Vincenzo Comito: Gli investimenti cinesi che incontrano ostacoli

| 6 Dicembre 2016 | Comments (0)

 

Diffondiamo da www.sbilanciamoci.info del 6 dicembre 2016 . Dopo Stati uniti, Australia e Gran Bretagna, alla tendenza al freno delle iniziative cinesi si è unita ora anche la Germania, che sembrava in Europa la più aperta agli investimenti del paese asiatico

In un articolo pubblicato qualche tempo fa su questo stesso sito, in data 18 luglio 2016, davamo conto del forte incremento in atto negli investimenti esteri diretti delle imprese cinesi.

Ricordavamo, tra l’altro, come nei primi sei mesi del 2016 essi, secondo stime approssimate, avessero raggiunto i 121 miliardi di euro, contro 105 miliardi per l’intero 2015. Segnalavamo inoltre quali erano i principali settori e i paesi maggiormente interessati al fenomeno e le ragioni di fondo di tale crescita.

In particolare gli investimenti interessavano, da una parte, in particolare, ma non solo, in Asia, il grande progetto della nuova via della seta, mentre dall’altra, nei paesi occidentali, si indirizzavano verso due grandi macroaree: da una parte, il settore delle tecnologie avanzate, soprattutto con l’obiettivo di acquisire know-how al fine di aumentare il livello tecnologico delle proprie produzioni; dall’altra, quello dell’intrattenimento (cinema, calcio, alberghi, turismo, immobiliare), per sostenere l’obiettivo ora prioritario di sviluppo dei consumi interni, per accompagnare poi la forte crescita del turismo estero, nonché infine per conquistare posizioni nel cosiddetto soft power, area nel quale i cinesi soffrono di rilevanti handicap.

Gli investimenti esteri vanno visti anche in relazione ad una strategia di maggiore diversificazione territoriale delle imprese, dal momento che il mercato cinese è ormai sostanzialmente saturo per molte produzioni.

La crescita del fenomeno rientra più in generale in un nuova visione più complessiva dell’internazionalizzazione dell’economia del paese asiatico, che ha gli altri suoi principali pilastri nella messa in campo di diverse grandi banche per lo sviluppo insieme a molti partner esteri, nei paralleli investimenti per la nuova via della seta, certamente enormi, nella spinta progressiva, infine, all’internazionalizzazione e alla convertibilità del renmimbi.

 

Alcuni sviluppi recenti

Dal momento della pubblicazione dell’articolo ad oggi bisogna registrare alcuni importanti sviluppi della questione.

Intanto dei dati più aggiornati e relativi ormai ai primi dieci mesi del 2016 indicano che il trend di forte crescita del fenomeno degli investimenti esteri continua più o meno sulla stessa linea precedente; alla fine di ottobre quelli annunciati avevano in effetti raggiunto i 191 miliardi di euro (Taino, 2016) e tendevano a continuare secondo le linee strategiche precedenti.

Ma nel frattempo è diventata più concreta una minaccia che nel precedente articolo aveva ancora relativamente poco rilievo: quella di un possibile, almeno parziale, blocco di tale ondata di iniziative e non certo per volontà cinese.

In realtà appare ormai chiaro che la gran parte dei paesi occidentali sembrano mostrare una progressiva volontà di quantomeno rallentare il processo. E questo mentre essi tendono ad aumentare i freni alle esportazioni del paese asiatico e questo sotto le più varie ragioni, più o meno fondate.

Avevano nella sostanza già da qualche tempo iniziato l’opera gli Stati Uniti. Il blocco Usa riguarda ormai molte decine di casi. L’ultimo fa riferimento alla potenziale acquisizione da parte cinese della divisione illuminazione di Philips basata negli Stati Uniti.

Ha proseguito nell’ostruzionismo negli scorsi mesi l’Australia, paese nel quale i casi di proibizione sono ormai parecchi, dal settore agricolo, all’agroalimentare, all’immobiliare, al minerario, all’elettrico.

È poi venuto il temporaneo blocco dei progetti nucleari in Gran Bretagna, progetti ai quali partecipa anche la Cina; ora il blocco è stato revocato, ma permangono dubbi su una parte almeno dei possibili sviluppi previsti nel settore in accordo con il precedente governo. Più in generale, la storia d’amore avviatasi tra il governo Cameron e la Cina sembra ormai precocemente tramontata.

Intanto è venuto alla luce il caso Syngenta, la grande impresa chimica svizzera a suo tempo acquisita da un’impresa cinese; ora l’iniziativa è ferma di fronte ai dubbi dell’antitrust europeo e non si conoscono i possibili sbocchi dell’affare.

Così circa 40 miliardi di dollari di investimenti cinesi sono stati annullati in occidente dalla metà del 2015 ad oggi e molte decine di migliaia sono attualmente in forse.

 

Entra in gioco la Germania

Ma la notizia delle ultime settimane è soprattutto quella che alla tendenza al freno delle iniziative cinesi si è unita anche la Germania, che sembrava in Europa la più aperta agli investimenti del paese asiatico.

