Mimmo Carrieri: Un’altra strada per il sindacato

| 5 Aprile 2013 | Comments (0)

 

 

 

 

7. Pubblichiamo integralmente gli atti del seminario C’è un futuro per il sindacato? Quale futuro? organizzato dalla Fondazione Claudio Sabattini e tenuto a Roma il 5 aprile 2013. La numerazione degli interventi corrisponde all’ordine in cui sono stati fatti.

 

Vi ringrazio per l’invito e credo che l’iniziativa della Fondazione Sabattini sia meritevole non solo per l’oggetto, che è un oggetto pieno di punti interrogativi che io non scioglierò, ma che continuerò a rendere ancora più interrogativi, anche per aver messo a disposizione questi testi di Claudio, che sono sicuramente rilevanti per la loro capacità anticipatrice.

Io ne ho letti alcuni, qualcuno l’ho riletto e vorrei inizialmente fare una sottolineatura che riguarda la relazione, quella al Congresso FIOM che mi pare sia del ’96, in cui viene introdotto il concetto di indipendenza che io, a suo tempo, ho anche piuttosto severamente criticato.

Questa rilettura invece è stata, per certi versi, sorprendente perché, pur non superando le mie riserve, poi dirò quali sono, ho visto due aspetti che sono sicuramente importanti e di attualità.

Il primo lo ha ricordato Meardi, il quale ci ha detto che Sabattini aveva intuito che c’era un problema di tornare a strategie sindacali non condizionate dai vincoli esterni, dall’accettazione delle compatibilità come unico parametro di riferimento. Questa credo che sia un’intuizione fondamentale perché l’alternativa sarebbe quella che vediamo spesso oggi nelle scelte concrete dei Sindacati, cioè la logica del continuo adattamento ad imperativi e condizionamenti che vengono da politiche pubbliche o anche da altri soggetti esterni.

Il secondo aspetto, invece, che era quello che anche all’epoca mi aveva intrigato di più, riguarda il rapporto con il sistema politico e qui Sabattini propone di usare questa unità di misura dell’indipendenza, si era appena entrati nel sistema politico bipolare della Seconda Repubblica, ma lo propone in un modo molto motivato e secondo me giusto, aver capito cioè che l’orizzonte che aveva attraversato la strategia delle tre Confederazioni nei decenni precedenti, l’orizzonte dell’autonomia, era diventato in realtà impraticabile, perché intanto era una posizione di protezione dall’ingerenza dei partiti e del sistema politico, posizione difensiva che non sfruttava appieno le risorse positive e propositive delle organizzazioni sindacali e sicuramente era pensato per un sistema politico senza alternanza, il quale richiedeva altri concetti ed altre modalità.

Resto convinto che quello di indipendenza, forse anche per ragioni lessicali, non fosse quello più appropriato, però l’intuizione è corretta, ma non era appropriato perché c’era un rischio che poi si è evidenziato anche nelle scelte fatte successivamente dalla stessa CGIL, cioè che si traducesse la consapevolezza di non essere più dipendenti dalle forze politiche nella ricerca di una sostanziale autosufficienza o indifferenza rispetto alla sfera politica ed a quella dei partiti.

Ci ha ricordato, questa mattina, Lucio Baccaro che, se non c’è una rivitalizzazione anche in questo ambito, è difficile che nella stessa arena sindacale relazioni industriali possano incamminarsi in direzioni nuove, però questa è una discussione da fare. Veniamo all’oggetto futuro del Sindacato.

Qui noi siamo di fronte ad una novità nel corso degli ultimi anni ed anche l’interessante discussione di questa mattina ce lo ha confermato, cioè che ormai convergono le analisi, anche fatte a livello internazionale dagli studiosi, con molte delle riflessioni e delle proposte dei sindacalisti. Fino a poco tempo fa gran parte degli studiosi tendeva a dire che i Sindacati resistevano più o meno bene, al di là dei dati sulla membership, in tanti Paesi, soprattutto nei Paesi – come abbiamo visto oggi nelle tipologie che ci sono state presentate – di capitalismo renano, continentale, coordinato a secondo delle terminologie, che coincidono con quelle del Centro e del Nord Europa.

