Forum sociale mondiale di Tunisi 2013: 1. Analisi e prospettive

| 30 Giugno 2013 | Comments (0)

 

 


 

Diffondiamo da “Inchiesta” 180, aprile giugno 2013 la prima parte del Dossier curato da Alessandra Mecozzi sul Forum sociale mondiale di Tunisi 2013

 

1. Annamaria Rivera : La quarta chance. Note sulla transizione tunisina

Annamaria Rivera è Docente di etnologia e antropologia sociale Università di Bari.

 

L’omicidio dell’avvocato Chokri Belaid.

Per tratteggiare un quadro sintetico della transizione tunisina è d’obbligo partire dall’omicidio dell’avvocato Chokri Belaid, figura carismatica dell’opposizione di sinistra, portavoce del partito El Watad e coordinatore del Fronte Popolare, la coalizione che raggruppa dodici partiti della sinistra radicale . Quest’atto terroristico segna, infatti, un punto di svolta nel corso della transizione e nella stessa storia della Tunisia indipendente, la quale prima di quel tragico 6 febbraio 2013 mai aveva conosciuto omicidi politici nella forma dell’attentato premeditato e attuato – come è probabile- da sicari di professione.

L’assassinio di Belaid è giunto al culmine di un’escalation di violenze compiute sia da gruppi integralisti appartenenti al movimento salafita sia dalle “Leghe per la protezione della rivoluzione” [1]. Sotto questo nme ingannevole si nascondono milizie armate costituite, come sembra, da ex militanti del disciolto Rcd, il partito benalista, nonché da salafiti e delinquenti comuni, e sostenute da due partiti della coalizione di governo, il laico Cpr (Congresso per la Repubblica) e soprattutto Ennahdha, il partito islamista moderato. le violenze hanno spaziato dagli atti di vandalismo contro i più vari ambiti di attività cilturale all’attacco contro l’Ambasciata degli Stati Uniti, il 14 settembre 2012; dagli assalti a sedi di partiti politici e dell’Ugtt, la principale centrale sindacale, alle minacce e aggressioni  ai danni dei politici, giornalisti, intellettuali, femministe, artisti, docenti.

Una delle tappe più funeste di tale escalation era stato l’assassinio di Lotfi Naqdh a Tataouine. Il 18 ottobre 2012 l’anziano sindacalista e dirigente locale di Nida Tounes, il partito neo-bourguibista che è il più pericoloso concorrente elettorale di Ennahda, è linciato a colpi di spranga e martello proprio da una delle famigerate “Leghe”.

L’assassinio di Belaid rappresenta una svolta in molti sensi. Anzitutto, il giorno delle sue esequie è sceso in piazza a manifestare almeno un milione e quattrocentomila persone, su una popolazione di poco più di dieci milioni di abitanti. Il che ha confermato, e nel modo più netto, la capacità d’immediata reazione della società tunisina, la maturità e vivacità politiche di una sua parte considerevole; e ha anche rafforzato l’opposizione, conferendo un certo prestigio al Fronte popolare. La risposta di massa all’omicidio politico, caratterizzata peraltro da uno spirito di netta opposizione contro Ennhada –accusata da compagni e familiari di Belaid d’essere il grembo che nasconde e protegge i mandanti- conferma quanto sia ancora vivo lo spirito della rivoluzione del 14 gennaio.

Nonostante tutto c’è un versante progressivo della transizione che si esprime nella presa di parola pubblica e collettiva, nella vivacità e reattività della “società civile” [2] e dell’opposizione, soprattutto di sinistra, nelle rivendicazioni e nei conflitti sociali che attraversano il paese, spesso nella forma di scioperi e neo conflitti sociali che attraversano il paese spesso nella forma di scioperi e rivolte duramente repressi dalle forze dell’ordine e nondimeno irriducibili.

