Giordano Sivini: Il sindacato vende Chrysler alla Fiat e Marchionne lo paga con fondi Chrysler

| 4 Gennaio 2014 | Comments (0)

 

 

Giordano Sivini[1] aggiorna la sua ricerca sulla Crysler dopo l’annuncio della sua vendita alla Fiat di Marchionne. Un interventoche contiene notevoli elementi di novità e che permette una valutazione più complessa da parte della Fiom


L’epilogo della storia che in Inchiestaonline (dicembre 2013) avevo titolato “Chrysler: Marchionne e sindacato d’accordo in fabbrica si combattono in Borsa”, conferma l’abilità e la disinvoltura con cui il manager di Chrysler e di Fiat gestisce ed accresce il patrimonio degli Agnelli[2]. L’UAW con decorrenza 20 gennaio 2014 cede a Fiat il 41,5 per cento della proprietà di Chrysler per un corrispettivo di 4,35 miliardi di dollari. Fiat ne mette 1,75, il resto, 2.6, la stessa Chrysler.

E’ una soluzione che nessun analista finanziario ha previsto, e che sarebbe stata difficile persino immaginare, tenendo anche conto che, in forza di quel 41,5 per cento, nel consiglio di amministrazione di Chrysler siede l’UAW, con certe capacità di diritto di veto, che, a tutela dei pensionati e dei lavoratori della società, non sarebbe stato improprio utilizzare. L’esercizio del veto è infatti possibile quando una decisione si ripercuote sui suoi interessi in modo sproporzionato rispetto a quelli della Fiat[3]. Con la soluzione Marchionne l’UAW incassa, ma la sproporzione rispetto al guadagno di Fiat è agli occhi di tutti, e le modalità dell’incasso pregiudicano gli interessi dei pensionati e dei lavoratori che sono legati allo sviluppo produttivo di Chrysler. Marchionne infatti sottrae agli investimenti di Chrysler 1,9 miliardi di dollari, che dà all’UAW in forma di dividendi; altri 700 milioni ne sottrarrà nel prossimo triennio per darli ancora all’UAW in forma di quattro contribuzioni annuali di 175 milioni ciascuna.

Marchionne ha anche preteso, non dall’ente mutualistico gestito dall’UAW controparte formale dell’accordo, ma dal sindacato in prima persona, che queste contribuzioni siano legate alla conferma della collaborazione con il management nelle attività produttive della società e in particolare nelle fabbriche. “A fronte di tali contribuzioni – si legge nel comunicato di Chrysler e Fiat – la UAW assumerà alcuni impegni finalizzati a sostenere le attività industriali di Chrysler Group e l’ulteriore implementazione dell’alleanza Fiat-Chrysler, tra cui l’impegno ad adoperarsi e collaborare affinché prosegua l’implementazione dei programmi di World Class Manufacturing di Fiat-Chrysler, a partecipare attivamente alle attività di benchmarking collegate all’implementazione di tali programmi in tutti gli stabilimenti Fiat-Chrysler al fine di garantire valutazioni obiettive delle performance e la corretta applicazione dei principi del WCM e a contribuire al raggiungimento del piano industriale di lungo termine del Gruppo”.

Le modalità di acquisizione della totalità di Chrysler da parte di Fiat conferma la fama di Marchionne come procacciatore d’affari degli Agnelli, ma, come osserva gran parte della stampa qualificata, lascia aperti i problemi imprenditoriali di entrambe le società. La cassa di Chrysler è stata svuotata, nota il Wall Street Journal[4]; Fiat-Chrysler è la casa automobilistica più indebitata d’Europa, rileva il Financial Times[5]. Fitch, d’altra parte, si riserva di rivedere il giudizio di rating nei prossimi mesi, sulla base dei risultati del bilancio 2013 e delle previsioni per il 2014. Ricorda però, a chi si attende la ripresa a breve delle attività in Europa, che il pieno accesso di Fiat alla liquidità di Chrysler richiede un accordo di rifinanziamento delle obbligazioni Chrysler in scadenza nel 2019 e nel 2021, che è improbabile possa realizzarsi prima del 2015 o 2016 perché il costo sarebbe eccessivo[6].

Nuova liquidità, d’altra parte, potrebbe arrivare da una quotazione in borsa successiva alla fusione, e tutti si aspettano che segua lo schema dell’incorporamento di Fiat Industrial da parte di Cnh[7], un’altra operazione di ingegneria finanziaria realizzata da Marchionne, che ha accresciuto il patrimonio degli Agnelli con l’aumento del controllo sulla nuova società.

L’accordo di vendita di Chrysler conclude un breve conflitto tra l’UAW e Marchionne, che si è svolto non in fabbrica ma ai margini della Borsa.

Chrysler non è quotata. Fino al 20 gennaio 2014 per il 58,5 per cento è in mano a Fiat, per il 41,5 a UAW. Poi passa interamente nelle mani di Fiat. La distribuzione della proprietà tra Fiat e UAW è il risultato dell’accordo del 2009, legato al fallimento di Chrysler, in base al quale Fiat avrebbe anche potuto allargare la quota proprietaria acquistando dall’UAW cinque quote semestrali  del 3,3 per cento ciascuna. Le prime tre le aveva già chieste, ma fin dalla prima c’è stato un disaccordo sul prezzo. Fiat intendeva pagarla 139,7 milioni di dollari, l’UAW ne chiedeva 342. Interpretavano diversamente una formula, inserita nell’accordo, che avrebbe dovuto definire il prezzo.

Fiat, convinta di aver ragione, si era rivolta alla magistratura del Delaware, Stato in cui Chrysler ha sede legale. Dopo l’udienza preliminare, la Corte aveva fatto sapere che avrebbe emesso la sentenza nel 2014 o più tardi, un modo per spingere le parti ad un accordo. L’UAW, avendo bisogno di soldi, aveva deciso di vendere in Borsa un’altra parte della sua proprietà, mettendo in mano agli investitori la decisione sul prezzo.

Marchionne, in quanto amministratore delegato di Chrysler, aveva dovuto presentare alla  Securities and Exchange Commission (SEC) la documentazione necessaria per ottenere l’autorizzazione all’offerta pubblica di vendita[8].  Però parteggiava per Fiat, di cui è amministratore delegato. Inizialmente sperava che nello scontro in Borsa, gli investitori non si sarebbero attivati. “Farebbero meglio ad usare altrimenti il loro denaro”, aveva detto ad una riunione a Londra[9]. Poi aveva smentito.

Il documento inviato alla SEC rifletteva però questo suo obiettivo. Era piena di warning, doverosi ma formulati in modo da scoraggiare gli investitori. Nel caso l’offerta avesse avuto corso, Fiat avrebbe potuto fare a meno di Chrysler; avrebbe potuto non fornire più risorse tecnologiche essenziali; avrebbe potuto vendere proprie azioni, modificando l’assetto proprietario e facendo venir meno certe garanzie sui crediti. Una nota aggiuntiva, di alcuni giorni successiva, aveva persino ridimensionato l’immagine societaria. Aveva eliminato il riferimento al successo di nuovi prodotti; ricordato le recenti difficoltà nella realizzazione di qualche modello; sottolineata l’entità dell’indebitamento e lo scoperto di 9 miliardi per il fondo pensioni[10]. John Elkann, presidente di Fiat, aveva rincarato la dose. Se l’offerta andava avanti, l’alleanza era a rischio: “Avere due società è molto diverso che averne una sola”[11].