In realtà, questa idea relativamente ottimistica e continuista è stata messa sempre più in discussione dai dati e dagli eventi degli ultimi anni ed il quadro che Baccaro, ma anche Meardi sul versante meno vicino, ma altrettanto significativo dell’Europa centro-orientale, ci hanno presentato ci conferma che ormai, come gran parte di studiosi ci dice, siamo di fronte ad una evidente crisi di ridimensionamento, riduzione, declino, a seconda dei linguaggi adottati, della presenza sindacale nelle società, nella sfera contrattuale e nelle stesse istituzioni.

Quali sono questi dati? Lucio vi ha fatto una presentazione comparata, sofisticata, io voglio ribadirne qualcuno solo per fare qualche sottolineatura: primo, siamo di fronte non solo ad una riduzione della sindacalizzazione, della membership, come ci viene restituita da quasi tutti i repertori statistici, ma siamo anche negli ultimi dieci anni per la prima volta di fronte ad una caduta della rappresentanza dei Movimenti sindacali, essi parlano a meno lavoratori, poi voi avete detto quali sono, giovani, immigrati, lavoratori qualificati, possiamo entrare più nel dettaglio, comunque parla a meno lavoratori ed è meno riconosciuto il Movimento sindacale dalle sue controparti interlocutorie, nei luoghi di lavoro e nelle istituzioni, quindi questo restringe sicuramente la sua azione.

Secondo aspetto, al di là dei dati sulla copertura sindacale, in calo, ma non drammaticamente in calo, in qualche Paese più significativamente in calo, c’è però un dato qualitativo più di fondo, cioè che quasi tutti i Sindacati si sono allontanati dal nocciolo duro dell’azione contrattuale o lo hanno fortemente ridimensionato, cioè la contrattazione conta di meno nella loro azione, non è la loro priorità, tant’è vero che per gran parte di questi Sindacati le attività in cui hanno investito per compensare i loro problemi e difficoltà di natura organizzativa sono quelle di raccolta di adesioni nella sfera dei servizi.

La contrattazione, quindi, sicuramente conta di meno.Terzo aspetto, che è un po’ collegato, è quello che si afferma, e sono contento che lo abbia detto anche Baccaro, che in altri testi era stato un po’ più tranchant su questo, comunque si afferma – ripeto – un maggiore decentramento della contrattazione, ma questo decentramento in realtà non è così sregolato, drammatico e contrastato da spinte diverse.

Devo dire che forse non c’è un decentramento contrattuale così accentuato anche perché c’è poca contrattazione e spesso concessiva, quindi questo forse ci ricorda come la tenuta di un assetto più organizzato dipende forse dalla contrazione del fenomeno contrattuale, piuttosto che da tendenze positive.

Dentro questo scenario, però, dove collochiamo l’Italia? Questa mattina ho sentito rappresentazioni drammatiche e anche Lucio, che ha fatto un po’ di giochi di prestigio con i dati, giochi di prestigio abbastanza ben fatti, ha detto però una cosa fondamentale, cioè che i dati italiani non sono attendibili perché sono dati delle istituzioni, delle organizzazioni e non sempre questi sono del tutto affidabili, però ho sentito un ritratto drammatico.

Io vorrei spezzare una lancia e darò anch’io qualche dato, non avevo pensato di portarli, quindi ve li racconto soltanto, però darò un’interpretazione un po’ diversa, infatti la mia interpretazione è che il quadro organizzativo dei Sindacati italiani è meno drammatico, ma proprio per questo è più pericoloso, perché è più ambiguo e scivoloso, tanto è vero che continua ad essere letto da gran parte dei gruppi dirigenti di tutte le Confederazioni, di tutte le organizzazioni come un dato rassicurante, mentre invece rassicurante non è.