 

La vivacità della “società civile”

Conviene aggiungere che questo processo si caratterizza per la crescente maturità e pluralità della rivendicazione di diritti e per l’altrettanto crescente varietà dei soggetti collettivi che la avanzano pubblicamente. Per fare solo qualche esempio fra i tanti, il 1° maggio 2013 il centro di Tunisi ha visto sfilare non solo il consueto corteo per la Festa dei lavoratori, promosso dall’Ugtt, ma anche una manifestazione inedita nella storia della Tunisia indipendente: i cittadini tunisini neri sono scesi in piazza per denunciare la segregazione e le discriminazioni di cui sono vittime e per reclamare norme che li riconoscano e li proteggano in quanto minoranza. Questo evento ha infranto il tabù del razzismo, profondamente radicato nella società eppure innominabile, interdetto (nel senso letterale del termine), soprattutto a causa di una storia nazionale che ha esaltato l’unità del popolo contro il colonialismo.

V’è un altro indizio più recente che segnala la tendenza a rompere tabù radicati, sfidare conformismo e moralismo, reclamare e difendere i diritti civili. A fine maggio, in Tunisia, una campagna è lanciata in favore di Amina Tyler, la più nota delle Femen tunisine, in carcere preventivo nella prigione di Sousse con l’accusa di detenzione di ordigni esplosivi illegali: in realtà null’altro che uno spray paralizzante anti-aggressione. Il 19 maggio 2013 Amina era stata arrestata a Kairouan, dove si era recata per protestare contro il congresso di Ansar Al-Sharia, la più importante tra le formazioni salafite-jihadiste [3] congresso che, vietato dal ministero dell’Interno e contrastato da un massiccio spiegamento di forze di sicurezza, infine era stato annullato.

Che l’Associazione tunisina delle donne democratiche (Atfd) si sia schierata apertamente al suo fianco e abbia promosso una campagna in sua difesa è anch’esso un segnale positivo e tutt’altro che scontato. Finora, infatti, Amina era stata oggetto di ostilità diffusa o di irrisione, perfino da parte di alcuni ambienti e testate progressisti; e rare erano state le persone e personalità tunisine che le avevano manifestato solidarietà o sostegno [4]

Un bilancio politico negativo

Nonostante la vivacità e il protagonismo della “società civile”, del sindacato e dell’opposizione, sul versante del potere, delle istituzioni e della rappresentanza, il bilancio è alquanto negativo. Basta dire che mentre scriviamo [5] a quasi venti mesi dalle elezioni dell’Assemblea nazionale costituente, svoltesi il 23 ottobre 2011, e dall’insediamento del governo provvisorio della Troika, dominato da Ennahda-, non è stato ancora licenziato il testo costituzionale definitivo né fissata davvero la data delle elezioni legislative (cui dovrebbero seguire le presidenziali). Entrambi gli obblighi avrebbero dovuto essere soddisfatti entro un anno da quelle prime elezioni libere.

Quanto al rimpasto governativo imposto dall’omicidio di Belaid, esso ha riprodotto, con qualche allargamento a personalità “indipendenti” [6] la maggioranza precedente: il capo dell’attuale governo provvisorio, Ali Larayedh, non è altri che l’ex ministro dell’Interno dell’esecutivo precedente, cioè colui al quale l’opposizione attribuisce la maggiore responsabilità politica per l’ondata di violenze culminata con l’omicidio di Belaid.

Sul piano degli apparati giudiziario e repressivo i cambiamenti sono davvero esigui. Basta considerare l’uso abituale della carcerazione preventiva nonché della tortura ai danni di fermati e detenuti, i numerosi processi per reati di opinione, talvolta finiti con condanne assai pesanti, la violenza e l’arbitrio che caratterizzano la repressione poliziesca delle manifestazioni di piazza dell’area dell’opposizione.

In particolare, Ennahda, la cui popolarità sembra in declino, nonostante le risorse ingenti, anche in petrodollari, delle quali dispone e la presenza capillare nei quartieri popolari e nelle regioni più emarginate del Paese- è accusata, sempre più spesso e più apertamente, non solo d’incompetenza amministrativa e d’incapacità ad affrontare la grave situazione economico-finanziaria, ma anche di perpetuare le pratiche clientelari, nepotiste e repressive del passato regime; e sospettata del tentativo di ricreare, sotto mentite spoglie, il vecchio sistema del partito unico che si fa Stato e viceversa.

