John Kenneth Galbraith : Tre interviste su Disuguaglianza e instabilità

 

 

 

Tre interviste all’economista James Kenneth Galbraith fatte da Paul Jay, Senior Editor della The Real News Network. Le interviste sono  state   tradotte da Luca Pezzotta e pubblicate il 3 giugno 2013 nel sito www.economia5stelle.it

 

1. Prima intervista

Paul Jay: Benvenuti a The Real News Network. Sono Paul Jay a Washington. La disuguaglianza non è solo ingiusta. E’ strettamente connessa con la finanziarizzazione dell’economia globale, e l’alta disuguaglianza è strettamente collegata con l’instabilità e le crisi dell’economia. Beh, è un genere di fatto conosciuto, ma nessuno guarda veramente i dati, e questo non è nemmeno stato oggetto di grande dibattito. Ora, con noi c’è una persona che ha preso in esame i dati ed ha un nuovo libro su questo, è James K. Galbraith. James è un professore che insegna economia alla LBJ School of Public Affairs presso l’Università del Texas, Austin. E oggi parleremo del suo ultimo libro: “Disuguaglianza e Instabilità”. Quel libro si fonda su un sacco di ricerche basate su un progetto, l’Università del Texas Inequality Project, che James dirige. Grazie per stare con noi ancora una volta, James.

James K. Galbraith: Il piacere è mio.

 

JAY: Allora, qual è la tesi di fondo del libro, e perché è importante?

GALBRAITH: Il libro è costruito su un nuovo corpus di informazioni, o insieme di informazioni, da cui siamo stati in grado di misurare il movimento della disuguaglianza negli Stati Uniti, ed in generale in tutto il mondo, in un periodo di circa 40 anni. Procedendo così, siamo stati in grado di fare, molto più da vicino -credo – il confronto più attento possibile, rispetto al passato, tra la disuguaglianza economica così come la si misura e gli altri fattori che sono noti per mandare avanti l’economia. E la scoperta fondamentale, quella che tu hai menzionato, è che il movimento della disuguaglianza è stato strettamente associato, negli Stati Uniti e ovunque, con la finanziarizzazione delle economie del mondo, e con l’aumento della quota di reddito nel settore finanziario e nei settori favoriti dal settore finanziario; vale a dire, nei settori finanziati da capitale di rischio e di flussi di credito. E così quello che vediamo, è un fenomeno in cui la disuguaglianza diventa una misura della dipendenza della crescita economica dalla finanza, e quindi dalla instabilità della finanza.

 

JAY: Quindi, se definiamo la disuguaglianza, stiamo parlando della differenza, o il rapporto, tra l’importo del reddito al livello superiore, in contrasto con quello della maggioranza?

GALBRAITH: No. La definizione di disuguaglianza è in questo caso molto generale. È una misura della dispersione del reddito, così da ampiamente misurare la differenza tra quelli che sono in basso e quelli in alto. Ma il nostro “oggetto” è quello di catturare il movimento dell’intera distribuzione dei redditi. Quindi, coloro che sono in mezzo al gioco hanno anche un ruolo importante nella misura, ed è fondamentalmente, nella misura che si sta prendendo, l’equilibrio tra il centro e gli estremi.

 

JAY: E nel tuo libro ricordi che uno degli indicatori, se non la forza motrice, della disuguaglianza è molto collegato al mercato azionario. Spiega questo.

GALBRAITH: Negli Stati Uniti, la misurazione della disuguaglianza, o la misura di disuguaglianza, entrambe nei dati tradizionali e ufficiali che vengono prodotti dal Dipartimento del Commercio, è la misura molto conosciuta della disparità di reddito e di altre misurazioni nelle quali abbiamo calcolato l’entità della disuguaglianza tra i redditi medi delle contee nel paese – molto, molto strettamente associati con il movimento del mercato azionario, in particolare il Nasdaq nel periodo del 2000 – dagli anni ‘90 al 2000, e poi di nuovo fino al 2003-2004. E in questo si riflette l’importanza molto elevata dei redditi guadagnati dalle plusvalenze, dalle stock options, dalle realizzazioni e dagli stipendi pagati come IPO ad un numero molto ristretto di persone nei settori strategici, nel settore della tecnologia dell’informazione, nel settore software, e nella finanza. E si scopre che rimuovendo quei settori dal campione, e stimando come le cose sarebbero state senza quelli, l’aumento della disuguaglianza sarebbe molto inferiore rispetto a quanto effettivamente osservato.

 

JAY: Per quanto riguarda i difensori del settore finanziario, se si vuole, in sostanza la loro tesi dal 1980 in poi, anche prima, ma in particolare durante la presidenza Reagan, era che l’alta marea solleva tutte le barche, e questa disparità di reddito, se fa così bene a chi tira le fila, al resto della popolazione fa pure meglio. E vi segnalo che ci può essere qualcosa di vero, ma c’è un ma. Quale è?