Per il collocamento in borsa l’UAW si era appoggiata a JP Morgan Chase e a Bank of America Merrill Lynch; alle quali si erano aggiunte anche Barclays, Goldman Sachs, Morgan Stanley. Marchionne aveva arruolato Ron Blom, che nel 2009, come senior advisor di Obama, si era adoperato per portare il sindacato sulle sue posizioni. Cercò di negoziare, facendo però sapere che se l’UAW avesse persistito nelle pretese, avrebbe fatto meglio ad acquistare un biglietto della lotteria. Infine sembrò rassegnarsi ad accettare che fosse la Borsa a decidere il prezzo[12]. Forse Fiat stessa sarebbe stata interessata ad acquistare le azioni[13]. La Borsa offriva un terreno per uscire dall’impasse dello scontro frontale originato da una offerta di prezzo che gli ambienti finanziari avevano considerato ridicolmente basso. A quel prezzo la parte di proprietà del sindacato valeva 1,7 miliardi di dollari, invece dei 4,7 al prezzo richiesto dall’UAW.

Le stime degli analisti erano più vicine all’UAW: da 4.2-4.5 miliardi[14] fino a 5,6 secondo l’UBS[15], e con queste cifre il valore di mercato dell’intera Chrysler sarebbe stato tra 10 e 13,5 miliardi di dollari. Il gruppo di banche mobilitate per dar corpo all’offerta di vendita avevano preso in considerazione una forchetta da 9 a 16 miliardi di dollari, e sembrano essersi focalizzate attorno a 10-11[16]. A questo prezzo, osservava Bloomberg, il valore di Chrysler corrispondeva a sei volte l’utile annuo, mentre il mercato azionario moltiplicava per 8,6 quello di General Motors e per 12 quello di Ford[17].

A fine 2013 la Borsa era affollata di offerte di vendita. Gli investitori interessati al settore dell’auto avrebbero avuto l’alternativa di General Motors, perché Il governo statunitense aveva annunciato la vendita dell’ultima quota di 31,1 milioni di azioni in suo possesso. Con l’uscita del governo la società si sarebbe liberata dai vincoli nella distribuzione di dividendi, una pratica che Ford, per non aver avuto aiuti dal governo, stata utilizzando con larghezza grazie agli utili che realizzava negli Stati Uniti e nonostante le perdite sul mercato europeo[18].

Gli investitori si erano chiesti se avrebbe valsa la pena di sostenere costi per prepararsi all’operazione Chrysler. “Sul mercato c’è un gran numero di offerte e il mio tempo è prezioso”, aveva detto uno. “E’ sempre utile fare un lavoro per conoscere meglio una società, ma non vale farlo senza una ricompensa o senza la possibilità di investire”[19]. La tentazione era però forte perché il valore delle azioni delle altre due Case automobilistiche di Detroit era in continua ascesa. “Ci stiamo lavorando”, aveva detto un altro investitore al Wall Street Journal. I fondamentali nel settore sono positivi e varrebbe la pena di investire, anche se “la situazione è più complicata di un normale debutto in borsa, perché Fiat non lo vuole”[20].

 

[21]

 

A fine novembre 2013 Fiat e Chrysler avevano comunicato che la definizione del prezzo base per l’offerta di acquisto era sospesa. Gli osservatori ne avevano dato in un primo momento interpretazioni diverse. Per alcuni il periodo non era favorevole per misurarsi in Borsa con troppi concorrenti[22]; per altri era conseguenza di un incidente in cui era incorsa Chrysler, che non aveva ottenuto per tempo un documento del Servizio delle Imposte richiesto dalla SEC per dar corso alle procedure di offerta[23]. Venne accertato che la responsabilità era di Chrysler. Una soluzione utile a Marchionne per allentare la presa dell’UAW, tanto da indurla a trattare.

 

[24]

 

L’epilogo è stato annunciato il primo gennaio 2014. Le condizioni del passaggio alla Fiat dell’intera quota di Chrysler detenuta dall’UAW riflette il comune impegno dell’UAW e di Marchionne a sviluppare la società. I numeri indicano che, finora, la sua è una storia di successo.

In fabbrica l’UAW realizza la metamorfosi da organismo di rappresentanza dei lavoratori a cheap labor contractor di servizi all’impresa, adoperandosi per contenere la soggettività operaia.. Nella società diffonde la “cultura della povertà”, barattando posti di lavoro con abbassamento generale delle condizioni materiali di esistenza. Su entrambi i piani, opera come se nella globalizzazione l’unica strada percorribile sia quella di accompagnare le imprese nelle loro avventure competitive.

In Chrysler, la metamorfosi dell’UAW, che riguarda tutte le Case automobilistiche, si è prolungata fino in Borsa. La proprietà che cercò di valorizzare è quella del suo fondo di assistenza ai pensionati. Nel 2007 aveva accettato di buon grado di gestirlo dietro un corrispettivo versatogli dalla Casa automobilistica che lo aveva in carico. Con il fallimento del 2009, una parte di questo corrispettivo era stato tramutato in partecipazione alla proprietà della società, creando una frattura tra pensionati interessati al suo sviluppo, e lavoratori in attività dal cui sfruttamento dipende questo sviluppo.

Marchionne, l’altra entità societaria, è gestore oculato del patrimonio che ha trovato, e si fa trainare dal mercato dando poco peso a carenze e storture che potrebbero pregiudicare il futuro. Decora, abbellisce, infioretta veicoli di un tempo e li ripropone, riuscendo in quattro anni a far rinascere Chrysler. Innova poco perché rifugge dal rischio. Quando è in Fiat sono gli Agnelli a stargli sul collo affinché produca rendite senza rischiare. Quando è in Chrysler, evita di rischiare altrimenti le banche alzano gli interessi. Nella competizione globale non innova ma persegue una strategia del risparmio, abbattendo in primo luogo il costo del lavoro. Ha più volte sottolineato che l’assoggettamento dei lavoratori è elemento cruciale per la capacità di competizione. L’UAW lo rende possibile.

Al di là e al di sopra dei rapporti tra UAW e Marchionne vigila Elkann, non come presidente di Fiat ma come presidente di Exor, la finanziaria che drena parti consistenti dei profitti delle controllate e le incanala in una rendita destinata agli Agnelli. Marchionne è l’assicurazione degli Agnelli.

Nei paragrafi che seguono traccio le posizioni di queste tre figure societarie: UAW, Marchionne, Elkann.

 

UAW

L’UAW possedeva una parte di Chrysler tramite un fondo di assistenza malattia per i lavoratori in pensione, la cui origine risale al 2007, finanziato da General Motors, Ford e Chrysler, interessati a sgravarsi di questo onere di bilancio. Il nome del fondo è UAW Retiree Medical Benefits Trust, e il termine Veba (Voluntary Employee Beneficiary Association), abitualmente utilizzato dalla pubblicistica, definisce la categoria giuridica delle associazioni mutualistiche in cui il Trust ricade. A fine 2012 dispone di 58,8 miliardi di dollari, gestiti in conti separati per ciascuna delle Case automobilistiche, e partecipa ad una coalizione di investitori che gestisce 300 miliardi di dollari.

Il fondo di Chrysler dà assistenza ad oltre 60 mila pensionati. Ammonta a 10,3 miliardi di dollari, compresa la quota proprietaria del 41,5 per cento, che nel bilancio 2012 è contabilizzata per un valore di 4,2 miliardi[25]. Secondo gli accordi del 2007 l’UAW avrebbe dovuto avere da Chrysler 8,8 miliardi di dollari; nel fallimento del 2009 gliene vennero assegnati 4,6 da incassare a rate tra il 2010 e il 2023, e, a fronte della somma restante, gli venne attribuita la quota proprietaria e un rappresentante nel consiglio di amministrazione. Il posto, privo di diritto di voto ma con diritto di veto per decisioni contrarie ai suoi interessi, fu inizialmente ricoperto da James Blanchard, ex governatore dello Stato del Michigan; ora da Erikson Perkins, esperto analista finanziario, che dal 2010 dirige il dipartimento Strategic Research dell’UAW[26].

