Rossella Ercolano: Esperienze di smart working ai tempi di Covid 19

| 3 Giugno 2020 | Comments (0)

 

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Attraverso Tommaso Cerusici riceviamo questa interessante ricerca di Rossella Ercolano basata su interviste telefoniche : Esperienze di smart working ai tempi del Covid-19

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Lo scoppio della pandemia di Covid-19 ha costretto i lavoratori italiani a stare a casa e, in alcuni casi, ove possibile, a lavorare in smart working[1].

In questi “interminabili” giorni di quarantena ho avuto modo di leggere alcuni articoli sull’argomento in questione che sembrano riportare, secondo la mia percezione, una percentuale sempre crescente di lavoratori favorevoli al lavoro agile.

Le motivazioni sembrano essere varie: dalla possibilità di conciliare lavoro e famiglia, per le donne, al risparmio dei costi sostenuti dal lavoratore per recarsi sul posto di lavoro.

Ho deciso di scrivere questo breve saggio per sentire, senza alcuna pretesa di universalità, l’opinione di chi sta lavorando da casa.

Sono riuscita a contattare sei lavoratori che si sono resi disponibili a raccontarmi le loro giornate e a dirmi come il lavoro agile è andato a influire sulla propria vita professionale, ma anche personale.

Anche se prediligo l’intervista faccia a faccia in questo caso ho dovuto condurre delle interviste telefoniche, perché le misure da contenimento del contagio non mi hanno permesso di incontrare gli intervistati.

Le interviste vengono riportate di seguito.

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Intervistato n. 1

Quanti anni hai? 26 anni.

Di cosa ti occupi? Collaboro in uno studio legale in qualità di professionista, in particolare, tributarista.

Hai mai fatto smart working prima dell’emergenza Covid-19? In caso di risposta affermativa, per quale motivo? Il mio datore di lavoro non mi ha mai chiesto di fare attività in smart working. Noi siamo soliti andare allo studio e se ci sono particolari esigenze, alla fine, uno si prende una giornata libera e poi recupera in altro modo quelle ore. In smart working mai, non abbiamo mai lavorato sino ad oggi.

Cosa pensi dello smart working? Quali sono, secondo te, gli aspetti positivi e quali quelli negativi? Io credo che lo smart working abbia soltanto aspetti negativi, non ci vedo nulla di positivo. È alienante: elimina qualsiasi tipo di empatia, qualsiasi tipo di confronto. Secondo me, in qualsiasi contesto lavorativo, è importantissimo il dialogo fra i vari dipendenti al fine di svolgere al meglio le proprie attività. È anche molto più facile affrontare un datore di lavoro di persona anziché provare a porre delle questioni attraverso smartphone piuttosto che email.

Da un punto di vista sociale ci sono altri effetti negativi: il primo è che il tuo datore di lavoro pensa che tu sia sempre raggiungibile, per lui. Parte dal concetto che stai a casa, senza fare niente, non conta se devi cucinare anziché pulire, dare una mano ai tuoi genitori. Tu devi essere rintracciabile ventiquattro ore su ventiquattro e nel momento in cui ti si chiede di fare qualcosa la devi eseguire andando ben oltre l’orario lavorativo e ben oltre i giorni lavorativi.

Cioè, alla fine, la mia esperienza è che il datore di lavoro ti scrive, anche di sabato e di domenica. Prima dello smart working, non è mai capitato. Ti chiede di fare attività che, ovviamente, in situazioni ordinarie non avresti svolto, così come il giorno di Pasqua ti scrive per fare “la cosa X”. Secondo me alcuni non lo fanno neanche in cattiva fede semplicemente stanno lì, sono paranoici loro e il lavoro, l’essere produttivo, perché il sistema capitalista questo impone e i lavoratori ne subiscono tutti gli effetti negativi.

Oggi, lunedì di Pasquetta, io ho ricevuto quattro email dal mio datore di lavoro che non ho neanche aperto. Ho aperto soltanto la prima e basta, perché non si può vivere così. Tra l’altro, la postazione di lavoro non è conforme. Nel posto dove lavori hai tutto il necessario, invece da casa è ovvio che ti devi arrangiare sulla tua scrivania o sul tuo tavolo, con il tuo portatile, anziché lavorare con un computer ad hoc.

