Günter Grass: Un ricordo e due poesie

| 13 Aprile 2015 | Comments (0)

 

Un ricordo di Günter Grass attraverso due sue poesie contro la Germania della Merkel e la politica di israele


1. Davide Turrini: Günter Grass, morto lo scrittore che ruppe l’omertà di tedeschi sul nazismo

Il fatto quotidiano 13 aprile 2015

 

L’autore di Il tamburo di latta, e Nobel nel ’99, ha rappresentato il tormento della generazione post-hitleriana. Un alone oscuro presente anche nel suo passato personale: quell’adesione volontaria alle SS in gioventù svelata nel 2006. “Stupido orgoglio, ma il peso è rimasto”

Tra mille polemiche, e rimettendoci prima di tutto lui stesso, attraverso il potere della parola e dell’arte, ruppe l’omertà per quella coscienza tedesca rimasta silenziosamente ancorata al vulnus nazista. Il premio Nobel per la letteratura Günter Grass è morto all’età di 87 anni in una clinica della città di Lubecca che era stata casa sua per decenni. E chi in queste ore lo definisce il più importante scrittore tedesco del dopoguerra non fa torto a nessuno. Nella sua poliedrica figura d’artista, romanziere in primis, autore di teatro, scultore, poeta, si riconoscono tentennamenti, volontà di rinascita e incertezza morale, di più di una generazione uscita dalla seconda guerra mondiale inevitabilmente legata al passato Günter Grass dell’abisso dell’etica toccato dall’aberrazione hitleriana.

Nato nel 1927 nella polacca città stato di Danzica, Grass cercò fin da 15enne di arruolarsi nella marina tedesca e poi a 17 negli ultimi mesi del conflitto diventò effettivo delle SS: “Ero giovane, e volevo uscire di casa. Mi aggregai alle SS nelle ultime fasi della guerra. Le consideravo un’unità d’élite. (…) Se fossi nato tre o quattro anni prima, certo, sarei stato coinvolto in quei crimini di guerra”. Una macchia nerissima e adolescenziale che divenne stigmata storica su cui però Grass volle tacere a lungo fino al 2006, nonostante l’espiazione in un campo di prigionia finita la guerra, nonostante il ritorno in società attraverso i lavori più umili, ma grazie anche all’esorcizzazione catartica di quel libro che scrisse nel 1959, Il Tamburo di latta, poi anche film diretto da Volker Schlöndorff nel 1979, che lo fece diventare protagonista immediato della letteratura mondiale e che spinse la popolazione tedesca a guardare in quell’armadio degli scheletri, tra l’oblio di una convivenza forzata col male, e una ricostruzione etica necessaria sulle rovine del conflitto.

Il protagonista del libro, Oskar Matzerath, alla fine della sua vita, rinchiuso in una clinica psichiatrica racconta il suo Novecento, da polacco, da antinazista e pieno di rabbia per le generazioni che l’hanno preceduto, a partire dall’opportunismo del padre, un debole che “abbraccia la folla”, e quindi il nazismo. Solo nel 2006, e dopo velati accenni, con continue polemiche di figure a lui antagoniste, Grass nel 2006 è tornato a parlare dei suoi trascorsi nelle SS nel romanzo autobiografico Sbucciando la cipolla, affrontando direttamente la sua appartenenza seppure laterale, seppur limitata a pochi mesi, seppur senza mai aver ucciso o torturato nessuno nelle camere a gas, in quella parte dello Stato hitleriano più eticamente e storicamente inqualificabile.

“Non ho mai detto nulla di falso”, si schernì dopo l’uscita del libro che provocò il più grande dibattito politico nella Germania del dopoguerra. “Quello che è stato pubblicato dopo il ’45 sulle SS, su tutti i suoi crimini, era qualcosa di cui venni a conoscenza più tardi”, affermò a El Pais, “il mio senso di vergogna è cresciuto nel tempo, che è poi in gran parte il motivo per cui questo episodio unico nella mia vita è stata una cosa che ho tenuto per me. Quello che avevo accettato con stupido orgoglio nella giovinezza lo volli nascondere dopo la guerra per un senso di vergogna ricorrente, ma il peso è rimasto”.