 

La “svolta” repressiva verso i salafiti

Sarà anche per fronteggiare un tale declino di consenso e popolarità che il partito islamista “moderato” sembra aver di recente cambiato strategia nei confronti della composita tendenza salafita-jihadista, che peraltro è presente al suo stesso interno, ben rappresentata da dirigenti quali Habib Ellouz e Sadok Chourou. Finora Ennahda aveva tenuto comportamenti ambigui o perfino compiacenti nei confronti della galassia integralista -sempre più contaminata dal wahabismo dei Paesi del Golfo- con lo scopo di attrarla nella propria orbita politica o almeno elettorale [7] e nel tentativo di usarla come mezzo di pressione e di ricatto verso la “società civile” e i partiti progressisti e laici.

Ultimamente, mentre la minaccia terrorista si fa tangibile con gli scontri fra l’esercito e gruppi terroristi armati sul monte Chaâmbi, al confine con l’Algeria, mentre si vanno scoprendo campi di addestramento jihadista in varie regioni del Paese e ben duemila jihadisti tunisini combattono in Siria dalla parte dei “ribelli”, il governo Larayedh dà mostra d’aver optato per la soluzione repressiva contro i salafiti, probabilmente pressato dai vertici della polizia: il 2 maggio, in un quartiere popolare di Tunisi, era stato ritrovato il cadavere sgozzato del commissario di polizia Mohamed Sboui, che indagava su un gruppo salafita. Fatto sta che il 19 maggio scorso, questa nuova strategia viene sperimentata a Ettadhamen, sobborgo popolare della banlieue di Tunisi, ove i salafiti manifestavano contro il divieto del loro congresso e si scontravano con le forze dell’ordine. Il “nuovo corso” costa almeno una vittima, uccisa dalle forze dell’ordine, e un numero rilevante di feriti[8].

La scelta repressiva non dovrebbe rassicurare neppure gli spiriti più laici. Essa, infatti, rischia d’inaugurare il circolo vizioso fra l’inasprimento della repressione e la radicalizzazione dei salafiti stessi[9] E non solo. Come a giusta ragione teme Salem Ayari, portavoce dell’Union des Diplômés Chômeurs (Unione dei laureati disoccupati), una tale svolta potrebbe essere indirizzata a criminalizzare e reprimere i movimenti sociali. Ce lo insegna, soggiunge Ayari, l’esempio della Tunisia dei primi anni ’90, allorché la violenza degli islamisti radicali fu usata come alibi per reprimere le lotte sociali e il movimento democratico [10].

 

Questione salafita e questione sociale

In realtà, la questione salafita rappresenta uno dei versanti della questione economica e sociale. E questa a sua volta è il problema dei problemi. Le ineguaglianze e sofferenze – disparità regionali, disoccupazione, precarietà, miseria, emarginazione, assenza di protezione sociale- che hanno generato l’insurrezione popolare si sono ancor più acuite, riproducendo la spirale di rivolte spontanee e repressione così tipica della storia della Tunisia indipendente [11]

Se non interviene una svolta politica decisiva, la sofferenza sociale è destinata ad aggravarsi per cause molteplici: le pesanti ripercussioni della crisi economica mondiale, il crollo del turismo, la fuga d’investitori e imprenditori stranieri, l’impennata del tasso d’inflazione [12] il drammatico deficit delle finanze dello Stato. La conseguente richiesta al Fondo monetario internazionale di un prestito di circa 1,78 miliardi di dollari su due anni avrà come pesante contropartita l’imposizione del Piano di aggiustamento strutturale. Il Fmi esige, infatti, l’aumento di tasse e imposte, la revisione dei salari e della protezione sociale, il congelamento per tre anni della Cassa di compensazione (che ha il compito di stabilizzare i prezzi dei prodotti di base): in definitiva, il peggioramento delle condizioni di vita delle classi subalterne, cosa della quale il partito islamista-neoliberale non sembra preoccuparsi troppo[13]