Anche per fare una fotocopia piuttosto che una scansione è un problema tuo e lo devi fare per forza con i tuoi strumenti di cui non è detto sei dotato; devi acquistarli o trovare altre modalità, per raggiungere comunque l’obiettivo, perché il datore non si pone nella tua situazione problematica. Questo comporta, anche vari problemi di salute; ad esempio quelli di postura nonché problemi agli occhi, perché comunque stai davanti a un monitor per tantissime ore.

Altro effetto negativo è che molti, pur lavorando incessantemente, non percepiscono lo stesso stipendio o comunque anche se formalmente lo percepiscono, poi sanno che devono far tornare indietro quei soldi al datore restituendoli. In compenso, però, hanno i contributi pagati e quindi molti tacciono.

Di aspetti positivi sinceramente neanche uno, perché se pure uno volesse pensare: “Io non sto bene quindi posso lavorare magari da casa” non è così, perché se non ti senti bene o hai un problema è giusto che ti dedichi a quel problema e a quella cosa. È impensabile credere che si possa lavorare così, quando invece ci sono le ferie, le festività, come al solito. Secondo me c’è solo una lesione di qualsiasi tipo di diritto e dello Statuto dei diritti dei lavoratori.

Secondo te lo smart working riesce a conciliare meglio lavoro e famiglia? Non credo che consenta ciò. Uno potrebbe chiedere al datore: “Guardi non posso venire nella giornata X e posso lavorare da casa, posso interrompere per andare a fare la visita medica”. Magari così mi evito lo spostamento da casa mia al luogo di lavoro, dal luogo di lavoro al medico, dal medico di nuovo al luogo di lavoro e dal luogo di lavoro di nuovo a casa. Questo significherebbe che il datore accetta che tu dalle ore, non lo so, dalle ore dieci alle ore undici hai la visita medica e quindi non sei raggiungibile. Visto come molti datori di lavoro stanno lavorando e vista l’esperienza personale, non credo che ciò sia realizzabile, perché alla fine sarebbe soltanto un essere tartassati ed è meglio prendersi direttamente un permesso da lavoro.

Tu vorresti continuare a fare smart working, anche dopo l’emergenza Covid-19? Personalmente non vorrò mai più lavorare in smart working se non proprio per casi di necessità o emergenza: tipo la rottura di un femore o cose così che ti impossibilitano ad andare in ufficio.

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Intervistato n. 2

Quanti anni hai? 26 anni.

Di cosa ti occupi? Sono social media manager e grafico.

Hai mai fatto smart working prima dell’emergenza Covid-19? In caso di risposta affermativa, per quale motivo? Ho sempre lavorato in smart working, perché sono libera professionista. Prima che ci fosse l’emergenza era sicuramente molto difficile da spiegare alle persone con cui dovevo interfacciarmi, però alla fine comprendevano. Io fondamentalmente il lavoro lo svolgevo discretamente, invece ora sicuramente è più facile spiegare che uno lavora da casa, però la percezione esterna è che uno da casa lavori di meno. Il mio lavoro funziona in smart working, non ho problemi, non devo per forza “stare appresso”. Mi occupo, perlopiù, di persone che fanno attività politica e che credono che sia meglio che li seguiamo e quindi mi faccio dare un supplemento.

Cosa pensi dello smart working? Quali sono, secondo te, gli aspetti positivi e quali quelli negativi? Lo smart working secondo me è comodissimo, ma non perché riesci a conciliare lavoro e famiglia, perché quello che faccio io non ha senso farlo in un ufficio attaccato alle persone, perché posso tranquillamente lavorare da casa. È comodissimo.

Cosa ne penso quindi? Ne penso tutto il bene possibile, però qual è il negativo dello smart working di chi non l’ha utilizzato finora? Che la persona per cui sto lavorando adesso ha deciso, di punto in bianco e da sola, che sto lavorando di meno. Per cui, da sola, ha cambiato le regole del mio contratto e mi sta pagando la metà.

