Rossana Rossanda: Codice del lavoro in Francia. Emmanuel Macron e i favori alla proprietà

| 13 Settembre 2017 | Comments (0)

L’ultimo giorno di agosto, Emmanuel Macron ha reso pubblico il suo primo radicale intervento sul codice del lavoro, destinato a modificare in profondità le regole che finora definivano il processo delle assunzioni e dei licenziamenti nelle imprese francesi. Le prime misure divise fra cinque capitoli e trenta provvedimenti riguardano le imprese piccole e medie, considerando tali quelle che hanno meno di cinquanta dipendenti (dimensione che per l’Italia sarebbe già rispettabile).

Si tratta di una misura interessante sotto il profilo politico e quello sindacale: la proprietà potrà decidere il sistema dei rapporti di lavoro assieme a un dipendente, anche non incaricato dal sindacato e non eletto dall’insieme dei salariati, per le aziende “piccole”. Per quelle che superano i cinquanta dipendenti ma non appartengono alle categorie delle grandi imprese, la discussione o trattativa dovrà essere fatta al meno con un delegato del complesso dei salariati. Anche il ricorso ad un eventuale referendum potrà esser preso, per le piccole imprese, dalla proprietà assieme a un dipendente non delegato sindacale ne dell’assemblea di tutti i salariati. Una serie di altri provvedimenti potranno essere discussi con i rappresentati di settore cui l’azienda appartiene.

Il senso politico delle misure, illustrate dal primo ministro Édouard Philippe assieme alla ministra del lavoro Muriel Pénicaud, già imprenditrice, è di fluidificare i rapporti fra proprietà e dipendenti; non ci si può nascondere peraltro che gli stessi vengono privati di qualsiasi difesa sindacale, o almeno assembleare, cui avevano diritto finora. Il governo sostiene che questo sistema rendendo più agevole i licenziamenti faciliterà il ricambio della mano d’opera, contribuendo a sanare il peso della disoccupazione oggi esistente.

Questa tesi è contestata sia dagli economisti che dai sindacati dei salariati, CFDT e Force ouvrière; la CGT ha già reso noto la sua opposizione, che dovrebbe culminare in una grande manifestazione di piazza il 12 settembre. Esso tuttavia non avrà conseguenze sulle decisioni del governo, che, essendo prese per decreto, saranno presentate il 22 settembre diventando immediatamente attive. Alla manifestazione della CGT non parteciperanno gli altri sindacati, soltanto il segretario generale della CFDT, Laurent Berger, ha manifestato la contrarietà della sua organizzazione, ma senza prevedere per ora azioni specifiche di lotta. Force Ouvrière non ha avanzato obbiezioni di fondo. Nei giorni precedenti, un sondaggio d’opinione aveva fatto sapere che la maggioranza dei francesi erano contrari a una revisione di fondo del Codice del lavoro, mentre avrebbe approvato alcune misure meno radicali.

Si tratta comunque di una variazione radicale nei rapporti fra parti sociali, la più consistente misura contro i salariati assunta nel dopoguerra. Prima di deciderla, il Governo aveva preso qualche decina di contatti con le parti sociali nel corso di tutta l’estate e ora afferma che nessuna manifestazione potrà impedirgli di portare a termine il suo progetto.

Esso è preso evidentemente in direzione del settore sociale più sensibile ad uno spostamento in favore della proprietà: non si tratta infatti delle grandi aziende, che sono più distanti dal resto del tessuto sociale, ma di quelle di più modeste dimensioni che sono in comunicazione con la maggior parte del tessuto urbano: le “piccole e medie imprese” costituiscono infatti il 95% delle imprese di tutta la Francia. Il presidente Emmanuel Macron ha annunciato questa sua prima e fin troppo energica misura accompagnando la sua pubblicità con una vasta intervista sul settimana Le Point. Più di venti cartelle nelle quali ne illustra la filosofia ed annuncia più vasti interventi nel corso dell’anno. Il Medef, corrispondente alla nostra Confindustria, ha annunciato per bocca del suo presidente Gattaz il proprio accordo.

