Fiom Bologna, Fiom Emilia Romagna, IG Metall di Wolfsburg: Rivoluzione digitale e coesione sociale

| 20 Gennaio 2017 | Comments (0)

 

 

Nei giorni 17-18 gennaio 2017 preso la Camera del lavoro di Bologna è stato tenuto il seminario “Processi di digitalizzazione e cambiamenti del mondo del lavoro in cui imprenditori e sindacati di Wolfsburg e di Bologna si sono confrontati . Il 17 gennaio la Fiom-Cgil Bologna, la Fiom-Cgil Emilia Romagna e la IG Metall di Wolfsburg hanno sottoscritto questo comunicato congiunto.

Italia e Germania: gli intrecci fra le due economie

Da anni Germania e Italia sono legate da stretti rapporti commerciali, che si riflettono sia nel commercio estero sia nei rispettivi investimenti bilaterali. Da un punto di vista dei rapporti commerciali, la Germania è il primo partner dell’Italia, sia come mercato di sbocco dell’export italiano, sia come Paese di provenienza dell’import italiano. L’Italia occupa il quinto posto tra i Paesi fornitori della Germania e si colloca al sesto posto sul versante dei Paesi acquirenti di prodotti tedeschi. Nel 2015 l’interscambio ha quasi raggiunto i 107 miliardi di Euro.

Dopo la Germania l’Italia è il primo Paese industriale in Europa per creazione di valore aggiunto lordo dell’industria manifatturiera. Entrambi i paesi vantano un’industria altamente sviluppata, che stimola il commercio di beni di investimento in entrambe le direzioni. Le prime tre voci dell’import tedesco dall’Italia – macchinari, veicoli e macchine elettriche – trovano riscontro nelle prime quattro posizioni riferite all’import totale della Germania dal mondo. Ciò conferma la grande complementarietà delle due economie e rispecchia i rapporti di subfornitura esistenti, che possono essere qualificati come relazioni di mutua dipendenza. In generale il commercio riguarda soprattutto macchinari e impianti, prodotti chimici e alimentari, autoveicoli e ricambi per autoveicoli. Anche tra i rispettivi prodotti di esportazione rientrano spesso prodotti importati dall’altro paese. Ciò dimostra che le attività delle imprese italiane e tedesche assumono particolare rilievo nelle filiere del rispettivo altro paese.

Anche per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri i comparti dei macchinari, dei veicoli e delle macchine elettriche coprono un ruolo di spicco. Secondo una ricerca commissionata dall’Ambasciata d’Italia in Germania si può stimare che le imprese tedesche partecipate da imprese italiane occupino complessivamente oltre 135.000 dipendenti in Germania.[1] Viceversa si stima che le imprese italiane partecipate da aziende tedesche occupino complessivamente oltre 175.000 dipendenti in Italia. Questi circa 300.000 dipendenti sono distribuiti su più di 3.000 aziende in Germania e Italia.

Questa forte interdipendenza e complementarietà delle economie italiana e tedesca e dei loro sistemi produttivi è destinata ad aumentare ancora di più in futuro. Secondo il rapporto dell’Unicredit “Internationalization of companies by 2030”[2], presentato a novembre 2016 in occasione del 10° Forum economico italo-tedesco “Fattori di successo per una partnership italo – tedesca nell’Industria 4.0”, le imprese multinazionali tedesche e italiane raddoppieranno gli investimenti diretti esteri entro il 2030.

Le prospettive della cooperazione e il ruolo dell’economia digitale

In tale contesto, secondo il rapporto dell’Unicredit la futura cooperazione economica italo – tedesca dovrà necessariamente focalizzarsi sul tema della digitalizzazione dei processi produttivi che sarà la nuova sfida per la ripresa del mercato europeo. Di conseguenza, la cooperazione italo – tedesca dovrà puntare sul rilancio della produzione e della ricerca per far sì che l’Europa giochi un ruolo di primo piano nell’evoluzione dei temi chiave del futuro dell’economia.

Anche secondo KPMG[3] la cooperazione fra i due paesi industriali più importanti d’Europa dovrebbe servire per rivitalizzare la crescita economica dell’Unione europea. A fronte del forte intreccio fra i tessuti produttivi dei due paesi KPMG Italia vede la possibilità di produrre le sinergie necessarie per affrontare la sfida del digitale. Secondo KPMG le due realtà dispongono di una tradizione, eccellenza ed esperienza manifatturiera unica nel mondo. Perciò, un corridoio italo-tedesco potrebbe gettare le basi per alimentare i processi di digitalizzazione su scala europea. In quest’ottica, secondo KPMG, sarebbe auspicabile sviluppare alleanze, joint venture e forme analoghe di collaborazione fra le imprese dei due paesi.