Un tal quadro non fa che incrementare le possibilità di reclutamento da parte delle formazioni salafite nelle località e nei quartieri popolari più poveri. Per Ansar al-Sharia e simili è facile arruolare, spesso in cambio di qualche elargizione di denaro, giovani proletari e sottoproletari, piccoli delinquenti, perfino alcuni di quei “feriti della Rivoluzione” che hanno pagato duramente la partecipazione all’insurrezione. Per questi reietti la militanza salafita è l’opportunità non solo per sfuggire alla miseria, ma anche per sfogare l’aggressività, compensare la frustrazione sociale, sottrarsi in definitiva alla tenaglia ben espressa da un adagio in voga tra i giovani diseredati: “L’Italia o Ben Arous [14]”, ovvero l’emigrazione “clandestina” o il suicidio pubblico per fuoco[15].

Perché si profili una quarta chance, positiva, occorrerebbe anzitutto che la vivacità della “società civile”, del principale sindacato e dell’opposizione di sinistra riuscisse a saldarsi con un nuovo, vasto protagonismo di quella racaille che rivendicando dignità è riuscita a rovesciare un annoso regime dispotico. Strategica è infatti una lotta che miri a colmare la frattura, sempre più profonda, fra la Tunisia relativamente prospera e avanzata, costituita dalla capitale e dalle aree costiere, e la Tunisia « profonda », quella dell’interno, del Sud e dei quartieri urbani diseredati.

1 A denunciare a più riprese questa ondata di violenza, ad additarne la pericolosità rispetto alla sorte della transizione, era stato lo stesso Belaid. Egli aveva previsto perfettamente l’impennata drammatica che avrebbe avuto il ciclo di attacchi premeditati a esponenti e sedi dell’Ugtt e dei partiti di opposizione.

2 In Tunisia si fa un certo abuso di questa formula, che viene adoperata per indicare ogni aggregazione di cittadini attivi e rivendicanti qualche diritto. Data la problematicità del concetto, preferiamo usare la formula tra virgolette.

3 Il termine “salafita” è assai generico. Del movimento di riforma d’ambito sunnita che va sotto il nome di as-salafiyya occorre infatti distinguere almeno fra la tendenza detta scientifica -letteralista, quietista, di solito pacifica- e la tendenza jihadista e/o takfirista. Secondo quest’ultima, il jihad è da condurre non solo contro l’Occidente e gli «infedeli», ma anche contro regimi, poteri e gruppi interni ai Paesi a maggioranza musulmana considerati apostati.

4 Un’analoga debolezza di reazione si era registrata rispetto alla ben più grave vicenda di Jabeur Mejri e Ghazi Béji. Ricordiamo che il 25 giugno 2012 i due giovani di Mahdia sono stati condannati anche in seconda istanza a sette anni e mezzo di carcere e a un’ammenda di 1200 dinari per turbamento dell’ordine pubblico e offesa alla morale, per aver postato in Facebook testi e immagini reputati blasfemi, in realtà per essersi dichiarati atei. La condanna fu approvata dal portavoce ufficiale del presidente della Repubblica, il “laico” Moncef Marzouki, storico oppositore del regime benalista e a suo tempo attivo difensore dei diritti umani. Béji, condannato in contumacia, era riuscito sottrarsi al carcere preventivo con la fuga.

5 Questo articolo è stato terminato il 28 maggio 2013.

6 In effetti non v’è stato alcun allargamento della maggioranza del governo Jebali, fondata sull’alleanza, spesso confusa e incoerente, fra Ennahda, il CPR et Ettakatol. L’unica modifica è il conferimento di quattro ministeri a personalità “indipendenti”, tre magistrati e un diplomatico.

