Tra bagliori di utopie del passato e l’arte della memoria urgente

| 30 Dicembre 2014 | Comments (1)

 


Diffondiamo dal numero a stampa di “Inchiesta” ottobre-dicembre 2014 l’editoriale scritto da Vittorio Capecchi

 

Bagliori di utopie del passato.

Una delle più apprezzate critiche d’arte Rosalind Epstein Krauss (attualmente docente di storia dell’arte alla Columbia University di New York e fondatrice della rivista d’arte October pubblicata dalla casa editrice del MIT) ha scritto nel suo testo L’arte nell’era postmediale (Post media book, Milano, 2005) questa interpretazione di Walter Benjamin che trovo densa di suggestioni: “Per Walter Benjamin ogni oggetto,  ogni processo capitalistico, ogni processo tecnologico, ogni tipo sociale è concepito come investito da una doppia valenza : positiva e negativa come un oggetto e la sua ombra, o una percezione e la sua immagine a posteriori. Questo è ciò che unisce tipo e omologo, oppure nel caso delle merci produce ciò che Benjamin chiamava  l’ambivalenza  tra l’elemento utopico e quello cinico. Che l’elemento cinico prevalga  nel corso del tempo va da sé. Ma Benjamin credeva che la dimensione utopica fosse presente  alla nascita di una data forma sociale o di un processo tecnologico e  che proprio nel momento di obsolescenza di una tecnologia questa liberasse ancora una volta la dimensione utopica, come l’ultimo bagliore di una stella morente». E’ dal passato che ci arrivano bagliori di utopie mescolati con elementi cinici come da lontane stelle morenti. In questo numero di Inchiesta questi bagliori ambivalenti attraversano la vita scientifica e  politica di Galileo (Bruno Giorgini e Silvio Bergia) e di Foucault (Marco Assennato e Valerio Romitelli) e bagliori di utopie si intravedono anche nella vita di Enrico Berlinguer (Gianni Rinaldini) e in eventi drammatici come il ’77 a Bologna (Andrea Hajek).

 

L’arte della memoria urgente.

Molto diverse sono le suggestioni che provengono dalla mostra del fotogiornalista Pierpaolo Mittica (www.pieroaolomittica.com) dal nome “Ashes/ceneri” che è possibile visitare a Pordenone fino all’11 gennaio 2015. Di Mittica pubblichiamo in copertina la foto di Rahman, dodici anni che lavora come un piccolo schiavo in una discarica del Bangladesh. Mittica ha infatti scelto di documentare nella sua mostra 10 ordinarie emergenze:  Balcani: dalla Bosnia al Kosovo, 1997-1999, Incredibile India, 2002-2005; Chernobyl l’eredità nascosta 2002-2007; Vite riciclate, 2007-2008; Kawah Ijen – Inferno, 2009; Piccoli schiavi, 2010; Fukushima No-Go Zone, 2011-2012; Karabash, Russia, 2013; Mayak 57, Russia 2013; Magnitogorsk, Russia 2013. Di fronte a questa sequenza di foto che rappresentano ceneri da ogni parte del mondo Luis Sepulveda ha scritto una introduzione al catalogo della mostra, dal titolo L’arte della memoria urgente, in cui scrive: «Le immagini di Pierpaolo Mittica hanno la forza della contemporaneità, ci dicono che non dobbiamo attendere che la storia ufficiale passi al setaccio tutto ciò che, invece, dobbiamo far urgentemente diventare parte della nostra memoria recente”. Come ha scritto Luciano del Sette su Il Manifesto in relazione a questa mostra “La nostra memoria tende ad appannarsi e a dimenticare con rapidità. Gli eventi drammatici si susseguono, si accavallano, si sovrappongono. Ciò che oggi focalizza l’attenzione e apre uno scenario sul quale riflettere, qualche tempo dopo viene superato da un altro evento. Giornali e televisioni fanno la loro parte nell’oblio, salvo riportare alle luce eventi quali il conflitto dei Balcani, Chernobyl, Fukushima, quando ne cade l’anniversario. Poi torna il silenzio.” In questo numero di Inchiesta vi sono molti articoli che sono immagini di memoria urgente: i cento più ricchi in Cina (Amina Crisma) il voto recente (Bruno Giorgini, Gabriele Polo), la sentenza Eternit (Gino Rubini), la ‘ndrangheta a Brescello (Luciano Berselli), gli incidenti dei militari tedeschi nella basi sarde (Nello Rubattu). Nel momento in cui pubblichiamo questi testi si avverte già l’oblio in cui stanno per sprofondare e questa sensazione è ancora più forte se si scorrono i testi che si possono leggere su www.inchiestaonline.it. Sono testi che nascono già per essere archiviati, per essere sommersi da altre immagini. Ma allora qual’è lo spazio che c’è tra i bagliori di utopie del passato e queste immagini di memoria urgente? E perché ho la sensazione che questo spazio si stia riducendo?

 

Lo spazio che si sta riducendo è quello della utopia del possibile.