GALBRAITH: Già. Quindi non vi è una grande quantità di verità. Dopo il 1980, è successo che la crescita dell’economia è diventata dipendente dalla rapida espansione del credito, mai come era stata prima. E che la rapida espansione del credito è stata associata a questo grande aumento nella disuguaglianza dei redditi. Ma al tempo stesso, c’era la crescita economica come la intendiamo noi. Questo ha prodotto l’aumento dell’occupazione, la riduzione della disoccupazione, e ha ridotto la povertà, così quando si guarda a quello che stava succedendo alla popolazione attiva, il periodo, ovviamente, alla fine degli anni ‘90 e fino al 2000, fu un periodo prospero. E’ stato un periodo in cui il tasso di povertà è sceso e pure il tasso di disoccupazione è sceso, questo, di nuovo, non sorprende. Il problema qui è che questa crescita e la prosperità sono state costruite su un fondamento che non si può sopportare e che non può durare. Si è conclusa nel 2000 e non è mai stata restaurata sulla stessa base che esisteva prima.

 

JAY: Voglio dire, credo che parte del problema sia che l’alta marea può sollevare tutte le barche in una certa misura, ma quando arriva la tempesta, non affondano tutte allo stesso modo.

GALBRAITH: Questo è assolutamente corretto. Questo è un bel modo di metterla.

 

JAY: Quindi cerchiamo di tornare indietro, allora. Come siamo arrivati qui? E torniamo al tuo libro dove si ricorda che nel 1969 c’era, se vogliamo, la disuguaglianza più bassa del dopoguerra in America. Quindi, parliamo un po’ di quel periodo, e poi andiamo avanti da lì.

GALBRAITH: Okay. Il periodo dal 1945 al 1969, che ora è considerato come una sorta di un periodo d’oro sia negli Stati Uniti che in Europa, è stato un periodo di crescita relativamente stabile, in gran parte sostenuto dalla crescita dei salari, e abbastanza ampiamente distribuito, in modo che la distribuzione del reddito è diventata via via più compressa in questo periodo. Le disuguaglianza diminuisce attraverso tutto il 1970. Poi è successo che abbiamo avuto, inizialmente, una serie di interventi politici volti a combattere l’inflazione alla fine degli anni sessanta, che hanno prodotto recessione nel 1970. Abbiamo avuto una grande quantità di disordini internazionali e di nuovi interventi che hanno prodotto una recessione più profonda nel 1974-75, un’altra nel 1979, e ancora nel 1981-82. Dopo aver avuto questa serie di interruzioni, la struttura industriale degli Stati Uniti è stata modificata in modo essenziale – molto danneggiata – ed è stata avviata la crescita degli anni ottanta su una base molto diversa, una base che è stata guidata dalla finanziarizzazione , per l’estensione del credito, in misura sostanziale, ed estendendo credito solo a un numero molto limitato di industrie ad alto livello, esportatori di high-technology, per esempio, industrie che hanno fornito prodotti e servizi sofisticati al resto del mondo, ma che non hanno ancora creato un grande quantità di posti di lavoro; e questo è stato molto concentrato in piccole parti del paese. E così a causa di ciò, le basi per l’espansione economica globale dopo il 1980 erano molto meno equilibrate ed egualitarie di quanto avvenuto prima.

 

JAY: Sì, fai notare nel libro che i vantaggi di questo periodo di crescita – non riesco a ricordare l’esatto numero – erano qualcosa come il 50 per cento di qualche numero che si trova nella zona di New York e nella Silicon Valley in California?

GALBRAITH: Se si misura la disuguaglianza tra contee, che è solo uno dei modi per farlo, quello che si trova è che se si prendono solo cinque contee dal mix tra la fine degli anni novanta – e quelle cinque sono Manhattan / New York, New Jersey; King County, Washington; e tre contee nel nord della California, nella Silicon Valley le contee di San Mateo, Santa Clara e San Francisco – si perde la metà della crescita della disuguaglianza; la metà misurata come ho appena descritto. Quindi è un effetto molto significativo, e si vede molto chiaramente facendo un piccolo esercizio di storia alternativa.

 

JAY: Quindi parlarci ancora un po’ del processo di finanziarizzazione dell’economia globale che va avanti dal ’69 e che cosa significa in termini di disuguaglianza.

GALBRAITH: Nel dopoguerra, dal 1945 fino al 1971, il mondo è stato governato finanziariamente da una serie di istituzioni internazionali, le cosiddette istituzioni di Bretton Woods, il cui scopo era quello di stabilizzare le cose e di fornire ai singoli paesi un margine di manovra per condurre le loro proprio politiche economiche ed in un certo senso per progettare il loro futuro. Questo è stato spazzato via negli anni settanta. Negli anni ‘80, quando la crescita negli Stati Uniti riprese, quello che successe, fu una affermazione molto forte del primato delle banche americane ed europee nell’economia mondiale e nella politica monetaria, in particolare degli Stati Uniti, sulle condizioni della finanza globale. E la cosa, che si mostra molto chiaramente nei dati, è che si inizia ad avere un vasto co-movimento in tutto il mondo, di una contemporanea crescente disuguaglianza, altamente coordinata, da sembrare essere, abbastanza chiaramente, la conseguenza degli uragani finanziari che stanno diffondendosi in tutto il mondo in questo momento – la crisi del debito nel 1980 in America Latina, le crisi finanziarie che hanno contribuito al crollo dell’Unione Sovietica e del suo impero alla fine del 1980, e che ha colpito l’Asia orientale nel 1990. In modo da avere [incompr.] tipo delle onde o delle forze che spingono in alto la disuguaglianza in tutto il mondo.

