Gian Paolo Rossini: Sostenibilità, decarbonizzazione, Recovery Plan. Potenziali e criticità in una prospettiva intergenerazionale

| 15 Aprile 2021 | Comments (0)

 

Le criticità da affrontare per un sostanziale progresso sociale erano note anche prima della pandemia di COVID-19, che ne ha sottolineato dimensioni, estensione e complessità, richiamando un’attenzione diffusa. Il quadro mostra ormai chiaramente la saldatura della società con l’ambiente e l’importanza di una riflessione operativa che colga questa sintesi: “La sfida per il nostro tempo è trovare modi per raggiungere simultaneamente equità (non lasciare indietro nessuno, sia entro una nazione che inter-nazionalmente, creando una società inclusiva), libertà (economica e politica, includendo lo stato di diritto, i diritti umani, estesi diritti democratici) e sostenibilità ambientale (preservare gli ecosistemi non soltanto per le generazioni future ma anche per il loro valore intrinseco, se intendiamo rispettare tutte le forme di vita).” (1).

La duplice valenza della sostenibilità in riferimento alla dimensione umana e quella dell’ambiente di cui questa è parte viene ben colta da questa visione, con una qualifica che ne estende la portata.

La sostenibilità, nell’accezione originale del termine, come proposto nel 1987 dalla Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite (NU), fa esplicito riferimento alla giustizia intergenerazionale: “… lo sviluppo che va incontro alle necessità del presente senza compromettere la capacità delle prossime generazioni di andare incontro alle proprie necessità” (2). La definizione, tuttavia, non è altrettanto esplicita ed estensiva sul piano della tutela di altri componenti degli ecosistemi, biotici e non.

Viviamo in un pianeta con dimensioni finite e risorse limitate (3, 4). La sostenibilità diventa così un obiettivo che vede la questione della giustizia intergenerazionale necessariamente coniugata con l’imperativo di rimanere all’interno dei confini della Terra, nello “spazio operativo sicuro per l’umanità” (3).

Molti sono i limiti posti alle attività umane dai confini del nostro pianeta e, pur notando le difficoltà nell’individuazione di quelli maggiori, soprattutto in termini di soglie quantificabili rigorosamente, come sottolineato da Rockström et al. (3), il loro riconoscimento è innegabile. Fra questi è compreso il mantenimento di un assetto climatico globale che, nelle sue particolarità regionali, consenta la continuità dei sistemi biologici all’interno di condizioni non troppo diverse da quelle esistenti prima della rivoluzione industriale e l’avvento dell’Antropocene (3, 5). Lo spazio operativo sicuro per l’umanità è così determinato dalla necessità assoluta del contrasto ai cambiamenti climatici dovuti all’aumento di gas a effetto serra nell’atmosfera, primo fra tutti l’anidride carbonica (CO2), in conseguenza delle attività umane (6). In queste alterate condizioni è sempre più urgente procedere con azioni di mitigazione, cioè di interventi umani per diminuire le fonti di gas serra o aumentare la loro eliminazione (7). La più estesa possibile decarbonizzazione

delle attività umane è non soltanto la strategia migliore per il contenimento dell’aumento delle temperature globali, ma costituisce scelta obbligata per consentire il mantenimento di condizioni ambientali compatibili con il funzionamento degli ecosistemi e i loro componenti (8).

La transizione a fonti di energia rinnovabili incardinata a scenari di decarbonizzazione non è quindi una opzione, ma una necessità da conseguire su scala globale. Questo è anche parte delle azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, approvato alla conclusione della 21° conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici nel dicembre 2015 (9), i cui contenuti vanno a delineare un programma ampio e articolato di interventi impegnativi.

Proprio l’ambizione degli obiettivi dell’Accordo richiederebbe un immediato e deciso piano globale di riduzione delle emissioni di gas serra, che invece mostra un netto ritardo. Questo ritardo nel percorso di avvicinamento agli obiettivi dell’Accordo di Parigi è del tutto riconosciuto, anche nelle sue dimensioni critiche. Il rapporto del Gruppo di Lavoro Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) dell’ottobre 2018 (10) è chiarissimo nel rimarcarne le caratteristiche, segnalando che in queste condizioni il riscaldamento globale raggiungerà un incremento di 1,5° C al di sopra dei valori pre-industriali fra il 2030 e il 2052. Se non verranno intraprese azioni di mitigazione molto più decise e in tempi brevissimi, nel 2100 il riscaldamento globale si prevede raggiungerà un incremento compreso fra 3 e 4°C al di sopra dei valori pre-industriali (11, 12).

Il sostanziale e perdurante ritardo nella riduzione delle emissioni emerge senza riserve dai materiali rintracciabili nel sito del Programma Ambiente delle NU (United Nations Environment Programme; https://www.unep.org/), al punto che da tempo ormai questa agenzia delle NU redige e pubblica un rapporto annuale sullo scarto delle emissioni reali rispetto a quelle previste/perseguite. Un tema regolarmente rimarcato da questi rapporti, ad esempio quelli degli ultimi due anni (12, 13), è la netta insufficienza degli attuali contributi nazionalmente determinati (NDC) per la riduzione delle emissioni di gas serra previsti dall’Accordo di Parigi, rispetto alla possibilità di raggiungere l’obiettivo di mantenimento del riscaldamento globale “ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali”.

Nel riconoscere la complessità, difficoltà e i ritardi nel procedere di azioni di mitigazione e il perseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, è opportuno mettere a fuoco il quadro complessivo delle emissioni di CO2, per collocarlo in una prospettiva storica di lungo periodo.

I livelli di questo gas serra in atmosfera hanno ormai superato le 400 parti per milione (ppm). La rilevanza di questo valore appare evidente se si considera che i livelli di CO2 in atmosfera stimati per gli ultimi 800.000 anni, pur seguendo oscillazioni cicliche, si ritiene non abbiano comunque superato le 300 ppm (14). In linea con questa considerazione, è riconosciuto che le concentrazioni di CO2 in atmosfera, rimaste stabili attorno a 280 ppm negli ultimi 10.000 anni, abbiano cominciato lentamente a crescere nel XIX secolo, raggiungendo le 300 ppm nella seconda metà del secolo scorso, durante la cosiddetta “Grande accelerazione” (15), arrivando a superare le 400 ppm in anni recenti (16).

I dati indicano così che una concentrazione di CO2 in atmosfera compresa fra 280 e 300 ppm costituisce un riferimento significativo per le condizioni di vita sulla Terra nell’olocene, prima che si manifestassero interventi antropici climalteranti (17).

Un esame complessivo delle opzioni esistenti per la realizzazione degli obiettivi dell’accordo di Parigi, il contrasto ai cambiamenti climatici e la tutela degli ecosistemi è del tutto improponibile in questa sede. Saranno invece esaminate criticamente soltanto alcune delle opzioni di mitigazione che ne fanno parte, come esempi utilizzabili per sondare potenzialità e criticità di possibili scelte. Il riferimento è a due opzioni segnalate nel nostro Paese in questi ultimi mesi (18). Specificamente, si tratta di progetti di diminuzione delle concentrazioni di CO2 in atmosfera mediante interventi di Cattura e Stoccaggio del Carbonio (Carbon Capture and Storage, CCS), e dell’utilizzo di idrogeno come combustibile in scenari futuri, producendolo a partire da gas metano. Entrambe le opzioni sono di grande rilievo economico (19).

 

  1. Tecnologie di Cattura e Stoccaggio del Carbonio e loro criticità nelle strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici

L’urgenza di ridurre i livelli di CO2 in atmosfera ha sostenuto lo sviluppo delle tecnologie di emissione negativa (Negative Emission Technologies, NET). Con questo termine vengono indicati gli “…sforzi umani intenzionali per rimuovere le emissioni di CO2 dall’atmosfera” (20).