Queste sono le cose negative dello smart working: che le persone non sanno campare; soprattutto a Napoli. Credono che ci siano lavori che se fatti da casa costino meno lavoro e meno impegno. Oggi è Pasquetta e io ho lavorato, ieri era Pasqua e io ho lavorato come tutti i liberi professionisti. Noi abbiamo lavorato. Tra l’altro io non ho una partita iva, perché l’Italia non mi consente di aprirla quindi io faccio tutto quanto chiaramente dichiarato (pagando le tasse), però con contratti a prestazione occasionale.

Tu vorresti continuare a fare smart working, anche dopo l’emergenza Covid-19? Continuerei a fare smart working? Certo! Il problema è lavorare con determinate persone.  Il problema è che chi non ha mai lavorato in smart working e ha sempre fatto del lavoro manuale il suo lavoro o comunque che è attaccato al denaro, che è la cosa più importante, non percepisce che il lavorare da casa è anche più difficile probabilmente del lavorare in ufficio. Questo perché chi lavora da casa, a meno che chiaramente non possieda un ufficio, un’azienda, delle persone; comunque lavorare da casa è molto più complicato, perché capita, capita spesso che non hai un’idea, che magari non ti senti ispirato in quel momento.

Stare con qualcuno, anche se non capisce niente di quello che fai è buono, perché ti può dare una mano qualora tu da solo quel giorno non ce la fai. Invece lavorare da casa non è, soprattutto in questo momento, non è divertentissimo. Uscire per strada ogni tanto mi farebbe bene, più che altro perché è un mese ormai che faccio dodici grafiche al giorno e non ho più le idee, anzi ieri ne ho fatta uscire una sbagliata. Questo perché il problema è dato dal fatto che sto chiusa dentro casa.

Ora qual è il punto? La persona che sto seguendo, in questo periodo, è attaccata al denaro e pensa, non potendo loro lavorare, a differenza mia, che io non stia facendo niente quando in realtà sto facendo tantissimo.

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Intervistato n. 3

Quanti anni hai? 30 anni.

Di cosa ti occupi? Insegnamento: universitario e scuole secondarie; principalmente di letteratura italiana.

Hai mai fatto smart working prima dell’emergenza Covid-19? In caso di risposta affermativa, per quale motivo? Non ho mai fatto smart working prima dell’emergenza.

Cosa pensi dello smart working? Quali sono, secondo te, gli aspetti positivi e quali quelli negativi? Cosa penso? Penso che l’aspetto positivo è che riducendo i tempi di spostamento e lavorando anche su due città, Benevento e Napoli, lo smart working mi consente una maggiore organizzazione del tempo che non perdo nel viaggio. Anche a riuscire, quindi, a giostrarmi varie situazioni che dal vivo sarebbero state molto più complesse.

L’aspetto negativo è che trattando io soprattutto di insegnamento manca completamente la componente personale che è un aspetto fondamentale dell’insegnamento e si ha soprattutto meno controllo. Ci si rende meno conto delle reali situazioni di apprendimento e di comprensione, oltre che di raggiungimento, perché non è detto che dall’altra parte tutti abbiano la possibilità di avere una buona connessione o un computer e quindi si vengono a creare delle situazioni positive solo per una cerchia di persone e molto negative per quelli che o non vogliono studiare o non hanno i mezzi per poterlo fare che quindi rimangono inevitabilmente esclusi. Cosa che non accadrebbe nel rapporto, diciamo, personale.

Secondo te lo smart working riesce a conciliare meglio lavoro e famiglia? No, perché è difficile la gestione degli spazi ed è difficile anche, diciamo, costruirsi una specie di proprio cantuccio nel quale dedicarsi esclusivamente al lavoro. Non c’è quella distinzione tra vita lavorativa e vita privata: è un’invasione dell’una nell’altra. Per esempio, io non ho figli, chiunque conosca che ha dei figli non è propriamente soddisfatto dello smart working, perché appunto non c’è la separazione tra lavoro e famiglia.

Tu vorresti continuare a fare smart working, anche dopo l’emergenza Covid-19?