 

JAY: Così durante gli anni ‘90, sotto l’amministrazione Clinton, il potere del capitale finanziario si esprime davvero politicamente. Si comincia a vedere un dipanarsi di alcuni regolamenti che erano – in qualche modo avevano mitigato il ruolo della finanza. Che cosa è successo in quel periodo?

GALBRAITH: Per divagare in economia politica per un secondo, una delle cose che accade è che la definizione delle politiche finanziarie è presa molti gradi sopra – con accordi ancora più grandi di quanto non fosse vero prima – dai banchieri stessi. Ed in modo da avere una sorta di concentrazione di accesso alle posizioni politiche, di ambienti che sono strettamente allineati con l’industria. Il potere di lobbying al Congresso aumenta notevolmente in questo periodo. E’ stato molto più alto negli anni ‘80, diciamo, nei comitati bancari della Camera e del Senato, di quanto era negli anni ’70, quando ho iniziato la mia carriera nello staff del House Banking Committee. Durante l’amministrazione Clinton, voglio dire, abbiamo avuto figure molto potenti che dominarono il Tesoro e la Casa Bianca, che erano molto determinate sia a ridurre la regolamentazione del settore finanziario, sia ad eliminare le norme che erano state messe in atto per proteggere gli investitori all’inizio del New Deal e per ampliare l’accesso che le istituzioni finanziarie americane avevano nei mercati d’oltremare. E l’amministrazione Clinton perseguì entrambi questi ordini del giorno, producendo nel 1999, l’abrogazione del Glass-Steagall, e nel 2000, alla fine del suo mandato il Commodity Futures Modernization Act, che ha aperto una via, prima chiusa, alla proliferazione e alla diffusione dei credit default swap, i derivati che il signor Buffett ha descritto come armi finanziarie di distruzione di massa.

 

JAY: Quindi questa crescente euforia intorno alla finanza, e la finanza farà tutti ricchi – come abbiamo detto all’inizio del colloquio, in una certa misura lo ha fatto. Vi è anche una parte di benefici per classe operaia, da queste bolle e dal fatto che ci sono così tanti soldi in giro. Vi è di certo un effetto stimolante per l’economia. Ma come fai notare, non è sostenibile. E arriva l’amministrazione Bush. Così nella prossima parte della nostra intervista a James Galbraith, parleremo della storia negli anni 2000. Grazie per aver partecipato, James.

GALBRAITH: Il piacere è mio.

 

 

2. Seconda intervista

Paul Jay: Bentornati a The Real News Network. Sono Paul Jay a Washington. Nel nuovo libro del professor James K. Galbraith, “Disuguaglianza e instabilità”, scrive quanto segue: “Il problema di fronte alla nuova amministrazione di George W. Bush, nel gennaio 2001 è stato quindi duplice. Esternamente, c’era solo una portata residua per l’estrazione di capitali dal resto del mondo. Inoltre ogni regione aperta alla crisi, con le possibili eccezioni di Cina e l’India, ne aveva già avuta una. Che fare? ”

Un poco più avanti, egli scrive: “Una opzione è stata quella di favorire la crescita della domanda nel mondo della rimanente classe solvibile: i proprietari di case americani. La necessità di crescita su scala richiede nuovi mercati , e questi sono stati trovati solo tra i debitori che non avevano precedentemente usufruito di mutui ipotecari”

Ora è qui con noi per parlare ancora del suo libro – e dico ulteriormente, perché se non avete guardato la prima parte del colloquio, dovreste, poi guarderete la seconda parte – è James K. Galbraith. Il professor Galbraith insegna economia alla LBJ School of Public Affairs presso l’Università del Texas a Austin. E’ autore del libro “Lo Stato predatore”. E come ho già detto, stiamo parlando di suo ultimo libro, “Disuguaglianza e instabilità”. Grazie di essere con noi ancora una volta, James.

James K. Galbraith: Sempre un piacere.

 

JAY: Quindi riprendiamo la storia. Il presidente Bush sale al potere. E che cosa succede dopo?

