Luigi Doria: Sui significati dei percorsi recenti dell’innovazione monetaria

| 31 Dicembre 2019 | Comments (0)

                        

 

Luigi Doria è ricercatore a tempo determinato (Rtda) presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati dell’Università Ca’ Foscari Venezia e fellow del Center for the Humanities and Social Change della stessa università. 

L’innovazione in campo monetario sembra occupare un ruolo sempre più rilevante sulla scena socio-economica. Si tratta di un fenomeno poliforme e dai confini ancora incerti che tende, però, oggi ad acquisire sempre maggiore visibilità tanto in ambito accademico, quanto nella sfera delle pratiche finanziarie. Una delle ragioni di questa crescita di rilevanza è costituita certamente dai notevoli sviluppi tecnologici che hanno interessato i campi del credito, della finanza e dei sistemi di pagamento. Il mondo variegato e dinamico del fintech è, infatti, in un importante rapporto sinergico con l’innovazione monetaria. Ma il cambio di passo che quest’ultima sembra conoscere non si limita affatto alla dimensione tecnologica. L’innovazione – lungi dall’essere un mero insieme di esperimenti “eccentrici”, al margine del mainstream – tende infatti a investire con sempre maggiore decisione alcuni nodi teorici ed operativi dell’architettura monetaria contemporanea; essa sembra procedere, per così dire, verso il cuore del sistema. Ciò vuol dire che – lungo un percorso ancora incerto nei suoi esiti e che richiede prudenza analitica e rigore interpretativo – l’innovazione tende a costituirsi come occasione possibile per una riforma monetaria e, al contempo, come stimolo a rinnovare, anche nel dibattito pubblico, la domanda sulla natura stessa della moneta e sulle sue funzioni.

La moneta ha conosciuto, almeno fino a tempi recenti, una condizione peculiare: è, paradossalmente, riconosciuta come fenomeno rilevantissimo, la cui natura, però, non pare degna di una particolare attenzione critica. La natura, le funzioni e il funzionamento della moneta tendono a rimanere sostanzialmente ai margini del dibattito pubblico, come questioni che, al di là della cortina difficilmente penetrabile dei tecnicismi, non paiono destinate a riservare grandi sorprese. Se per l’economics ortodossa la moneta non sembra meritevole di un’interrogazione teorica radicale[1], sulla scena pubblica il tema monetario compare solo in rapporto alla politica monetaria (alle sue scelte, ai suoi indirizzi, ai rapporti con le politiche fiscali) e molto poco, invece, nei termini della domanda su quello che la moneta è e su ciò che la moneta fa nelle economie capitalistiche.

Certo, alcuni eventi a scala internazionale hanno costituito occasioni per una potenziale rivitalizzazione dell’interrogazione sul fenomeno monetario: il riferimento è, naturalmente, innanzitutto all’introduzione dell’Euro e alla grande crisi che una dozzina di anni fa ha cominciato a terremotare gli assetti delle economie mondiali. Il dibattito sul processo di introduzione della moneta unica, sulle sue forme e sui suoi effetti ha certamente portato alcuni aspetti della questione monetaria al centro della scena pubblica; così come, naturalmente, la crisi ha costituto e costituisce un’occasione straordinaria per pensare criticamente il rapporto fra la natura della moneta capitalista e le fondamenta concettuali e operative dei mercati finanziari globali. Lungo i percorsi che la grande crisi ha conosciuto specie in ambito europeo (come crisi finanziaria, crisi economica e occupazionale, crisi dei debiti sovrani, crisi della moneta unica e dello stesso progetto dell’Unione) l’occasione è stata, però, colta solo in maniera parziale. Nonostante non sia possibile in questa sede dilungarsi sull’argomento (che rimane peraltro importante per l’analisi socio-economica), si deve rilevare come il dibattito pubblico sulla crisi si sia prevalentemente concentrato in Europa su alcuni grandi, rilevanti, questioni (come la situazione dei debiti sovrani e le misure di austerity, il senso e le conseguenze dei salvataggi bancari, i rapporti fra economie forti e economie marginali), perdendo spesso di vista il tema delle concezioni di fondo della moneta e del credito che sono alla radice della crisi come crisi del capitalismo contemporaneo.

Uno stimolo a concentrarsi sulla questione della moneta è venuto proprio dagli esperimenti di innovazione che hanno conosciuto una stagione di particolare effervescenza in risposta alla crisi e ai suoi effetti sulle economie nazionali e locali.