7 Nell’imminenza delle elezioni del 23 ottobre 2011 il movimento salafita aveva invitato a votare per Ennahda.

8Alcune fonti giornalistiche hanno parlato di due vittime. Di certo a essere stato ucciso è il ventisettenne Moez Dahmani, immigrato in Italia, dove viveva da alcuni anni. I genitori hanno dichiarato che il loro unico figlio, in Tunisia per una vacanza di pochi giorni, era del tutto estraneo ad Ansar al-Sharia e agli scontri con la polizia: http://www.kapitalis.com/societe/16179-tunisie-societe-inhumation-de-jeune-homme-mort-hier-lors-des-affrontements-a-la-cite-ettadhamen.html

Si calcola che dalla caduta del regime benalista a oggi tra i salafiti, veri o presunti, vi siano state ben 17 vittime, uccise dalle forze dell’ordine o morte in carcere per sciopero della fame.

9 Vedi in proposito: International Crisis Group, Tunisie : violences et défi salafiste. Rapport Moyen-Orient/Afrique du Nord, n°137, 13 février 2013.

10 In : F. Rahali, Congrès d’Anssar Alchariaâ : l’enjeu social et démocratique encore à l’épreuve , « Nawaat », 21 maggio 2013 : http://nawaat.org/portail/2013/05/21/tunisie-congres-danssar-alchariaa-lenjeu-social-et-democratique-encore-a-lepreuve/

11 Basta citare il caso di Siliana, accaduto a fine novembre del 2012, quando quasi l’intera cittadinanza partecipò allo sciopero generale, riuscendo a tener duro per ben quattro giorni. Per stroncarne la resistenza il ministero dell’Interno inviò forze speciali che spararono sui manifestanti con fucili caricati a pallettoni, facendo ben 250 feriti, alcuni gravi. Vedi A. Rivera, Caccia ai cinghiali umani in Tunisia. Con l’apporto del made in Italy, “MicroMega”, 12 luglio 2012: http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/12/07/annamaria-rivera-caccia-ai-cinghiali-umani-in-tunisia-con-l%E2%80%99apporto-del-made-in-italy/

12Per i prodotti alimentari aveva raggiunto, nel mese di febbraio 2013, l’8,6%, cioè il tasso più alto negli ultimi sette anni.

13 Vedi: Jean-Pierre Séréni, La Tunisie aux portes du FMI, « Le Monde Diplomatique », 23 aprile 2013 : http://www.monde-diplomatique.fr/carnet/2013-04-23-Tunisie

14 Il riferimento è al Centro di traumatologia e grandi ustionati, che ha preso il nome di Ospedale « Mohamed Bouazizi », situato a Ben Arous, non lontano da Tunisi.

15Per cogliere l’ampiezza e l’importanza delle autoimmolazioni pubbliche nei Paesi del Maghreb e soprattutto nella Tunisia prima e dopo la Rivoluzione del 14 gennaio 2011, nonché l’estensione del fenomeno in alcuni paesi europei e in Israele, si veda: A. Rivera, Il fuoco della rivolta. Torce umane dal Maghreb all’Europa, Dedalo, Bari 2012

 


2. Vittorio Agnoletto: Social Forum di Tunisi, un bilancio positivo

Vittorio Agnoletto fa parte del board di Flare (Freedom, Legality And Rights in Europe) e del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale.

 

Gli anni che ci separano dal 2001 sono stati densi di eventi che hanno modificato completamente lo scenario internazionale; ma il messaggio lanciato dal primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre è risuonato in tutta la sua attualità a Tunisi, dove migliaia di giovani hanno mostrato ai movimenti di tutto il mondo come stanno cercando di costruire «un altro mondo possibile».

Tunisi è stata scelta come sede della dodicesima edizione del Forum Mondiale per due ragioni: innanzitutto per la consapevolezza che alla nascita delle rivoluzioni magrebine ha contribuito anche il lavoro che dal 2006 il Forum ha realizzato in Africa, prima con il Forum Africano a Bamako, poi con quello mondiale a Nairobi e coi forum regionali del Maghreb e del Mashrek che hanno fornito agli attivisti delle realtà democratiche la possibilità d’incontrarsi sotto l’ombrello protettivo del Forum Sociale Mondiale; quindi per il desiderio di lanciare un messaggio di forte sostegno al percorso rivoluzionario in un momento estremamente complicato.