GALBRAITH: George W. Bush divenne presidente in un momento in cui la recessione era già sostanzialmente in atto a seguito del crollo del settore tecnologico, il Nasdaq, nella primavera del 2000, e aveva di fronte il problema di come soddisfare le aspettative per la crescita economica, di come ridurre la portata di tali eventi. Naturalmente ci sono stati molteplici aspetti nella strategia. I tagli fiscali hanno svolto un ruolo nella prima parte dell’amministrazione Bush. Dopo gli attacchi dell’11 /9, i tassi di interesse sono stati ridotti ed i consumatori sono stati invitati a uscire e comprare a credito. Poi, più avanti nel decennio, la spesa militare è cresciuta molto rapidamente, ed in particolare all’inizio della guerra in Iraq. Ma tutte queste cose non sarebbero state sufficienti per realizzare un forte ritorno in termini di crescita economica o in termini occupazionali.

 

JAY: Ho pensato che ci fosse un punto molto interessante nel libro in cui si parlava di come le spese militari per le guerre in Afghanistan/Iraq, hanno creato un po’ di stimolo, ma principalmente nella zona di Washington, e che in realtà non hanno avuto gli effetti nazionali che, si sa, da questo tipo di spesa militare ci si sarebbe potuti aspettare.

GALBRAITH: Beh, ha avuto un effetto sproporzionato sulle contee appena fuori di Washington, sì, non c’è dubbio su questo. Proprio come il precedente ciclo di espansione aveva colpito un piccolo numero di contee in California, stato di Washington, nell’amministrazione Bush questi erano i luoghi più fortemente influenzati dalle attività militari.

 

JAY: Quindi dici che il tipo di capitale che potrebbe essere, sai, in modo relativamente semplice estratto o estratto internazionale ha raggiunto una specie di punto nel quale non c’era molto di più da spremere, così adesso bisogna trovare un modo di farlo sul mercato interno. Che cosa fanno?

GALBRAITH: Questa volta si è cominciata a vedere, in cima alla deregolamentazione che si era già verificata, un’aggressiva de-vigilanza del settore finanziario. E ci sono stati una serie di cose molto specifiche che sono successe. Subito dopo l’11 settembre, 500 agenti dell’FBI che avevano lavorato sulla frode finanziaria sono stati spostati alla lotta contro il terrorismo, questo era comprensibile, ma non sono mai stati sostituiti. In modo che la funzionalità e la capacità sono state drasticamente ridotte. Nel 2003, il capo dell’Office of Thrift Supervision ha inviato un segnale molto chiaro, un segnale famoso per l’industria circa l’applicazione di sottoscrizioni standard, tenendo una conferenza stampa che si è caratterizzata per una serie di regolamenti federali e una…motosega. Ed abbiamo avuto così persone amiche dell’industria che sono state preposte praticamente a tutte le istituzioni di regolamentazione finanziaria, e alla Federal Reserve, Alan Greenspan, che era, notoriamente, filosoficamente contrario alla efficacia dei controlli federali nel settore bancario. Quindi, tutto questo ha portato ad un ambiente in cui ci poteva essere una crescita molto rapida dei prestiti alle famiglie, che erano state debitrici molto discutibili, e dove quelli che “originavano” i prestiti, i mutui, sapevano che avevano a che fare con mutuatari che avrebbero dovuto rinegoziare il loro prestito dopo pochi anni o avrebbero sofferto un default molto probabile. Quindi avevamo, in sostanza, il denaro che scorreva nell’economia in un modo nel quale era praticamente certo tornasse, e poi mordesse l’economia passati pochi anni. E questo è stato il fenomeno fondamentale che ha portato alla crisi finanziaria iniziata nel 2007.

 

JAY: Così la spinta della finanza per creare più debito come un modo, in primo luogo, per fare soldi, è opposta a quella di altri investimenti nell’economia produttiva, perché? Perché c’è questo – sono più interessati alla creazione di questo shanghai di mutui piuttosto che mettere tutto questo investimento di capitali in una sorta di vera e propria economia reale?

GALBRAITH: Beh, penso che i finanzieri prendano le loro opportunità dove le trovano. E parte del lavoro del settore pubblico è quello di limitare l’estensione di quelle opportunità agli scopi che sono in armonia con il più grande benessere del paese, con il bene pubblico. E quello che è successo in questo periodo è che tale prospettiva, che è la funzione fondamentale della regolamentazione, è praticamente scomparsa. Si è semplicemente rilassata, e, di nuovo, per due scopi. Il primo, come ho già detto, perché si ha una illusione di bene, hai la crescita e l’illusione della prosperità come risultato del rilascio di tutto questo debito, e l’economia ha continuato ad espandersi più a lungo di quanto sarebbe stato altrimenti. L’altra è che si a che fare con gli alleati politici dell’amministrazione in carica, ed erano [incompr.] I loro amici sono stati messi negli uffici e il loro sostegno è stato fondamentale per la base di potere di quel governo particolare. Quindi le due cose stanno lavorando insieme, obiettivi economici e politici, in un modo molto complementare.

 

JAY: Ora, uno dei temi di fondo di questo periodo, anche negli anni ’90, ma soprattutto dopo il 2000, è il fatto che i salari dei lavoratori americani sono relativamente stagnanti e non crescono con questo aumento della produttività e queste bolle tanto quanto le persone avrebbero pensato, la ragione di questo, ci è stato detto, è la concorrenza globale per i salari, che la globalizzazione sta davvero guidando verso il basso i salari negli Stati Uniti, e non c’è molto che possiamo fare al riguardo. Ma tu disputi/critichi questa idea nel libro. Qual è il tuo punto su questo?