Ripercorro qui, molto brevemente e senza alcuna pretesa di esaustività, le principali dimensioni sulle quali l’innovazione monetaria si è sviluppata.

Un primo filone è quello delle cosiddette monete complementari (si veda sul tema Amato e Fantacci, 2014). Diversi progetti sono stati avviati negli ultimi lustri in ambito europeo ed extra-europeo, con l’obiettivo di introdurre (spesso a scala locale) mezzi di scambio complementari alla moneta ufficiale e di ovviare, quindi, agli effetti del monopolio della moneta ufficiale come all purpose money (si veda, con particolare riguardo al caso italiano, Doria e Fantacci, 2015). Si è trattato di iniziative molto diverse per ciò che riguarda la scala, le ambizioni, le caratteristiche dei proponenti e soprattutto il contenuto propriamente monetario (e quindi i modi in cui le nuove monete sono emesse e circolano). Queste nuove currencies[2] (etichettate a volte come monete locali o comunitarie) sono state spesso promosse in rapporto ad alcune specifiche istanze di natura socio-politica; queste ultime hanno a che fare con la reazione ai processi di globalizzazione (si veda, per esempio, Pacione, 1997 e North, 2006), con la promozione di processi di community development (si veda, ad esempio, Williams, 1996), con il contrasto a fenomeni di esclusione sociale (Seyfang, 2002) o con agende di matrice localista o ambientalista.

Lo scenario è molto diverso se concentriamo l’attenzione sull’altro grande versante dell’innovazione monetaria, quello, cioè, che concerne le criptovalute. Il lancio di Bitcoin e il successivo sviluppo di una miriade di critpocurrencies (anche sensibilmente diverse fra loro per concezione e design) ha costituito senza dubbio uno dei fenomeni più rilevanti nel panorama economico degli ultimi anni. La “rivoluzione” bitconiana ha sollevato questioni importanti su una molteplicità di dimensioni diverse: dalle straordinarie implicazioni della blockchain come tecnologia capace di trasformare profondamente i rapporti fra attori socio-economici, ai controversi significati socio-politici delle istanze di de-centralizzazione e disintermediazione che caratterizzano il sogno di una moneta privata, creata, emessa e gestita al di fuori dei canali istituzionali tradizionali.

Ora, il dibattito su entrambi i macro-filoni di innovazione appena menzionati è stato straordinariamente vivace e ricco di stimoli. Se alcuni versanti di quel dibattito hanno fatto segno verso questioni di fondo concernenti la natura e le funzioni della moneta (tornerò sulla questione nel seguito), altri filoni di analisi (forse perfino maggioritari) si sono concentrati su questioni che sono certamente rilevantissime per la comprensione del fenomeno monetario ma che non necessariamente affrontano direttamente la domanda su che cos’è la moneta e sui che cosa la moneta potrebbe essere.

In tema di monete complementari, ad esempio, gran parte del dibattito ha affrontato l’analisi delle nuove monies nella prospettiva di due questioni che il recente revival di studi socio-antropologici sulla moneta ha riportato all’attenzione del dibattito scientifico: la diversificazione del fenomeno monetario e il carattere socialmente costruito di ogni forma monetaria. Lo sviluppo di esperienze diverse di complementarietà monetaria[3] contribuisce al superamento dell’idea della moneta come entità uniforme e come fattore di omogeneizzazione e di standardizzazione delle realtà sociali (si veda sul superamento di quell’idea Zelizer, 1997). In una scena in cui la moneta è shaped o addirittura reinvented dai suoi utilizzatori (si veda Dodd, 2014), le monete complementari sono state analizzate come luoghi in cui emergono forme peculiari di creatività sociale e processi inediti di sperimentazione istituzionale (si veda sul tema Doria e Fantacci, 2018).

Sul versante delle criptocurrencies, invece, una buona parte dell’attenzione critica è stata rivolta verso l’intreccio fra trasformazioni tecnologiche dirompenti e lo sviluppo di una serie di apparati pseudo-ideologici. Da una parte la blockchain si configura come un’infrastruttura tecnologica capace di ridisegnare la forma rete nella dimensione del potere costitutivamente distribuito; i rapporti e gli scambi fra attori socio-economici assumono nella prospettiva della blockchain significati e accezioni tanto rilevanti quanto profondamente controversi. Dall’altra parte, gli utilizzi monetari e non strettamente monetari della blockchain (si pensi, ad esempio, al fenomeno degli smart contract e della smart property) sono circondati da una complessa architettura discorsiva che si muove intorno a un’istanza di disarticolazione delle strutture istituzionali e tematizza nuove realtà socio-economiche o addirittura forme di governance algoritmica[4] di ambiti sempre più ampi del sociale.