La cooperazione fra le associazioni industriali

L’economia digitale è infatti uno dei temi principali di cui le associazioni degli industriali Confindustria e BDI intendono occuparsi nell’ambito della loro cooperazione. Considerando gli intensi rapporti economici italo – tedeschi le associazioni degli industriali Confindustria e BDI hanno lanciato nel 2011 una cooperazione strategica fra le due organizzazioni. Durante il 6° vertice bilaterale tenutosi il 14 ottobre 2016 a Bolzano Confindustria e BDI hanno adottato una dichiarazione congiunta che, riaffermando la necessità di un coordinamento sempre maggiore tra i due principali paesi manifatturieri d’Europa, ha l’obiettivo di promuovere un’agenda per la competitività e la crescita al cui centro sta il tema dell’economia digitale. Già nel 2014 Confindustria e BDI avevano chiesto di attuare un Piano di Investimenti UE che doveva comprendere risorse pubbliche e proposte concrete per mobilitare investimenti privati; adottare iniziative per realizzare un Mercato unico digitale e supportare la digitalizzazione dell’industria europea; implementare un’Unione dell’energia, promuovendo la convergenza fra politiche industriali, energetiche e climatiche.

All’ultimo incontro le associazioni imprenditoriali hanno invece avanzato la richiesta di rafforzare il lavoro congiunto su Industria 4.0, e in particolar modo sugli schemi di promozione degli investimenti in questo settore, sulla protezione dei dati e sulla sicurezza informatica. Di conseguenza, si propone anche di rivedere le politiche per l’innovazione a livello nazionale ed europeo. Ai rispettivi governi viene inoltre richiesto di sostenere la cooperazione interregionale e il coordinamento degli investimenti legati alla modernizzazione industriale. Particolare attenzione viene dedicata al tema della mobilità. Si auspica lo sviluppo di una visione comune su nuovi e avanzati servizi di mobilità, come la guida autonoma, la e-mobility e i servizi condivisi. Infine, Confindustria e BDI invitano i rispettivi governi anche ad insistere sulle tecnologie abilitanti fondamentali, i nuovi modelli industriali di business e le esigenze di finanziamento delle imprese.

Durante il 4° Forum Economico Italo-Tedesco organizzato a novembre 2016 da ITKAM, la Camera di Commercio Italiana per la Germania, è stato invece discusso il tema della “Formazione per l´industria 4.0”.

La cooperazione sindacale

Dal ruolo strategico della Germania e dell’Italia nell’ambito della quarta rivoluzione industriale deriva anche una responsabilità particolare di questi due paesi per un approccio bilanciato che oltre ad una maggiore competitività dei due paesi garantisca una altrettanto importante coesione sociale. È questa la ferma convinzione dei sindacati tedeschi ed italiani. Così come l’industria manifatturiera tedesca e italiana rappresentano una parte fondamentale dell’economia europea, anche le organizzazioni sindacali dei due paesi rappresentano con i loro circa 20 milioni di iscritti una parte importante del movimento sindacale europeo. Perciò, la cooperazione fra i sindacati italiani e tedeschi assume un ruolo strategico nell’ambito degli sforzi indirizzati alla difesa dei diritti conquistati nel contesto europeo.

In questo quadro si inserisce anche la cooperazione ben strutturata fra la Fiom-Cgil di Bologna e dell’Emilia-Romagna e l’IG Metall di Wolfsburg che si è sviluppata a partire dal 2013. La cooperazione che è nata a causa degli intrecci nel comparto dei veicoli ha come obiettivo la salvaguardia degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori delle aziende che fanno parte delle catene del valore transfrontaliere. Rispetto ai processi di digitalizzazione i sindacati metalmeccanici oggi stanno lavorando per non subordinarsi allo sviluppo tecnologico, ma per determinare le strategie politiche più adeguate e fare in modo che le lavoratrici ed i lavoratori non siano vittime, ma protagonisti della nuova rivoluzione tecnologica. Secondo i due sindacati servirà un processo di partecipazione democratica per garantire che la rivoluzione in atto venga messa al servizio dell’uomo e dei suoi bisogni.

