenza dei servizi del 2013. “Chiediamo l’attuazione immediata delle bonifiche – ha detto Migaleddu – , l’attivazione dei Protocolli di sorveglianza sanitaria nelle aree Sin di Sassari-Porto Torres e Sulcis Iglesiente-Guspinese. Ma anche l’istituzione di un Comitato di garanzia formato da personalità di alto profilo e competenza per affrontare quella che resta una emergenza sanitaria e ambientale”.

Come ricorda l’articolista della nuova Sardegna, si fa in fretta a fare i conti e a capire di cosa si sta parlando: “ Non c’è bisogno di grandi ricerche per confermare che la presenza diffusa per anni di attività chimiche, petrolchimiche, di raffineria e centrali termoelettriche a olio combustibile e a carbone, oltre a situazioni critiche nell’area portuale e alla gestione negativa delle discariche, ha prodotto la grave contaminazione delle acque di falda. L’elenco è vario: metalli pesanti, solventi e idrocarburi con valori ben oltre i limiti di legge. Il benzene fino a 150mila volte la soglia consentita, il cloruro di vinile fino a 500mila e il dicloroetano fino a 28milioni di volte”.

Non c’è molto altro da dire se non sottolineare che le battaglie di questi ultimi anni da parte di un numero sempre maggiore di persone, di associazioni e di singoli politici, a qualcosa sono serviti. Ora il re è nudo e forse la nostra sinistra isolana, invece che stare a rompere le balle con i soliti piagnistei operaistici, dovrebbe cominciare sul serio a riflettere sui tanti errori che ha commesso, riprendendo, sempre che le riesca, un minimo di senso della realtà e cominciando sul serio a pensare che non è distruggendo la propria terra che si crea sviluppo.

Il “ciclo petrolchimico”, già dal suo nascere negli anni sessanta, era un ciclo industriale morto: la Sir di Rovelli si teneva in piedi solo perché alle sue casse arrivavano flussi di denari statali che compensavano le perdite che ogni anno quella industria accumulava. Per reggere i prezzi di mercato di quella follia, lo Stato finanziava soldi fitti. Soldi che poi, sempre Rovelli, distribuiva alla sua maniera e secondo le sue personali convenienze: le briciole le metteva in azienda, una parte se li teneva per lui e con il resto li omaggiava partiti, uomini politici e funzionari compiacenti.

Basta questa storia per fare rinsavire la nostra classe dei decisori e pensare un altro film per la Sardegna?

Niente: a questa gente fare gli stronzi piace: ora lo stesso giochino, lorsignori lo vogliono mettere in piedi con la chimica verde, l’ultima delle trovate dell’Eni, l’azienda che storicamente è subentrata negli anni ottanta alla sir di Rovelli nell’assetto proprietario. La nuova favoletta che stanno vendendo ai poveri sardi è che per “sviluppare” il Nord Sardegna, bisogna creare il ciclo virtuoso delle materie plastiche di origine naturale. Lorsignori ora vorrebbero che nella grande piana della Nurra, quaranta mila ettari di territorio, vengano coltivati a piante oleose, cardi a quanto pare. I semi oleosi di questa pianta, sarebbero poi trattati nei nuovissimi impianti di Matrìca, azienda Eni, che sempre a Porto Torres, dovrebbe assumere almeno un cinquecento fra operai e tecnici.

E’ una balla colossale! I semi oleosi della Nurra costano cento volte più di quelli che già cinesi e simili coltivano in Africa e che rivendono alle loro industrie e commercializzano in giro per il mondo. Non sarebbero per nulla competitivi quei quarantamila ettari e per reggersi Matrìca, avrebbe bisogno di soldi statali o di utilizzare i loro impianti in altra maniera.

Ha senso tutto questo?

E chi la vuole in questo momento questa nuova presa per il lato B? Ma sempre i soliti: un folto gruppo di miopi sindacalisti, insieme a politici, funzionari regionali e Regione. Tutti a dire che certo, bisognerà controllare che non si faccia del casino, ma sicuramente, con questa nuova versione industriale (pensate la fascinazione che suscita il termine “chimica verde”), la Sardegna, finalmente, entrerà nei grandi giochi mondiali della chimica del futuro.

Qualche dubbio, comunque, la gente comincia ad averlo. D’altronde, questi che sono così d’accordo per la chimica verde sono gli stessi che in questi anni non hanno visto i casini di Porto Torres, non hanno letto i dati sull’inquinamento del mare e non hanno mai protestato per quei depositi a cielo aperto di materiale radioattivo e di scarti di lavorazione del ciclo chimico, lasciati dalla Sir prima e dall’Eni dopo.

Non per niente alle ultime elezioni comunali di Porto Torres, a vincere le elezioni sono stati i cinque stelle. E a pensare che sulla carta, la sinistra avrebbe dovuto vincere senza sforzo.

Qualcosa tutto questo vorrà dire.

 

 

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Category: Ambiente, Lavoro e Sindacato, Osservatorio Sardegna

About Nello Rubattu: Nello Rubattu è nato a Sassari. Dopo gli studi a Bologna ha lavorato come addetto stampa per importanti organizzazioni e aziende italiane. Ha vissuto buona parte della sua vita all'estero ed è presidente di Su Disterru-Onlus che sta dando vita ad Asuni, un piccolo centro della Sardegna, ad un centro di documentazione sulle culture migranti. Ha scritto alcuni romanzi e un libro sul mondo delle cooperative agricole europee. Attualmente vive a Bologna

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