La cattura e stoccaggio della CO2 è una opzione di mitigazione solitamente compresa fra le NET. La tecnologia consiste nella cattura del gas già presente in atmosfera, o emesso in conseguenza di qualche processo associato a combustione di idrocarburi, con la sua collocazione e stoccaggio in cavità naturali sotterranee, quindi in depositi fisicamente separati dall’atmosfera (20-22). L’opzione conduce, conseguentemente, alla diminuzione della concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

La CCS ha avuto in passato anche un obiettivo del tutto diverso da quello dello stoccaggio sotterraneo di CO2, potendo facilitare l’estrazione di gas naturale (o altri idrocarburi) dai loro giacimenti. Questo dipende dal fatto che la CCS richiede di sottoporre la CO2 a pressioni elevate, portando il gas allo stato liquido. In queste condizioni la densità dei due fluidi, idrocarburi e CO2 allo stato liquido, è differente, essendo minore nei primi. La CO2 allo stato liquido riversata all’interno dei giacimenti va così a posizionarsi al di sotto degli idrocarburi (liquidi o gassosi), portandoli a un livello più alto, quindi semplificandone l’estrazione (22).

Considerata la necessità imprescindibile di diminuire le concentrazioni di CO2 nell’atmosfera, le tecnologie CCS rappresenterebbero una possibile opzione di mitigazione, ma ben poche sono le iniziative attivate in questi anni, prevalentemente a scopo dimostrativo, e tuttora in funzione (20-22).

Mentre vanno riconosciute le potenzialità della tecnologia CCS, appare pure opportuno considerare alcune criticità, già esaminate estensivamente altrove (20-22).

La prima criticità da esaminare è la necessità che non vi siano perdite di CO2 dal sito di stoccaggio (leakage), una condizione che richiede sistemi a tenuta, onde evitare la perdita di efficacia dello strumento dovuta al ritorno di CO2 nell’atmosfera. Questa criticità non è temporalmente confinata al presente, ma si proietta necessariamente nel futuro. Due infatti sono i possibili scenari del destino della CO2 stoccata. Il primo è quello del suo permanere indefinitamente nei depositi. La sostenibilità di un tale scenario richiede, appunto, che non possano darsi perdite significative, una condizione che richiederebbe valutazioni di fattibilità preventive molto accurate e in grado di dare indicazioni precise anche per un futuro lontano. Questa considerazione porta al secondo scenario, qualora lo stoccaggio della CO2 sia soltanto temporaneo. In tale diversa prospettiva, saremmo di fronte semplicemente a uno spostamento nel futuro della rimozione fattuale di questo gas serra dall’atmosfera, lasciando il compito alle generazioni future, una condizione che chiama direttamente in causa la sostenibilità.

Una seconda criticità del CCS è legata al possibile movimento di masse di CO2 nei depositi sotterranei, che potrebbe contribuire alla comparsa di attività (micro)sismica nelle aree che ospitano i siti di stoccaggio (20).

Mettendo da parte il principio di precauzione, accettando rischi che andrebbero accuratamente esaminati e quantificati, e assumendo scenari futuri di stabilità, in cui opzioni di CCS non siano associate a episodi di perdita di gas dai depositi e neppure a eventi microsismici, rimaniamo comunque di fronte a un quadro che comprende debiti rilevanti di varia natura, ponendo questioni di sostenibilità che si aggiungono a quelle del destino della CO2 stoccata. Anche questi vanno considerati.

Il primo debito da esaminare è quello legato agli investimenti necessari per la realizzazione di infrastrutture per CCS. L’opzione ha costi elevati (20), che possono essere soppesati in termini di ammortamento soltanto se si entra in una prospettiva in cui gli idrocarburi e la loro combustione rimangono una fonte rilevante di energia da utilizzare per le attività umane ancora per molti anni, un quadro la cui coerenza con gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi è discutibile.

CCS, come tutte le NET, ha così due facce maggiori: da un lato, consente il mantenimento dell’impianto di consumo energetico che ha caratterizzato il passato, spostando nel futuro gli scenari reali di decarbonizzazione (20-23). Dall’altro, la potenzialità emergenziale, nella quale lo spostamento di masse di CO2 già prodotta in attività umane e il loro stoccaggio in distretti separati fisicamente dall’atmosfera, consente un contenimento dei livelli di gas serra e, conseguentemente, una limitazione relativa dell’aumento di temperature globali determinato dall’effetto serra, o, in subordine, un loro relativo spostamento temporale nel futuro.

In questi termini, le NET, e CCS in particolare, andrebbero preferibilmente considerate come rimedio emergenziale, utilizzabile qualora altre opzioni di decarbonizzazione non appaiano consentire il raggiungimento degli obiettivi cercati nei tempi voluti. Questo però, come notato, sposta soltanto nel futuro l’effettiva decarbonizzazione. Le tecnologie CCS, e in generale le NET, è

così dubbio possano costituire strumenti ordinari per la mitigazione dei cambiamenti climatici a lungo termine, su cui basare gli scenari economico-produttivi futuri.

In questa prospettiva, si contrappongono due scenari maggiori, “pay early or pay late” (23), in cui la diminuzione dei livelli di CO2 in atmosfera, necessaria per il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, procede secondo percorsi molto diversi. Lo scenario del pagare presto vede un immediato e rapido incremento delle fonti energetiche decarbonizzate (solare, eolico e altre), con un basso contributo di rinnovabili da biomasse (biocarburanti) e NET. Il pagamento ritardato, invece, vede un impiego immediato di NET, in particolare quelle di riforestazione e afforestazione, con la trasformazione di CO2 in sostanze organiche attraverso la fissazione del carbonio in processi fotosintetici e la successiva trasformazione dei prodotti nelle piante. Questa opzione consentirebbe così di bilanciare una parte delle emissioni dovute al mantenimento dell’uso di combustibili di natura carboniosa, fossili e non, come fonte d’energia, spostando nella seconda metà di questo secolo l’accelerazione nell’uso di fonti energetiche decarbonizzate e opzioni CCS, mirate, possibilmente, a un decremento dei livelli di CO2 in atmosfera al di sotto delle concentrazioni attuali (20-23).

Un’ultima osservazione sembra opportuna, per completare l’esame delle maggiori criticità nell’uso della tecnologia CCS, qualora questa sia associata all’ottenimento di biocombustibili da biomasse, quindi all’uso di suolo per la coltivazione di vegetali destinati alla loro produzione. Un simile scenario pone problemi su molteplici fronti, in aggiunta a quelli già considerati, primo fra tutti quello del consumo di suolo, da proiettare in un periodo storico in cui si prevede un aumento nella competizione fra diversi usi, in particolare per l’ottenimento di prodotti alimentari necessari a sfamare una popolazione mondiale in crescita (23-26).

 

2. Sostenibilità e impiego dell’idrogeno pulito come combustibile

L’interesse per l’idrogeno come combustibile è in netta crescita, come desumibile dall’aumento di circa cinque volte della sua domanda globale nel periodo 1975-2018 (27).

Questo fenomeno è ben fondato, perché l’idrogeno ha rilevanti caratteristiche in comune con gli idrocarburi, a partire dalla liberazione di energia in seguito alla loro combustione e la possibilità di essere stoccati e trasferiti in forma gassosa e liquida. A queste, però, se ne aggiunge un’altra del tutto essenziale, che distingue le due fonti energetiche, ed è riferibile al processo della loro combustione. In entrambi i casi si hanno reazioni con l’ossigeno, ma i prodotti della reazione sono diversi. Gli idrocarburi sono composti del carbonio e la loro combustione (ossidazione) porta alla liberazione di CO2, quindi sono causa dell’aumento delle concentrazioni di questo gas serra nell’atmosfera, e il conseguente effetto serra. L’idrogeno, invece, reagendo con l’ossigeno genera acqua, vapore acqueo, e il suo uso non avrebbe le conseguenze associate all’impiego di idrocarburi come fonti di energia, se ottenuto senza il loro consumo.

Le fonti di idrogeno in natura sono trascurabili, rendendo la produzione di questo gas un aspetto imprescindibile per un suo diffuso utilizzo. Proprio da qui possono nascere alcune criticità

sull’impiego esteso di idrogeno come fonte di energia, in una prospettiva di contrasto ai cambiamenti climatici e di sostenibilità.