Secondo i due sindacati i processi di digitalizzazione implicano una nuova qualità dei processi di globalizzazione. La precedente fase di globalizzazione ha portato ad una crescente disuguaglianza ed esclusione sociale. L’ideologia neoliberista ha teorizzato la necessaria sottomissione alle inevitabili regole del mercato e ha imposto ai governi le politiche di austerità facendo pagare le lavoratrici e i lavoratori le conseguenze della crisi economica e finanziaria. Questa strategia di discontinuità rispetto al modello sociale europeo ha minato la coesione sociale ed è largamente responsabile del diffuso malcontento e del crescente euroscetticismo.

Per contrastare un’ulteriore disgregazione del progetto europeo e l’invigorirsi di forze nazionaliste ed antidemocratiche l’IG Metall di Wolfsburg e la Fiom-Cgil di Bologna e dell’Emilia-Romagna sono convinte che la rivoluzione digitale e la nuova spinta ai processi di globalizzazione che ne deriva debbano essere gestite in modo da evitare che la competizione internazionale venga affrontata ancora una volta attraverso il dumping sociale e salariale, il peggioramento delle condizioni di lavoro, la precarizzazione dei rapporti di lavoro e la riduzione dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e delle loro organizzazioni. Un’ulteriore accelerazione della distribuzione della ricchezza prodotta a sfavore dei dipendenti attraverso i processi di digitalizzazione porterebbe inevitabilmente alla disintegrazione della società.

Una strategia socialmente sostenibile non può, quindi, limitarsi a prendere in considerazione solo l’esigenza di garantire la competitività dell’industria ma deve porsi come compito altrettanto rilevante la salvaguardia delle condizioni sociali delle lavoratrici e dei lavoratori europei. Governare il cambiamento è quindi l’obiettivo dei due sindacati. Per raggiungere questo obiettivo servono soprattutto strumenti e servizi che possono sostenere la contrattazione collettiva e i diritti di codeterminazione mirati a gestire i processi di riorganizzazione e innovazione dell’apparato produttivo.

Le caratteristiche della rivoluzione digitale e il suo impatto sul lavoro

La quarta rivoluzione industriale consiste nell’alto livello di innovazione elettronica e digitale che porta ad una produzione che è quasi tutta automatizzata e nella quale uomini, macchinari, impianti, logistica e prodotti cooperano e comunicano tra di loro.

I processi di digitalizzazione portano ad un alto valore aggiunto che nasce dalla convergenza di manifattura e servizi in molti settori industriali. Nascono, infatti, veri e propri sistemi eco-industriali in continua integrazione, abbattendo classiche divisioni settoriali. La digitalizzazione dell’economia è caratterizzata da una crescente complessità dell’organizzazione interna di questi eco-sistemi sia in senso orizzontale che verticale. Lo sviluppo dell’ICT e in specifico del cloud e del mobile computing rendono inoltre possibile anche la nascita di nuovi modelli di business.[4]

I processi di digitalizzazione potrebbero avere un impatto profondo sulle seguenti quattro linee di sviluppo:

  • l’utilizzo dei dati e la relativa potenza di calcolo;
  • l’interazione tra l’uomo e la macchina;
  • il passaggio dal digitale al “reale”, che comprende la manifattura additiva, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni, le interazioni machine-to-machine;
  • le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia in modo mirato, razionalizzando i costi e ottimizzando le prestazioni.

Di conseguenza la rivoluzione digitale ha anche un forte impatto sul lavoro. Le trasformazioni del lavoro riguardano soprattutto i seguenti aspetti:

  • la qualità del lavoro e i contenuti di professionalità,
  • la divisione del lavoro,
  • la natura giuridica e la stabilità del rapporto di lavoro,
  • la relazione tra tempo di lavoro e tempo di vita,
  • la rappresentanza degli interessi,
  • la legislazione sociale e
  • la distribuzione del reddito.

Le sfide per il sindacato e possibili risposte

La quarta rivoluzione industriale ha quindi una serie di ripercussioni sul mondo del lavoro. Le principali conseguenze riguardano i livelli occupazionali, la trasparenza della prestazione lavorativa, le condizioni di lavoro e la necessità di riqualificare le lavoratrici e i lavoratori.

Uno dei problemi fondamentali riguarda l’impatto dell’economia digitale sull’occupazione. Da un lato, i processi di automazione e il crescente uso di robot contribuiscono alla distruzione di posti di lavoro, dall’altro lato nascono invece nuovi settori, prodotti e servizi che contribuiscono alla creazione di nuovi posti di lavoro che, comunque, probabilmente non compenseranno i posti che andranno persi. Dal punto di vista sindacale i forti aumenti di produttività dovrebbero pertanto essere anche usati per una sostanziale riduzione dell’orario di lavoro.