Non c’è dubbio che l’evento appena conclusosi abbia sacrificato una discussione approfondita su alcune urgenze globali, quali ad esempio la crisi finanziaria e climatica; ma la scelta è stata di rilanciare lo spirito militante di un Forum che si propone come incubatrice e partner essenziale dei processi sociali di trasformazione della realtà andando oltre l’idea originaria di un semplice spazio aperto di confronto. Ed infatti la successiva discussione del Consiglio Internazionale del Forum si è concentrata sulla necessità di aumentare l’efficacia della nostra azione collettiva fuggendo il rischio di appuntamenti autocelebrativi.


La crisi economica, vero rischio

Uno degli sforzi dei movimenti sociali tunisini è stato quello di contrastare la vulgata, ampiamente diffusa da gran parte dei media europei, secondo la quale la principale questione al centro del dibattito sulla rivoluzione sarebbe il confronto tra uno sbocco democratico e uno stato teocratico. La vicenda religiosa occupa un ampio spazio nel confronto odierno ma una sua assolutizzazione rischia di coprire l’emergenza sociale che oggi è il vero problema: dopo la rivoluzione il costo dei prodotti alimentari è aumentato anche del 25%, è cresciuta la disoccupazione, è diminuito il potere d’acquisto dei salari ed è contemporaneamente aumentata l’economia illegale collegata ai traffici transfrontalieri.
Le scelte del governo, dominato da Ennahda, il principale partito musulmano, si caratterizzano per politiche economiche liberiste fondate su accordi con la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale senza alcun efficace tentativo di ridiscutere l’esorbitante debito estero che attanaglia il paese. Non a caso, i seminari di Attac sulla rinegoziazione del debito erano affollatissimi. A riprova delle consapevolezza della drammaticità della situazione.

L’incontro, ormai evidente in diversi paesi, tra il sistema liberista e le scelte dei partiti riconducibili ai Fratelli Musulmani non è solo il risultato delle manovre dell’amministrazione americana, finalizzate a rendere compatibili con gli interessi d’oltreoceano le politiche dei nuovi governi arabi. Secondo alcuni dei nostri interlocutori la questione è ben più profonda e riguarda, semplificando al massimo con il rischio di banalizzare un ragionamento ben più complesso, la scelta dell’Islam di delegare all’obbligo della carità la soluzione delle disuguaglianze sociali.

L’Arabia Saudita ed il Qatar, piuttosto che sostenere il bilancio dello stato tunisino senza avere la garanzia di elevati ritorni economici, preferiscono finanziare le numerose associazioni islamiche impegnate nell’attività sociale e nel reclutamento religioso. Il risultato concreto è che dopo la rivoluzione è senza dubbio aumentata la libertà d’espressione, di stampa e di comunicazione, (seppure in presenza di alcuni gravi casi di repressione verso giornalisti accusati di mancanza di rispetto verso l’Islam) ma contemporaneamente sono decisamente peggiorate le condizioni di vita di ampie fasce di popolazione, con il rischio che ne risulti indebolita la prosecuzione del processo rivoluzionario.

 

Sinistra, un difficile equilibrio

La sinistra politica, riunita nel Fronte Popolare, è attraversata da un vivace dibattito sull’equilibrio da tenere tra la lotta per la difesa della laicità, argomento trasversale e interclassista, e le rivendicazioni sociali con precisi riferimenti di classe.
Il dibattito sul ruolo della religione nello stato è ancora aperto a soluzioni fra loro molto differenti. Il Forum è stato anche utilizzato da alcuni gruppi come opportunità per rilanciare, invocando paradossalmente la libertà conquistata durante la rivoluzione, soluzioni da tempo sostenute dai gruppi integralisti e vietate dal regime precedente, quale la possibilità di accedere alle lezioni universitarie con il Burqa.