GALBRAITH: Un paio di cose. La prima è che quando si guarda alla scala del settore manifatturiero, ciò che resta del settore manifatturiero negli Stati Uniti, che è abbastanza poco, è difficile capire come lo spostamento di posti di lavoro stia avendo un effetto drammatico sul grande corpo della popolazione attiva americana che non è semplicemente più nella produzione del tutto. La maggior parte degli americani lavora in quello che noi chiamiamo il settore dei servizi, e non sono posti di lavoro che stanno per essere esternalizzati, perché devono essere svolti all’interno del paese. Ed una seconda cosa ha a che fare con il cambiamento della struttura della forza lavoro americana. Come diventa più giovane, come diventa meno minoritaria, come diventa più femminile, come diventa – come gli immigrati portino una quota maggiore di posti di lavoro, allora ciò che sta per accadere è che questo concetto che noi chiamiamo la mediana, il lavoratore medio , si sposta in direzione di un dipendente pagato poco in ogni caso. E la quota, diciamo, di anziani maschi bianchi nella popolazione lavoratrice americana è diminuita drasticamente durante gli anni ‘80, mentre la quota delle donne, la quota delle minoranze, la quota di immigrati tutte si alzarono. Ecco, questo è un fenomeno che credo debba essere integrato nella nostra comprensione del perché questa misura globale, che noi chiamiamo il salario mediano, è rimasta piatta per così tanto tempo.

 

JAY: E il tuo punto – si dice nel libro – lo cito, è: “Nello studio della disuguaglianza globale, le tendenze e i modelli comuni emergono con grande chiarezza e persistenza. Questo solo fatto dimostra che le forze dominanti che influenzano la distribuzione della retribuzione (e quindi reddito) in tutto il mondo sono sistematiche e macroeconomiche.”Che cosa vuoi dire con questo?

GALBRAITH: Una delle cose che abbiamo fatto e che non era mai stata fatta prima fu quella di costruire praticamente in tutto il mondo una serie di misure di disuguaglianza economica. E abbiamo usato insiemi di dati che erano stati disponibili per un tempo lungo e di buona qualità, ma che non era mai stati adattati a questo scopo. Questa era una cosa che i team di studenti laureati potevano compiere. Poi si guardano i dati e si guarda in tutti i paesi del mondo per i quali abbiamo dati, e vi chiedo: vanno i loro movimenti di disuguaglianza in varie direzioni diverse a seconda della politica nazionale? O c’è un modello comune? E la risposta alla domanda è molto chiara. Vi è un modello molto forte e comune. In realtà abbiamo, diciamo, quattro elementi principali. Negli anni ’60 la tendenza è relativamente piatta e non vi è divergenza-diversità dei movimenti. Negli anni ‘70, la disuguaglianza tende a diminuire, il che riflette l’aumento dei prezzi delle materie prime, tassi di interesse bassi, la rapida crescita del debito, in tutto il mondo in via di sviluppo. A partire dagli anni ‘80 e per 20 anni, c’è un enorme aumento delle disuguaglianze, e questo è il movimento dominante nei dati. E riflette l’aumento dei tassi di interesse, la crisi del debito, e i mutamenti politici che si sono verificati durante questi 20 anni. Con un picco nel 2000-2001.

 

JAY: E – solo per saltare un po’ – mentre per alcuni lavoratori americani, o altre persone ordinarie si possono avere benefici in una certa misura per questo, per i poveri in America, ma soprattutto al di fuori dell’America, in America Latina e in altri luoghi, è stato un disastro.

GALBRAITH: Quello che abbiamo fatto negli anni ‘80 è stato di esportare una grande quantità di sistemazioni, una grande quantità di sofferenza, in altri paesi del mondo, e in particolare nei paesi in America Latina e in Africa, che si erano fortemente indebitati e che erano molto dipendenti dagli elevati prezzi delle materie prime. E i tassi di interesse sono saliti, ed i loro prezzi all’esportazione crollati, e sono stati in guai molto profondi per venti anni. E così abbiamo avuto enormi problemi, con povertà di massa, con lo spopolamento di qualche luogo, a causa dello stress che le forze dell’economia mondiale hanno messo in questi paesi.

 

JAY: E nel libro dici che queste sono state politiche volute. Questo non è successo.

GALBRAITH: Certamente sono state politiche deliberate. Credo che queste politiche siano state costruite principalmente in vista dei loro effetti negli Stati Uniti. Ci fu nei primi anni ’80 un forte sforzo per rompere i sindacati americani. Ma le conseguenze di questo si sono fatte sentire a livello internazionale, forse ancora più forte di quanto non si siano fatte sentire in casa.