Ripercussioni sono da attendersi anche sulle condizioni di lavoro negli uffici e nelle fabbriche. Da questo punto di vista si presenta soprattutto il rischio di una intensificazione del lavoro che sempre più spesso non conosce più confini, né di spazio né di tempo. Questa mancanza di confini ha effetti negativi sul rapporto fra vita professionale e privata. In mancanza di diritti e tutele adeguati la digitalizzazione potrebbe portare ad una flessibilità operativa esasperata che farebbe aumentare anche i rischi di affaticamento mentale. Diventano quindi indispensabili nuovi diritti rispetto alla gestione dei tempi lavorativi come per esempio il “diritto alla disconnessione”.

Per quanto riguarda i contenuti professionali del lavoro si aprono opportunità di miglioramento della qualità del lavoro, ma allo stesso tempo i processi di digitalizzazione possono anche ingenerare forme di stress da prestazione. Per poter affrontare i cambiamenti si pone la necessità di un potenziamento della conoscenza e di una conquista per i lavoratori di margini di autonomia e creatività che servono per poter soddisfare le crescenti esigenze di qualità dei prodotti e di produttività del lavoro.

Rispetto alla natura giuridica del rapporto di lavoro già durante la terza rivoluzione industriale c’è stata una tendenza al ritorno a forme di contratto individuale. Una tendenza che comporta uno scarso potere contrattuale come testimonia il ciberproletariato internazionale. Rapporti di lavoro gestiti attraverso partite Iva con mono o pluricommittenza, che mascherano rapporti subordinati, vengono di fatto sottratti alla contrattazione collettiva. Allo stesso tempo anche la stabilità del rapporto di lavoro diventa sempre più precaria. Una sempre più diffusa instabilità occupazionale rappresenta il ritorno a condizioni simili a quelle della prima rivoluzione industriale.[5] È perciò imprescindibile rappresentare gli interessi anche delle lavoratrici e dei lavoratori precari attraverso la contrattazione collettiva.

La digitalizzazione implica per di più la possibilità di una trasparenza totale della prestazione lavorativa. In particolare, il rischio riguarda il management digitale che è caratterizzato da un controllo delle lavoratrici e dei lavoratori attraverso RFID, GPS, IPcam e software “spioni”. Una tale sorveglianza senza frontiere metterebbe a rischio il vincolo di fiducia fra datore di lavoro e dipendente. Per evitare la sorveglianza totale delle lavoratrici e dei lavoratori diventa necessario regolarizzare l’uso di tutte le tecnologie per il controllo a distanza. Più in generale dovrebbe essere usato anche il nuovo Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali che diventerà definitivamente applicabile in via diretta in tutti i Paesi UE a partire dal 25 maggio 2018.

I processi di digitalizzazione pongono anche la necessità di garantire lo sviluppo delle competenze delle lavoratrici e dei lavoratori. Per rispondere a questa esigenza dovrebbero essere offerti percorsi adeguati di riqualificazione e di formazione professionale. La digitalizzazione e le interfacce uomo/macchina intelligenti implicano infatti trasformazioni del lavoro che portano ad un cambiamento sia dei profili di qualificazione, sia della struttura occupazionale. Il rischio è che il risultato potrebbe consistere in un processo di polarizzazione che vede un limitato numero di vincitori e un più elevato numero di perdenti.[6] Ci potrebbero essere certi segmenti del mercato del lavoro che in seguito ai processi di digitalizzazione rischiano di perdere controllo in quanto vedono svalorizzati le loro competenze lavorative, il loro know-how e la loro esperienza. Questi rischi dovrebbero essere contrastati da più estesi diritti alla formazione professionale. Per garantire un’adeguata offerta formativa il sindacato dovrebbe partecipare alla progettazione degli interventi formativi pubblici e privati.

L’economia digitale implica anche il rischio che i processi di digitalizzazione portino ad un’ulteriore concentrazione della ricchezza e del potere nella catena del valore. La digitalizzazione potrebbe quindi contribuire a produrre nuove disuguaglianze e ad approfondire quelle già esistenti. Il rafforzamento della contrattazione collettiva ai vari livelli dovrebbe servire per prevenire questo rischio.