La produzione di idrogeno può essere condotta in molti modi (28), riconducibili a tre maggiori tipologie, che ne qualificano genericamente la loro relazione con le linee di intervento di tutela ambientale, dando una qualifica al gas: grigio, blu, verde (le caratteristiche minime dei processi considerati sono schematizzate in Box 1).

L’idrogeno grigio viene ottenuto da idrocarburi in un processo ossidativo che avviene ad alte temperature, e ha come prodotti idrogeno e CO2. Proprio la produzione di CO2 qualifica il gas come grigio, in quanto il suo ottenimento determina significative emissioni di gas serra. Senza modifiche delle condizioni di reazione che consentano un abbassamento della CO2 prodotta, si stima che per ogni kg di idrogeno ottenuto siano liberati 10,9 kg di CO2 (29). La produzione di idrogeno grigio ha caratterizzato il passato e, pur rimanendo attualmente la componente maggiore dei processi della sua produzione (30, 31), è da prevedere venga sostituita da una tecnologia in grado di compensare le emissioni associate al processo.

La messa a punto di modifiche del processo basato su idrocarburi e associate a diminuzioni delle emissioni di gas serra è stata ottenuta, ma gli avanzamenti non hanno portato al superamento di questo limite in termini risolutivi. Da qui nasce l’interesse per la produzione di idrogeno blu. Questa modalità si inserisce nella strategia delle NET, e consiste essenzialmente nel mantenere la produzione di idrogeno utilizzando idrocarburi (soprattutto gas naturale), compensando le emissioni della CO2 prodotta mediante tecnologie CCS.

Gli idrocarburi non sono però l’unica fonte possibile di idrogeno. Anche l’acqua può esserne una fonte, in un processo simile a quello della cosiddetta fase luminosa della fotosintesi nelle piante. La similitudine motiva così la qualifica di idrogeno verde. L’idrogeno in questo caso viene ottenuto dall’acqua e l’energia necessaria per la reazione è fornita dal sole, via elettricità, sostenendo l’elettrolisi della molecola d’acqua. Ecco che un processo di produzione di idrogeno verde si qualifica come pienamente sostenibile, perché impiega una fonte di energia del tutto rinnovabile e un materiale di partenza, l’acqua, facilmente accessibile e anch’essa rinnovabile.

A questo proposito, sembra opportuno segnalare che la collocazione dell’acqua fra le risorse rinnovabili si basa sull’esistenza di un ciclo dell’acqua (32, 33), ma le alterazioni che i cambiamenti climatici hanno indotto in questo ciclo (34), e la crescente domanda d’uso della risorsa, pongono l’acqua fra quelle che richiedono valutazioni di sostenibilità (35, 36) e una gestione in sintonia con la natura (37).

In termini prospettici, l’idrogeno è da prevedere vada a sostituire gli idrocarburi come combustibile, sia per la sua sostenibilità, sia per le possibilità di trasferimento e stoccaggio non dissimili da quelle degli idrocarburi, in primo luogo del gas naturale. Non sorprende quindi che la UE abbia elaborato una strategia di sostegno all’uso dell’idrogeno proiettata in un futuro di contrasto ai cambiamenti climatici (38). Due elementi di questa visione vanno sottolineati. Da un lato, la comunicazione 301 prevede che la quota dell’idrogeno nel mix dell’energia europea cresca da un valore attuale inferiore al 2% fino a raggiungere il 13-14% nel 2050. Dall’altro, riconoscendo

l’incremento degli investimenti in elettrolizzatori da 3,2 a 8,2 GW al 2030, la comunicazione 301 pone l’idrogeno verde al centro dell’attenzione, in una prospettiva di esplicita sostenibilità.

Questa strategia mira chiaramente a un futuro marcato dall’uso di idrogeno pulito, per tutti i processi che si prevede continueranno a richiedere la disponibilità di combustibili, come, ad esempio, il trasporto aereo.

 

3. Sostenibilità e decarbonizzazione: diminuzioni relative e assolute delle emissioni di CO2

Quanto fin qui esaminato non copre altro che una piccola porzione delle opzioni disponibili per azioni di mitigazione. Pur nei limiti delle considerazioni fatte, queste mostrano come scelte mirate al medesimo obiettivo possano produrre esiti non privi di criticità, fino a includere elementi contraddittori.

Questa non è una novità. Già nelle analisi del Fifth Assessment Report IPCC emergevano mediazioni e limiti di diverse possibili opzioni, sia di mitigazione che di adattamento ai cambiamenti climatici (39), rendendo il loro esame aspetto pervasivo dell’intero Report, come conseguenza della enorme complessità del quadro esistente.

Mantenendo l’attenzione sulle due opzioni di mitigazione fin qui considerate, è possibile inquadrarle fra quelle di transizione, mirate alla neutralità delle emissioni, raggiunta con modalità in cui quelle dovute a idrocarburi e al loro uso sono neutralizzate da altri processi che consentono la rimozione fisica o chimica della CO2 prodotta. Questo è il quadro esaminato in riferimento alle NET, che consentono la compartimentazione della CO2 in ambienti senza comunicazione con l’atmosfera, ad esempio CCS, ovvero la sua riconversione in composti organici attraverso processi fotosintetici (riforestazione/afforestazione, utilizzo di colture per la produzione di biocarburanti, ecc.).

A questo proposito va riconosciuta e sottolineata l’importanza dei programmi di riforestazione per la conservazione ambientale e la biodiversità, necessari al mantenimento di ecosistemi e servizi ecosistemici fortemente, rimarcata dalla Piattaforma Intergovernativa sulla Biodiversità e i Servizi Ecosistemici (IPBES; si veda la nota 8). Nella stessa linea vanno esaminati vantaggi e criticità legate a programmi di riforestazione/afforestazione progettati per compensare l’uso di idrocarburi come fonte energetica (24, 40-42).

L’uso di NET non è opzione comunque ottimale in percorsi di mitigazione (20, 21, 24, 26), tant’è che esiste almeno una tipologia che, alla prova dei fatti, è risultata inappropriata, in quanto responsabile essa stessa di indurre severe alterazioni ambientali. La tecnologia in questione è chiamata di concimazione degli oceani (ocean fertilization), in quanto consiste nella dispersione di composti inorganici (in particolare contenenti ferro) nelle acque marine. Tali composti sono in grado di stimolare la crescita di popolazioni di alghe fotosintetiche, e, conseguentemente, di incrementare l’utilizzo della CO2 disciolta in acqua e il suo uso per la sintesi di composti del carbonio (20, 21, 24, 43). Benché questi interventi siano effettivamente in grado di aumentare l’uso dell’anidride carbonica con un incremento della produzione primaria in ambiente marino,

l’inabissamento della materia prodotta, in primo luogo i residui delle alghe morte, si accompagna a processi di decomposizione, con il rilascio di metano e biossido d’azoto (43). Questi composti costituiscono essi stessi gas serra (6), e possiedono un potenziale di riscaldamento globale di gran lunga superiore a quello della CO2 (44), determinando quindi un esito opposto a quanto voluto. Per questi motivi, la concimazione dell’ambiente marino non viene più considerata una NET efficace per scenari sostenibili di contrasto ai cambiamenti climatici (21, 43), e la pratica della concimazione degli oceani è stata strettamente regolamentata nella “Convenzione di Londra” sulla prevenzione dell’inquinamento marino e il suo Protocollo di aggiornamento (45).

La bassa efficacia dell’approccio reattivo delle NET e le politiche mirate alla compensazione delle perduranti emissioni di CO2 (carbon offset) non costituiscono opzioni di una loro riduzione assoluta, ma consentono un rallentamento del loro incremento in atmosfera, compatibile con tempi più lunghi per il raggiungimento di una effettiva decarbonizzazione (46) e il perseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Diventa così rilevante soppesare la reale efficacia della riduzione relativa delle emissioni di CO2 rispetto a opzioni che portino a riduzioni assolute (46), almeno in riferimento a un obiettivo complessivo di contrasto ai cambiamenti climatici in sintonia con la conservazione degli ecosistemi e la tutela della biodiversità.