 

JAY: E un massiccio trasferimento di ricchezza, quando i tassi di interesse stavano raggiungendo il 19/20 per cento, dall’America Latina fino alle banche americane.

GALBRAITH: Per un breve periodo di tempo, un massiccio trasferimento di ricchezza, fino a diventare impossibile da pagare. E poi quello che abbiamo avuto fu una depressione generalizzata.

 

JAY: Così abbiamo una situazione in cui la finanza, relativamente libera, ha una sorta di periodo “bolla dopo bolla”; presentati come giorni di gloria; certo che una parte di quello sgocciolerà; come fai notare nel libro, del tutto insostenibile, e che conduce al crisi del 2008. E i tuoi dati, sembrano mostrare (nel nostro segmento successivo parleremo di questo) che i paesi nelle cui economie ci sono meno disuguaglianze hanno meno instabilità. Quindi stiamo andando a parlare di questo nel segmento successivo della nostra intervista con James K. Galbraith su The Real News Network. Grazie per averci seguito, James.

 

 

 

3. Terza intervista

 

Paul Jay: benvenuti a The Real News Network. Sono Paul Jay. E bentornati alla nostra serie di interviste con James K. Galbraith sul suo nuovo libro, “Disuguaglianza e instabilità”. Grazie per stare con noi ancora una volta, James.

James K. Galbraith: é un piacere tornare.

 

JAY: E tanto per ricordare a tutti; James insegna alla LBJ School of Public Affairs presso l’Università del Texas, dove è docente di economia. Così, James, andiamo avanti. E di nuovo ricordo a tutti che si dovrebbero vedere le parti precedenti di questa intervista, se non le avete ancora viste, e poi si arriva fino a qui, perché stiamo andando in ordine cronologico. Ci sono paesi con meno disuguaglianze, e sembrano avere meno instabilità. Perché è così? E qual è la prova?

GALBRAITH: a mio avviso, è molto ben noto che nel Nord Europa in particolare, le istituzioni sociali molto forti, i sindacati molto forti, hanno prodotto per molti decenni società che erano sostanzialmente più egualitarie di quanto fosse vero nel Sud Europa, di quanto lo fosse negli Stati Uniti e, se è per questo, anche del resto del mondo. C’è stata una dottrina prevalente, un dogma in Europa, che sostiene che l’Europa, che ha sofferto di una disoccupazione relativamente elevata dall’inizio degli anni ’70, in anticipo rispetto agli Stati Uniti, soffriva per questa disoccupazione in quanto stava tendendo a politiche fortemente egualitarie, istituzioni economiche sociali e democratiche o addirittura socialiste.

E abbiamo visto il problema da un paio di prospettive differenti. Una era quella di esaminare la relazione tra la disoccupazione e la disuguaglianza all’interno dei paesi europei. Ciò che abbiamo scoperto è che in realtà non c’è proprio alcun fondamento nell’affermazione che ho appena descritto. E’ semplicemente una fantasia, tratta dai ragionamenti dei libri di testo, che è in contraddizione con i fatti sul terreno. E il fatto che troviamo sul terreno è che i paesi che sono più disuguali in Europa sono quelli che hanno un maggiore tasso di disoccupazione, tasso di disoccupazione molto più elevato rispetto ai paesi più egualitari.

E si deve chiedere, c’è un valido motivo, un legittimo motivo economico per questo? E la risposta è: sì, ci sono alcune ragioni molto valide. Se si guarda alla base filosofica di ciò che viene chiamato il modello scandinavo, si scopre che la compressione dei salari faceva parte di una strategia abbastanza bene intesa per migliorare la produttività, per far avanzare lo stato tecnologico delle industrie di quei paesi, e per attrarre, in ultima analisi, , più alta tecnologia, maggiore produttività, più industria e salari, escludendo quelli che non potevano competere se non sul fondamento di salari più bassi. E quando questo viene fatto nel corso del tempo, il tenore di vita aumenta, la capacità di fornire occupazione e servizi per la popolazione aumenta, il tasso di disoccupazione complessivo diminuisce. E questo è, a mio avviso, parte di un modello molto chiaro, diciamo, di associazione tra bassa disuguaglianza e bassa disoccupazione, in contrasto con il dogma che ho appena descritto.

E poi siamo passati alla domanda: beh, per quanto riguarda il confronto tra l’Europa, nel suo insieme, e gli Stati Uniti? Gli europei hanno ricevuto, per decenni dai loro economisti ortodossi, l’insegnamento che ciò che serve è un mercato del lavoro più flessibile, come negli Stati Uniti, in questo modo avranno un calo della disoccupazione. E quello che abbiamo trovato, al contrario, è che questo trascura il fatto che l’Europa c’è stata l’integrazione ed è diventata come una singola economia continentale. E quando si fa questo, quando si prende quello che era un mercato del lavoro isolato e lo si mette in interazione diretta con ogni altro, si deve misurare la disuguaglianza con nuove basi, e con nuove fondamenta. E nessuno lo aveva fatto. Quello che abbiamo trovato era che in realtà, quando procedi così, la disuguaglianza europea nei salari, tenendo conto delle differenze che esistono tra, diciamo, la Germania e la Polonia o tra la Norvegia e il Portogallo, è in realtà più grande di quanto lo sia negli Stati Uniti. E questo è stato molto interessante, una scoperta sorprendente, che poi ha detto in sostanza che i dati tra gli Stati Uniti e l’Europa continuano a sostenere la tesi, l’argomento di base che avrei fatto, la tesi di fondo alla quale saremmo arrivati; che poi è quella per cui i sistemi maggiormente egalitari, misurati ad un giusto livello, tenderanno ad avere una minore disoccupazione.

