Ivan Cicconi: Movimento No Tav, paradigma della democrazia partecipata

| 2 Aprile 2013 | Comments (1)

 

 

 

23 marzo 2013, 72 parlamentari in visita al cantiere di Chiomonte e 80 mila persone in marcia da Susa a Bussoleno contro la nuova linea Lione-Torino. Numeri semplicemente straordinari se riferiti ad un semplice cantiere ed a un’unica opera ferroviaria. Eventi che meriterebbero una riflessione seria e approfondita.

Nell’indecenza politica e sociale che caratterizza il panorama del nostro Paese, c’è ancora qualche piccolo paesaggio che ci offre una visione ristoratrice della speranza in una politica e una società degne di essere vissute. La Valdisusa è uno di questi. O forse uno dei pochi, se non il solo, dove la politica e la società trovano una connessione forte, dove la democrazia partecipata ha trovato radici e prassi vere e praticate. Non è un caso dunque che dopo oltre venti anni nella Valdisusa il progetto TAV sia ancora al palo. Come non è un caso che il movimento notav sia diventato uno dei pochi punti di riferimento dell’opposizione alle politiche del governo nazionale, rappresentando un paradigma dell’Italia in questa fase. Accusato di essere affetto dalla sindrome nimby contrario alla modernizzazione ed il progresso ha invece rappresentato e rappresenta un modello da cui non si dovrebbe prescindere. Infatti, esaltando le fondamenta della democrazia, ha fatto emergere, e forse non poteva essere disgiunto, competenze e culture tecniche elevate, apparse ancora più grandi di fronte all’insipienza, la superficialità, la grossolanità delle competenze espresse dalle classi dirigenti che occupano i centri di potere istituzionali, economici e finanziari.

Alberto Perino, uno dei protagonisti storici, usa spesso la metafora dello sgabello con tre gambe per spiegare la forza ed il radicamento di questo movimento. Le tre gambe infatti consentono allo sgabello di realizzare un equilibrio stabile su tutti i tipi di superficie, anche quelle più sconnesse. La prima gamba è costituita dai “comitati notav” che da oltre venti anni coinvolgono la stragrande maggioranza della popolazione valsusina. La seconda è costituita dalle “competenze tecniche” di numerosi esperti che a partire dall’inizio degli anni novanta si sono misurati nel merito del progetto della Torino-Lione. La terza gamba è quella degli “amministratori locali” che non possono più prescindere dalla diffusa consapevolezza della popolazione sulla inutilità di questa grande opera. La forza del movimento è in questo mix straordinario di partecipazione e competenze espresse in migliaia di assemblee, nelle quali emergono e si socializzano le motivazioni tecniche, economiche, sociali, etiche della opposizione ad un progetto privo di qualsiasi ragione che non sia l’opera in se ed il suo millantato valore strategico.

La rappresentazione di questo movimento è stata offerta solo episodicamente e solo in occasione di momenti di forte tensione. Per decenni, e ancor più oggi, la rappresentazione è stata quella della contrapposizione fra le ragioni del NO ad un’opera inutile e le ragioni del NO alle frange violente. Rappresentazione funzionale a chi, schierato per il SI, senza alcuna motivazione tecnica, si nasconde dietro il NO alle violenze vere e presunte di quattro gatti. Un paravento che solo l’occultazione della verità e la disinformazione può tenere in piedi.

Da decenni, nella Val di Susa, sono la stragrande maggioranza delle amministrazioni locali e le rispettive comunità che si battono contro questo progetto. Solo sui siti notav si possono trovare informazioni complete sugli sviluppi del progetto, analisi e documenti tecnici approfonditi, studi che hanno smontato e contestato nel merito i generici e imprecisi documenti dei progetti preliminari di FFSS, RFI e LTF. Studi e documenti elaborati anche con il supporto di esperti e studiosi che hanno puntualmente analizzato, dati alla mano e nero su bianco, le carenze, e talvolta le falsità, di un progetto per il quale non è stata mai dimostrata né l’utilità tecnica, né l’equilibrio economico, né la sostenibilità ambientale. Il NO al progetto è il frutto della conoscenza scientifica dei numeri usati per sostenerne la fattibilità, che non hanno il minimo di credibilità, anzi clamorosamente smentiti dalla realtà. Nel 2003 transitavano sulla linea (quella esistente a doppio binario ed elettrificata) 1,5 milioni di passeggeri e 9,7 milioni di tonnellate di merci; il progetto preliminare approvato nello stesso anno dal Cipe prevedeva la saturazione della linea storica nel 2020 con oltre 6 milioni di passeggeri e 22 milioni di tonnellate di merci. Nel 2010 i passeggeri sono stati 700 mila (-53%) e le merci 2,4 milioni di tonnellate (-75%). Previsioni sbagliate, no semplicemente false, oggi, con il presunto nuovo progetto, traslate di sette anni e riproposte pari pari.