Durante la frequentazione del Gruppo 47, assieme a Ingeborg Bachmann e Heinrich Böll, Grass scrisse, oltre a Il tamburo di latta, Gatto e topo – uscito subito dopo nel 1961 -, e Anni di cani(1963), la cosiddetta ‘trilogia di Danzica’; ma la sua poetica, il suo agitare le acque nel malmostoso oblio nazionalsocialista, aveva già inferto il colpo cruciale per riaprire la ferita del passato tedesco e tenerla aperta per oltre un cinquentennio.

Attivo durante gli anni ’60 nella Spd di Willy Brandt, dopo la caduta del muro di Berlino dichiarò apertamente che le Germania Est e Ovest sarebbero dovute rimanere divise visto il pericolo di una revanche militarmente possibile. Poi il Nobel nel 1999 con l’accademia di Stoccolma che commenta l’onorificenza per “l’enorme compito di rivedere la storia contemporanea ricordando gli sconosciuti e i dimenticati: le vittime, i perdenti e le bugie che la gente ha voluto dimenticare perché aveva creduto in esse”. Ancora un’altra polemica, l’ultima, ma come sempre dalla risonanza mondiale. Nel 2012 scrive una poesia che lui stesso definisce “civile”, ‘Cosa bisogna dire’ pubblicata sul Suddeutsche Zeitung, dove critica la scelta del governo tedesco di rifornire Israele di sei sottomarini Dolphine, in grado di trasportare testate nucleari (“Non resterò più in silenzo perchè sono stanco dell’ipocrisia occidentale”): versi che portarono il quotidiano Die Welt a definirlo “l’eterno antisemita”. Ora che Grass non c’è più, l’eco della sua sfida all’ipocrisia della memoria, un alone oscuro presente prima di tutto nel suo personalissimo passato, continuerà a riverberarsi nel continuo rimescolare le carte dell’analisi storica contemporanea

 

 

2. Günter Grass: La poesia “Quello che deve essere detto” (2012)

 

Perché taccio, passo sotto silenzio troppo a lungo

quanto è palese e si è praticato

in giochi di guerra alla fine dei quali, da sopravvissuti,

noi siamo tutt´al più le note a margine.

 

E´ l´affermato diritto al decisivo attacco preventivo

che potrebbe cancellare il popolo iraniano

soggiogato da un fanfarone e spinto al giubilo organizzato,

perché nella sfera di sua competenza si presume

la costruzione di un´atomica.

 

E allora perché mi proibisco

di chiamare per nome l´altro paese,

in cui da anni — anche se coperto da segreto –

si dispone di un crescente potenziale nucleare,

però fuori controllo, perché inaccessibile

a qualsiasi ispezione?

 

Il silenzio di tutti su questo stato di cose,

a cui si è assoggettato il mio silenzio,

lo sento come opprimente menzogna

e inibizione che prospetta punizioni

appena non se ne tenga conto;

il verdetto «antisemitismo» è d´uso corrente.

Ora però, poiché dal mio paese,

di volta in volta toccato da crimini esclusivi

che non hanno paragone e costretto a giustificarsi,

di nuovo e per puri scopi commerciali, anche se

con lingua svelta la si dichiara «riparazione»,

dovrebbe essere consegnato a Israele

un altro sommergibile, la cui specialità

consiste nel poter dirigere annientanti testate là dove

l´esistenza di un´unica bomba atomica non è provata

ma vuol essere di forza probatoria come spauracchio,

dico quello che deve essere detto.

 

Perché ho taciuto finora?