Proprio a questo proposito emergono criticità rilevanti per la sostenibilità degli scenari di mitigazione, riferibili allo scarto esistente fra riduzioni di emissioni di gas serra previste/perseguite e quelle reali esaminato nelle sezioni precedenti, nonché le conseguenze negative che il ritardo esistente nel decremento delle emissioni può determinare a carico delle società e degli ecosistemi.

Lo scarto nelle riduzioni delle emissioni di gas serra, quindi nel contenimento del riscaldamento globale, è fattore di grande rilievo per il peggioramento delle condizioni ambientali. È infatti previsto che i rischi e gli impatti in sistemi naturali e umani associati al processo in corso aumentino in conseguenza dell’incremento del riscaldamento globale (si veda in particolare il capitolo 3 del documento in nota 10), una valutazione che viene ripresa nel rapporto IPBES del 2019 (8), esaminando le conseguenze previste a carico di ecosistemi e biodiversità (47).

Queste considerazioni sostengono i richiami a favore della diminuzione assoluta delle emissioni di gas serra, piuttosto che la loro neutralità, puntando a riportare le concentrazioni di CO2 in atmosfera al di sotto delle 400 ppm, come traiettoria preferibile per la limitazione del riscaldamento globale e la conservazione degli ecosistemi e la loro biodiversità.

Una simile traiettoria rappresenta una sfida di grande portata, in quanto la diminuzione delle emissioni di CO2 rappresentano soltanto una parte di quelle complessive dei gas serra. Gli interventi di contrasto ai cambiamenti climatici dovranno infatti comprendere opzioni decise di mitigazione anche a carico di altri gas serra, primi fra tutti il metano e il protossido d’azoto, come già segnalato.

 

4. La sostenibilità richiede uno sforzo intergenerazionale di contrasto ai cambiamenti climatici

Il confronto fra traiettorie di modifica delle emissioni di gas serra, posto in una prospettiva storica che comprende l’incremento registrato negli ultimi 100 anni, si collega necessariamente a una valutazione su cosa sia realmente classificabile fra le azioni di contrasto ai cambiamenti climatici, proprio a partire dal riconoscimento di vantaggi e svantaggi delle singole opzioni, una scelta analitica sistematicamente inserita nelle elaborazioni del Fifth Assessment Report IPCC (48)

Puntare alla ricomposizione e al superamento di un quadro marcato da esigenze molto diverse, e spesso contrapposte, non sembra obiettivo raggiungibile nel breve periodo. Appare più utile, invece, esaminare metodi perseguiti finora per avanzare in un programma di individuazione delle opzioni migliori.

La strada proposta da IPCC per la gestione dei rischi valorizza il perseguimento di “misure a basso rammarico”, cioè le misure che danno benefici sia negli scenari esistenti che in una gamma di quelli prevedibili nel futuro (49).

Vale la pena soffermarsi su questo approccio, per esaminarne elementi rilevanti delle sue motivazioni, ambiti di applicabilità, e anche alcune conseguenze che si accompagnano al suo impiego.

L’approccio cui IPCC fa riferimento è stato elaborato a partire dal riconoscimento che le scelte su cui basare gli interventi di contrasto ai cambiamenti climatici sono marcate da tre criticità maggiori: l’incertezza degli scenari in cui questi effettivamente si collocheranno, la loro proiezione su tempi che potrebbero essere lontani dal presente, la rilevanza, in termini di costi e dimensione, di quanto deve essere realizzato adesso per fare fronte a scenari futuri (50). A fronte di queste criticità, acquista senso un approccio che minimizzi i possibili contraccolpi negativi nel maggior numero possibile degli scenari, prevedibili o meno. Questa sottigliezza lessicale non è senza conseguenze. Il termine che originariamente ha indicato questo approccio sottolineava l’assenza di rammarico (no-regret), puntando a soluzioni che riuscissero essere appropriate in qualsiasi scenario possibile (50, 51). Con maggior cautela, IPCC punta invece a opzioni che siano efficaci in una gamma di scenari (low-regret).

Si tratta di un possibile approccio alla individuazione delle mediazioni necessarie per la gestione del rischio, di qualsiasi rischio. Un aspetto interessante di questo approccio è il riconoscimento che le scelte fatte ora per affrontare scenari futuri, con un significativo grado di incertezza, implicano comunque compromessi. Questi sono riferibili a molteplici dimensioni: economiche, ambientali, sociali (50, 51). La previsione di compromessi sembra implicitamente ammettere esiti in cui il riconoscimento dei limiti e la ricerca di condizioni associate a un loro minimo risulterebbe dominante rispetto al loro superamento. Un simile approccio prudenziale, tuttavia, consente di evitare che l’incertezza, rilevanza politico/economica, nonché le conoscenze limitate su specifici scenari futuri, particolarmente a lungo termine, vadano a costituire una barriera all’azione per la riduzione dei rischi associati ai cambiamenti climatici (49).

D’altro canto, le difficoltà associate a scelte di contrasto ai cambiamenti climatici sono ben presenti nelle elaborazioni di IPCC, anche quando viene affrontata la questione dei percorsi di adattamento, mitigazione e sviluppo sostenibile, dove la sostenibilità, appunto, emerge come elemento pervasivo degli scenari auspicati (48). Citiamo una frase introduttiva del capitolo 20 del rapporto redatto dal Gruppo di lavoro II del Fifth Assessment Report IPCC (6): “I percorsi resilienti in riferimento al clima sono … traiettorie di sviluppo che combinano l’adattamento e la mitigazione con istituzioni efficaci nella realizzazione dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile”. In questi percorsi vengono riconosciute due tipologie di risposte, con un buon grado di contrapposizione. Le risposte incrementali sono quelle associate agli approcci correnti (business as usual), a cui si contrappongono le risposte trasformative, fondate su innovazioni che contribuiscono a cambiamenti sistemici (ibidem).

I cambiamenti trasformativi sono centrali nella riflessione di IPCC, così come in quella di IPBES, venendo presentati come l’opzione preferita per la conservazione dell’ambiente e la tutela dei servizi ecosistemici, rese improcrastinabili dalle modifiche di origine antropica introdotte nel nostro pianeta. Nel Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services redatto da IPBES, apparso nel maggio del 2019, i cambiamenti trasformativi sono definiti come “riorganizzazioni fondamentali, di portata sistemica, che attraversano fattori tecnologici, economici e sociali, comprendenti paradigmi, obiettivi e valori” (52).

I percorsi di contrasto ai cambiamenti climatici pongono così di fronte a scelte di grande complessità, tanto più quanto maggiore è l’allontanamento previsto, o cercato, dal business as usual.

Un aspetto non secondario di questa complessità è legato a un quadro in cui le scelte strategiche richiedono necessariamente contributi trasversali da diversi contesti disciplinari, proprio per la dimensione sistemica che si intende impiegare. In questi termini è probabilmente esatto affermare che una criticità maggiore della fase corrente è proprio legata alla ricerca di posizioni di mediazione fra risposte incrementali e trasformative nell’impostare scelte efficaci e coerenti con un progresso sociale sostenibile, quindi mantenuto nello spazio operativo sicuro per l’umanità su scala globale.

Facendo riferimento alla condizione presente, di lotta alla pandemia dovuta a SARS-CoV-2 nel contesto della UE, troviamo di grande interesse il potenziale del Recovery Plan, con un focus esplicito su investimenti per una UE verde, digitale e resiliente, e strumenti finanziari mirati al sostegno delle prossime generazioni (53).

Proprio i punti caratterizzanti gli obiettivi di questo piano, tanto più se considerati in riferimento al programma dello European Green Deal (54), portano a richiamare l’importanza che i progetti sostenuti da strumenti finanziari così estesi siano dedicati a obiettivi in grado di andare oltre le “misure a basso rammarico”, assestandosi in un quadro di cambiamenti trasformativi, a sostegno delle condizioni di vita delle generazioni future e la conservazione degli ecosistemi.