La nuova linea torino-lione è la continuità di un progetto con il quale si sono consumate non solo rilevanti risorse, ma si sono anche sperimentate architetture contrattuali e finanziarie a dir poco fallimentari, che hanno prodotto solo debito pubblico senza migliorare di una virgola il sistema ferroviario nazionale. Anzi, peggiorando il servizio offerto alla stragrande maggioranza degli utenti.

Il progetto TAV, presentato in pompa magna il 7 agosto 1991, prevedeva la realizzazione di sette nuove tratte (Milano-Bologna, Bologna-Firenze, Roma-Napoli, Torino-Milano, Milano-Verona, Verona-Venezia, Genova-Milano) espressamente dedicate al trasporto passeggeri ad alta velocità. I contratti con i quali si è dato avvio a quel progetto prevedevano un costo complessivo pari a 14 miliardi di euro e prometteva la sua realizzazione in 7 anni. Il costo è oggi lievitato a 90 miliardi di euro e le nuove tratte in esercizio, dopo oltre venti anni dalla firma dei contratti, sono solo 4 e le restanti 3 (Genova-Milano, Milano-Verona, Verona-Venezia) sono ancora in gran parte in fase di progettazione. Fatto 100 il costo stimato e contrattualizzato nel 1991 oggi siamo ad un costo stimato pari a 638.

Tempi e costi dunque fuori controllo, accompagnati da una gestione di atti, comunicazioni, contratti, pareri che si sono caratterizzati per la loro opacità quando non esplicitamente falsi. Le indagini di diverse procure hanno ricostruito passaggi, architetture, relazioni che, al di là degli illeciti, forniscono una ricostruzione che fanno di questo progetto il più grande fallimento, economico e finanziario, mai registrato nella storia delle grandi opere in Italia e nel mondo. Nonostante tutto, con la legge obbiettivo del 2001, quello del TAV è stato assunto come modello per la realizzazione delle grandi opere che si sono avviate in questi anni e che stanno costruendo ulteriori voragini nel bilancio dello Stato. Il cosiddetto modello TAV compone infatti in modo perverso i caratteri anomali di due nuovi istituti contrattuali: quelli del cosiddetto “project-financing”, garantito dai soci pubblici, e quelli ancora più anomali dell’affidamento al “contraente generale” introdotto con la legge obbiettivo. Nel modello TAV si realizza una sostanziale privatizzazione della committenza pubblica, attraverso l’affidamento in concessione della costruzione e gestione dell’opera pubblica ad una società di diritto privato (spa), ma con capitale tutto pubblico (TAV Spa appunto, Stretto di Messina Spa, Quadrilatero Spa, Infrastrutture Spa, etc.). La Spa pubblica nel modello TAV serve solo per garantire al contraente generale (al privato) il pagamento del cento per cento del costo della progettazione e della costruzione e di mantenere per se (ai soci pubblici) il rischio della gestione (i debiti futuri).

La attestazione del carattere truffaldino di questo modello contrattuale-finanziario è stata fornita anche con una norma di una legge dello stato. Nella legge finanziaria per il 2007, al comma 966 dell’unico articolo che la compone, a seguito di quanto ci è stato imposto dall’UE con la procedura di infrazione per deficit eccessivo, sono emersi ben 12 miliardi e 950 milioni di euro (millantati fino a quel momento come finanziamenti privati) di debiti accumulati da Tav spa e Infrastrutture spa fino al 31.12.2005, che, nascosti nei bilanci di queste società di diritto privato, sono diventati debito pubblico a tutti gli effetti. In questo modello, fra l’altro, diventa anche impossibile perseguire il reato di corruzione, venendo a mancare i presupposti per la sua contestazione, stante la qualifica di “pubblico ufficiale” o di “incaricato di pubblico servizio”, che nel nostro ordinamento costituisce la premessa per la contestazione dei reati contro la pubblica amministrazione. In questa condizione, i pilastri del sistema di tangentopoli possono scambiare tangenti e favori, senza alcuna possibilità, per chi volesse, di contestare il reato di corruzione o di concussione o anche solo un illecito amministrativo.