Se l’analisi di questo progetto di disarticolazione istituzionale e di ricostruzione informatica dell’economico ha comprensibilmente attirato l’attenzione critica degli studi accademici (si veda su questi temi Amato e Fantacci, 2018), una parte degli sforzi analitici si è concentrata, invece, sulle criptocurrencies (e in particolare sui bitcoin) come asset finanziari particolarmente volatili e sui pericoli correlati.

Le summenzionate linee di argomentazione si sono intersecate con analisi dell’innovazione monetaria che hanno riguardato più direttamente alcune questioni di fondo, aperte e non risolte, sulla natura della moneta. Proprio quelle questioni – come cercherò di argomentare brevemente nella parte finale di questo scritto – tendono, anzi, ad avere un ruolo sempre maggiore nel dibattito sull’innovazione monetaria.

La possibilità di leggere i percorsi dell’innovazione in una prospettiva specificamente centrata sulla questione della natura della moneta e delle sue funzioni è emersa anche rispetto alle monete complementari. Secondo alcuni filoni di ricerca – si veda ad esempio, Doria e Fantacci, 2018 – alcune esperienze di moneta complementare (che sono tra quelle, tra l’altro, che si sono dimostrate più promettenti) meritano di essere lette, anche nelle loro dimensioni sociali, concentrando l’attenzione sul loro contenuto propriamente monetario e quindi sul modo in cui esse indicano in direzione di un certo modo di pensare la moneta. È il caso, in particolare, dei circuiti di mutuo credito, basati sul principio del clearing; quest’ultimo rappresenta un riferimento cruciale in alcune nobili tradizioni di teoria monetaria e il pilastro di progetti di riforma monetaria di grande respiro (sulla Clearing Union di Keynes si veda Amato e Fantacci, 2009).

Da una prospettiva molto diversa, un approccio centrato sulle dimensioni propriamente monetarie si rileva prezioso – sebbene in senso molto diverso dal precedente – anche per una critica del fenomeno dei bitcoin. Nell’analisi condotta da Amato e Fantacci (2018), per esempio, troviamo un’attenzione specifica per le concezioni della moneta che si possono rinvenire nel progetto bitconiano. Quello verso cui quel progetto fa segno è una concezione della moneta che rischia di amplificare e irrigidire alcuni tra gli aspetti più problematici della moneta capitalistica (Ibidem). Ciò che è a tema quindi è il modo in cui la rivoluzione di Bitcoin contribuisce a rinnovare l’interrogazione sulla natura della moneta, proprio nel momento in cui quella rivoluzione si configura come un modo assolutamente discutibile di ovviare alle deficienze del sistema monetario ufficiale.

Se le monete complementari e le criptovalute hanno marcato i percorsi dell’innovazione, è con alcuni recenti sviluppi che quest’ultima tende a configurarsi come un processo che – lungi dal toccare esclusivamente questioni al margine del sistema – investe invece questioni cruciali per la teoria e la politica monetaria.

L’innovazione, infatti, sta prendendo delle strade che – per la dimensione potenziale dei progetti e per gli attori che si muovono attorno ad essa – conducono a mettere in questione (o almeno “costringono” a riaprire il dibattito pubblico) alcuni pilastri del sistema monetario ufficiale.

È il caso del progetto Libra, promosso da Facebook (che in ragione del profilo del proponente sta attirando notevole attenzione critica) ma soprattutto delle proposte concernenti le Central Bank Digital Currencies (CBDC). Il significato innovativo dei progetti di creazione di monete digitali di banca centrale va ben al di là del dato meramente tecnologico, per investire questioni di fondo concernenti la natura della moneta, il processo di emissione, il ruolo delle banche centrali e il loro rapporto con le banche commerciali.

Come ricorda Bjerg (2017, p. 23, corsivi nell’originale):

As CBDC we count deposit liabilities that are electronically registered on the central bank balance sheet. Access to these deposits is universal, which means that they can be held and used by principally all money users in the economy. The central bank issues these liabilities by crediting the accounts of money users. Summing up the issues of ontology, accessibility and supply, CBDC is electronic, universally accessible, central bank issued money.