La recente approvazione del Regolamento 2020/852 (55) si configura come un passo importante per procedere in questa direzione in una prospettiva di sostenibilità. Il provvedimento “…stabilisce i criteri per determinare se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibile, al fine di individuare il grado di sostenibilità di un investimento” (Art. 1).

La rilevanza di questo Regolamento di classificazione delle attività economiche sostenibili (la “tassonomia”) è su molteplici piani, due dei quali vanno sottolineati. Innanzitutto, questo è un primo esempio di formalizzazione di criteri di valutazione per procedere a scelte di sostenibilità con un provvedimento legislativo, consentendo di andare oltre condizioni determinate essenzialmente da contesti puntuali. Proprio l’indicazione di criteri e la loro concretizzazione in un sistema di classificazione delle attività economiche ambientalmente sostenibili, la tassonomia appunto, stabilisce un terreno su cui è possibile affrontare confronti di merito sulle qualità delle scelte da fare, essendo queste suscettibili di miglioramenti e affinamento, come emerge chiaramente dal Rapporto finale del gruppo di esperti e il suo Allegato (56).

In secondo luogo, il Regolamento 2020/852, definendo le caratteristiche di ciò che costituisce un “danno significativo agli obiettivi ambientali” (Art. 17), pone le basi per la prescrizione che non vadano sostenute o condotte “attività economiche che arrecano un danno significativo a qualsiasi obiettivo ambientale” (57). Questo costituisce un avanzamento, rispetto alla ricerca del minor danno possibile associata delle misure a basso rammarico.

Un simile approccio giustifica prospettive di azioni in cui la dimensione diacronica è elemento essenziale, che, proiettato sulla questione della giustizia intergenerazionale, dovrebbe indurre a sostenere progetti che non spostano il peso economico e ambientale, in primo luogo il deprezzamento del capitale naturale e il degrado degli ecosistemi (58), prevalentemente sulle spalle delle generazioni future.

In questa fase di enormi investimenti dedicati alla ripresa dell’economia in epoca post-COVID, l’adesione a opzioni di sostanziale decarbonizzazione appare una scelta obbligata in una prospettiva di giustizia intergenerazionale. Diversamente, “Investire in tecnologie legate ai combustibili fossili ormai sorpassate, più che creare prosperità e facilitare il ripianamento del debito, lascia le generazioni future con più debiti, più alto costo del capitale, patrimoni svalutati e perfino un riscaldamento maggiore” (59).

L’incremento di gas serra in atmosfera e il conseguente riscaldamento globale sono parte di un processo intergenerazionale, che si è mostrato in termini particolarmente marcati negli ultimi decenni e potrebbe proseguire nei prossimi, se non verranno perseguite con decisione opzioni efficaci di contrasto ai cambiamenti climatici. Nelle condizioni esistenti, queste azioni dovrebbero essere un progetto pervasivo e continuo, con un peso e costi distribuiti su tutte le generazioni coinvolte, a partire da quelle esistenti. La responsabilità delle condizioni presenti è globale e collettiva, benché differenziata. Come tale, andrebbe affrontata puntando a un impegno che tenga conto della giustizia intergenerazionale. In questa prospettiva, una strategia impostata sullo scenario del pagare presto (23), marcato da una decisa crescita delle fonti di energia decarbonizzate, è pienamente giustificata, tanto più se si considera che l’incremento di CO2 in atmosfera da 300 a 400 ppm è avvenuto negli ultimi 70 anni.

Le linee maggiori per procedere con un simile percorso sono in buona parte individuate (6, 8, 23, 43, 60-63), e alcune opzioni sono state esaminate in questo scritto.

Meno semplice è delineare possibili percorsi per procedere in linea con scenari di giustizia intergenerazionale, se non altro per lo spazio di indeterminazione esistente su cosa possa realmente sostenere questo obiettivo (64). Limitando l’attenzione a una prospettiva di breve periodo, facendo riferimento alle coorti di nascita già esistenti, è immediato pensare al movimento crescente dei Fridays for future, che, assieme agli interventi di Greta Thunberg e altre iniziative passate (65), va ricordando i punti centrali di cause, effetti e necessità ambientali e sociali dei cambiamenti climatici, in linea con quanto sviluppato da IPCC e IPBES. Non verranno qui esaminati gli elementi maggiori di questo fenomeno, ma sembra opportuno sottolineare che proprio questo movimento, nella sua eterogeneità, richiama l’importanza dei cambiamenti trasformativi già segnalata. Una decisa presa di responsabilità, qualificata da modifiche di scelte individuali in linea con gli obiettivi di sostenibilità e conservazione ambientale, dovrà necessariamente essere parte delle istanze portate avanti da questo movimento e dalla società tutta.

Le scelte tecnologiche e le loro conseguenze sugli scenari possibili di cambiamento climatico non sono infatti gli unici fattori di rilievo del processo in corso. A queste vanno necessariamente associate le scelte individuali, che, di fatto, avranno un ruolo essenziale nella definizione dei comportamenti, consumi e quadri economici che accompagneranno e determineranno le traiettorie del processo. È un aspetto preso in seria considerazione nelle elaborazioni di IPCC (66), ed è anche un’area estesa in cui si manifesta il ritardo già esaminato a proposito della diminuzione delle emissioni di gas serra. Proprio nell’ultimo Emissions Gap Report vengono esaminate le scelte che marcano gli stili di vita individuali (13), sottolineando come siano urgenti modifiche comportamentali nelle famiglie, un cambiamento che non può procedere rapidamente e in termini marcati senza l’accompagnamento di interventi strutturali e infrastrutturali in progetti istituzionali, come quelli prevedibili per il Recovery Plan.

Senza addentrarsi nei dettagli delle scelte segnalate, è però utile richiamare un paio di esempi, che da tempo emergono nelle visioni e discussioni correnti, venendo ripresi in questo rapporto (13). Il primo di questi è l’importanza di abbandonare il più possibile la mobilità con mezzi individuali, tanto più se la loro propulsione richiede la combustione di idrocarburi, e preferire l’uso dei mezzi pubblici, una scelta che diminuirebbe marcatamente le emissioni legate agli spostamenti, sia quelli quotidiani, sia altri a medio/lungo raggio.

La modifica delle abitudini alimentari è un altro campo d’azione a notevole impatto, in quanto non ha conseguenze soltanto sulle emissioni di CO2, ma anche su altri gas serra, quali il metano e il protossido d’azoto, potendo influenzare anche alterazioni ambientali dovute all’uso di pesticidi e di fertilizzanti. In questo caso, la scelta di cibi ottenibili con minori emissioni di gas serra, diminuita diffusione di inquinanti, nonché la riduzione degli sprechi, hanno ruoli rilevanti nel perseguimento di scelte individuali a sostegno del contrasto ai cambiamenti climatici.

Ritornando al tema della giustizia intergenerazionale, la questione diventa più complessa se si sposta l’attenzione dalle coorti di nascita già esistenti alle generazioni che seguiranno, per

diversi motivi. Il primo fra tutti è il riconoscimento che, diversamente dalle presenti, le generazioni future non possono partecipare in qualche modo ai processi deliberativi correnti e, conseguentemente, dipendono da valutazioni di chi ora elabora in quella prospettiva, con i limiti della presunzione, bona fide, di quali possano essere gli orientamenti e le scelte che queste potrebbero, o dovrebbero, perseguire. Non si tratta così di un semplice problema procedurale, quanto, piuttosto, di riuscire a individuare approcci, strategie e scenari in grado di tutelare al massimo gli interessi di chi non ha possibilità di partecipare alle operazioni deliberative dei processi democratici riconoscibili nello stato di diritto, che vengono condotte ora, avendo impatti su un futuro anche lontano (64).

Non si tratta di scelte banali, andando a toccare le risorse che saranno a disposizione delle prossime generazioni, i biosistemi e loro qualità, il capitale naturale, le condizioni complessive del pianeta in cui viviamo.