La posizione del sindacato è di piena condivisione degli obiettivi dell’azienda. “Nel quadro della competizione globale l’unica strada per la sicurezza dell’occupazione è quella di realizzare i migliori prodotti e servizi al miglior valore per i consumatori. Per promuovere il successo dei nostri datori di lavoro, l’UAW sostiene l’innovazione, la flessibilità, la produzione snella, la migliore qualità a livello mondiale, e il continuo miglioramento dei costi. Mediante il lavoro di squadra e la soluzione creativa dei problemi, stiamo costruendo con i datori di lavoro relazioni basate su principi di rispetto e di condivisione degli obiettivi in una missione comune. Abbiamo imboccato un percorso che non presume più un contesto lavorativo conflittuale, caratterizzato da rigide regole di lavoro, e vincolato a mansionari e a complicate norme contrattuali”[27].

La stretta collaborazione del sindacato con Marchionne si è sviluppata in due fasi, quella della definizione del contratto a livello d’impresa e quella della sua gestione a livello delle unità produttive. Mette in pratica quel passaggio dalla “cultura dei diritti” alla “cultura della povertà”, che Marchionne aveva auspicato nel primo incontro con il presidente dell’UAW[28], e in fabbrica realizza con il management la complicità necessaria per contrastare le resistenze operaie.

Il contratto del 2009 ha fatto divieto ai lavoratori di usare l’arma dello sciopero fino al 2015. E’ una garanzia per Marchionne e per lo stesso sindacato, così in grado di sottrarsi alle crescenti pressioni degli iscritti. Nel 2009, l’82 per cento degli operai e l’80 per cento degli specializzati aveva approvato la proposta di contratto, sotto la minaccia di licenziamenti. Nel 2011 la percentuale di favorevoli si è ridotta al 54 per cento degli operai, e al 44 per cento degli specializzati. L’UAW aveva creato un black out sul flusso di notizie dalle fabbriche che votavano contro, e il Detroit News aveva osservato: “La decisione di non comunicare i risultati sulla pagina UAW-Chrysler di Facebook, a differenza di ciò che era stato fatto per Ford e GM, ha ingenerato sospetti nei confronti dei dirigenti. La ratifica da parte di una maggioranza risicata, alimenta la diffidenza degli scontenti”[29].

Il contratto ha comportato il ridimensionamento delle retribuzioni dei lavoratori congelando i salari, eliminando gran parte delle indennità integrative, riducendo la remunerazione degli straordinari, dimezzando lo stipendio dei nuovi assunti.  “È un duro colpo alle condizioni di vita. Non c’è più possibilità di risparmiare, per la pensione, per l’istruzione dei figli, per qualche vacanza. Dimenticala. Le famiglie devono cercare di guadagnare altri soldi in qualsiasi modo, facendo straordinari o trovandosi un secondo lavoro”[30].

Marchionne avrebbe voluto livellare vecchi e nuovi dipendenti, abbassando i salari dei primi e alzando quello dei secondi[31]; e legare tutti ai risultati. “Fanno soldi quando noi li facciamo”, aveva detto nel gennaio 2012 all’Auto Show di Detroit. “Se Chrysler va bene ne traggono benefici; quando non va bene ne sopportano le dolorose conseguenze”[32]. Su questa strada l’UAW non lo ha seguito.

Tra il 2009 e il 2013, gli operai sono aumentati da 34 a 50 mila; il 25 per cento sono nuovi assunti a mezzo stipendio. I tecnici sono passati da 12 a 20 mila, tra i quali solo un migliaio sono gli specializzati addetti alle linee, perché le loro funzioni sono state accorpate; gli altri svolgono attività di supporto alla produzione, alle vendite, al marketing.

Nella gestione del contratto, sono state implementate clausole contrattuali secondarie di cui al momento del voto i lavoratori non erano a conoscenza. Intensificano il lavoro e aumentano i volumi produttivi attraverso il prolungamento della giornata lavorativa. Nel 2012 le fabbriche hanno operato in media al 106 per cento della capacità. Dove è stato necessario aumentare la produzione, gli orari di lavoro sono stati portati a 10 ore su 6 giorni lavorativi: 60 ore in totale di cui 20 di straordinari, a cui spesso si sono aggiunti i festivi.

Nella Dundee Engine Plant le domeniche lavorative sono state 7 nel 2011 e 32 nel 2012[33]. Qui gli operai si sono ribellati all’UAW. Nell’agosto 2012 il 73 per cento ha bocciato il contratto integrativo, necessario perché la fabbrica era stata rilevata da Chrysler dopo il 2009. “Non so che cosa sia successo” aveva detto il responsabile sindacale locale. “Credevo fosse un buon contratto win-win”[34]. Marchionne si era rifiutato di rinegoziarlo. Gli operai, dopo aver disertato per due mesi le riunioni indette dal sindacato, al culmine di una campagna di intimidazioni e di ricatti hanno finito per approvarlo con una maggioranza del 65 per cento.

Per evitare il costo degli straordinari Chrysler ha introdotto a metà del 2011 il sistema di turnazioni 3-2-120, contrattualmente previsto in caso di particolari esigenze produttive. L’eliminazione degli straordinari è stata realizzata portando le giornate lavorative a 10 ore più mezz’ora di pausa non retribuita, in successione su quattro giorni. Nell’arco della giornata due turni su orari complementari, l’uno di giorno l’altro di notte, assicurano l’efficienza continua degli impianti dal lunedì al sabato. Tre gruppi di lavoratori su due turni quotidiani realizzano 120 ore settimanali, senza lavoro straordinario. Un gruppo lavora di giorno da lunedì a giovedì, un altro di notte da mercoledì a sabato, il terzo di giorno venerdì e sabato e di notte lunedì e martedì della settimana successiva. L’orario di lavoro diurno va dalle 6 alle 16.30, quello notturno dalle 18 alle 4.30 del giorno dopo[35]. Alla domenica il lavoro è obbligatorio, ma retribuito come straordinario: una domenica al mese alla North Jefferson Plant; a domeniche alternate alla Warren Truck Assembly Plant[36].

Questo sistema è in vigore dal 2012 nelle fabbriche statunitensi e riguardano 20 mila operai[37]. Alzano lo sfruttamento in fabbrica al limite della sostenibilità fisica, e scardinano le relazioni sociali fuori dalla fabbrica.

Per contratto la sua adozione richiede il consenso specifico del sindacato. General Holiefield, vicepresidente dell’UAW e responsabile per il settore Chrysler, lo ha dato fabbrica dopo fabbrica. Ad un giornalista del Detroit Free Press ha detto: “In quasi tutte queste fabbriche i lavoratori hanno protestato, ma poi si sono aggiustati”[38].

Per il sindacato è una buona cosa perché incrementa l’occupazione: il monte ore di straordinari è coperto da nuovi assunti. Per la Chrysler è una manna: il lavoro straordinario costa una volta e mezzo quello normale, quello del nuovo assunto la metà.

Le condizioni di lavoro e di vita degli operai peggiorano, l’occupazione aumenta. Da questa equazione il sindacato trae benefici diretti, perché ogni nuovo assunto è un nuovo tesserato. L’iscrizione al sindacato è obbligatoria. Il lavoratore deve contribuirvi con due ore di salario al mese, trattenute sulla busta paga. Viene licenziato dalla Chrysler se non si iscrive entro un mese dall’assunzione, così prevede il contratto.