I bagliori di utopie lontane e le immagini di memorie urgente ci sono sempre stati e avendo avuto una infanzia attraversata dalla seconda guerra mondiale (il bombardamento di Pistoia del 1943, mia madre che curava i partigiani suoi ex studenti liceali rischiando la vita..) non ho immagini di memoria urgente da rimpiangere. Se faccio però un confronto con i primi anni ’70 a Bologna con la nascita della rivista Inchiesta (primo numero gennaio 1971) e gli incontri per me decisivi con Claudio Sabattini e Adele Pesce penso che la situazione di oggi sia peggiorata ma in quali direzioni?  Adele interpreterebbe questo cambiamento con la categoria che utilizzava in quegli anni della utopia del possibile (vedi il libro dei suoi scritti, Fare cose con le parole, a cura di Vittorio Capecchi e Donata Meneghelli, Dedalo, Bari 2012). Questa categoria era stata utilizza da  Adele sulla base di un brano di Musil tratto da L’uomo senza qualità: “una esperienza possibile o una possibile verità non equivalgono a una esperienza reale e a una verità reale ma hanno, almeno secondo i loro devoti, qualcosa di divino in sé, un fuoco, uno slancio, una volontà di costruire, un consapevole utopismo che non si sgomenta della realtà bensì la tratta come un compito o un’invenzione”. Penso che negli anni ’70 la FLM (in cui militavo come responsabile dell’Ufficio studi) abbia subito sconfitte gravi fino a quella che portò alla sua scomparsa nel 1980 con la vittoria della Fiat. Queste sconfitte venivano però analizzate, come fece Adele (in Inchiesta, 48, del 1980) con un fuoco, uno slancio, una volontà di costruire, un consapevole utopismo che non si sgomenta della realtà. I saggi pubblicati in questo numero di Umberto Romagnoli, Mario Agostinelli, Bruno Papignani e il dossier curato da Bruno Maggi e Giovanni Rulli mostrano che c’è ancora una sinistra che resiste e si muove in termine di utopia del possibile di fronte agli attacchi del “modello Marchionne”, di una globalizzazione senza diritti e tutele ambientali, di un governo Renzi antisindacale… ma lo spazio in cui queste iniziative si muovono si è indubbiamente ridotto. Oggi è sempre più difficile trovare nei luoghi di lavoro, nell’università, nelle scuole, negli ospedali..  un fuoco, uno slancio, una volontà di costruire, un consapevole utopismo che non si sgomenta della realtà.

 

La Speranza è una bambina irriducibile.

Ho ricordato su www.inchiestaonline.it (19 novembre 2014) il centenario della morte di Charles Peguy riportando un brano del suo bellissimo testo sulla Speranza bambina. Scrive Peguy che la Speranza è una “bambina irriducibile” che “va ancora a scuola” e “va a letto e dorme bene”. La Speranza, per Peguy è molto più forte delle sue sorelle maggiori Fede e Carità perché “vede quello che sarà” e “ama quello che sarà”. E’ vero, tutte le immagini che si susseguono tendono a sottolineare che lo spazio della utopia del possibile si sta restringendo e i messaggi di utopie lontane sembrano sempre più distanti. Non bisogna però mai perdere la Speranza.

 

Category: Editoriali

About Vittorio Capecchi: Vittorio Capecchi (1938) è professore emerito dell’Università di Bologna. Laureatosi in Economia nel 1961 all’Università Bocconi di Milano con una tesi sperimentale dedicata a “I processi stocastici markoviani per studiare la mobilità sociale”, fu segnalato e ammesso al seminario coordinato da Lazarsfeld (sociologo ebreo viennese, direttore del Bureau of Applied Social Research all'interno del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York) tenuto a Gosing dal 3 al 27 luglio 1962. Nel 1975 è diventato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. Negli ultimi anni ha diretto il Master “Tecnologie per la qualità della vita” dell’Università di Bologna, facendo ricerche comparate in Cina e Vietnam. Gli anni '60 a New York hanno significato per Capecchi non solo i rapporti con Lazarsfeld e la sociologia matematica, ma anche i rapporti con la radical sociology e la Montly Review, che si concretizzarono, nel 1970, in una presa di posizione radicale sulla metodologia sociologica [si veda a questo proposito Il ruolo del sociologo (a cura di P. Rossi), Il Mulino, 1972], e con la decisione di diventare direttore responsabile dell'Ufficio studi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), carica che manterrà fino allo scioglimento della FLM. La sua lunga e poliedrica storia intellettuale è comunque segnata da due costanti e fondamentali interessi, quello per le discipline economiche e sociali e quello per la matematica, passioni queste che si sono tradotte nella fondazione e direzione di due riviste tuttora attive: «Quality and Quantity» (rivista di modelli matematici fondata nel 1966) e «Inchiesta» (fondata nel 1971, alla quale si è aggiunta più di recente la sua versione online). Tra i suoi ultimi libri: La responsabilità sociale dell'impresa (Carocci, 2005), Valori e competizione (curato insieme a D. Bellotti, Il Mulino, 2007), Applications of Mathematics in Models, Artificial Neural Networks and Arts (con M. Buscema, P.Contucci, B. D'Amore, Springer, 2010).

Comments (1)

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  1. maria ha detto:

    mi serve una risposta urgentemente vorrei sapere se io dimentichero il mio passato se avro la mia vita felice e se dimenticherò un gitana anche se nn so se lo e ma penso di si il nome che o scritto nell’oggetto

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