 

JAY: i periodi di crescente disuguaglianza, abbiamo detto nell’intervista, prima di tutto hanno molto a che fare con il mercato azionario, perché per la gente di livello superiore, la gran parte del reddito proviene dalle stock-options e da varie forme di commercio di Wall-Street . E quando questo ha un picco, la disuguaglianza aumenta. Ciò significa che anche loro hanno molti più soldi. Che cosa significa questo per la politica americana?

GALBRAITH: Beh, naturalmente, vi è un effetto diretto. Quando si ha una concentrazione della ricchezza, si ha anche la concentrazione del potere. Tale fatto come riconosciuto risale ad uno dei miei economisti preferiti, Adam Smith, che ha scritto una frase molto breve ne “La ricchezza delle nazioni” secondo la quale ricchezza è potere, “come il signor Hobbes dice” (si sa, ci sono un sacco di quei “il sig . Hobbes dice “). Ecco, queste è, a mio avviso, una chiara implicazione.

Una delle cose che abbiamo fatto nel libro, è stata anche quella di esaminare la relazione tra disuguaglianza e comportamento di voto a livello di stati americani, che è, ovviamente, molto importante. Questo è un livello molto importante da esaminare, perché sono gli stati che attraverso il collegio elettorale decidono l’esito delle nostre elezioni presidenziali. E abbiamo esaminato la relazione tra le disuguaglianze economiche e affluenza, e tra le disuguaglianze economiche e risultati. E una delle cose che abbiamo trovato è che c’è un rapporto evidente tra disuguaglianza e affluenza alle urne, che gli Stati che hanno più alti livelli di disuguaglianza economica hanno anche una più bassa affluenza alle urne in occasione delle elezioni presidenziali. Questo ci suggerisce – e dato che vivo nel Sud, non si tratta di una storia poco familiare – che dove la disuguaglianza è maggiore, vi è la tendenza a rendere più difficile per i poveri votare. E penso che sia una modello consolidato nella politica americana.

La relazione tra i risultati delle elezioni presidenziali e la disuguaglianza è però un po’ più sottile. Ma una delle cose che abbiamo trovato è – abbiamo fatto un lavoro che aiuta a spiegare perché, mentre i ricchi tendono a votare per i repubblicani, gli stati più ricchi tendono a votare per i democratici, il che è un interessante paradosso nella letteratura politica a cui abbiamo dato qualche contributo.

 

JAY: Stavo guardando un grafico della potenza-dimensioni della finanza in percentuale sul PIL americano. E se si guarda il grafico che io stavo guardando agli inizi del 20° secolo, dal 1900, hai come una linea retta fino a circa il 1932, 1933, dove la finanza continua a crescere e diventa una parte molto più importante dell’economia, e poi c’è questo – sai, il crash – con una sorta di piccola discesa, e dopo, con la seconda guerra mondiale, la caduta, io suppongo perché c’è molta spesa pubblica durante la guerra. Ma il momento di tale picco è quando ci si inizia a dotare di una legislazione. Abbiamo avuto Roosevelt, abbiamo avuto, si sa, la legislazione per ridurre il potere della finanza e della speculazione. E noi non abbiamo raggiunto ancora una volta, in base al grafico che ho visto, quella stessa percentuale di finanza, come dimensione del PIL, fino al 1980 – si arriva di nuovo a dove era nel 1932, ad eccezione di quella linea continua che va da 1980 – se non altro, con ancora una più nitida inclinazione. E non c’è nessuno – e invece di una legislazione per limitare il problema, dagli anni ’90 ad ora in realtà è il contrario. Si ottiene – di annullare la legislazione degli anni ’30. Cosa ne pensi sul perché? Perché non stiamo vedendo. Voglio dire, torniamo indietro, in quanto negli anni ’30 avevamo voci che dicevano, sapete, se avete intenzione di salvare il capitalismo, è necessario mettere un po’ interruttori su questo. E le voci che lo dicono ora sembrano del tutto emarginate.

GALBRAITH: Beh, siamo stati molto fortunati storicamente nel 1933 per eleggere un presidente che era indipendente dalle banche e preparato ad agire con decisione in una crisi bancaria. E ciò che Roosevelt fece fu di chiudere le banche, verificarle, e consentire che fossero riaperte solo quelle controllate. Questa azione ha ripristinato la fiducia del sistema bancario nel suo complesso. E poi c’erano le assicurazioni sui depositi e la Securities and Exchange Commission e altri – il Glass-Steagall, e tutto si muoveva verso un sistema bancario più strettamente regolato e ricettivo che ha svolto un ruolo molto minore nel determinare il destino del paese nei successivi 40 anni.