Non per l’insegnamento. Vorrei che parte del lavoro potesse essere svolto in smart working, per esempio le riunioni, per esempio i consigli di classe, per esempio gli altri tipi di lavoro più amministrativi. Per quanto riguarda l’insegnamento spero che si torni quanto prima alla normalità.

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Intervistato n. 4

Quanti anni hai? 31 anni.

Di cosa ti occupi? Lavoro presso una compagnia che gestisce pratiche mediche. Assicuriamo ospedali, medici ed emettiamo anche polizze infortuni. Io mi occupo, essendo laureato in economia, di contabilità; nello specifico di tesoreria e pagamento dei sinistri aperti. 

Hai mai fatto smart working prima dell’emergenza Covid-19? In caso di risposta affermativa, per quale motivo? Si, il mio datore di lavoro mi ha chiesto già di effettuare smart working in passato. Io svolgevo già smart working prima dell’emergenza Covid-19 da circa un anno.

L’azienda ci dà l’opportunità di poter fare smart working due giorni a settimana. Essendo una azienda abbastanza attenta alla cura dell’ambiente il nostro lavoro è svolto totalmente in modalità paperless, quindi, non gira carta per l’ufficio, ma è tutto contenuto in file multimediali. C’è la trasmissione di file in maniera telematica. Proprio per questo è stato possibile rendere e portare avanti questo progetto dello smart working e devo dire che notevoli sono gli impatti, anche a livello economico per i dipendenti.

Cosa pensi dello smart working? Quali sono, secondo te, gli aspetti positivi e quali quelli negativi? Per quanto riguarda gli aspetti positivi sicuramente il minore impatto ambientale dovuto alle minori emissioni e al minore inquinamento dovuto al trasporto e al tragitto da casa verso l’ufficio, il notevole risparmio economico per il lavoratore che potrà risparmiare sul ticket aziendale (si riferisce ai buoni pasto), sulla benzina. Riduce soprattutto il livello di stress del lavoratore dovuto a tutte le circostanze contingenti al lavoro.

L’aspetto negativo è che si perde un po’ il contatto con il collega, si riduce la frequentazione tra colleghi e ci si vede poco. Ci siamo organizzati, infatti, in modo tale da poter essere tutti quanti, una volta a settimana in ufficio, per fare una riunione e per stabilire un contatto e aggiornarci sugli obiettivi posti.

Secondo te lo smart working riesce a conciliare meglio lavoro e famiglia? Comunque mi viene da pensare che sia un programma importante, anche per le mamme che riescono ad essere più vicine alle dinamiche di casa; cosa che non riuscirebbero a fare se dovessero stare tutti i giorni in ufficio. La mia opinione sullo smart working è positiva, io credo che l’Italia intera si stia rendendo conto che gli aspetti positivi sono maggiori di quelli negativi. Ci sono aziende, per esempio, a cui ci siamo ispirati, che svolgono lavoro in smart working già da parecchi anni e comunque ci hanno spiegato che in Europa siamo uno degli ultimi paesi ad aver cominciato a praticare questa forma di lavoro.

Tu vorresti continuare a fare smart working, anche dopo l’emergenza Covid-19? Si. Continueremo a fare smart working, anche dopo l’emergenza Covid-19, perché è un progetto su cui la nostra azienda contava molto, anche prima dell’emergenza coronavirus. Soprattutto grazie ai notevoli risultati ottenuti grazie allo smart working l’azienda sarà ancora più incentivata a portare avanti questo programma. Il lavoro da casa consente, appunto, di poter svolgere le stesse mansioni dell’ufficio, però nel tuo ambiente familiare. Addirittura è sufficiente che vi sia una connessione internet, quindi, potrei anche svolgere il lavoro con il mio portatile presso un qualsiasi bar o biblioteca comunale dotata di connessione wifi.

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Intervistato n. 5

Quanti anni hai? 29 anni.

Di cosa ti occupi? Sono un insegnante.

Hai mai fatto smart working prima dell’emergenza Covid-19? In caso di risposta affermativa, per quale motivo? No, non ho mai fatto smart working.

Cosa pensi dello smart working? Quali sono, secondo te, gli aspetti positivi e quali quelli negativi? Effetti positivi: migliore redistribuzione del carico di lavoro in base anche a quello che è il mio stato psicofisico, non dovendo più sottostare ad un preciso orario lavorativo.