Negli ultimi 15 anni c’è stata una esplosione di società di diritto privato, controllate o partecipate dal pubblico, così come si sono introdotti nel nostro ordinamento nuovi istituti contrattuali atipici che producono una parallela privatizzazione degli investimenti pubblici. Stiamo parlando di un numero semplicemente straordinario di società, e di contratti, che operano in un regime di diritto privato che sono fuori dalle regole e dal controllo della contabilità pubblica e nelle quali il ruolo ed i rapporti fra politici, tecnici e imprenditori si confondono e diventano sempre più intercambiabili e intercambiati. La triangolazione tipica del sistema di tangentopoli è stata ampiamente sostituita da un sistema di relazioni e di convenienze più immediato e più complesso, nel quale gli illeciti corrono sul filo della illegalità e comunque sono molto più difficilmente contrastabili.

La pervasività del modello TAV però non è sostenuta solo dalla convenienza di mettere il sistema di relazioni fra politica ed affari al riparo dalla contestazione di illeciti. La spinta viene anche dai processi che hanno investito e svuotato la grande impresa fordista nell’era della globalizzazione. Processi fortemente caratterizzati dalla fuga dalle regole che avevano caratterizzato il compromesso fra capitale e lavoro nel secolo scorso.

La “grande opera” è l’unico prodotto che può consentire a questo modello di impresa virtuale di massimizzare i profitti o addirittura semplicemente di funzionare. La stessa grande opera realizzabile da questo modello di impresa deve caratterizzarsi per alcuni elementi essenziali: non può essere un grande intervento diffuso sul patrimonio esistente, ma deve essere un opera nuova e con scarse interferenze con l’esistente. La grande opera sollecitata dall’impresa post-fordista deve avere un valore innanzitutto per il presente: è la protesi della incapacità di progettare il futuro e del suo totale sganciamento da un passato rimosso. La grande opera è il piatto più ambito e consumato sulla tavola della nuova tangentopoli nella quale i faccendieri post-fordisti possono azzannare beni e risorse pubbliche con i mariuoli dei partiti virtuali dello stato post-keynesiano.

Si ripropone oggi esattamente quella che qualcuno aveva proposto come la “questione morale” del nostro Paese, non oggi ma addirittura anni prima della esplosione del sistema di tangentopoli. Con una semplice differenza. Trenta anni fa quel qualcuno aveva proposto la questione come “rischio” del rapporto perverso fra partiti e istituzioni. La questione è rimasta tale e quale, ma il rischio è diventato realtà diffusa e alle istituzioni occupate ed usate si è aggiunta la gestione dei posti e degli affari nelle migliaia di spa pubbliche, in capo a dei partiti, questi partiti, assenti dalla politica, non più veicoli, come la Costituzione vorrebbe, ma ladri di democrazia, e non solo.

Il movimento notav della Valsusa propone anche questo e forse rappresenta oggi uno dei banchi di prova decisivi per la politica nel terzo millennio. Proprio le tre gambe di questo movimento ci forniscono anche gli strumenti essenziali per misurare il fallimento annunciato e la mistificazione del governo dei tecnici, a partire dalla gamba delle “competenze tecniche”. Proprio sul questo fronte i “comitati notav”, le “competenze tecniche” e gli “amministratori locali” della Valsusa hanno sfidato anche i presunti Tecnici del Governo. Il rifiuto del confronto è stato immediato e palese, ma anche paradossale. Il 9 marzo 2013 Mario Monti, a conclusione di un Consiglio dei Ministri sulla nuova linea Torino-Lione, ribadiva il valore strategico di questa grande opera, per la quale, dichiarava, sarebbe stata prodotta anche una attenta valutazione costi/benefici. Dunque l’opera era definita strategica, ma una analisi costi/benefici ancora non c’era. Un bell’esempio di approccio scientifico. Lo stesso giorno in cui Monti rilasciava questa paradossale dichiarazione, sul sito ufficiale della Presidenza del Consiglio veniva pubblicato un documento con il quale il Governo poneva a se stesso e rispondeva a 14 domande, con le quali motivava le presunte ragioni per la realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, una macedonia di banalità, di dati imprecisi o impropri, di affermazioni generiche o indimostrabili.