Così il vice cancelliere tedesco, Sigmar Gabriel, socialdemocratico, ha annunciato che il governo ha bloccato almeno per il momento l’acquisizione da parte cinese del produttore di macchinari per la produzione di chip Aixtron, che sarebbe stato ceduto per circa 600 milioni di euro; all’investimento era già stata data via libera, ma ora si cita il fatto che sono arrivate delle nuove informazioni che mostrano un collegamento con il settore della difesa. Le informazioni, come filtra tra le righe, sono venute, ovviamente, dagli americani. Parallelamente si apprendeva che i tedeschi avevano anche bloccato la probabile acquisizione da parte dei cinesi di Ledvance, un dipartimento di Osram specializzato nell’illuminazione con tecnologia led.

La ragione più frequentemente fornita per tale blocco sono motivi di mancata reciprocità. Si afferma che è molto difficile in effetti acquisire una impresa cinese, in particolare in alcuni settori ristretti, quali media, telecom, servizi legali e finanziari. Inoltre si è veppiù sospettosi per il fatto che una parte consistente delle acquisizioni è stata fatta da imprese statali.

Peraltro bisogna ricordare che Pechino cerca da molto tempo di negoziare un accorso bilaterale sugli investimenti con l’UE. Va inoltre sottolineato che comunque sono installate in Cina 8000 imprese tedesche, per un investimento totale di 60 miliardi di euro; nel settore auto i tre primi costruttori tedeschi controllano il 30% del mercato cinese, mentre la sola Volkswagen vende più del 45% della sua produzione in Cina. Le macchine utensili tedesche hanno invaso tutte le fabbriche cinesi (Escandre, 2016; Boutelet, 2016).

Dietro quindi la facciata ci sono probabilmente altre motivazioni, quali la spinta statunitense a cercare di bloccare la crescita cinese in tutti i modi, nonché l’avvicinarsi della scadenza elettorale in Germania.

Va sottolineato che il capo della camera di commercio e industria tedesca ha paventato il pericolo dell’isolazionismo tedesco e ha ricordato che nessun paese al mondo è così dipendente dai mercati internazionali come la Germania. Anche il gruppo dei consiglieri economici del governo ha manifestato la sua contrarietà alla decisione. Critiche sono state anche avanzate dall’associazione degli industriali. Il presidente della Aixtron ha infine definito la mossa di Gabriel come un colpo alle spalle (Chazan, 2016; Jones, Hornby, 2016).

In ogni caso la Germania sta anche promuovendo un’iniziativa a livello di Unione Europea perché Bruxelles adotti delle regole che limitino l’acquisizione da parte cinese di imprese operanti in settori strategici, specialmente se le imprese del paese asiatico sono legate allo Stato.

 

Le conseguenze della mossa tedesca

I cinesi sembrano essere rimasti molto toccati negativamente dalla mossa tedesca e una recente visita a Pechino di Gabriel è stata piuttosto tempestosa.

Certamente essi cercheranno di far recedere la Germania dal suo atteggiamento, anche offrendo qualche concessione agli stessi ed alludendo forse a qualche possibile ritorsione. Continueranno poi ad investire molto fortemente nei settori nei quali saranno lasciati liberi di farlo, negli Stati Uniti come in Europa e negli altri paesi.

Ma se nel lungo termine la chiusura dovesse persistere e persino aggravarsi, la conseguenza sarà forse quella che i cinesi dovranno ritardare di qualche anno la apparentemente ormai inevitabile conquista del primato o almeno del co-primato tecnologico mondiale, dopo quelli dei commerci e del pil; ma nel frattempo non staranno con le mani in mano e concentreranno ancora di più la loro attenzione su Asia, Africa, America Latina. Assisteremo così all’assedio delle città da parte delle campagne, come preconizzava Mao?

 

Testi citati nell’articolo

-Boutelet C., Pékin prend très mal le revirement de Berlin sur les investissements chinois, Le Monde, 3 novembre 2016

-Chazan G., Chinese snub of minister highlights tensions with Germany, www.ft.com, 3 novembre 2016

-Escande P., Quand l’Allemagne a peur de la Chine, Le Monde, 26 ottobre 2016

-Taino D., Berlino, cari cinesi, non toccate le nostre aziende, Corriereeconomia, 31 ottobre 2016

-Jones C., Hornby L., Economists urge Germany to keep door open to chinese companies, www.ft.com, 2 novembre 2016

 

Category: Economia, Osservatorio Cina, Osservatorio internazionale

About Vincenzo Comito: Vincenzo Comito (1940), ha lavorato per molti anni nell’industria (gruppo Iri, Olivetti) e nel movimento cooperativo, nelle aree dell’amministrazione e finanza, del controllo di gestione e del personale. Da molti anni docente di finanza aziendale prima all’Università Luiss di Roma, attualmente insegna all’Università di Urbino. Fa parte del gruppo “Sbilanciamoci”. Tra i suoi libri: Idee e capitali. Mercati finanziari e decisioni di impresa, Isedi 1994; Idee e capitali. Modelli strumenti e realtà della finanza aziendale, Utet 2002; Storia delle finanza d'impresa. Dalle origini al XVIII secolo, Utet, 2002; Storia della finanza d'impresa. Dal XVIII secolo ad oggi, Utet 2002; L'ultima crisi, la Fiat tra mercato e finanza, L'Ancora del Mediterraneo 2005; Le armi come impresa. Il business militare e il caso Finmeccanica, Edizioni dell'Asino 2009; La fabbrica dei veleni. Il caso Ilva e la crisi della siderurgia (con Riccardo Colombo), Edizioni dell'Asino (marzo 2013)

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