Diventa così opportuno seguire un approccio marcato dal principio di precauzione che, per i punti toccati in questo scritto, sono riconducibili a due linee maggiori. La prima è la scelta di opzioni che evitino il più possibile, per quanto è conosciuto, condizioni di imprigionamento in quadri vincolanti (lock-in), difficilmente modificabili una volta stabilizzati. La seconda è quella di massimizzare la sostenibilità delle opzioni, preferendo riposte trasformative, come già segnalato. Procedere verso la decarbonizzazione assoluta, puntando su fonti di energia rinnovabili a emissioni trascurabili di gas serra (solare ed eolico, in primo luogo), sarebbe una scelta in linea con quanto esaminato finora. Come sottolineato da diverse fonti, l’opzione è già resa possibile dalla disponibilità di appropriate risorse tecnologiche e finanziarie (12, 13, 60, 61).

Le due linee enunciate potrebbero essere rafforzate da un impiego sempre più esteso dell’approccio già utilizzato nella ricerca di politiche di sviluppo sostenibile e contrasto ai cambiamenti climatici elaborate in questi anni, almeno a partire dalla Conferenza di Rio del 1992 e l’istituzione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCC). Si tratta dell’impianto del sostegno economico a programmi per lo sviluppo sostenibile, in cui i Paesi più ricchi aderenti alla convenzione (Annex II Parties) trasferiscono finanziamenti, come prestiti o sovvenzioni, ai “Non-Annex I Parties” (67), un impianto mantenuto nell’Accordo di Parigi, all’articolo 9 (9).

Considerato che i Paesi del G20 sono responsabili di poco meno dell’80% delle emissioni di gas serra negli ultimi anni (12, 13), il loro coinvolgimento nel finanziamento dello sviluppo sostenibile e il contrasto ai cambiamenti climatici nei Paesi meno ricchi è scelta in linea con un principio generale di giustizia distributiva.

Può un simile impianto trovare forme attuative che sostengano la giustizia intergenerazionale?

Questo è un punto di grande complessità, la cui risposta rimane da individuare. Le premesse che giustificano una simile riflessione esistono, a partire dal riconoscimento che il maggior incremento di emissioni di gas serra è avvenuto nella seconda metà del secolo scorso e sta proseguendo. A questo si potrebbe aggiungere che le emissioni di gas serra pro capite sono

molto più alte nei Paesi economicamente avanzati rispetto agli altri Paesi (12, 13). Non solo, se le emissioni vengono valutate in termini di quantità associate all’ottenimento di un prodotto, la cosiddetta “impronta del carbonio”, siamo di fronte a processi in cui questa si sposta nel luogo di effettivo consumo dei prodotti, cioè in Paesi diversi da quelli della loro produzione. In questi casi, le emissioni incorporate nel prodotto e basate sul consumo hanno una distribuzione marcata dal loro spostamento dai Paesi in sviluppo ai Paesi più ricchi (12). In termini molto semplificati, maggiori sono i consumi, maggiore è la dimensione dell’impronta del carbonio dei consumi, che, pur risultando da scelte individuali e andando a configurare responsabilità differenziate, si proietta su caratteristiche e qualità di scenari futuri a cui tutti saranno esposti, proprio in quanto globalmente determinati.

Le politiche fiscali sono elementi chiave del contrasto ai cambiamenti climatici, e l’attribuzione di un prezzo alle emissioni di CO2, come tassa sul carbonio o altre forme, è parte di progetti in deciso sviluppo (62, 63). Sembra ineludibile che lo sviluppo di questi progetti richieda valutazioni anche in riferimento alla giustizia intergenerazionale.

In conclusione, le considerazioni fatte suggeriscono la necessità di condurre analisi con maggiore granularità, per esaminare se e in che termini sia possibile sviluppare interventi più puntuali e mirati al sostegno della giustizia intergenerazionale, che accompagnino e siano di complemento a quanto si sta già impiegando per avere lo sviluppo sostenibile, la conservazione ambientale e una equa transizione energetica sul piano globale. Tutto ciò è necessario sia accompagnato dalla consapevolezza che la specie umana è soltanto uno dei componenti del nostro pianeta ed è emerso di recente, meno di tre milioni di anni fa (68). In questa prospettiva, la conservazione dell’ambiente, cioè lo spazio operativo sicuro dell’umanità, ha un rilievo in sé e la sostenibilità comprende la giustizia intergenerazionale, avendo una portata più ampia.

 

Ringraziamenti

Ringrazio Gianluca Grimalda (Kiel Institute for the World Economy) per i commenti critici a una prima bozza di questo scritto, che mi hanno spinto a introdurre alcune modifiche e aggiunte, migliorando sensibilmente la qualità complessiva di questo contributo.

 

Note e bibliografia

1. Fleurbaey M., Bouin O., Salles-Djelic M.-L., Kanbur R., Nowotny H., Reis E.; A Manifesto for Social Progress; Cambridge University Press, 2018; p. 6.

2. Rapporto della Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo: il Futuro di Tutti Noi, Cap. 2; https://sustainabledevelopment.un.org/content/documents/5987our-common-future.pdf (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

3. Rockström J., Steffen W., Noone K., Persson Å., Chapin, F.S. III, Lambin E.F., Lenton T.M., Scheffer M., Folke C., Schellnhuber H.J., Nykvist B., de Wit C.A., Hughes T., van der Leeuw S.,

Rodhe H., Sörlin S., Snyder P.K., Costanza R., Svedin U., Falkenmark M., Karlberg L., Corell R.W., Fabry V.J., Hansen J., Walker B., Liverman D., Richardson K., Crutzen P., Foley J.A.; A Safe Operating Space for Humanity; Nature 461: 472-475 (2009).

4. Armaroli N., Balzani V.; Energia per l’astronave Terra; Zanichelli, Bologna, 3° ed., 2017.

5. Crutzen P.J., Stoermer E.F.; The “Anthropocene”; IGBP Newslett. 41: 17-18 (2000).

6. L’anidride carbonica è soltanto uno dei tanti gas a effetto serra presenti nell’atmosfera, derivati da diversi processi biotici e abiotici, legati ad attività antropiche e non. Una estesa trattazione dell’origine e conseguenze dei gas serra presenti in atmosfera è riportata nel Fifth Assessment Report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). I testi dei Gruppi di Lavoro I, II e III, che hanno redatto il rapporto, sono stati pubblicati nel 2013-2014 e sono rintracciabili nel sito https://www.ipcc.ch/reports/ (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

7. Le azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici sono esaminate in particolare nel testo del Gruppo di lavoro III del Fifth Assessment Report IPCC: Climate Change 2014: Mitigation of Climate Change. Contribution of Working Group III to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change [Edenhofer, O., R. Pichs-Madruga, Y. Sokona, E. Farahani, S. Kadner, K. Seyboth, A. Adler, I. Baum, S. Brunner, P. Eickemeier, B. Kriemann, J. Savolainen, S. Schlömer, C. von Stechow, T. Zwickel and J.C. Minx (eds.)]. Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA. Il testo è scaricabile a https://www.ipcc.ch/report/ar5/wg3/ (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

8. Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (2019), Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services; Rapporto scaricabile a https://ipbes.net/ipbes-global-assessment-report-biodiversity-ecosystem-services (ultimo accesso il 13 aprile 2021). 9. Il testo dell’accordo in diverse lingue è scaricabile alla pagina https://unfccc.int/process-and-meetings/the-paris-agreement/the-paris-agreement (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

10. Intergovernmental Panel on Climate Change; Global warming of 1.5 °C, 2018. Il Documento è scaricabile alla pagina https://www.ipcc.ch/sr15/ (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

11. Tollefson J.; The hard truth of climate change; Nature 573: 342-327, 2019.

12. UN Environment Programme; Emissions Gap Report 2019; Il Documento è scaricabile alla pagina https://www.unep.org/resources/emissions-gap-report-2019 (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

13. UN Environment Programme; Emissions Gap Report 2020; Il Documento è scaricabile alla pagina https://www.unep.org/emissions-gap-report-2020 (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

14. Lüthi D., Le Floch M., Bereiter B., Blunier T., Barnola J.-M., Siegenthaler U., Raynaud D., Jouzel J., Fisher H., Kawamura K., Stocker T.F.; High-resolution carbon dioxide concentration record 650,000-800,000 years before present; Nature 453: 379-382, 2008.