Anche a questo confronto il movimento notav non si è sottratto. Venti giorni dopo la pubblicazione del documento del Governo, Sandro Plano, presidente della Comunità montana della Valdisusa presentava un documento “frutto dell’impegno collettivo degli autori afferenti al gruppo tecnico della Comunità Montana Val Susa e Val Sangone, che ha comportato diverse centinaia di ore di lavoro non retribuite, indispensabili per compilare un dossier scientifico serio e documentato”. Nel documento (pubblicato sul sito della Comunità e del Politecnico di Torino), riproponendo esattamente le 14 domande del governo, si offrivano delle risposte rigorose e documentate che al confronto quelle date dal governo sembravano tratte da un sito di una qualche lobby commerciale anonima.

Sono ormai venti anni che alle puntuali osservazioni tecniche con le quali si contesta l’utilità e la sostenibilità di questo progetto si risponde con affermazioni di principio prive di qualsiasi valore scientifico. Con il governo dei tecnici la storia non è cambiata, anzi, si è riproposto con più forza il tentativo di descrivere e trattare il movimento notav come una normale faccenda di ordine pubblico. Solo così il governo tecnico si è potuto sottrarre al confronto di merito ed occultare la sua ragion d’essere, quella della tutela dei privilegi delle classi dirigenti nel presente, con provvedimenti che ipotecano il futuro di tutti.

Per la grande opera Torino-Lione non è mai stato presentato uno straccio di piano finanziario. Si vogliono aprire i cantieri senza che vi siano risorse almeno ipotizzate. Il modello Tav è infatti anche questo, investimenti per opere strutturalmente inutili e debito pubblico futuro, occultato nella contabilità delle società di diritto privato. Nel debito pubblico dell’Italia, pari al 125% del PIL, non sono infatti considerati i debiti delle “società di diritto” privato (con capitale pubblico) e quelli delle società di diritto privato (con capitale privato) per i “project-financing” totalmente garantiti da soggetti pubblici. In entrambi i casi si tratta di debiti pubblici a tutti gli effetti nascosti nella contabilità privatistica o di società con capitale pubblico o di società con capitale privato.

La cifra esatta di tale debito, non è calcolato da alcun organo dello Stato, ma può essere stimato in una cifra contenuta fra il 15 ed il 20% del PIL e la sua emersione porterebbe il debito effettivo del Paese fra il 140 ed il 145% del PIL. Nei provvedimenti assunti dal governo dei tecnici non vi è stata alcuna norma ne per rimuovere questa clamorosa omissione ne, soprattutto, per rimuovere le cause che consentono di costruire questo debito occulto, che dunque è destinato ad aumentare. Anzi, proprio queste modalità di investimento sono quelle che sono state semplificate ed incentivate.

Le tre gambe dello sgabello del movimento notav hanno un radicamento forte anche nel tempo, insieme alla gamba del presente, ci sono quelle altrettanto solide della conoscenza del passato e della difesa del futuro. Rappresentano il paradigma imprescindibile per restituire dignità e valore alla politica e per impedire alle classi dirigenti del capitalismo post-fordista, sorrette dalla sola gamba autoritaria e ricattatoria del presente, di continuare ad ipotecare il nostro futuro.

 

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Category: Economia, Movimenti

About Ivan Cicconi: IVAN CICCONI (1947). Ingegnere. Ha lavorato in istituti di ricerca e società di servizi nel settore delle costruzioni. L'ultimo incarico svolto a tempo pieno con contratto di dirigente d'azienda è stato quello di direttore generale di NuovaQuasco, Qualificazione degli Appalti e Sostenibilità del Costruire. Autore di numerosi saggi e ricerche sul settore delle costruzioni e sul tema degli appalti, con particolare attenzione ai sistemi di corruzione ed ai meccanismi di penetrazione delle organizzazioni mafiose nel ciclo del contratto pubblico. Su questi temi collabora da anni con le associazioni nazionali Libera e Avviso Pubblico. Fra i libri pubblicati: La storia del futuro di Tangentopoli (Dei, 1998), Le grandi opere del cavaliere (Koinè, 2003), Il libro nero dell'alta velocità (Koinè 2012). Attualmente ricopre l'incarico di direttore dell’Associazione Nazionale ITACA, Istituto per la Trasparenza degli Appalti e la Compatibilità Ambientale, organo tecnico della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province autonome. Dal 2010 è consulente della Comunità Montana Valdisusa-Valsangone per il progetto TAV/TAC Torino-Lione.

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