Ilva: crisi del lavoro, ambientale, sociale

| 30 Gennaio 2013 | Comments (1)

Pubblichiamo l’editoriale di Vittorio Capecchi per il numero di “Inchiesta” ottobre-dicembre 2012 Ilva: crisi del lavoro, ambientale, sociale.

I testi pubblicati in questo numero di Inchiesta sottolineano che la politica si trova di fronte a una crisi che è insieme del lavoro, ambientale e sociale. L’immagine in copertina dell’Ilva di Taranto su cui si abbatte una tromba d’aria è emblematica di questa situazione. Come afferma Landini in una delle interviste sull’Ilva riportate in questo numero “Nessuno può più morire per le produzioni, non c’è dubbio. Ma non possiamo neanche perdere migliaia di posti di lavoro stando fermi a guardare”. I dati  che collegano l’Ilva alla città di Taranto sono drammatici.  Il dossier dell’Istituto superiore della Sanità realizzato insieme alla Organizzazione Mondiale della Sanità all’interno del progetto “Sentieri”  riferito al periodo 1995-2009 non lascia dubbi. L’emissione di benzopirene da parte dello stabilmento dell’Ilva (in particolare le emissioni che provengono dall’altoforno, cockeria e agglomerazione) hanno fatto si che i casi di cancro nelle donne di Taranto siano passati da +24% (rispetto al resto della provincia) del periodo 1995-2002, al +100%, ovvero quattro volte tanto, nel periodo 2003-2009. La mortalità complessiva nell’area di Taranto continua ad aumentare: nel periodo 1995-2002 era del 10% superiore rispetto alle aspettative di morte dei cittadini residenti nel resto della provincia; nel periodo 2003-2009 è dell’11%. Pagano anche i bambini: a Taranto la mortalità dei bambini nel primo anno di vita è maggiore del 20% rispetto al resto della Puglia. L’Ilva è uno stabilimento di morte come lo è stato quello dell’Eternit di Casale Monferrato che produceva fibre cancerogene di amianto e che dal 1952 al 2010 ha, secondo la procura di Torino, fatto 2.991 vittime accertate. Queste morti, dato che il mesiotelioma pleurico prodotto dall’aver respirato questo fibre, ha una incubazione tra i trenta e i quaranta anni, non sono ancora terminate. Inchiesta, in questo numero, ha pubblicato il testo di Amina Crisma Il silenzio e le parole: in memoria di Pier Cesare Bori. Pier Cesare è stato un grande studioso di religioni impegnato politicamente  in Amnesty International  e nel lavoro culturale nelle carceri (su www.inchiestaonline.it si possono trovare alcuni tra i suoi testi più significativi) e questo caro amico nato a Casale Monferrato ha respirato da giovane le polveri di amianto ed è morto il 4 novembre di quest’anno a settantacinque anni di mesiotelioma pleurico. Tra l’Eternit e l’Ilva c’è però una differenza: l’Eternit è stata chiusa perché la sua produzione non solo era nociva ma non aveva mercato; l’Ilva produce invece un prodotto (l’acciaio) che ha mercato e la cui tossicità poteva e può ancora essere eliminata.  E’ quindi una fabbrica di morte che potrebbe cambiare se ci fossero cambiamenti negli impegni padronali e governativi.

 

Crisi del lavoro. La crisi del lavoro viene precisata in questo numero in tre direzioni: (a) crisi dei diritti del lavoro faticosamente conquistati in nazioni come l’Italia dove il sindacato è stato protagonista di lotte e di vittorie; (b) crisi delle possibilità di trovare lavoro e diffusione di situazioni di “povertà assoluta”; (c) crisi delle forme di organizzazione del lavoro più favorevoli a chi lavora come il lavoro nelle imprese cooperative.