Effetti negativi: l’invadenza dei colleghi e le pressioni a cui mi ha sottoposto il dirigente scolastico che ha scaricato tutto sulle spalle dei dirigenti e soprattutto dei docenti. Ovviamente tra gli effetti negativi c’è anche la mancanza di contatto con gli studenti che rende più alienante e più difficoltoso l’insegnamento. Spesso i ragazzi devono lavorare con tecnologie a loro sconosciute e con le quali hanno un primo contatto; guidarli a distanza è molto più difficoltoso, anche installare un semplice programma sembra impossibile.

Tu vorresti continuare a fare smart working, anche dopo l’emergenza Covid-19? Si, continuerei a fare smart working.

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Intervistato n. 6

Quanti anni hai? 65 anni.

Di cosa ti occupi? Sono un’insegnante.

Hai mai fatto smart working prima dell’emergenza Covid-19? In caso di risposta affermativa, per quale motivo? Non so se si possono definire esperienze di smart working, prima del Covid. sicuramente ho utilizzato i social per condividere documenti, esercitazioni, materiale vario.

Cosa pensi dello smart working? Quali sono, secondo te, gli aspetti positivi e quali quelli negativi? Ovviamente ci sono aspetti positivi e negativi. Sicuramente è più facile la gestione dei materiali, se ci sono. Può essere un sostegno per alcune esigenze familiari specialmente per chi ha bambini piccoli. Almeno nel mio lavoro, però, ritengo che sia assolutamente insostituibile la presenza contemporanea degli insegnanti e degli studenti. La scuola è una comunità, è mobile, è molto articolata. Dallo stare insieme si sviluppano curiosità, domande, apprendimenti, non si possono staccare queste due cose. Penso che ci siano parecchi lavori che abbiano questa caratteristica, non credo che sia completamente sostituibile al lavoro di persona; inoltre c’è il problema della perdita dei posti di lavoro che comporta questo.

Secondo te lo smart working riesce a conciliare meglio lavoro e famiglia? In alcuni casi può aiutare, ma ritengo che non si possa applicare per dei periodi lunghissimi. Sicuramente per chi ha bambini piccoli riesce a risolvere problemi pratici.

Tu vorresti continuare a fare smart working, anche dopo l’emergenza Covid-19?  No, non continuerei dopo se non come facevo precedentemente in minima parte che è soprattutto la condivisione di materiale. Tra l’altro si evita lo spreco di carta, di quantità di azioni da svolgere: stampare, spostare, portare da un luogo fisico a un luogo che non lo è e viceversa. Soltanto in questo senso, però.

 

Prime riglessioni di sintesi

In seguito alla lettura delle interviste si possono porre alcune domande e fare delle brevi considerazioni su quanto emerge dalle stesse.

Tutti i lavoratori hanno la possibilità di fare smart working in condizioni ottimali? Credo sia significativo che tutti gli intervistati, dal più scettico al più favorevole allo smart working, hanno messo in evidenza quanto sia importante una componente che viene a mancare durante il lavoro agile, ovvero, il contatto diretto con altre persone.

In merito a questa domanda abbiamo riscontrato che le difficoltà maggiori le riscontrano soprattutto gli insegnanti impossibilitati a seguire e ad aiutare i propri studenti che a volte non sono dotati degli strumenti necessari per seguire le lezioni online.

Lo smart working è davvero a costo zero per i lavoratori? Lavorare da casa è comodo? Se i lavoratori non devono più sostenere dei costi, per raggiungere il posto di lavoro, per restare connessi bisogna comunque pagare utenze elettriche e telefoniche che non sempre vengono rimborsate dall’azienda o dal datore di lavoro.

Un aspetto importante in merito, per esempio, è stato messo in evidenza dall’avvocato tributarista la quale ci ha detto che il suo datore di lavoro non le fornisce gli strumenti per lavorare e anche per stampare dei documenti deve comprare una stampante di tasca propria.