A parte la CGT e le secche dichiarazioni di Laurent Berger, la ricezione del progetto di riforma non sembra aver suscitato opposizioni radicali, anche se saranno i prossimi giorni a rendere più chiaro il quadro delle reazioni politiche. Soltanto Jean-Luc Mélenchon si è detto del tutto opposto e intenzionato a far fallire la riforma; è evidente che la divisione dei sindacati giova al governo. Del Partito socialista si è espressa in forma molto critica Martine Aubry, sindaca di Lille. E non ci sono finora neppure movimenti di base che si siano chiaramente manifestati; il 12 settembre la situazione sarà più chiara.

Il governo si è detto deciso a passare oltre le eventuali resistenze; differentemente da gran parte della stampa che sembra d’accordo con il Governo, l’opinione di molti economisti, è che la riforma non avrà conseguenza alcuna sul ritmo della disoccupazione (del resto il presidente Macron si guarda bene dall’affermare il contrario) con l’appoggio di gran parte delle televisioni.

Oltre il panorama sindacale, anche quello politico è in movimento. Dopo il tonfo di François Fillon, la destra ha manifestato l’intenzione di ricostituirsi sotto la presidenza di Laurent Wauquiez, sfidato pero da altri tre candidati fra i quali una donna, Florence Portelli, in competizione con lui. La decisione sulla struttura istituzionale dei Républicains sarà presa i 10 e 17 dicembre – il Partito socialista e il Front National sono invece piena discussione e assai divisi.

Questo articolo è stato scritto per l’ultimo numero dell’Indice e ripreso da Il manifesto Bologna il 13 settembre 2017

Category: Economia, Lavoro e Sindacato, Osservatorio Europa

About Rossana Rossanda: Rossana Rossanda (Pola, 23 aprile 1924) è una giornalista, scrittrice e traduttrice italiana, dirigente del PCI negli anni cinquanta e sessanta e co-fondatrice de il manifesto, giornale con cui ha collaborato fino a novembre 2012. Nacque a Pola nel 1924. Fra il 1937 e il 1940 frequentò il Liceo Classico Manzoni di Milano e anticipò di un anno l'esame di maturità. Fu allieva del filosofo italiano Antonio Banfi, giovanissima partecipò alla Resistenza come partigiana e, al termine della Seconda guerra mondiale, si iscrisse al Partito Comunista Italiano. In breve tempo, grazie anche alla sua profonda cultura, venne nominata da Palmiro Togliatti responsabile della politica culturale del PCI. Nel 1963 venne eletta per la prima volta alla Camera dei deputati. Nel 1968 pubblicò un piccolo saggio, intitolato L'anno degli studenti, in cui affermava la sua adesione al movimento della contestazione giovanile, sviluppatosi proprio in quell'anno. Contraria al socialismo reale dell'Unione Sovietica, insieme a Luigi Pintor, Valentino Parlato e Lucio Magri contribuì alla nascita de il manifesto, che, inizialmente, fu anche un partito, oltre che un quotidiano. Nonostante il parere contrario di Enrico Berlinguer[1], Rossanda fu radiata dal PCI a seguito del XII Congresso nazionale svoltosi a Bologna. Nel 1972 il manifesto partito ottenne solo lo 0,8% dei voti, e, anche a causa della sconfitta elettorale, si unificò con il Partito di Unità Proletaria, cioè con le parti del PSIUP e MPL che non avevano accettato di confluire nel PCI o nel PSI dopo la sconfitta elettorale del 1972, dando vita al PdUP per il Comunismo, di cui fu cofondatrice. Rossana Rossanda ha scritto la sua autobiografia: "La ragazza del secolo scorso", Einaudi, Torino, 2005

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