Perché pensavo che la mia origine,

gravata da una macchia incancellabile,

impedisse di aspettarsi questo dato di fatto

come verità dichiarata dallo Stato d´Israele

al quale sono e voglio restare legato

Perché dico solo adesso,

da vecchio e con l´ultimo inchiostro:

La potenza nucleare di Israele minaccia

la così fragile pace mondiale?

Perché deve essere detto

quello che già domani potrebbe essere troppo tardi;

anche perché noi — come tedeschi con sufficienti colpe a carico –

potremmo diventare fornitori di un crimine

prevedibile, e nessuna delle solite scuse

cancellerebbe la nostra complicità.

 

E lo ammetto: non taccio più

perché dell´ipocrisia dell´Occidente

ne ho fin sopra i capelli; perché è auspicabile

che molti vogliano affrancarsi dal silenzio,

esortino alla rinuncia il promotore

del pericolo riconoscibile e

altrettanto insistano perché

un controllo libero e permanente

del potenziale atomico israeliano

e delle installazioni nucleari iraniane

sia consentito dai governi di entrambi i paesi

tramite un´istanza internazionale.

 

Solo così per tutti, israeliani e palestinesi,

e più ancora, per tutti gli uomini che vivono

ostilmente fianco a fianco in quella

regione occupata dalla follia ci sarà una via d´uscita,

e in fin dei conti anche per noi.

 

(Traduzione di Claudio Groff)

 

 

 

 

 


3. Marco Rovelli: Günter Grass e Israele

in Alfabeta2.it del 21 aprile 2012

 

«Ognuno è l’ebreo di qualcuno, perché i polacchi sono gli ebrei dei tedeschi e dei russi». E se si ritengono i palestinesi delle vittime, e l’unica soluzione al problema arabo-israeliano il principio «due popoli due Stati», allora l’assunto implicito e implicato è che anche i palestinesi sono gli ebrei di Israele. L’affermazione pare netta, chiara. Sin troppo. Schematica, ideologica? Chissà. Oppure leggiamo queste frasi: «Per ogni donna palestinese arrestata, ragazzo ucciso o padre percosso e umiliato, ci sono una donna, un ragazzo, un padre israeliano che dovranno dire di non aver saputo oppure, come già fanno, chiedere con abominevole augurio che quel sangue ricada sui propri discendenti. Mangiano e bevono fin d’ora un cibo contaminato e fingono di non saperlo». Di certo c’è che oggi esse verrebbero senza dubbio tacciate di antisemitismo, sia dai vari Netanyahu che dalle Fiamma Nirenstein di turno.

Un affronto alla memoria delle vittime della Shoah, direbbero. Eppure il primo assunto è di Primo Levi. Il secondo, ancor più netto, di Franco Fortini. Due ebrei.

Oggi antisemita è diventata qualsiasi presa di distanza da Israele, qualsiasi critica, più o meno feroce, alla politica del suo folle governo. Se critichi il governo d’Israele, e il suo sionismo oltranzista, sei automaticamente antisemita. E pensare che ai miei studenti ho sempre detto che una cosa sono gli ebrei, un conto Israele, un altro conto ancora il governo dello Stato d’Israele. Sono costretto oggi a prendere atto del fatto che criticare il governo di Israele equivale in toto a negare lo stesso statuto ontologico degli ebrei.

Ultimo «antisemita» – che per questo si è meritato una esemplare censura – Günter Grass. Che, come è noto, ha scritto una poesia – «Quello che deve essere detto» – che è una poesia civile, di tono brechtiano, contro la vendita a Israele, da parte del governo Merkel, di sei sottomarini che possono sparare missili da crociera, e contro l’aggressiva politica israeliana nei confronti del supposto programma atomico iraniano, che potrebbe causare un conflitto catastrofico, e costituisce la principale minaccia per la pace mondiale.

