Carlo Clericetti: L’art.18? I tedeschi ce l’hanno
Diffondiamo dal blog di Carlo Clericetti di Repubblica.it del 18 settembre 2014
Se davvero Matteo Renzi considera un modello il mercato del lavoro tedesco dovrebbe zittire tutti quelli che continuano a tirare in ballo l’abolizione dell’articolo 18: perché i tedeschi l’articolo 18 ce l’hanno.
Non è lo stesso numero, naturalmente, e non è perfettamente uguale. Ma prevede quella sanzione che è particolarmente indigesta agli abolizinisti, ossia il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato.
Ancora martedì sera, a Ballarò, Renato Brunetta ha affermato categorico: “Nessun altro al mondo prevede il reintegro, soltanto noi”. “Non è affatto vero”, dice Umberto Romagnoli, maestro riconosciuto fra i giuslavoristi italiani. “Nell’ordinamento tedesco il reintegro è previsto. La differenza con l’Italia è che da noi il giudice, una volta constatato che il licenziamento è stato ingiustificato, non può che ordinare il reintegro nel posto di lavoro. In Germania, invece, il giudice può ordinare il reintegro oppure, a sua discrezione, stabilire un indennizzo monetario per il lavoratore”. Ma in fondo, non è quello che accade anche in Italia nella grande maggioranza dei casi? Di solito, ottenuto il reintegro, il lavoratore tratta comunque una buonuscita e se ne va. “Sì – spiega Romagnoli – ma gli indennizzi stabiliti dai giudici tedeschi sono in media più bassi di quelli che si ottengono in Italia con la trattativa successiva alla causa. In fondo, dunque, qui stiamo parlando di un problema di soldi. I sostenitori della reificazione del lavoro, quelli che affermano che il lavoro è una merce come tutte le altre, questa merce vogliono oltretutto pagarla poco”.
Nella stessa trasmissione Brunetta ha affermato categorico che se in Italia le imprese rimangono piccole è colpa dell’art. 18, che le dissuade dall’assumere altre persone. Non volendo pensare che sia in malafede, bisogna supporre che come economista si occupi di problemi diversi da quelli del lavoro e dunque di questa materia se ne intenda poco. Non solo, come gli ha replicato Mariana Mazzuccato, la stragrande maggioranza delle piccole imprese nemmeno si avvicina alla soglia dei 15 dipendenti (sta intorno ai 5, ha detto la Mazzuccato; e comunque sono quasi tutte sotto i 10); ma giova ripetere che nelle serie statistiche non c’è nessun salto fra le aziende con 14 dipendenti e quelle con 16, il che dimostra che quella dei 15 dipendenti non è una barriera importante. Certo, ci saranno pure imprenditori che evitando quell’assunzione in più che li farebbe ricadere sotto gli obblighi dello Statuto dei lavoratori, ma le cifre dicono che il loro numero non è significativo. Inoltre numerose indagini mostrano che le piccole imprese fanno largo uso di contratti atipici, nonostante che per esse licenziare non sia un problema; mentre i contratti a tempo indeterminato li fanno prevalentemente le imprese medio-grandi.
Insomma, l’abolizione dell’art. 18 non ha una importanza economica, ma politica. E’ il segnale che anche questo governo è disposto a far pesare prima di tutto sul lavoro i costi della crisi, che meno potere contrattuale hanno i lavoratori e meglio è. Un po’ di consenso, poi, si potrà sempre comprare. Con l’inflazione, i 30 denari sono diventati 80.
Carlo Clericetti, nato a Roma nel 1951. Laureato in Filosofia alla Sapienza, per quattro anni ha lavorato presso la cattedra di Teoria e tecnica della ricerca sociale a Sociologia. Nel 1980 è stato uno dei vincitori del primo concorso Fieg-Fnsi per borse di studio per l’avviamento alla professione di giornalista. Dopo l’anno di borsa di studio presso Il Messaggero di Roma (allora diretto da Vittorio Emiliani) è stato assunto per il servizio economia. Nel 1986 ha accettato la proposta di passare a Repubblica, che stava per varare il supplemento economico Affari & Finanza (che sarebbe stato guidato da Giuseppe Turani) e ha partecipato alla sua ideazione. Dal 1998 è responsabile di Affari & Finanza.
Category: Economia, Lavoro e Sindacato