Si tratta, quindi, di un’innovazione di straordinaria portata che viene da alcuni anni discussa in contesti accademici e nella sfera delle banche centrali; un’innovazione che prefigura non solo nuovi ruoli per le banche centrali stesse ma l’emergenza di una nuova forma monetaria, il cui profilo è tutt’altro che chiaro. Uno dei punti più rilevanti all’attenzione del dibattito scientifico concerne proprio il rapporto dei CBDC con le forme di moneta esistenti nell’attuale sistema bancario: “physical cash (notes and coins), bank money on account and central bank reserve money” (Ibidem, p. 14).

Una nuova forma di moneta potrebbe dunque emergere, al cuore stesso del sistema, mettendosi potenzialmente in competizione con le forme monetarie attorno a cui è costruito l’edificio del sistema monetario ufficiale.

Che cosa sono i CBDC? O meglio, quale concezione della loro natura prevarrà, influenzando il modo in cui le nuove currencies saranno costruite? Come sottolinea ancora Bjerg (Ibidem, p. 26) “It makes a crucial difference for the political discussion about design and implementation, whether we think of CBDC as an elaborate version of cash, an elaborate version of central bank reserve money, or an elaborate version of commercial bank account money”. E, per di più, la questione relativa alla natura dei CBDC è legata al tema che concerne la possibilità che le CBDC stesse complementino o sostituiscano altre forme monetarie (Ibidem).

Ora, ciò che è significativo, è che le suddette questioni possano, a buon titolo, essere affrontate – come fa Bjerg – con riferimento diretto a concezioni di fondo sulla natura della moneta e quindi alle scuole di pensiero sul tema che Bjerg stesso raggruppa nelle classiche categorie[5] della commodity theory, della credit theory e della state theory (si veda sul tema anche Bjerg, 2014).

Ora, non è mia intenzione, in questa sede, discutere questa linea di analisi né ripercorrere il già consistente dibattito sulle CBDC e sui loro aspetti concettuali e operativi. Quello che vorrei segnalare è semplicemente il cambio di scenario concettuale che un simile percorso può produrre con riguardo al senso dell’innovazione monetaria.

La possibile emergenza di una nuova forma monetaria, in grado di giocare un ruolo cruciale in una nuova architettura complessiva del sistema, chiama in causa prospettive teoriche di fondo, che a loro volta sono interne a un dibattito secolare che è arrivato fino ad oggi come un dibattito peculiarmente aperto.

Se l’economics ortodossa tende a considerare le questioni ontologiche come questioni ben poco rilevanti per il funzionamento dell’apparato tecnico-scientifico che governa il sistema monetario, alcune domande fondamentali (che cosa è moneta, che cosa è la moneta, chi emette la moneta, che funzioni ha la moneta) emergono oggi in una veste del tutto peculiare; quelle domande – che già le monete complementari e le cryptocurrencies avevano contribuito a riportare in voga – appaiono infatti connesse per via direttissima al disegno di percorsi di riforma concreti e potenzialmente rilevantissimi.

Ciò configura una situazione particolarmente fluida, incerta, aperta[6]; una situazione, per così dire, di fibrillazione, potenzialmente feconda, ma anche naturalmente rischiosa. A fronte di un simile scenario, il compito, a mio avviso, è quello di mantenere rigore analitico nel giudizio fra percorsi di innovazione molteplici (e potenzialmente molto diversi sul piano concettuale) e, al contempo, quello di cogliere un’occasione preziosa per il rinnovamento della domanda sulla moneta come domanda viva e ineludibile.

Riferimenti bibliografici

Amato, M. e Fantacci, L. (2009) Fine della finanza. Da dove viene la crisi e come si può pensare di uscirne, Donzelli, Roma.

Amato, M. e Fantacci, L. (2014) Che cos’è la moneta complementare?, E-book, Bruno Mondadori, Milano.

Amato, M. e Fantacci, L. (2018) Per un pugno di Bitcoin. Rischi e opportunità delle monete virtuali, seconda edizione, Università Bocconi Editore, Milano.

Bjerg, O. (2014) Making Money – The Philosophy of Crisis Capitalism. Verso: London

Bjerg, O. (2017) Designing New Money – The Policy Trilemma of Central Bank Digital Currency, CBS Working Paper, June, Electronic copy available at: https://ssrn.com/abstract=2985381 (ultimo accesso 31 dicembre 2019).

Dodd, N. (2014) The Social Life of Money. Princeton University Press, Princeton, NJ.