15. Steffen W., Broadgate W., Deutsch L., Gaffney O., Ludwig C.; The trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration; The Anthropocene Review 2: 81-98, 2015.

16. Nel 1958 un chimico statunitense, Charles D. Keeling, cominciò a raccogliere campioni per la misurazione dei livelli di CO2 in atmosfera presso la base di Mauna Loa nelle isole Hawaii, nel contesto di attività condotte come ricercatore dello Scripps Institution of Oceanography della University of California San Diego. La misurazione è proseguita nel tempo e viene condotta giornalmente. Il risultato di questo piano di misurazione e registrazione delle concentrazioni di CO2 in atmosfera, la sua integrazione con misure fatte in altri studi, fornisce informazioni rilevanti sull’andamento di questo gas serra in diversi intervalli temporali, rintracciabili alla pagina https://keelingcurve.ucsd.edu/ (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

17. Sulla base di modifiche di origine antropica delle condizioni attuali si basa il termine Antropocene dato all’epoca corrente. Quali siano le modifiche caratterizzanti l’antropocene e, conseguentemente, quando è iniziato sono punti tuttora in discussione. Per maggiori informazioni in merito alla questione, si vedano i contributi citati nelle note 5 e 38, cui sembra utile aggiungerne un altro più recente: Subramanian M.; Humans versus Earth; Nature 572: 168-170, 2019.

18. Si vedano, a titolo puramente esemplificativo, i due articoli apparsi sul Corriere della Sera nei giorni 20 set. 2020 (p. 29) e 15 nov. 2020 (p.33).

19. Queste costituiscono due azioni del “Piano strategico 2021-2024” di ENI. Il testo è scaricabile alla pagina https://www.eni.com/it-IT/media/comunicati-stampa/2021/02/piano-strategico-2021-2024.html (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

20. Minx J.C., Lamb W.F., Callaghan M.W., Fuss S., Hilaire J., Creutzig F., Amann T., Beringer T., de Oliveira Garcia W., Hartmann J., Khanna T., Lenzi D., KLuderer G., Nemet G.F., Rogelj J., Smith P., Vicente J.L.V., Wilcox J., del Mar Zamora Dominguez M.; Negative emissions – Part 1: Research landscape and synthesis; Environ. Res. Lett. 13: 063001 (2018). La definizione di NET è riportata alla p. 3 di questo lavoro.

21. Per una trattazione complessiva e aggiornata delle Negative Emissions Technologies, si veda: National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine; Negative Emissions Technologies and Reliable Sequestration: A Research Agenda. Washington, DC: The National Academies Press (2019).

22. IPCC: IPCC Special Report on Carbon Dioxide Capture and Storage. Prepared by Working Group III of the Intergovernmental Panel on Climate Change [Metz, B., O. Davidson, H. C. de Coninck, M. Loos, and L. A. Meyer (eds.)]. Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA (2005).

23. Tollefson J.; The 2°C dream; Nature 527: 436-438, 2015.

24. Williamson P.; Scrutinize CO2 removal methods; Nature 530: 153-155, 2016.

25. Creutzig F.; Govern land as a global commons; Nature 546: 28-29, 2017.

26. Lenzi D.,Lamb W.F., Hilaire J., Kowarsch M., Mink, J.C.; Weigh the ethics of plans to mop up carbon dioxide; Nature 561: 303-305, 2018.

27. International Energy Agency; World Energy Outlook 2019. Il testo è scaricabile alla pagina https://www.iea.org/reports/world-energy-outlook-2019 (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

28. Una descrizione semplice ed efficace dei processi di produzione di idrogeno si può trovare nel fascicolo Shell Hydrogen Study; Energy of the future? (2017); scaricabile alla pagina https://www.shell.com/energy-and-innovation/new-energies/hydrogen.html (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

29. La stima è della CertifHy (2019), citata in: van Wijk A., Chatzimarkakis J.; Green Hydrogen for a European Green Deal (2020); scaricabile alla pagina https://static1.squarespace.com/static/5d3f0387728026000121b2a2/t/5e85aa53179bb450f86a4efb/1585818266517/2020-04-01_Dii_Hydrogen_Studie2020_v13_SP.pdf (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

30. Joint Research Centre of the European Commission; Well-to-Wheels analysis of future automotive fuels and powertrains in the European context; WELL-to-WHEELS Report; version 4a (2014); scaricabile alla pagina https://ec.europa.eu/jrc/en/publication/eur-scientific-and-technical-research-reports/well-wheels-report-version-4a-jec-well-wheels-analysis (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

31. International Energy Agency; World Energy; The Future of Hydrogen (2019); scaricabile alla pagina https://www.iea.org/reports/the-future-of-hydrogen (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

32. Schlesinger W.H., Bernhardt E.S.; Biogeochemistry; Academic Press, 2013, Third edition, capitolo 10.

33. Hartmann D.L.; Global Physical Climatology; Elsevier, 2016, Second edition, capitolo 5.

34. Si vedano, in particolare il capitolo 2 nel testo redatto dal Gruppo di Lavoro I e il capitolo 3 nel testo redatto dal Gruppo di Lavoro II del Fifth Assessment Report IPCC, riportati in nota 6.

35. OECD; Drying Wells, Rising Stakes: Towards Sustainable Agricultural Groundwater Use, OECD Studies on Water, OECD Publishing, 2015. Il testo è scaricabile alla pagina https://www.oecd.org/publications/drying-wells-rising-stakes-9789264238701-en.htm (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

36. OECD; Water Governance in Cities, OECD Studies on Water, OECD Publishing, 2016. Il testo è scaricabile alla pagina https://www.oecd.org/environment/water-governance-in-cities-9789264251090-en.htm (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

37. United Nations World Water Assessment Programme/UN-Water. The United Nations World Water Development Report 2018: Nature-Based Solutions for Water; UNESCO, 2018. Il testo è scaricabile alla pagina https://www.unwater.org/publications/world-water-development-report-2018/ (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

38. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni; Una strategia per l’idrogeno per un’Europa climaticamente neutra; COM/2020/301 final (2020); scaricabile alla pagina https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52020DC0301 (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

39. La mitigazione è stata già affrontata nella parte iniziale di questo scritto. Venendo all’adattamento, una definizione semplificata può essere la seguente: il processo di aggiustamento al clima esistente, o previsto, e ai suoi effetti, allo scopo di moderare il danno e sfruttare le opportunità benefiche. La definizione utilizzata da IPCC è più articolata ed è rintracciabile nel Glossario del documento stilato dal Working Group II nel Fifth Assessment Report (2014). Il testo è scaricabile nella pagina https://www.ipcc.ch/report/ar5/wg2/ (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

40. Hubau W., et al.; Asynchronous carbon sink saturation in African and Amazonian tropical forests; Nature 579: 80-87, 2020.

41. Holl K.D., Brancalion P.H.S.; Tree planting is not a simple solution; Science 368: 580-581, 2020.

42. Cook-Patton S.C., Leavitt S.M., Gibbs D, Harris N.L., Lister K., Anderson-Teixeira K.J., Briggs R.D., Chazdon R.L., Crowther T.W., Ellis P.W., Griscom H.P., Herrmann V., Holl K.D., Houghton R.A., Larrosa C., Lomax G., Lucas R., Madsen P., Malhi Y., Paquette A., Parker J.D., Paul K., Routh D., Roxburgh S., Saatchi S., van den Hoogen J., Walker W.S., Wheeler C.E., Wood S.A., Xu L., Griscom B.W.; Mapping carbon accumulation potential from global natural forest regrowth; Nature 585: 545-550, 2020.

43. Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection; “High level review of a wide range of proposed marine geoengineering techniques”. (Boyd, P.W. and Vivian, C.M.G., eds.). (IMO/FAO/UNESCO-IOC/UNIDO/WMO/IAEA/UN/UN Environment/ UNDP/ISA Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection). Rep. Stud. GESAMP No. 98, 2019. Il documento è scaricabile alla pagina http://www.gesamp.org/site/assets/files/1996/rs98e-1.pdf (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

44. Si veda la tabulazione riportata nel sito del Carbon Dioxide Information Analysis Center del U.S. Department of Energy alla pagina http://cdiac.ess-dive.lbl.gov/pns/current_ghg.html (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

45. Informazioni sulla Convention on the Prevention of Marine Pollution by Dumping of Wastes and Other Matter del 1972, e sul Protocollo di aggiornamento del 1996, si trovano nel sito dell’International Maritime Organization, dove sono scaricabili anche i testi dei provvedimenti (https://www.imo.org/en/OurWork/Environment/Pages/London-Convention-Protocol.aspx, ultimo accesso il 13 aprile 2021)).

46. International Energy Agency; World Energy Outlook 2020. Il testo è scaricabile alla pagina https://www.iea.org/reports/world-energy-outlook-2020 (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

47. A questo punto è opportuno notare che la linearità fra cambiamenti e impatti, come potrebbe apparire da una serie di osservazioni riportate in questo contributo, non è tuttavia da assumere come generalizzabile. Da tempo è riconosciuto che molteplici fenomeni delle scienze naturali hanno andamenti che si manifestano con cambiamenti improvvisi, e l’esistenza di discontinuità, cui segue una modifica radicale del quadro complessivo (tipping points), costituisce un campo di studio molto rilevante per quanto attiene i cambiamenti climatici. Si vedano, per esempio, i due seguenti contributi:

· Lenton T.M.; Environmental tipping point; Annu. Rev. Environm. Resour. 38: 1-29, 2013.

· Kenton T.M., Rokström J., Gaffney O., Rahmstorf S., Richardson K., Steffen W., Schellnhuber H.J.; Climate tipping points – too risky to be against; Nature 575: 592-595, 2019.

48. Un esame anche soltanto sommario di quanto riportato nel Fifth Assessment Report IPCC andrebbe ben oltre i limiti di questo contributo. Tuttavia, va rimarcato come le elaborazioni prospettiche del Report IPCC, in linea con quanto fatto in precedenza, siano riconducibili a quattro maggiori scenari di riferimento, basati su serie temporali di diverse concentrazioni di emissioni di gas serra, che condurrebbero a cambiamenti climatici con differenti caratteristiche, i cosiddetti “percorsi rappresentativi delle concentrazioni” (Representative Concentration Pathways, RCP). È in riferimento a questi quattro RCP che le elaborazioni includono l’esame di vantaggi e svantaggi di possibili opzioni, loro modifiche relative, possibili compensazioni, eventuali soluzioni di mediazione. La definizione precisa degli RCP è riportata nel glossario di ciascuno dei contributi dei Gruppi di lavoro I, II e III, del Fifth Assessment Report IPCC indicati in nota 6.

49. IPCC: Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate Change Adaptation. A Special Report of Working Groups I and II of the Intergovernmental Panel on Climate Change [Field, C.B., V. Barros, T.F. Stocker, D. Qin, D.J. Dokken, K.L. Ebi, M.D. Mastrandrea, K.J. Mach, G.-K. Plattner, S.K. Allen, M. Tignor, and P.M. Midgley (eds.)]. Cambridge University Press, Cambridge, UK, and New York, NY, USA, 2012. Il Documento è scaricabile alla pagina https://www.ipcc.ch/report/managing-the-risks-of-extreme-events-and-disasters-to-advance-climate-change-adaptation/ (ultimo accesso il 13 aprile 2021). Le misure a basso rammarico sono esaminate, in particolare, nel capitolo 6 del report.

50. Hallegatte S.; Strategies to adapt to an uncertain climate change; Glob. Environ. Change 19: 240-247, 2009.

51. Heltberg R., Siegel P.B., Jorgensen S.L.; Glob. Environ. Change 19: 89-99, 2009.

52. La definizione è presa dal glossario del Report citato in nota 8.

53. Si veda il sito del Piano di Ripresa dell’Europa alla pagina https://ec.europa.eu/info/strategy/recovery-plan-europe_it (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

54. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni; Il Green Deal Europeo; COM/2019/640 final (2019); scaricabile alla pagina https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?qid=1588580774040&uri=CELEX:52019DC0640 (ultimo accesso il 13 aprile 2021). Si veda anche il sito del Green Deal Europeo alla pagina https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

55. Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088; PE/20/2020/INIT; scaricabile alla pagina https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32020R0852 (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

56. Il documento Taxonomy: Final report of the Technical Expert Group on Sustainable Finance e il suo Allegato tecnico del marzo 2020 sono scaricabili alla pagina https://ec.europa.eu/info/publications/sustainable-finance-technical-expert-group_en (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

57. La citazione è presa dall’Art. 2, comma 6, del testo del Dispositivo per la ripresa e la resilienza: Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza; scaricabile alla pagina https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A32021R0241 (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

58. Dasgupta, P. (2021), The Economics of Biodiversity: The Dasgupta Review. (London: HM Treasury). Scaricabile alla pagina https://www.gov.uk/government/publications/final-report-the-economics-of-biodiversity-the-dasgupta-review (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

59. Dibley A., Wetzer T., Hepburn C.; National COVID debts: climate change imperils countries’ ability to repay; Nature 592: 184-187.

60. World Bank, IFC, and MIGA. “World Bank Group Climate Change Action Plan 2016–2020.” World Bank, Washington DC (2016). Il documento e scaricabile alla pagina http://documents1.worldbank.org/curated/en/755721468011421594/pdf/106365-WP-ADD-ABSTRACT-ADD-AUTHORS-OUO-9.pdf (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

61. OECD, Aligning Development Co-operation and Climate Action: The Only Way Forward, The Development Dimension, OECD Publishing, Paris, 2019. Il documento e scaricabile alla pagina http://www.oecd.org/development/aligning-development-co-operation-and-climate-action-5099ad91-en.htm (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

62. International Monetary Fund; Fiscal policies for Paris climate strategies—from principle to practice; 2019. Il documento è scaricabile alla pagina https://www.imf.org/en/Publications/Policy-Papers/Issues/2019/05/01/Fiscal-Policies-for-Paris-Climate-Strategies-from-Principle-to-Practice-46826 (ultimo accesso il 13 aprile 2021)

63 “State and Trends of Carbon Pricing 2019” State and Trends of Carbon Pricing (June), World Bank, Washington, DC 2019. Il documento è scaricabile alla pagina https://documents.worldbank.org/en/publication/documents-reports/documentdetail/191801559846379845/state-and-trends-of-carbon-pricing-2019 (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

64. Le considerazioni che seguono si fondano sulle elaborazioni del Gruppo di Lavoro Internazionale sul Progresso Sociale (International Panel on Social Progress), presentate nel Rapporto pubblicato nel 2018: Rethinking Society for the 21st Century, Cambridge University Press (in tre volumi). Il punto cui si riferisce questa nota è discusso in particolare nel capitolo 14 del Rapporto. Le attività di IPSP sono rintracciabili nel sito https://www.ipsp.org/.

65. Marris M.; Why the world is watching young climate activists; Nature 573: 471-472, 2019.

66. La questione è esaminata in particolare nel capitolo 20 del report redatto dal Gruppo di Lavoro II del Fifth Assessment Report IPCC indicato in nota 6.

67. Il testo della Convenzione Quadro è scaricabile alla pagina https://unfccc.int/resource/docs/convkp/conveng.pdf (ultimo accesso il 13 aprile 2021). Gli impegni delle Parti sono definiti all’articolo 4 della Convenzione, e una loro descrizione è riportata alla pagina https://unfccc.int/parties-observers (ultimo accesso il 13 aprile 2021).

68. Villmoare B., Kimbel W.H., Seyoum C., Campisano C.J., DiMaggio E.N., Rowan J., Braun D.R., Arrowsmith J.R., Reed K.E.; Early Homo at 2.8 Ma from Ledi-Geraru, Afar, Ethiopia; Science 347: 1352-1355, 2015.

Category: Ambiente, Economia, Economia solidale, cooperativa, terzo settore, Osservatorio Europa, Osservatorio internazionale

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