L’UAW per legge ha potere di rappresentanza esclusiva dei lavoratori, anche di coloro che dissentono dalla sua linea. Però alla fine del 2012 nello Stato del Michigan è stato adottato il principio del Right to Work, e dal 2015, scaduto il contratto, l’UAW non potrà più reclamare dall’impresa la trattenuta delle quote e il licenziamento di quanti non le verseranno. “Se l’Unione vuole realmente le tue quote, possono venire di persona a prenderle. Devono guardarti in faccia”[39].

Nel 2015 non ci sarà Bob King alla guida dell’UAW, perché, raggiunti i 65 anni, deve ritirarsi. La convenzione del 2014 nominerà presidente Dennis Williams, attuale amministratore, scelto secondo una “arcana procedura” da un gruppo di esponenti sindacali in una riunione informale[40]. Dovrà negoziare con le tre Case automobilistiche, un’esperienza che non ha mai fatto. D’altra parte, questa volta i lavoratori potranno riutilizzare lo strumento dello sciopero, per pronunciarsi sul contratto. Anche il responsabile del dipartimento UAW di Chrysler sarà diverso. Norwood Jewell prenderà il posto di General Holiefield, il vicepresidente di UAW travolto dalle critiche dei lavoratori e da scandali familiari[41]. Jewell, in sintonia con la retorica di Bob King, ha assicurato che l’UAW intende adoperarsi per eliminare il sistema del lavoro a paga dimezzata, ma che lo potrà fare solo dopo aver organizzato i lavoratori dell’auto delle case automobilistiche straniere[42].

 

MARCHIONNE

Marchionne è stato salutato come il salvatore di Chrysler. Aveva negoziato con Obama, e realizzato il baratto del 20 per cento della proprietà di Chrysler contro il know-how tecnologico di Fiat. Poi, realizzati tre obiettivi produttivi e di mercato, rimborsate le anticipazioni ricevute dai governi degli Stati Uniti e del Canada, e riscattate le quote proprietarie dei due governi, Fiat ha raggiunto il 58,5 per cento della proprietà.

Per rimborsare i governi e sviluppare l’azienda Marchionne si era rivolto al mercato finanziario. Ora galleggia in un mare di debiti, che gli garantiscono però uno spazio di azione tutto suo, al di fuori del controllo diretto degli Agnelli.

 

 

Fonte SEC

 

I risultati finanziari di Chrysler sono caratterizzati da una crescita continua delle entrate, da un incremento dell’utile lordo più che proporzionale alle entrate e un profitto netto che appare per la prima volta a fine 2011 per 183 milioni di dollari, e cresce a 1,7 miliardi l’anno successivo. Nel 2011 Chrysler ha rimborsato 551 milioni ai governi statunitense e canadese, avuti in prestito per avviare le attività. Fiat, il 24 maggio di quell’anno, ha acquistato da quei governi le quote che detenevano conquistando il controllo di Chrysler.

Tra il 2010 e il 2011 il rapporto tra entrate e veicoli venduti aveva fatto un balzo sensibile dimostrando l’efficacia della strategia di far soldi subito mettendo a frutto le risorse in quel momento disponibili; poi si è attenuato.

 

 

Fonte SEC

 

Per la crescita Marchionne ha puntato sul rilancio di modelli rinnovati nel design o in qualche elemento strutturale; solo nel 2012 è stato lanciato un veicolo veramente nuovo. A metà 2013 sul mercato ci sono 25 modelli. Secondo la definizione data da Chrysler, sono “nuovi” se utilizzano un pianale “significantly different” da quello del modello precedente e/o hanno l’esterno completamente rinnovato; sono invece “significantly refreshed” se presentano consistenti cambiamenti o miglioramenti[43]. Le definizioni sono tanto elastiche da giustificare l’osservazione che in gran parte si tratta di “nuovi veicoli usati’” [44]. Solo nel 2012 sono stati immessi sul mercato veicoli nuovi, come Dodge Dart (2012) e Jeep Cherokee (2013), basati sul pianale CUSW (Compact US Wide) sviluppato a partire da quello della Giulietta; e 500L sul nuovo pianale Small Wide. Entrambi i pianali sono frutto della collaborazione con Fiat.

La diversificazione dell’offerta riguarda le componenti visibili del veicolo. Le altre, in particolare pianali, motopropulsori e trasmissioni, sono condivise da una molteplicità di modelli. La condivisione semplifica la progettazione, abbatte i costi, e riduce i tempi tra la realizzazione e il lancio sul mercato. In questa prospettiva si sta riducendo il numero di pianali da 11 a 9, tre dei quali condivisi con Fiat. Con qualche eccezione, è prevista l’utilizzazione del pianale CUSW per tutti i modelli dei segmenti C e D (compact e mid-size) e il pianale Small Wide per quelli del semento B (small), mentre per la produzione di veicoli come pick-up e truck ne saranno utilizzati altri[45]. Lo stesso principio di condivisione riguarda i motori e le trasmissioni. I motori a 4 cilindri, più piccoli e più efficienti, sono montati sul 26 per cento dei veicoli, ma per quelli del segmento E vengono realizzati motori più potenti, e trasmissioni a 8 e 9 marce, soluzioni non solo potenziate ma che consentono la riduzione dei consumi e delle emissioni[46].

Chrysler e Fiat hanno integrato le funzioni di acquisto, avendo in comune il 55 per cento dei fornitori, per un ammontare complessivo di 96 miliardi di dollari, che riguardano un centinaio di componenti con un risparmio stimato di 500 milioni nel 2012[47].

 

Fonte OICA

 

Con queste prospettive di condivisioni e di risparmi nei costi, nei primi due anni tutte le fabbriche negli Stati Uniti sono state rimesse a nuovo. Qui si è andata concentrando l’attività produttiva, mentre in Canada e Messico il rinnovamento ha contribuito in misura più limitata all’aumento della produzione.

Le linee di montaggio sono state ristrutturate, introducendo il World Class Manufacturing, una versione soft rispetto a quella italiana[48], tanto che gli operai interpretano l’acronimo WCM come “Waste of Chrysler’s Money”. Nonostante questa innovazione finalizzata a migliorare la sicurezza dei lavoratori oltre che la qualità dei prodotti, Chrysler ha subito una denuncia della Environmental Protection Agency per emissioni estremamente dannose nel reparto verniciatura della Jefferson North Assembly Plant[49].

Marchionne ha fatto del WCM uno strumento di coinvolgimento dei dipendenti e un emblema distintivo di Chrysler sul mercato, ma solo tre fabbriche nel 2013 hanno raggiunto il Bronze Award Status, livello minimo nella valutazione internazionale. Il miglioramento della qualità del prodotto, misurata come numero di veicoli privi di difetti alla fine del processo produttivo, per il 21 per cento è attribuito al WCM; ma non vengono forniti dati sull’entità complessiva di questo miglioramento[50]. I difetti, d’altra parte, non mancano di manifestarsi e si concretizzano in persistenti richiami di migliaia di veicoli imposti dalla National Highway Traffic Safety Administration.