Non è detto, inoltre, che un appartamento abbia degli spazi adeguati in cui poter lavorare e questo può incidere sul benessere psicofisico delle persone: le sedie di casa non sono ergonomiche, per esempio.  C’è chi ha dichiarato che lavorare da casa non è sempre così comodo perché, se non sei da solo e vivi con altre persone, risulta anche difficile crearsi uno spazio in cui poter stare concentrati durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Il fatto di essere potenzialmente connessi senza interruzione, 24 ore al giorno, a casa, di essere sempre raggiungibili attraverso smartphone, tablet, laptop ci permette di renderci conto quando l’orario di lavoro effettivamente finisce?

Email che arrivano in posta elettronica, anche in un giorno festivo come quello di Pasqua. Due interviste, quella dell’avvocato tributarista e della social media manager, ci fanno riflettere su quanto sia necessario non dimenticare che i lavoratori hanno il diritto alla disconnessione[2].

Alcune testimonianze mettono in evidenza quello che si potrebbe definire uno dei rischi dello smart working: lavorare da casa, infatti, potrebbe far si che il lavoratore non sia più in grado di separare la vita privata da quella professionale ritrovandosi a lavorare, anche ben oltre l’orario di lavoro.

Ora sentiamo parlare più spesso di diritto alla disconnessione, tuttavia, credo che avrebbe meritato una attenzione maggiore, anche prima della pandemia di Covid-19 e di questa maggiore diffusione dello smart working che ne è conseguita.

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Bibliografia e note:

https://www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/smart-working/Pagine/default.aspx

https://www.randstad.it/candidato/career-lab/diritti-del-lavoratore/diritto-alla-disconnessione-cose-e-come-funziona-in-italia/

[1] La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).

Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento – economico e normativo – rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie. È, quindi, prevista la loro tutela in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità illustrate dall’INAIL nella Circolare n. 48/2017.

(cfr: https://www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/smart-working/Pagine/default.aspx)

[2] All’interno della normativa che affronta il tema del lavoro agile, la legge 81 del 2017 (misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato), si è provato a tutelare chi opera in un regime di smart working. L’obiettivo era che non ci si trovasse senza regole, costretti ad orari infiniti, reperibilità costante e assenza di riposo, in uno spill over senza fine dove vita privata e lavorativa si confondono. La normativa è ben chiara nello spiegare che lo smart working non è una nuova tipologia di contratto, ma solamente un nuovo modo di operare con orari più flessibili e lontano dalla sede aziendale. Ma questa impostazione non modifica la sostanza: l’esecuzione della prestazione deve rispettare i tempi di riposo e deve esserci per il lavoratore la possibilità appunto di disconnettersi quando l’orario di lavoro è concluso. Resta ancora aperto un tema più ampio, che al di là dei casi di lavoro flessibile riesca a disciplinare e impedire, almeno in linea teorica, un uso improprio dei dispositivi aziendali capaci di invadere appunto le ferie, i riposi o i fine settimana.

(cfr:https://www.randstad.it/candidato/career-lab/diritti-del-lavoratore/diritto-alla-disconnessione-cose-e-come-funziona-in-italia/)

Category: Lavoro e Sindacato

About Tommaso Cerusici: Tommaso Cerusici. Nel luglio del 2009 si laurea in Storia Contemporanea presso l’Università di Bologna con una tesi dal titolo “L’esperienza delle Tute Bianche in Italia (1994-2001): i documenti, i dibattiti, le voci dei protagonisti”. Nel marzo del 2013 consegue la laurea magistrale in Storia all’Università di Bologna con una tesi dal titolo “L’esperienza di Claudio Sabattini nelle lotte studentesche e operaie del ’68-’69 e nel movimento no global: pensiero e militanza di un sindacalista Fiom”. Attualmente è uno studente del Master in "Comunicazione storica" presso il Dipartimento di Storia dell'Università di Bologna. Da sempre attivo nei movimenti sociali e studenteschi, ha collaborato con l’emittente radiofonica bolognese Radio Kairos 105.85FM e con il sito di comunicazione Globalproject.info. E' attivista del centro sociale Tpo di Bologna e collabora con la Fondazione "Claudio Sabattini". Fa parte della redazione operativa della rivista "Inchiesta"

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