Per quanto riguarda i dati sugli iscritti, e questa mattina nessuno ha parlato dei pensionati, in quanto essi tra l’altro cambiano anche abbastanza radicalmente il dato quantitativo del sindacalismo italiano, certo, non sono i lavoratori attivi che rientrano nella misura del tasso di sindacalizzazione, ma per questa via i Sindacati italiani, le tre Confederazioni, quelle che vengono abitualmente misurate, sono diventate il sindacalismo quantitativamente più grosso d’Europa, sorpassando quello di Paesi con maggiore storia o con maggiore popolazione, come Gran Bretagna e come Germania.

La presenza organizzativa, quindi, del sindacalismo italiano resta ragguardevole, anzi c’è un aspetto ingannevole: i Sindacati italiani sono indotti a non cercare quello che Fausto Bertinotti, con una bella immagine, ha chiamato “reinvenzione”, cioè strategie, o come ha detto Landini che ha parlato di “innovazione strategica”, linguaggi più o meno affini, dunque i Sindacati italiani sono non indotti a perseguire questa strada di un cambiamento strategico significativo perché ritengono di aver ottenuto grandi successi organizzativi anche nella comparazione con gli altri Movimento sindacali.

E’ vero che questo riguarda anche gli iscritti, allora Lucio ci ha raccontato, sulla base di alcune ricerche, che così non è, ma io che ho partecipato ad altre adesso, sinteticamente, vi do le informazioni dell’ultima che è stata una ricerca molto grossa, fatta nel 2010, con un team di ricerca di cui io facevo parte, basata su un campione di più di 5.000 lavoratori, un campione rappresentativo, quindi molto grosso, consistente e la somministrazione è stata fatta anche in quel caso da SVG, che è uno degli Istituti che Lucio ha citato, ebbene, questo campione ci dice che i lavoratori che dichiarano di essere sindacalizzati, quindi non solo CGIL, CISL e UIL, ma anche tenendo conto dell’insieme delle costellazioni associative esistenti, sono all’incirca il 38%, che è una cifra molto rispettabile e sicuramente superiore alle stime internazionali relative al tasso di sindacalizzazione.

C’è qualche spostamento dei dati in merito a quelli che dicono di essere sindacalizzati, rispetto alle cifre ufficiali, perché in realtà è sovradimensionata la presenza della CGIL e risulta meno significativa di quello che si potrebbe immaginare quella della CISL.

La presenza della CGIL, e questa è la seconda informazione rilevante, è una presenza maggioritaria, ma non di maggioranza assoluta. La CGIL arriva al 43%, 44% all’interno del bacino dei lavoratori italiani.

Il terzo aspetto, di cui noi parliamo poco in generale, è che esiste soprattutto nel Sud e tra i lavoratori delle generazioni più vecchie un numero significativo di iscritti a Sindacati autonomi di vario tipo, che sono presenti soprattutto nel settore pubblico e dei servizi.

Detto questo, il Sindacato italiano ha buoni risultati organizzativi, ma poca propensione proprio per questo all’innovazione. Quest’ultima è necessaria? Io credo che lo sia, mentre qui si viene al punto in cui si dividono le analisi e le proposte, il punto sul che fare rispetto al futuro del Sindacato non se ci sia perché su questo più o meno tutti coloro che si occupano di queste materie dicono che il Sindacato a certe condizioni ha un futuro, ma quale sia la strada da perseguire.

Qui, invece, le analisi differiscono, ma differiscono soprattutto i comportamenti dei Movimenti sindacali, perché noi tendiamo a pensare che i Movimenti sindacali stanno fermi, in realtà i Sindacati non sono stati fermi, hanno cercato di reagire al declino organizzativo, ma hanno reagito con che cosa? In quasi tutti i Paesi e sulla base delle informazioni di cui noi disponiamo hanno reagito non con scelte che hanno riguardato la reinvenzione della presenza sindacale, un riposizionamento strategico dei Sindacati, ma quasi dappertutto con scelte ed aggiustamenti di natura organizzativa, fusioni, razionalizzazioni organizzative di vario tipo, maggiori campagne di organizing, campagne per i servizi come compensative dell’azione sindacale all’interno dei luoghi di lavoro.