Per gestire i processi di digitalizzazione i sindacati devono cercare di prevenire il cambiamento attraverso i diritti di informazione, consultazione e codeterminazione come anche attraverso la contrattazione collettiva. In particolar modo si tratta di garantire la partecipazione e la contrattazione collettiva rispetto alle scelte riguardanti le strategie digitali, alle decisioni di investimento nella robotizzazione, ai processi di esternalizzazione e alle strategie di ristrutturazione. Nel contesto dell’economia digitale la partecipazione come anche la contrattazione collettiva non possono più essere limitate alla singola azienda. La riorganizzazione delle catene del valore a livello transnazionale significa che anche il sindacato deve sviluppare strategie che vanno oltre la singola azienda. La catena del valore e gli sistemi eco-industriali dovrebbero quindi diventare l’unità di analisi e di azione.[7] Un impatto specifico dei processi di digitalizzazione che dovrebbe essere gestito attraverso la contrattazione collettiva e la partecipazione riguarda per esempio le nuove tendenze di esternalizzazione attraverso il trasferimento dei lavori verso piattaforme digitali o in forma di crowdsourcing.

Nell’ambito dell’economia digitale è prevedibile un’ulteriore spinta verso processi di ristrutturazione a livello transnazionale. Per poter affrontare la riorganizzazione delle catene del valore, i processi di esternalizzazione e le delocalizzazioni, la dimensione europea dell’azione sindacale dovrebbe essere rafforzata. Questo implica un uso più intenso di accordi aziendali transnazionali per fissare degli standard minimi non solo per gli stabilimenti delle multinazionali ma anche per le aziende lungo la catena del valore. I Comitati aziendali europei dovrebbero inoltre usare i loro diritti di informazione e consultazione in modo efficace per cercare di influenzare le strategie di digitalizzazione dei gruppi multinazionali. Queste attività dovrebbero essere accompagnate da una più stretta cooperazione transnazionale delle strutture sindacali anche a livello decentrato.

Il ruolo dello Stato

Nel contesto dell’economia digitale lo Stato dovrebbe giocare un ruolo attivo per garantire la coesione sociale. Lo Stato dovrebbe innanzitutto sviluppare politiche per la sicurezza sociale per affrontare i nuovi rischi sociali legati ai processi di digitalizzazione. Un altro campo di intervento riguarda le politiche attive del lavoro con cui gestire i processi di cambiamento dei profili di qualificazione e della struttura occupazionale. In questo contesto lo sviluppo di interventi formativi pubblici sembra di particolare importanza. Lo Stato si deve inoltre assumere la responsabilità per raggiungere una riduzione delle disuguaglianze attraverso politiche che garantiscano una maggiore giustizia fiscale. Queste politiche dovrebbero essere indirizzate anche alle imprese dell’economia digitale.

Più in generale dovrebbe essere aperto un dialogo su come mettere la Quarta Rivoluzione Industriale al servizio della società nel suo insieme al quale dovrebbero partecipare tutti gli attori rilevanti come i governi, le organizzazioni delle parti sociali, le associazioni dei consumatori, le associazioni per la tutela ambientale e altre organizzazioni della società civile.

La quarta rivoluzione industriale sarà una rivoluzione soltanto se saprà dare risposte anche alle sfide ambientali e del welfare. Affidarsi semplicemente allo sviluppo tecnologico e a politiche che favoriscono l’incremento della produttività e della competitività non sarà sufficiente per generare benessere diffuso. Questo approccio è stato smentito dalla terza rivoluzione industriale che invece ha portato ad una crescita delle disuguaglianze.

In questo contesto si pone anche la domanda sul tipo di impegno pubblico che dovrebbe essere promosso nell’ambito delle politiche industriali. A fronte delle sfide epocali in campo sociale e ambientale sarebbero auspicabili politiche pubbliche per una innovazione “guidata”. Dovrebbe essere infatti lo stato ad essere il motore dinamico di settori strategici per il futuro e farsi carico del rischio d’investimento iniziale all’origine delle nuove tecnologie.[8] È comunque da tener conto del fatto che il concetto di innovazione non riguarda solo la dimensione tecnologica, ma deve includere anche la dimensione sociale tramite studi nel campo dell’ergonomia, dell’organizzazione del lavoro e della regolazione sociale del lavoro.