Nonostante tutte le accuse di strumentalità che si possono rivolgere ad una simile operazione, non c’è dubbio che siano riusciti ad imporre tale argomento alla discussione collettiva.
Il Presidente della Repubblica, Moncef Marzouki, durante l’incontro con il Consiglio Internazionale FSM,ha assicurato che nella Costituzione sarà garantita la parità tra uomini e donne e che chi volesse proporre la poligamia «dovrà passare sopra il mio corpo»; affermazioni forti alle quali non è però fino ad ora corrisposto un impegno preciso: la «complementarietà» tra uomo e donna è stata rimossa dalla Costituzione solo dopo un’ampia mobilitazione di piazza e non certo per un’ iniziativa presidenziale.
Durante l’incontro ho chiesto ragione al presidente delle gravi affermazioni da lui rilasciate qualche giorno prima in Qatar nei confronti dell’opposizione; affermazioni che contenevano toni minacciosi e intimidatori, inaccettabili da parte della massima autorità istituzionale. Moncef Marzouki ha replicato che l’opposizione ha i diritti che gli competono purché agisca nei limiti di legge, in modo nonviolento e senza alcuno spirito di rivincita.
Difficile accettare simili giustificazioni, considerato che le manifestazioni poste sotto accusa come eventi sovversivi erano quelle coincidenti con il funerale di Chokri Belaid, il leader dell’opposizione assassinato il 6 febbraio.

 

L’ottimismo della ragione

Tra gli attivisti tunisini non vi è grande fiducia sulla possibilità di imprimere nel futuro prossimo una svolta antiliberista alle politiche economiche, ma è invece diffuso un moderato ottimismo sulla possibilità di respingere le aspirazioni integraliste.
La credibilità di Ennahda nelle prime elezioni libere sarebbe dipesa anche della lunga opposizione svolta dalle organizzazioni islamiche al regime e pagata spesso con parecchi anni di carcere dai loro dirigenti diventati in seguito i candidati di punta del partito islamico; ad esempio l’attuale ministro dei trasporti ha trascorso sedici anni in carcere.
Ma tale credibilità sarebbe ora in forte calo per il crescere della corruzione e per i tanti errori commessi nel governo seguito alla primavera tunisina.
Su un aspetto tutti i nostri interlocutori concordano: la rivoluzione è ancora in corso, sarà un processo lungo che necessiterà anche di una concreta solidarietà internazionale. E questo riguarda anche noi.

(Articolo pubblicato su Il Manifesto, 2 aprile 2013)

 

 


 

3. Nick Dearden: Due Forum sociali mondiali in Tunisia

Nick Dearden è il direttore della Jubilee Debt Campaign

 

Il Forum sociale mondiale in Tunisia è stato il Forum più energetico, vivo, giovane che si sia tenuto negli ultimi anni. Nessun dubbio che questo paese sta vivendo un incredibile risveglio, dove tutte le domande sul futuro sono senza risposta e tutte le possibilità sono aperte.

Si sono tenuti dibattiti accaniti sul ruolo dell’Islam in questa società rinnovata, sulla liberazione delle donne e la sessualità, su imperialismo e sindacalismo – per non parlare dei dibattiti completamente fuori controllo sul Sahara occidentale e la Siria. Dappertutto e ogni giorno almeno una mezza dozzina di manifestazioni venivano improvvisate su vari temi, per lo più al suono di un rivoluzionario hip hop.

Il forum era tappezzato di foto di “eroi” antimperialisti alcuni più sapidi di altri. Un posto d’onore è stato occupato da Chokri Belaid, il dirgente di sinistra assassinato solo poche settimane prima del forum. Belaid aveva messo insieme una schiera di partiti e gruppi nel Fronte Popolare e dato a molti attivisti qui la speranza di un futuro governo radicale.

Anche il gruppo islamico salafita ha fatto una apparizione per far valere il proprio caso contro i laici radicali. Tra gli stands più inusuali c’erano quelli del Governo iraniano, della compagnia petrolifera brasiliana Petrobras e di USAID (quest’ultima ha abbandonato il campo piuttosto rapidamente dopo una manifestazione contro di loro)

Nel campo giovani – costruito con tende precedentemente donate dalle Nazioni Unite – tre palchi ospitavano un’ampia gamma di musica, da quella elettronica popolare araba a tre adolescenti impegnati a suonare con esecuzioni ottime di chitarra, rock alternativo.