Questa volta non abbiamo capito. Abbiamo ottenuto una amministrazione, l’amministrazione Obama, che in materia bancaria ha perseguito una politica che era essenzialmente la stessa del tardo periodo di amministrazione Bush e la riconferma, essenzialmente, delle stesse persone. Come segretario del Tesoro è stato promosso il presidente della New York Federal Reserve Bank, e il presidente del Consiglio della Federal Reserve è stato riconfermato. E sia queste fossero persone buone o meno buone , ciò significa che quando si fa in questo modo si perde la libertà di fare un cambiamento fondamentale nella politica, perché la gente non cambia intenzionalmente se stessa semplicemente perché è al servizio di un nuovo presidente. E questo, credo, è un – è proprio una differenza enorme tra la transizione Hoover-Roosevelt nel 1933 e la transizione Bush-Obama del 2009.

 

JAY: E si tratta di una riflessione ai termini della quale la finanza è solo qualitativamente più potente di quanto non fosse e che le voci di altri settori dell’economia non hanno semplicemente più alcun potere, è tanto il controllo delle cose da parte della finanza?

GALBRAITH: Penso che dobbiamo affrontare è il fatto che la finanza è dominante nel Partito Democratico. Tale circostanza deve essere affrontata.

 

JAY: E con i repubblicani sarebbe stato diverso?

GALBRAITH: La finanza è sempre stata una parte potente nella coalizioni repubblicani, ma il predominio della finanza, per esempio, sopra i sindacati, sopra, ad esempio, gli interessi industriali e sull’agricoltura, nel Partito Democratico è uno sviluppo degli ultimi 30 o 40 anni .

 

JAY: E’ una cosa interessante, la tua locuzione nell’ultima parte, perché ho avuto una conversazione con un sindacalista pochi mesi fa. Lo sai. Gli ho chiesto, perché non lottate per il controllo del Partito Democratico? Perché si finisce per essere solo come ragazze pon-pon per chiunque sia al potere? E la risposta è stata – E ho anche detto, perché non contendete con Wall Street per il controllo del Partito Democratico? E la risposta è stata: bene, loro hanno il denaro per concorrere con i repubblicani alle elezioni. Così in realtà riconoscono la loro alleanza con Wall Street, al fine di combattere, si sa, quello che pensano sia il nemico più grande.

GALBRAITH: Sì, certo.

 

 

 

Category: Economia

About James Kenneth Galbraith: Figlio di John Kenneth e di Catherine (Kitty) Atwater Galbraith, ha ottenuto il BA, magna cum laude, alla Harvard nel 1974 e il Dottorato (PhD) a Yale nel 1981, entrambi in economia. Dal 1974 al 1975, Galbraith ha studiato come “Marshall Scholar” al King's College a Cambridge. Dal 1981 al 1982 Galbraith ha fatto parte dello staff del Congresso degli Stati Uniti d'America, anche in qualità di “Executive Director” (Direttore esecutivo) del “Joint Economic Committee” (Comitato economico congiunto). Nel 1985 è stato studioso ospite alla “Brookings Institution”. Attualmente è docente alla “Lyndon B. Johnson School of Public Affairs” e al Dipartimento di Politica alla Università del Texas di Austin. È presidente degli “Economists for Peace and Security” (Economisti per la pace e la sicurezza), precedentemente chiamati “Economists Against the Arms Race” (Economisti contro la corsa agli armamenti) e poi “Economists Allied for Arms Reduction (ECAAR)” (Economisti alleati per la riduzione delle armi), una associazione internazionale di economisti professionisti preoccupati per la pace e la sicurezza. È anche “Senior Scholar” al “Levy Economics Institute” del Bard College e Direttore del “Progetto disuguaglianze” dell'Università del Texas. Nel marzo 2008 Galbraith ha utilizzato la 25a “Distinguished Lecture” di Milton Friedman per lanciare un attacco frontale al “free market consensus” (consenso al libero mercato), specialmente nella sua versione monetarista. La sua posizione è quella per la quale una rigorosa politica economica Keynesiana sarebbe la soluzione della crisi economica-finanziaria del 2007-2008, mentre politiche monetariste peggiorerebbero la recessione. Verso la fine del 2008 molti politici nel mondo hanno iniziato ad ispirarsi alle raccomandazioni di Galbraith, in quello che il Financial Times ha dipinto come "un impressionante rovesciamento dell'ortodossia degli ultimi decenni". Nel 2009 aderisce al progetto per la realizzazione del film "Soldiers of Peace" che coinvolge 14 Paesi nel Mondo nella realizzazione di una pace globale. E' autore di numerosi libri tra i quali: The Predator State (2008), Inequality and Instability (2012), The End of Normality (2014)

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