Doria L. (2016) Note su alcuni piani di analisi sociologica in tema di monete complementari, pubblicato su inchiestaonline, 31 dicembre, https://www.inchiestaonline.it/economia/luigi-doria-note-su-alcuni-piani-di-analisi-sociologica-in-tema-di-monete-complementari/ (ultimo accesso 31 dicembre 2019).

Doria, L. e Fantacci, L. (2015) “Le monete complementari in Italia: situazione e prospettive”, Inchiesta, ottobre-dicembre, 79-88.

Doria, L. e Fantacci, L. (2018) “Evaluating complementary currencies: from the assessment of multiple social qualities to the discovery of a unique monetary sociality”, Quality & Quantity, 52(3): 1291–1314.

Ingham, G. (2016) La natura della moneta, Fazi Editore, Roma.

Ingham, G., Coutts, K. e Konzelmann, S. (2016) “Introduction: ‘cranks’ and ‘brave heretics’: rethinking money and banking after the Great Financial Crisis”, Cambridge Journal of Economics, 40, 1247–1257.

North, P. (2006) Alternative Currency Movements as a Challenge to Globalisation? A Case Study of Manchester’s Local Currency Networks, Ashgate Publishing Limited and Ashgate Publishing Company (Economic Geography Series), Aldershot, UK & Burlington, Vermont.

Pacione, M. (1997) “Local exchange trading systems as a response to the globalisation of capitalism” Urban Stud. 34(8): 1179-1199.

Schumpeter, J. (1994 [1954]) A History of Economic Analysis, Routledge: London.

Seyfang, G.     (2002) “Tackling        social   exclusion         with community         currencies: Learning    from    LETS  to        time     Banks”, International  Journal            of        Community     Currency         Research, Vol 6.

Williams, C. C. (1996) “Local Currencies And Community Development: An Evaluation Of Green Dollar Exchanges In New Zealand”, Community Development Journal Vol. 31, No 4, pp 319 – 329.

Zelizer, V.A. (1997) The Social Meaning of Money, Princeton University Press, Princeton.

Zelizer, V. A. (2011) Economic Lives. How Culture Shapes the Economy, Princeton University Press, Princeton.

Zook, M. A. e Blankenship J. (2018), “New spaces of disruption? The failures of Bitcoin and the rhetorical power of algorithmic governance”, Geoforum, Volume 96: 248-255.

NOTE

[1] Per una critica della concezione economica ortodossa della moneta come velo neutro steso sopra il funzionamento dell’economia reale, si veda Ingham (2016). Come sottolineano Ingham, G., Coutts, K. e Konzelmann, S. (2016, p. 1247) “Only when money is “disordered” does it have any significance for the proponents of orthodox “real” analysis (Schumpeter 1994 [1954]: 277)”.

[2] Ho descritto alcuni piani di analisi sociologica in tema di monete complementari in Doria (2016).

[3] Su temi connessi all’interpretazione dell’innovazione monetaria si veda Zelizer (2011).

[4] Per una lettura critica di alcuni aspetti della governance algoritmica si veda Zook e Blankenship (2018).

[5] Teorie che Bjerg (2017) associa a tre prospettive che coesistono nei discorsi contemporanei sulla moneta, rispettivamente le prospettive del money user, del money manager e del money maker.

[6] A giudizio di Bjerg, la questione relativa alle CBDC ha a che fare con l’emergenza di questioni di monetary politics. “If we think of monetary policy as incremental adjustments to continuously calibrate an existing system, the question of CBDC should be conceived as a matter of monetary politics. Policy is a plan to achieve certain predefined ends. Politics is the discussion, decision and thus definition of these ends” (Bjerg, 2017, pp. 10-11, corsivi nell’originale)

Category: Economia, Economia solidale, cooperativa, terzo settore

About Luigi Doria: Luigi Doria, oltre che di monete complementari – tema sul quale ha insegnato nel 2016 come visting faculty member all’International University College di Torno –, si è prevalentemente occupato dei rapporti fra la nozione di qualità e i processi di calcolo e di dinamiche e politiche territoriali. In passato è stato, tra l’altro, assegnista di ricerca presso l’Università IUAV di Venezia, fellow presso l’Institut d’Etudes Avancées di Nantes, ricercatore a tempo determinato presso il CNRS-Centre Maurice Halbwachs (CNRS-EHESS-ENS) di Parigi e docente a contratto presso l’Università Bocconi di Milano e presso l’Università della Calabria.

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