 

 

Fonte SEC

 

Chrysler ha venduto 1,5 milioni di veicoli nel 2010, 1,9 nel 2011, 2,2 nel 2002. Il primo elemento di debolezza in questa crescita è costituito dalla forte concentrazione delle vendite nel Nord America. Stati Uniti, Canada, Messico ne assorbono il 90 per cento, e gli Stati Uniti diventano sempre più importanti, dal 76 all’83 per cento tra il 2009 e il 2012, con 1,1 milioni di vetture nel 2010, 1,4 nel 2011 e 1,6 nel 2012. La quota di Chrysler sul mercato statunitense cresce anno dopo anno: 9,4 per cento nel 2010, 10,7 nel 2011, 11,4 nel 2012. La crescita è avvenuta in un contesto in cui tutte le Case automobilistiche statunitensi hanno occupato gli spazi della Toyota e della Honda, ambedue in calo tra il 2010 e il 2011:  General Motors è aumentata da 18,8 a 19,6 per cento, Ford da 16,4 a 16,8, mentre Toyota è calata da 15,0 a 12,9 e Honda da 10,5 a 8. Quando nel 2012 Toyota e Honda hanno ripreso quota passando a 14,4 e 9,6 per cento, General Motors e Ford sono calate rispettivamente al 17,9 e al 15,5, mentre Chrysler ha continuato la sua espansione.

 

Fonte CARSITALY

 

Il secondo elemento di debolezza è dato dalla forte e crescente concentrazione delle vendite su pick-up e truck, e, tra le auto, su jeep e suv. L’aumento del costo della benzina, normative più stringenti sul risparmio energetico, il calo dello yen che favorisce le Case giapponesi, potrebbero riflettersi negativamente. D’altra parte sono proprio questi grossi veicoli che danno utili unitari più alti, e perciò sono oggetto di speciali attenzioni promozionali.

 

Fonte SEC

 

Sull’offerta di Chrysler il giudizio degli osservatori è severo. “Sul mercato statunitense dell’auto è in corso un recupero storicamente significativo di vendite, ma negli showrooms di Chrysler ci sono troppe versioni riciclate di vecchi veicoli mentre le imprese competitrici riempiono i canali distributivi con modelli del tutto nuovi. Dov’è la marea di nuove auto e crossover a basso consumo che aveva reso così promettente l’alleanza di Chrysler con Fiat?”[51]. “Dal momento che Chrysler ha poco da offrire per quanto riguarda le piccole auto, è necessario che Fiat metta a disposizione piattaforme come quelle della Giulietta Alfa Romeo e la sua eccellente tecnologia di motori a basso consumo per poter far fronte agli standard americani sempre più stringenti”[52].

Sul breve periodo questa offerta è comunque remunerativa ed è meno rischioso accompagnare e stimolare la domanda piuttosto che tentare di riorientarla. Chrysler ha riorganizzato la rete di distributori, riducendone il numero per assicurare più alti volumi di vendita e un maggiore loro coinvolgimento, assicurando sostegni finanziari con un nuovo sistema di credito realizzato insieme al Banco Santander[53]. Li ha anche invogliati ad offrire sconti più alti dei concorrenti[54]. Ha investito in misura crescente in campagne di marketing, con il felice esordio dell’esibizione di Eminem per il lancio di Chrysler 200 “imported from Detroit[55]. Ha negoziato con enti pubblici e privati le vendite in blocco: nel 2010 il 36 per cento del totale, quasi il doppio della media delle altre Case; nel 2011 il 28 per cento; nel 2012 il 26[56].

Nonostante i successi di vendita i modelli di Chrysler presentano diversi punti deboli[57].

 

In termini generali la spesa in ricerca e sviluppo è bassa[58]

In termini di rispetto dell’ambiente e di risparmio energetico, in molti segmenti del mercato statunitense stanno peggio dei concorrenti[59]. Secondo il rapporto della Environmental Protection Agency del 2013 il peso delle emissioni di CO2 per miglio è di 431 per l’insieme dei veicoli del gruppo Chrysler contro una media di 374; il consumo in termini di miglia per gallone è di 20,6 contro 23,8[60]. Marchionne non punta sulle auto elettriche, che vende in California per ragioni di immagine, lamentando una perdita di 10 mila dollari per vettura[61]; punta invece sul gas come fonte alternativa.

In termini di affidabilità, i risultati sono nel complesso modesti. Nei Consumer Reports dell’agosto 2011 quattro modelli Chrysler su otto testati risultavano “del tutto mediocri nonostante alcuni miglioramenti”, collocandosi verso il fondo delle rispettive categorie, “troppo in basso per essere raccomandati”. Nei Consumer Reports del 2012 Chrysler non ne esce meglio. “Sebbene abbia prestato più attenzione verso la qualità nei recenti lanci di nuovi veicoli, tre dei suoi quattro marchi stanno prossimi al fondo della classifica”[62]. Nei Consumer Reports del 2013 tra i marchi delle Case automobilistiche Chrysler è al 18mo posto, Ram al 19mo, Jeep al 23mo e Dodge al 24mo[63].

In termini di sicurezza, la National Highway Traffic Safety Administration, ha costretto la società a richiamare migliaia di veicoli per sottoporli a riparazioni. Tra i modelli del 2010 gli ordini di richiamo quantitativamente più rilevanti sono stati[64]: per il marchio Chrysler 195.798 vetture Town and Country, 43.282 Sebring, 49.991 300; per il marchio Dodge 219.035 Journey, Gran Caravan e Challenger e 44.332 Dakota; per il marchio Jeep 397.288 Wrangler e 60.845 Grand Cherokee, Commander e Liberty. Tra i modelli del 2011, 119.072 Chrysler 300; 242.780 Ram 2500 e 3500 in parte dell’anno precedente; 128.209 Dodge Charger, 60.382 Ram 1500; per il marchio Jeep 34.859 Wrangler. Tra i modelli del 2012, 119.072 Chrysler 300; 128.209 Dodge Charger. Per altri modelli gli ordini di richiamo sono quantitativamente inferiori.

Questa situazione veniva spiegata col fatto che Chrysler aveva rimesso in sesto tanti veicoli in poco tempo. “Ha ridisegnato o aggiornato in modo sostanziale 18 vetture nei 18 mesi successivi alla bancarotta con cambiamenti che hanno incluso nuovi motori e nuova tecnologia (…). Quando ne fai tanti in poco tempo, è difficile che mantieni la tua affidabilità”[65].

Tuttavia non c’è stato poi un miglioramento. Nel 2013 gli ordini di richiamo hanno riguardato in febbraio 278 mila veicoli, in aprile 169 mila; in maggio 469 mila; in giugno 630 mila; in luglio 282 mila; in ottobre 105 mila; in novembre 1,2 milioni. In quest’ultimo caso si tratta in gran parte di modelli antecedenti il 2009, che si sono aggiunti a 1,6 milioni di vecchi modelli che nei mesi precedenti la Chrysler in un primo momento si era rifiutata di richiamare[66]. Sono state richiamate persino 270 delle pochissime 500 elettriche da poco sul mercato[67]. Tutti questi richiami “hanno sollevato dubbi sull’efficacia degli sforzi complessivi fatti da Sergio Marchionne per cambiare la percezione che avevano i consumatori della qualità di Chrysler”[68].

I difetti riscontrati sono molteplici. Riguardano il sistema elettrico o quello idraulico o di raffreddamento, lo sterzo, i freni, le ruote, le sospensioni, le gomme, il motore, la trasmissione, le cinture di sicurezza, i fari, gli air bags. Nel caso delle quasi 400 mila Jeep Wrangler, richiamate in tempi diversi, il difetto più ricorrente, quasi 300 mila vetture, riguarda i freni. Nel caso delle quasi 250 mila Ram 2500 e 3500, lo sterzo. Nel caso delle quasi 200 mila Town and Country, il sistema elettrico. Nel caso del milione 200 mila Ram l’allineamento dei tiranti dello sterzo.