Quello che è mancato in tutti questi tentativi, anche in quelli migliori, è in realtà la capacità di tornare a parlare – come questione da cui partire per ripensare l’organizzazione sindacale – delle contraddizioni nel lavoro e dei problemi all’interno di luoghi di lavoro, quindi sono state in gran parte scelte che prescindono dalla domanda, dai problemi più o meno monitorati, qualcuno ha ricordato le indagini della Fondazione di Dublino che vengono da parte significative del mondo del lavoro.

Si può pensare, invece, ad un altro tipo di strada? Io credo di sì e qui dico rapidamente, visto che lo posso fare solo per flash, che cosa richiederebbe: primo, abbiamo nuove contraddizioni lavorative, quelle che possiamo chiamare come legate al lavoro post fordista, e mi scuso per essere tranchant, che non sono rappresentate, questo è un grande terreno di rappresentanza che non riguarda solo i lavoratori, lo standard degli immigrati, etc., ma gran parte del mondo del lavoro.

Secondo aspetto: bisogna tornare a parlare di ridisegno della contrattazione e di presenza o, come ha detto Baccaro, di riradicamento nei luoghi di lavoro. Qui ci sono, quindi, due strade per quello che riguarda l’Italia: una è la generalizzazione delle rappresentanze nei luoghi di lavoro ed il grande limite italiano è che queste rappresentanze, al di là del dato sul pubblico impiego che mi pareva discutibile, ma non è questo il luogo per fare questo dibattito, comunque queste rappresentanze, ripeto, in realtà sono debolissime in gran parte del nostro settore produttivo.

Il terzo aspetto è quello della democrazia. Altra questione, politiche europee a partire dall’inversione delle politiche europee pubbliche che deprimono domanda interna e salari. Questo richiede quello che possiamo chiamare un nuovo istituzionalismo, quello che ha delineato Baccaro: governi orientati diversamente e partiti . . . che tornino ad occuparsi di lavoro. Sono condizioni desiderabili, ma che non ci sono.

Attenzione, però, perché Bertinotti ha detto un’altra cosa: uno dei problemi è la crescente istituzionalizzazione dei Sindacati. L’istituzionalizzazione è invece per i Sindacati sempre una necessità, una risorsa e non solo un problema e quello che ci ha raccontato Fausto, che aveva ragione nella sua declinazione, è che quella istituzionalizzazione che ha prevalso in molti Paesi ed anche in Italia non è un nuovo sostegno legislativo alla presenza dei Sindacati nei luoghi di lavoro, nel tessuto produttivo, mentre è invece, in primo luogo, l’aiuto finanziario alle organizzazioni, cioè gli interessi delle organizzazioni sono diversi dagli interessi dei lavoratori.

Questa è la vera giuntura che emerge nella cattiva istituzionalizzazione che, ed i “grillini” prima o poi se ne accorgeranno, ha riguardato non solo il sistema politico, ma forse anche il modo di fare delle forze sociali.

Ultima battuta. Le strategie proposte sono tante e si potrebbero dire molte cose, ma forse quella più importante per grandi organizzazioni confederali è di essere capaci di agire come io ho scritto, criticando l’idea che i Sindacati siano organizzazioni a legame debole, attraverso legami multipli. I Sindacati sono stati grandi e lo sono diventati quando si sono occupati di tante cose insieme e possono essere grandi di nuovo, significativamente, nel contesto mutato se sapranno mettere insieme risposte pratiche e risposte di senso, non separandole e cercando di combinarle in modo efficace.

 

Category: Fondazione Claudio Sabattini, Lavoro e Sindacato

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