In relazione alle prime due crisi è stata realizzata a Bologna il 4 Dicembre  2012 una importante iniziativa alla Camera del lavoro organizzata dalla Fiom Emilia Romagna, Inchiesta e Il Manifesto (Circolo di Bologna). E’ stato un incontro tra due campagne politiche: quella dei due referendum (l’otto per il diciotto) promossi dalla Fiom e quella promossa da Riccardo Petrella Dichiariamo illegale la povertà che rappresentano due lati di una stessa crisi. L’iniziativa politica referendaria per i diritti del lavoro contro il “modello Marchionne” (si veda in questa direzione l’analisi di Sara Bernard e Vladimir Unkovski-Korica sulla Fiat in Serbia)  ha portato alla raccolta di quasi un milione di firme ma è stata di fatto interrotta dalla crisi di governo ma gli obiettivi ovviamente restano e saranno oggetto del dibattito politico dopo le elezioni. Questa iniziativa politica italiana e a breve termine per i diritti del lavoro si è incontrata il 4 dicembre con la iniziativa politica internazionale e a medio lungo termine “Dichiariamo illegale la povertà” promossa da Riccardo Petrella. Questa iniziativa, come è stato documentato da “Inchiesta” e nel sito www.inchiestaonline.it , è una iniziativa politica che ha come obiettivo quello di ottenere nel 2018 (70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni unite) una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu con la quale gli Stati dichiarino illegali le leggi, le istituzioni e le pratiche sociali e collettive che generano e alimentano i processi di impoverimento nei vari paesi e regioni del mondo (analogamente alla dichiarazione dell’ONU quando fu dichiarata illegale la schiavitù). Nessuno nasce povero né sceglie di essere o diventare povero e dichiarare illegale la povertà significa fare concrete proposte di cambiamento dei meccanismi legislativi e istituzionali e delle pratiche sociali collettive che oggi, al livello internazionale, producono e diffondono disuguaglianze e povertà.  In questo numero di Inchiesta in questa direzione è stato pubblicato l’intervento di  Vittorio Comito presentato in occasione di questo incontro e lo scenario che vien tracciato  è uno scenario inquietante. Al livello mondiale i poveri assoluti che vivono con meno di un dollaro al giorno sono 1,4 miliardi e se si passa a due dollari al giorno si arriva a tre miliardi. Quella della povertà è una mappa che dalle nazioni considerate tradizionalmente “povere” come molte delle nazioni africane arriva alle nazioni occidentali considerate tradizionalmente “ricche” come gli stati Uniti , la Francia o l’Italia dove, anche quando si esce dall’area della povertà assoluta, la caratteristica dominante del lavoro diventa la precarietà (come sottolineato nell’intervento di Andrea Pintus e Francesco Paolella).

Ugualmente inquietanti sono anche due interventi pubblicati in questo numero. Un testo scritto da Gabriele Polo, la Coop non sei più tu risultato di una indagine a Reggio Emilia e una ricerca ( a cura di Francesco Garibaldo, Emilia Rebecchi e Maria Scardamaglia) sempre relativa al lavoro nelle imprese cooperative a Reggio Emilia. I due interventi convergono nell’indicare condizioni di lavoro negative in quella che era ritenuta una zona relativamente protetta del lavoro. La crisi del lavoro, in una epoca di globalizzazione del neoliberismo, non solo ha assunto gli aspetti di una caduta dei diritti e di una estensione della povertà e delle difficoltà di trovare lavoro ma sta erodendo anche forme che sembravano consolidate di protezione lavorativa. Nel momento in cui l’economista inglese Noreena  Hertz attacca il capitalismo delle multinazionali indicando come possibile modello alternativo il Coop capitalism è un brutto segnale quello di vedere come questo “modello alternativo” stia per essere abbandonato nelle province emiliane in cui si era più sviluppato.

Crisi ambientale. I due interventi pubblicati in questo numero di Bruno Giorgini e Mario Agostinelli sottolineano come i dati di quello che può essere definito un olocausto climatico sono sempre più drammatici. Giorgini conclude il suo pezzo scrivendo che “se vogliamo evitare l’orizzonte di un possibile olocausto climatico non resta altra strada che una nuova alleanza tra la specie umana e la natura. Un’alleanza e/o un nuovo contratto di equità tra esseri umani e natura onde questa nostra terra rimanga abitabile per i viventi, dagli umani agli alberi. Ecco un obiettivo e una nervatura per l’intera umanità, un vero e proprio new deal globale”. Mario Agostinelli conclude citando una affermazione del filosofo e teologo Leonardo Boff che sottolinea: ci sono due gruppi di minacce. Una viene dalla macchina di morte che la cultura militarista ha creato disponendo di armi nucleari, e ricorrendo ad una tecnologia, che come visto a Chernobyl e Fukushima, non è mai in sicurezza. Il secondo gruppo di minacce deriva da quello che il nostro sviluppo industriale ha fatto negli ultimi 300, 400 anni, con la sistematica aggressione alla Terra, ai suoi beni, le sue risorse. Siamo arrivati al punto di avere destabilizzato totalmente il sistema Terra, e l’evidenza di questo è il riscaldamento globale“