Qualche volta Chrysler si è giustificata con spiegazioni stupefacenti: “il difetto è stato causato da alcuni tecnici che hanno interpretato male le istruzioni”[69]; “i moduli sono stati inavvertitamente programmati con un software che può compromettere l’efficienza dell’airbag”[70]; “il problema è dovuto ad un lotto di componenti elettrici saldati male”[71]; “gli ingegneri hanno scoperto che due passi dell’assemblaggio non sono stati eseguiti bene[72]. Sono ammissioni che chiamano implicitamente in causa l’organizzazione del lavoro, oltre che l’efficienza del sistema WCM e la sua retorica: “La voce del cliente può essere udita nello stabilimento”[73].

In termini di efficienza l’infortunio più clamoroso è il ritardo del lancio della nuova Jeep Cherokee per le difficoltà di far funzionare il sistema di trasmissione a 9 marce.  E’ avvenuto un anno dopo la cessazione della produzione della Jeep Liberty che doveva sostituire, così che, smaltite le giacenze, c’è stato un vuoto di mercato che si è ripercosso sui risultati finanziari del terzo trimestre 2013. Marchionne ha parlato di un errore che mai più si ripeterà, facendo pensare a cambiamenti nei piani per altri veicoli[74].

Ma non è il solo infortunio. Il lancio della Dodge Dart è avvenuto in un mix di modelli sbagliati; quello della 500 non ha trovato pronti i concessionari; quello dell’Alfa Romeo è stato spesso annunciato e poi rinviato. “Una immagine dilettantesca”, ha scritto l’Huffington Post, avanzando l’ipotesi che lo staff di Marchionne sia inadeguato[75]. Non è un rilievo da poco, tenuto conto che nel grande mare di lanci di veicoli “nuovi usati”, gli infortuni riguardano i pochi veicoli realmente nuovi, Dodge Dart, Jeep Cherokee e Fiat 500.

 

 

ELKANN

John Elkann presiede Fiat Auto, presiede Exor che la controlla, presiede l’Accomandita Giovanni Agnelli & C. che controlla Exor da cui riceve i soldi che ogni anno distribuisce agli Agnelli, e, infine, possiede Dicembre che controlla l’Accomandita[76]. Tra lui e Marchionne c’è il ferreo patto di far crescere il patrimonio degli Agnelli, senza metterlo mai a rischio.

Marchionne è l’assicurazione di Elkann. Al suo esordio in Fiat aveva avuto il compito di mettere fine alle iniziative di Umberto Agnelli che, credendo nella possibilità di risanare l’azienda, aveva ipotecato le ricchezze della Famiglia. Come amministratore delegato riuscì a rivitalizzarla. Utilizzò un’entrata straordinaria avuta da General Motors, senza spendere più di quello che era consentito dai flussi di cassa e dai prestiti non ipotecari delle banche. Quando le vendite si sono rarefatte ha smesso di investire lasciandola andare alla deriva, e si è dato invece ad operazioni finanziarie per garantire agli Agnelli il flusso di rendite. Ha separato Fiat Industrial da Fiat Auto, facendo della prima una good company erogatrice di dividendi, e dell’altra la bad company il cui destino è legato a Chrysler[77].

Elkann dice che Exor ha “l’ambizione di costruire una società di investimenti davvero globale”. Il rating che le assegna Standard & Poor’s è A-2 sul breve periodo ma solo BBB+ sul lungo periodo, evidenziando l’evidente contraddizione tra un futuro incerto, e una solidità presente che si esprime in copiosi dividendi, destinati per più della metà all’Accomandita. In Borsa è sottovalutata perché si muove con estrema cautela senza utilizzare la sua liquidità[78]. Alcuni osservatori pensano che potrebbe servire a sostenere i costi della fusione, e la recente vendita della partecipazione in SGS, la società svizzera da cui proviene Marchionne, è sembrata funzionale all’accantonamento di soldi per questa operazione. Ma Elkann, a proposito della fusione, si è limitato a far sapere all’assemblea degli azionisti: “E’ molto prematuro dire oggi come avverrà e di cosa c’è bisogno. Ciò che è sicuro è che da parte di Exor c’è l’assoluta convinzione che bisogna andare avanti e che Fiat e Chrysler devono avere un futuro insieme”[79].

Andare avanti non significa esporsi finanziariamente. Fiat, da parte sua, non sembra poterlo fare. L’indebitamento è già notevole, e Fitch, l’agenzia di rating che attualmente assegna alla Fiat un livello BB-, junk, spazzatura, fa sapere che indebitarsi ancora avrebbe un impatto negativo sul rating[80]. Marchionne ha avanzato l’ipotesi di vendere la Magneti Marelli oppure la Ferrari[81].

Ma, a chi serve la fusione?

Marchionne aveva sognato una casa automobilistica con sei milioni di veicoli venduti. Entrando in Chrysler aveva creduto di essere diventato “una global octopus[82], una piovra in grado di andare dove sarebbe stato più conveniente nutrirsi. Ha rimesso in piedi Chrysler, ma ha lasciato precipitare Fiat nella crisi. Partendo dai 4,5 milioni di veicoli attuali, la global octopus resta una prospettiva lontana; tanto più che l’espansione in Cina incontra difficoltà, perché, data la limitatezza degli investimenti, è condizionata dai non facili rapporti con gli investitori locali[83].

 

Fonte OICA

 

La fusione non serve a Chrysler. Secondo il Wall Street Journal, l’ingresso di Fiat era parte di un green car dreams di Obama, ed è stato dimostrato che le sue tecnologie non servono perché gli americani non vogliono le piccole auto. Chrysler avrebbe però potuto affrancarsi da Fiat solo se le azioni dell’UAW fossero passate a qualche importante azionista deciso a frapporre ostacoli alla fusione[84].

La fusione serve a Fiat. Su questo analisti e osservatori sono concordi.

“Curiosamente, tutti ci siamo focalizzati prima sul mito dei 6 milioni di pezzi, poi sul valore di Chrysler, ma la vera domanda che ha via via assunto una valenza strategica è: “Quanto vale Fiat Auto senza Chrysler”[85]. Sul valore di Fiat l’Economist aveva già dato una risposta ironica ma efficace. “E’ una casa automobilistica brasiliana con alcune fabbriche in Europa”[86]. Sta in piedi solo se sorretta da Chrysler, come dimostrano i risultati finanziari tratti dal bilancio consolidato Fiat. Si risolleverà solo se accederà alle risorse finanziarie e tecnologiche di Chrysler.

 

[87]

 

Marchionne con il ricatto degli investimenti del progetto Fabbrica Italia è riuscito ad assoggettare i lavoratori di Fiat alle sue condizioni di sfruttamento. Usando il WCM come grimaldello per introdurre l’Ergo Uas ha realizzato livelli di intensificazione del lavoro maggiori di quelli delle fabbriche statunitensi[88]. Ma si è fermato non potendo investire, e ora attinge ai fondi della cassa integrazione per mantenere aperte le fabbriche[89], dal momento che una loro chiusura è troppo costosa[90].

Il suo nuovo progetto prevede che Fiat, dopo aver salvato Chrysler dal fallimento, sia da essa salvata. Per realizzarlo ha bisogno di attingere ai suoi fondi, oltre che alle sue tecnologie.

Lo ha spiegato nell’ottobre 2012. “Oggi è grazie a Chrysler che possiamo far leva su Alfa e Maserati e andare a dare fastidio ai concorrenti dei brand premium. Se non avessi avuto le architetture e le piattaforme della Chrysler, i motori base, e i 2.300 concessionari americani mi sarebbe impossibile. Mirafiori e Grugliasco saranno la nostra arma per sfondare anche negli USA. E di nuovo c’entra Chrysler: il suv della Maserati, che chiameremo Levante, lo possiamo fare perché abbiamo la piattaforma della Grand Cherokee”. Sarà cancellata la Lancia, tranne la Ypsilon. Sparirà il marchio Fiat. “Chi la compra, vuole guidare la 500, non la Fiat”, e la 500 sarà il nuovo marchio “allargato a un’intera famiglia”. Resta la Panda: sarà Fiat? “Non in America. Ma là il prossimo Freemont sarà di fatto un Pandone[91].