È l’affermato diritto al decisivo attacco preventivo /

che potrebbe cancellare il popolo iraniano /

soggiogato da un fanfarone e spinto al giubilo /

organizzato:

non è certo tenero Grass con il governo di Teheran, ma ciò non rileva. Il suo attacco alla politica di Israele

in cui da anni — anche se coperto da segreto — /

si dispone di un crescente potenziale nucleare, /

però fuori controllo, perché inaccessibile /

a qualsiasi ispezione

la denuncia della «opprimente menzogna», il suo tono da j’accuse, bastano a renderlo intollerabile. Perché dice ciò che (non) dev’essere detto.

Non è tanto in questione se sia una poesia bella o brutta. Personalmente propendo per la seconda ipotesi. Ma non è stato certo questo il motivo della censura del Die Zeit che ne ha rifiutato la pubblicazione, e del gesto del governo israeliano che lo ha dichiarato «persona non grata» – peraltro in base a una norma che permette di vietare l’ingresso a chi abbia aderito al nazismo. Già, perché Grass nel 2006 rivelò che a sedici anni si era arruolato con convinzione nelle SS. (Chissà, mi viene da pensare, se anche a Ratzinger vieterebbero l’ingresso, dati i suoi trascorsi nella Hitlerjugend). Figuriamoci se questo suo passato non può non essere una terrificante prova a carico di un immarcescibile antisemitismo.

Anche Amos Luzzatto ha parlato di «un vero proclama antiebraico». Su Repubblica, Mario Pirani, in un articolo scritto con la mano sinistra mancando evidentemente di qualsiasi logica argomentativa, ma ripetendo il mantra «chi attacca Israele odia in realtà gli ebrei», si atteggia a psicoanalista e dice che Grass è antisemita ma se ne vergogna. Possiamo parlare di «pensiero unico»? Questo rogo preventivo, questa condanna unanime di «ciò che può essere detto», questo editto unanimemente e spontaneamente rispettato sull’interdetto – è qualcosa che dev’essere ostinatamente rifiutato. Io credo che oggi chi ama gli ebrei debba sfidare quest’interdetto. Bisogna sottrarre il monopolio dell’ebraismo a un governo colonialista che persegue politiche che negano i più elementari diritti umani e mettono a rischio la pace regionale e mondiale.

Come scrisse, ancora, Franco Fortini: «Onoriamo dunque chi resiste nella ragione e continua a distinguere fra politica israeliana ed ebraismo».


P.S. Sul sito di alfabeta2 (www.alfabeta2.it) ho scritto un pezzo sulla poesia di Günter Grass accusata di antisemitismo. Dove invece essa è un atto di accusa contro la politica del governo d’Israele. Oggi chiunque critichi le politiche di quel governo (e non certo gli ebrei!) viene periodicamente accusato di antisemitismo. Tra le altre cose, citavo una frase attribuita a Levi: «Ognuno è ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele» – di cui Domenico Scarpa e Irene Soave sul Sole24 ore avevano dimostrato, a mia insaputa, che Levi non l’aveva mai pronunciata. Internet pone un problema quanto alle fonti: anch’io, che pure sono di formazione storica e le fonti dovrebbero essere un tic mentale, ho creduto a quell’attribuzione, e me ne scuso. La leggi tante volte, e lo dai per scontato. E dopo l’abitudine c’è la fretta, a compiere l’opera. Però l’articolo di Scarpa e Soave che ripristina la verità non trae per me conclusioni corrette. Al contrario di quel che scrivono, il sillogismo la cui conclusione è “i palestinesi sono gli ebrei d’Israele” è pienamente legittimo, confrontando quell’assunto generale con quanto dice in un’intervista da essi stessi citata (i palestinesi sono “vittime” – e “vittime di vicini troppo potenti”) e sapendo appunto che Levi firmò appelli in favore dei palestinesi contro il colonialismo israeliano, e a favore del principio “due popoli due Stati” – proprio quanto è oggi assolutamente intollerabile per il governo israeliano! Insomma, se Levi ha scritto che i polacchi erano stati gli ebrei dei russi, perché non dovrebbe essere parimenti consequenziale – entro la grammatica mentale di Levi – che i palestinesi sono gli ebrei d’Israele? Un altro ebreo, Franco Fortini, scrisse: «Onoriamo dunque chi resiste nella ragione e continua a distinguere fra politica israeliana e ebraismo».
(L’Unità, sabato 21 aprile 2012)