Il contesto europeo

Un ruolo attivo dello Stato dipende anche dalle politiche della Commissione europea. Per difendere il progetto europeo e garantire la coesione sociale è irrinunciabile una maggiore flessibilità da parte della Commissione rispetto a politiche economiche espansive con una modifica del Patto di Stabilità e Crescita, così da permettere di liberare risorse pubbliche da destinare a investimenti produttivi. Per l’Unione europea sarebbe un’occasione per contrastare la crisi di fiducia tra i cittadini che è il risultato della crisi economica, dell’elevata disoccupazione e dell’esclusione sociale. Il malcontento favorisce la crescita del populismo, del nazionalismo e della xenofobia. Perciò, è indispensabile che l’Unione Europea venga riformata per dare vita ad una politica basata sulla cooperazione, sulla solidarietà e sulla giustizia sociale.

La sfida posta dalla digitalizzazione deve essere affrontata tramite una strategia sostenibile. Le politiche europee dovrebbero contribuire a favorire una crescita economica sostenibile, la creazione di occupazione di qualità, la riduzione delle disuguaglianze e un’adeguata protezione sociale. Un problema da affrontare con priorità riguarda la precarietà e la frammentazione del lavoro. Anche in vista dell’impatto dei processi di digitalizzazione dovrebbero essere sviluppate delle misure per garantire ai lavoratori atipici e ai lavoratori autonomi fittizi gli stessi diritti degli altri lavoratori. Per garantire una maggiore coesione sociale è inoltre importante avviare un’estensione dei diritti democratici. I profondi cambiamenti nell’ambito della quarta rivoluzione industriale necessiteranno dei diritti di partecipazione rafforzati e dello sviluppo di un quadro giuridico che garantisca la possibilità di stipulare accordi aziendali a livello europeo.

Coordinamento sindacale

A fronte di queste sfide la Fiom-Cgil di Bologna e dell’Emilia-Romagna e l’IG Metall di Wolfsburg concordano sulla necessità di avviare una fase di ulteriore estensione e approfondimento della cooperazione. I due sindacati sottolineano l’importanza di analizzare gli impatti che le nuove tecnologie digitali potranno avere sul lavoro per individuare possibili risposte. Riguardo ai processi di digitalizzazione si pongono diversi temi che richiedono un approfondimento in chiave comparata, fra cui

 

  • le politiche industriali e i processi di innovazione;
  • le alleanze in materia di politiche europee;
  • la formazione professionale;
  • le politiche attive del lavoro e
  • le relazioni industriali a livello di gruppo e lungo la catena del valore.

 

Inoltre i due sindacati hanno identificato l’esigenza di rafforzare le loro strutture di cooperazione fra i cui compiti rientrerebbero

 

  • il miglioramento del flusso di informazioni;
  • l’approfondimento del confronto e del dialogo;
  • la promozione di scambi di esperienze realizzate a livello locale;
  • lo sviluppo di strategie congiunte sia a livello di gruppi multinazionali sia lungo le catene del valore così come
  • la costruzione di strutture di coordinamento a livello di gruppo e sovraziendale.

 

 

Bologna, 17 gennaio 2017

 

 

Fiom-Cgil di Bologna                         Fiom-Cgil Emilia-Romagna               IG Metall di Wolfsburg

 

[1] V. Mutinelli, M., Gli investimenti diretti italiani in Germania e tedeschi in Italia. Rapporto di ricerca realizzato per il Ministero degli Esteri, Milano, 2011.

[2] V. UniCredit (a cura di), Internationalization of companies by 2030. Foreign direct investment of Germany, Italy and Austria. UniCredit Global Themes Series, No. 33, UniCredit Research, Monaco, 2016.

[3] V. KPMG, ‚Deutsch-Italienische Zukunft‘, 2016, https://klardenker.kpmg.de/verstehen/aktuell/deutsch-italienische-zukunft/

[4] V. Garibaldo, F., ‘Manifattura 4.0’, paper presentato alla conferenza della CGIL nazionale “4.0= (R)Evolution Road”, Torino 24/25 ottobre 2016.

[5] V. Stefano Musso, ‘Dal lavoro ai lavori: la quarta rivoluzione industriale’, 2016, http://www.rassegna.it/articoli/dal-lavoro-ai-lavori-ecco-la-quarta-rivoluzione-industriale

[6] V. Hirsch-Kreinsen, H., Wandel von Produktionsarbeit – „Industrie 4.0“, Soziologisches Arbeitspapier Nr. 38, Technische Universität Dortmund, 2014.

[7] V. Garibaldo, F., loc. cit.

[8] V. Mazzucato, M., The Entrepreneurial State: Debunking Public vs. Private Sector Myths, Anthem Press, Londra, 2013.

 

 

 

 

 

Category: Lavoro e Sindacato, Osservatorio Europa, Ricerca e Innovazione

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