Il rilancio di Fiat avverrà esportando sul mercato americano, e guardando ai consumatori europei più abbienti. “Costerà non poco, si obietta, cercare di convincerli a disertare i produttori tedeschi. Peugeot ha già speso molto per farlo, e con pochi risultati“[92]. Marchionne però confida in Chrysler, “un modo rapido ed economico di alimentare il mercato, risparmiando a Fiat l’onere di sviluppare in proprio i modelli”[93]. Dovrebbe essere Chrysler la fonte ultima della ripresa del lavoro nelle fabbriche italiane.

Marchionne aspettando di fare il passo decisivo in favore  di Fiat, nel giugno 2013 aveva rinegoziato i debiti del 2009 e del 2011 riducendo i vincoli all’utilizzazione del patrimonio di Chrysler. Rispettando certi parametri di cassa, a Chrysler è stato consentito di distribuire dividendi fino al 50 per cento dell’utile netto, e, una tantum, 500 milioni[94]. Con una previsione, a metà 2013, di 2,2 miliardi di dollari per il 2013, i dividendi sarebbero ammontati a 1,6 miliardi, di cui uno per Fiat e il resto per l’UAW. A fine anno sono diventati 1,9, finiti tutti nelle casse del Trust UAW, compresa la parte di dividendi spettante a Fiat, poco più di 1,1 miliardi. La rinegoziazione non ha però modificato le limitazione dell’accesso di Fiat alla liquidità di Chrysler, che sarà possibile affrontare a costi sostenibili solo nel 2015 o 2016.

Il futuro immediato di Fiat e di Chrysler continuerà ad essere segnato dalla strategia di Marchionne di contare sui flussi di cassa e sull’indebitamento non ipotecario, facendosi guidare dal mercato per non rischiare. E’ una strategia che rende molto difficile conquistare nuovi mercati. Anzi, gli analisti – Kepler[95] e Citigroup[96]–  avvertono che la situazione potrà deteriorarsi perché Fiat sta aumentando in Brasile la capacità produttiva proprio ora che il mercato rallenta, e in Europa non migliora la sua competitività; Chrysler invece dipende dal mercato statunitense che è arrivato quasi al livello pre-crisi di saturazione e potrebbe subire le conseguenze dell’indebolimento dello yen soprattutto perché le sue vendite sono concentrate su pick-up e truck.

La prossima mossa di Marchionne sarà però la fusione, e la quotazione del nuovo soggetto dovrebbe aprire nuove prospettive finanziarie.

 


[1] giordano.sivini@unical.it

[2] Cfr. Sivini G., Marchionne e gli Agnelli compagni di rendite, Stampa Alternativa, 2013.

[3] SEC (Securities and Exchange Commission), Amendment No. 1 to Form S-1 Regisration Statement, Chrysler Group LLC, 28 ottobre 201, p. 19.

[4] Emaden C., Chrysler Brings Extra Debt Dowry to Fiat. Wall Street Journal, 2 gennaio 2014.

[5] Sanderson R., Marchionne clears big bump on Fiuat-Chrysler’s, Financial Times, 2 gennaio 2014.

[6] Fitch: No Immediate Impact on Fiat’s Rating from Chrysler Transaction; Ring-fencing Remain An Issue, Fitch, 2 gennaio 2014.

[7] Ora si guarda alla fusione sul modello Industrial-Cnh, Sole 24 Ore, 2 gennaio 2014.

[8] SEC.

[9] Chrysler’s CEO Suggests Investors Avoid the Chrysler IPO, Wall Street Journal, 9 ottobre 2013.

[10] Chrysler amended IPO paperwork acknowledges problems, Detroit News, 30 ottobre 2013.

[11] Fiat Chairman: Chrysler IPO puts alliance at risk, Automotive News, 26 settembre 2013.

[12] Soyoung K., Oran O., Chrysler adds four underwriters as it eyes December IPO, Reuters. 20 novembre 2013.

[13] Ebhardt T., Marchionne Prepares Final Hand in Chrysler Merger Game, Bloomberg Businessweek, 18 settembre 2013.

[14] Gara T., The Chrysler IPO: a Game of Chicken Goes Public, Wall Street Journal, 23 settembre 2013.

[15] Ebhardt T., Fiat’s Marchionne Says Not Closer to Chrysler Deal Amid Talks, Bloomberg Businessweek, 3 ottobre 2013.

[16] Picker L., Clothier M., Ebhardt T., Chrysler Banks Said to Mull IPO Valuation of About $ 10 Billion, Bloomberg Businessweek, 21 novembre 2013.

[17] Ivi.

[18] Lienert P., U.S. Plans to exit GM stake by year-end, may lose $10 billion, Reuters, 21 novembre 2013.

[19] Picker L., Clothier M., Ebhardt T., cit.

[20] Jarzemsky M., Chrysler IPO May Have Complications, But Some Investors Think It’s Worth a Look, Wall Street Journal, 24 settembre 2013.

[21] Madison G., The Chrysler IPO IS a WIn-Win for Investors, Money Morning, 24 settembre 2013.

[22] Schaefer S., Fiat Punts Chrysler IPO To 2014, Forbes, 25 novembre 2013.

[23] Ebhardt T., Clothier M, Welch D., Tax issue holds up Chrysler IPO, Detroit Free Press, 26 novembre 2013.

[24] Hoffman B.G., Chrysler 3Q profit rises 22% on truck, SUV demand, Detroit News, 30 ottobre 2013.

[25] Clothier M., Cherysler’s UAW Healt Care Trust Assets Rise 18% Amid IPO Push, Bloomberg Businessweek, 14 ottobre 2013.

[26] Trudell C., Naughton K., Marchionne Duels UAW’s Chrysler Director Over $6 Billion, Bloomberg, 13 agosto 2013.

[27] UAW Principles for Fair Union Elections, www.UAW.org, 2010.

[28] Rattner S., Overhaul. Boston-New York, Harcourt, 2010,  p. 78.

[29] Rogers C., Priddle A., Chrysler pact OK’d despite resistance, Detroit News, 27 ottobre 2011.

[30] Vlasich B., Working for Less; Two-Tier Pay Now the Way Detroit Works, New York Times, 13 settembre 2011.

[31] Hoffman B.G., Chrysler Proposed $22 An Hour, Detroit News, 4 novembre 2011.

[32] Bennet J., Chrysler Chief Advocates for Flexible Pay, Wall Street Journal, 9 gennaio 2012.

[33] SEC.

[34] Cawthon B., GEMA workers reject agreement, allpar.com, 16 agosto 2012.

[35] Wassel A., New Eight-Hour Day Fight Erupts in Auto, Labor Notes, 3 dicembre 2012.

[36] Withe J., Jones S., The reality behind the ‘rebound’ of the US auto industry, World Socialist Web Site, 12 giugno 2013.

[37] Rilevazione per fabbrica. Fonte Chrysler Group Media Website.

[38] Petkov A., Shallal M., Protesting Chrysler’s rip-off, Socialist Worker, 6 marzo 2013.

[39] Forum di discussione  factoryrat.com; altri interventi in topics.com.

[40] Eisenstein P.A., UAW Names Next President, Detroit Bureau, 8 novembre 2013.