 

 

 

4. Günter Grass: La poesia “Ignominia d’Europa” contro la Merkel

da www. ilpost.it del 26 maggio 2012

A circa due mesi dalla contestata poesia Cosa deve essere detto sul possibile attacco militare di Israele contro l’Iran, lo scrittore tedesco Günter Grass ha scritto un altro poema di 24 versi, in cui critica pesantemente l’Europa per l’atteggiamento che sta avendo nei confronti della Grecia, dove è nata la sua civiltà, dice Grass. Come l’altra volta, la poesia, che si chiama Ignominia d’Europa, è stata pubblicata dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ed è stata tradotta in Italia da Repubblica. Come in Cosa deve essere detto, Grass ha una visione piuttosto pessimistica della crisi greca e del comportamento dell’eurozona nei suoi confronti. I primi sei versi, eloquenti, recitano così:

Prossima al caos, perché non all’altezza dei mercati,
lontana sei dalla Terra che a te prestò la culla

Quello che con l’anima hai cercato e consideravi tuo retaggio,
ora viene tolto di mezzo alla stregua di un rottame.

Messo nudo alla gogna come debitore, soffre un Paese
al quale dover riconoscenza per te era luogo comune.

Grass, ovviamente, attaccando l’Europa attacca anche la Germania, anche se non direttamente. Il suo obbiettivo diventa evidente qualche verso dopo, quando cita il grande poeta tedesco dell’Ottocento Friedrich Hölderlin per mettere in evidenza le contraddizioni della Germania e dell’Europa tutta:

Coloro che, in divisa, con la violenza delle armi funestarono il Paese
ebbro d’isole, tenevano Hölderlin nello zaino.

Paese a stento tollerato, di cui un tempo tollerasti
i colonnelli in veste di alleati.

Grass allude poi ai grossi sacrifici che sono stati chiesti alla Grecia; verso dopo verso cresce la visione apocalittica fino a quando, in un misto di politica europea e filosofia, scrive:

Trangugia, infine, butta giù! gridano i claqueur dei Commissari,
ma Socrate ti restituisce irato il calice colmo fino all’orlo.

E infine, qualche rigo più dopo, la poesia si chiude con questo distico molto pessimista:

Priva di spirito deperirai senza il Paese
il cui spirito, Europa, ti ha inventata.

Due mesi fa, Grass aveva causato molte polemiche per il poema Cosa deve essere detto, in cui criticava duramente la possibilità di un attacco israeliano contro l’Iran, affermando che la politica nucleare israeliana è una minaccia per tutti e che la produzione nucleare dei due paesi dovrebbe essere messa sotto controllo dalla comunità internazionale. L’attacco di Grass aveva subito scatenato dure polemiche in Israele, tanto che era stato dichiarato “persona non grata” dal ministro dell’interno israeliano Eli Yishai, che si era basato su una legge che permette di impedire l’accesso al paese a chi ha aderito al nazismo, cosa che Günter Grass aveva fatto quando aveva 17 anni.

Günter Grass è uno dei più importanti scrittori tedeschi viventi. È nato nel 1927 a Danzica – che all’epoca era “Città libera”, mentre ora fa parte della Polonia – esordì nel 1959 con il romanzo Il tamburo di latta, primo atto di una trilogia dedicata alla città di Danzica che terminò qualche anno più tardi con Gatto e topoAnni di cani. Il culmine della sua carriera fu il conferimento del premio Nobel per la letteratura, nel 1999, mentre l’ultimo suo grande successo è stato, nel 2002, il libro Il passo del gambero.


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