Crisi sociale e culturale. La crisi sociale e culturale può essere analizzata valutando le alternative al livello religioso e filosofico oppure documentando le conseguenze di questa crisi nelle diverse società. Al livello filosofico e religioso ci si può interrogare su come sia possibile la formazione di un diverso umanesimo e di un diverso rapporto tra scienza e fede e in questo numero di Inchiesta è importante sia l’intervento di Amina Crisma, che analizza il pensiero di una figura esemplare come quella di Pier Cesare Bori, sia  quello di Silvio Bergia che affronta il tema  dei rapporti tra scienza e fede a partire dal darwinismo. Le prospettive di un diverso umanesimo e di un diverso rapporto tra scienza e fede si presentano lontane e le conseguenze della crisi sociale e culturale, intrecciata con le altre due crisi, disegnano scenari sempre più inquietanti. In questo numero  Caterina Cortese mostra come la povertà a Genova sia intrecciata con i problemi della coesione sociale. Viene poi affrontato il tema della violenza sulle donne e del feminicidio e su www.inchiestaonline.it abbiamo pubblicato una riflessione di Gianni Tognoni  su Samia Yusuf Omar la giovane atleta somala morta in mare nell’agosto del 2012  in uno dei tanti tragici viaggi di una “carretta del mare” nel tragitto dalla Libia a Lampedusa. Come scrive Gianni Tognoni, Samia fa parte “ di un popolo ogni giorno più grande, che non compare sulle mappe che si studiano nelle scuole, non compare nei rapporti internazionali o sulle propagande delle agenzie turistiche. I nomi più noti di questo popolo hanno radici latino americane (Argentina, Guatemala, Colombia) desaparecidos, desechables, gli scomparsi, gli usa-e-getta e riassumono tutti gli altri: migranti, schiavi, clandestini, violentati, torturati, effetti collaterali di bombardamenti non sufficientemente intelligenti; morti di fame o catastrofi perché il cibo e l’ambiente non sono più il bene comune, ma strumenti di mercato schiacciati-intrappolati dai muri che si sono moltiplicati, da Israele al Messico, al mare nostro. Come tutti i popoli anche questo, con tutti i suoi nomi, si declina al maschile e al femminile e abbraccia tutte le età: come capita in tutte le guerre moderne è fatto tutto di poveri, ricco solo di più bambini e più donne”.

E la politica? Di fronte alla drammaticità di queste tre crisi intrecciate (crisi del lavoro, crisi ambientale, crisi sociale e culturale) la politica si presenta in modo inadeguato sia nei partiti che nei movimenti in quanto come indicato nell’articolo di Riccardo Terzi c’è un problema non risolto di rappresentanza politica e sindacale. Al livello internazionale su Le Monde diplomatique del gennaio 2013 Thomas Frank ha scritto un pezzo su “Occuper Wall Street, un mouvement tombé amoureux de lui-même” e definisce uno scenario che sembra oscillare tra partiti innamorati del neoliberismo e movimenti innamorati di se stessi. Al livello italiano “Inchiesta” con questo numero contribuisce alla iniziativa del 25 gennaio 2013 a Roma in cui si discute del tema “C’è un futuro per il sindacato? Quale futuro?” tenendo presente che nel 2013 sono dieci anni dalla morte di Claudio Sabattini i cui contributi, come quelli riportati in questo numero, assumono, in questa fase di grande incertezza politica, un particolare  rilievo.

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Category: Editoriali

About Vittorio Capecchi: Vittorio Capecchi (1938) è professore emerito dell’Università di Bologna. Laureatosi in Economia nel 1961 all’Università Bocconi di Milano con una tesi sperimentale dedicata a “I processi stocastici markoviani per studiare la mobilità sociale”, fu segnalato e ammesso al seminario coordinato da Lazarsfeld (sociologo ebreo viennese, direttore del Bureau of Applied Social Research all'interno del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York) tenuto a Gosing dal 3 al 27 luglio 1962. Nel 1975 è diventato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. Negli ultimi anni ha diretto il Master “Tecnologie per la qualità della vita” dell’Università di Bologna, facendo ricerche comparate in Cina e Vietnam. Gli anni '60 a New York hanno significato per Capecchi non solo i rapporti con Lazarsfeld e la sociologia matematica, ma anche i rapporti con la radical sociology e la Montly Review, che si concretizzarono, nel 1970, in una presa di posizione radicale sulla metodologia sociologica [si veda a questo proposito Il ruolo del sociologo (a cura di P. Rossi), Il Mulino, 1972], e con la decisione di diventare direttore responsabile dell'Ufficio studi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), carica che manterrà fino allo scioglimento della FLM. La sua lunga e poliedrica storia intellettuale è comunque segnata da due costanti e fondamentali interessi, quello per le discipline economiche e sociali e quello per la matematica, passioni queste che si sono tradotte nella fondazione e direzione di due riviste tuttora attive: «Quality and Quantity» (rivista di modelli matematici fondata nel 1966) e «Inchiesta» (fondata nel 1971, alla quale si è aggiunta più di recente la sua versione online). Tra i suoi ultimi libri: La responsabilità sociale dell'impresa (Carocci, 2005), Valori e competizione (curato insieme a D. Bellotti, Il Mulino, 2007), Applications of Mathematics in Models, Artificial Neural Networks and Arts (con M. Buscema, P.Contucci, B. D'Amore, Springer, 2010).

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