[41] Things Go From Bad to Worse as UAW’s General Shoots New Wife, Labor Union Report, 2 gennaio 2014.

[42] UAW official: Leadership wants to eliminate 2-tiers wage system, DetfroitNews, 19 dicembre 2013.

[43] SEC.

[44] Stock K., Giving Drivers Something New Pays Off for GM and Chrysler, Bloomberg Businessweek, 30 ottobre 2013.

[45] SEC.

[46] Ivi.

[47] Vellequette L.P., Chrysler purchasing boss sees benefits from Fiat link, Automotive News Europa, 23 agosto 2013.

[48] Commisso G., Strategies of governance of the labor force in the Fiat-Chrysler, comunicazione al Colloquio Gerpisa, Stoccolma, 29 maggio 2012.

[49] Environmental Protection Agency, Region 5, Notice of Violation, 28 giugno 2013

[50] SEC.

[51] Phelan M., Chrysler delays raise concerns, Detroit Free Press, 11 ottobre 2013.

[52] Fiat and Chrysler; it will hold together, Economist, 24 agosto 2013.

[53] Associated Press, Chrysler inks lending deal with Santander, Bloomberg Businessweek, 6 febbraio 2013.

[54] TrueTrends, TrueCar, ottobre2013.

[55] Berlau J., Beatty M., The real Fiat scandal, Daily Caller, 1 novembre 2012.

[56] SEC.

[57] Cfr. TrueCar.com

[58] Pearson D., Rogers C., The Fiat-Chrysler Combination Still Faces Hurdles, Wall Street Journal, 2 gennaio 2014.

[59] Rogers C., As Chrysler Wights an IPO, Investors Are Anxious for Data, Wall Street Journal, 27 ottobre 2013.

[60] Environmental Protection Agency, Light-Duty Automotive Technology, Carbon Dioxide Emissions, and Fuel Economy Trends, marzo 2013

[61] Wayland M., Chrysler CEO condemns government incentives, mlive, 19 aprile 2013.

[62] Snavely B., Toyota brands earn top spots, Detroit Free Press, 29 ottobre 2012.

[63] Wayland M., Detroit automakers receive mixed reviews, mlive, 29 ottobre 2013.

[64] Banca dati www.AutoMD.com.

[65] Snavely B., Toyota brands earn top spots, Detroit Free Press, 29 ottobre 2012.

[66] Szczesny  J., Ram 1500 Lands Consumer Report’s Rating, Detroit Bureau, 16 luglio 2013.

[67] Szczesny  J., Fiat Recalls 500e Battery-Car, Detroit Bureau, 15 agosto 2013.

[68] Szczesny  J., Ram 1500 Lands Consumer Report’s Rating, Detroit Bureau, 16 luglio 2013.

[69] Ancora richiami per Fiat-Chrisler coinvolti 1,2 milioni di pick up Ram, Messagger, 8 novembre 2013. Ra

[70] Szczesny J., Chrysler Announces Major New Recalls, Detroit Bureau, 8 luglio 2013

[71] Eisenstein P.A., Chrysler Warns Some Owners Not to Drive 2013  Challenger, Detroit Bureau, 18 marzo 2013.

[72] Szczesny  J., Fiat Recalls 500e Battery-Car, Detroit Bureau, 15 agosto 2013.

[73] Massone L., World Class Manufacturing: Il percorso verso l’eccellenza, Fiat-Chrysler, s.d.

[74] Vellequette L.P., Chrysler Q3 net income climbs 22% to $464 million, Automotive News, 30 0ttobre 2013.

[75] The Chrysler IPO Is Coming. Are You Buying?, Huffpost Detroit, 1 novembre 2013.

[76] G. Sivini, La cupola Agnelli e l’affaire Marchionne, Inchiesta, 179, 2013.

[77] Cfr. Sivini G., Marchionne e gli Agnelli compagni di rendite, Stampa Alternativa, 2013, pp. 9-59.

[78] Cheuvreux, Exor, Flash Note, 13 aprile 2012.

[79] Chiarelli T., Fiat-Chrysler, Exor farà la sua parte, Stampa, 31 maggio 2013.

[80] Rogers C., Debt Rating Firm Warns on Chrysler IPO, Wall Street Journal, 3 0ttobre 2013,

[81] Malan A., Le tre sfide di Marchionne per il 2013, Sole 24 Ore, 4 gennaio 2013.

[82] Fiat plays double or quits with Chrysler, Economist, 27 novembre 2010.

[83] Jian Y., Why it’s hard to make state-owned automakers work together, Automotive News China, 9 agosto 2013.

[84] Jenkins H.W. jr., Why the UAW Needs Carl Icahn, Wall Street Journal, 27 settembre 2013.

[85] Ruggeri R., Oltre alla Chrysler, i contribuenti degli Usa, con i loro soldi, hanno salvato anche la Fiat, Italia Oggi, 3 ottobre 2013.

[86] Fiat and Chrysler; it will hold together, Economist, 24 agosto 2013.

[87] Ebhardt T., Are You Trying to Seduce Me, Mr. Marchionne?, Bloomberg Businessweek, 24 ottobre 2013.

[88] Sivini G., Marchionne e gli Agnelli, cit., pp. 60-84 e 138-155.

[89] Fubini F., Fiat riceve dallo Stato più di quanto versa, Repubblica, 20 novembre 2013.

[90] “Fiat, non c’è bisogno di vendere asset”, Messaggero, 7 febbraio 2013.

[91] Polato R., “Possiamo farcela. Ecco la svolta Fiat”, Corriere della Sera, 12 novembre 2012.

[92] Fiat and Chrysler; it will hold together, Economist, 24 agosto2013.

[93] Castonguay G., Fiat Needs Chrysler More Than Ever, Barrons, 24 settembre 2013.

[94] Elch D., Clother M., Idzelis C., Fiat Said Able to Triple Payout From Chrysler After Refinancing, Bloomberg Businessweek, 21 giugno 2013.

[95] Kepler, Fiat. Studi societari, 9 agosto 2013, www.borsaitaliana.it.

[96] Citigroup, Fiat. Studi societari, 19 settembre 2013, ww.borsaitaliana.it

 

 

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Category: Lavoro e Sindacato

About Giordano Sivini: Giordano Sivini è nato a Trieste nel 1936. Laureato in Scienze politiche e libero docente in Sociologia politica è stato professore ordinario di sociologia politica all'Università della Calabria e Direttore del dipartimento di Sociologia e di Scienza Politica negli anni 1972-76 e 1990-96. Si è occupato prevalentemente di problemi relativi al sistema politico italiano (partiti ed elezioni) negli anni '60 e prima metà degli anni '70, poi di teoria politica. Negli anni '80 e prima metà degli anni '90 ha lavorato su problematiche relative allo sviluppo dell'Africa, con numerose missioni in diversi paesi anche per conto della Cooperazione italiana allo sviluppo. Successivamente ha rivolto l'impegno di ricerca, da un lato, all'emigrazione dall'Africa e, dall'altro, ai problemi dell'agricoltura e dello sviluppo rurale in una prospettiva di comparazione europea. Ha, infine, dal 2003, rivolto la sua attenzione ai rapporti politici internazionali occupandosi di crisi finanziarie, sviluppo rurale, politiche agricole, migrazioni, Africa. Tra i suoi ultimi libri: Il banchiere del papa e la sua miniera. Lotte operaie nel villaggio minerario di Cave del Predil (Il Mulino, 2009); Resistance to modernization in Africa (Transaction, 2007); La resistenza dei vinti: percorsi nell'Africa contadina (Feltrinelli, 2006;) (a cura di) Le migrazioni tra ordine imperiale e soggettività, (Rubbettino, 2005).

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