 

Vivi con idee

In un ambiente francese – un mondo lontano dal chiasso, inquinamento e confusione del Cairo – i giovani tunisini sono vivi con idee e non corrispondono a niente di quello che vi aspettereste.

Per gli attivisti del debito, la Tunisia riveste un interesse particolare, dovendo alla sua Assemblea nazionale la decisione di fare un audit sui debiti del dittatore Ben Ali. Questa è una sfida diretta alla Francia e al Fondo Monetario Internazionale, ansioso di fare un nuovo prestito al Governo per consentirgli di ripagare e riciclare l’odioso debito del passato, e usare questi nuovi prestiti per imporre condizioni economiche alla Tunisia. Si ritiene che un “pacchetto” FMI sia alle ultime battute – un audit sul debito fornisce il primo passo in una direzione completamente diversa.

Le politiche del potenziale audit sono state rese ancor più attraenti dalla offerta di aiuto dell’Ecuador, il paese che ha tenuto il primo audit ufficiale nel mondo e ha usato l’audit per dichiarare illegittimo il suo debito e assicurarsi la cancellazione di molti miliardi di dollari. Il Governo dell’Ecuador ha recentemente dichiarato un altro audit, sui suoi trattati sugli investimenti che spesso agiscono come carte dei “diritti delle grandi imprese” impedendo al Governo di intervenire sul fare profitti delle imprese transnazionali, per tutelare i diritti delle persone.

Se la Tunisia seguisse alcune delle politiche dell’Ecuador, sarebbe un vero chiodo nella bara dell’economia neoliberista. Sarebbe anche un colpo per il Governo francese, che già guarda di traverso il rifiuto della Tunisia di consentire l’uso dello spazio aereo per la guerra francese in Mali. Ma qui niente è certo. Molti attivisti hanno espresso una vera frustrazione perché le cose non sono andate avanti più rapidamente.

 

Ripensare ed aggiornare

In contrasto con l’energia tunisina, il FSM “non tunisino” (quel po’ di eventi dove molti attivisti europei, latinoamericani, asiatici hanno passato molto tempo) appariva debole e sorpassato. In qualche modo geograficamente separato dall’area dove si discuteva (problema creato dagli organizzatori) la maggior parte dei temi del Maghreb, appariva più come un gigantesco seminario politico che quell’emozionante incontrarsi che attivisti e gruppi avevano in mente.

Il FSM è nato nel 2001, espressione di un movimento antiglobalizzazione – che ha portato al centro delle proteste, istituzioni non trasparenti di “governo globale” come FMI e OMC – come strada per il trovarsi insieme con l’obiettivo di costruire nuove alleanze e strategie per il cambiamento.

Oggi, troppe sessioni sono dominate dagli stessi oratori che fanno gli stessi discorsi da 15 anni, con piccoli progressi nella comunicazione con i nuovi movimenti e la costruzione di alternative globali, a dispetto del ritornello costante che abbiamo bisogno di connettere tematiche e organizzazioni. Un sorprendente incontro dove si parlava di Banca centrale europea era dominato da attivisti tedeschi che non hanno neanche citato la crisi in Grecia.

Il FSM si è formato molto tempo prima dei movimenti indignados e occupy, con il loro focus sulla presa di decisioni partecipativa e il portare “la politica negli spazi pubblici.” Probabilmente il miglior aspetto di questo FSM è stato il Global Squares Movement, gruppo di attivisti internazionali di Occupy e Indignados impegnati con gruppi locali, che si sono costruiti uno spazio

Cominciato come un “hub” europeo, lo spazio è diventato sempre più tunisino anche spostandosi al centro della città dove si è tenuta un’assemblea di migliaia di persone, con la maggior parte di interventi in arabo!

Nel corso della vita del FSM sono state ottenute vittorie significative dalle reti nate e nutrite al suo interno. La Organizzazione mondiale del Commercio e l’Accordo di Libero Commercio delle Americhe sono stati bloccati. La sovranità alimentare e la messa al bando delle modificazioni genetiche sono adesso all’interno delle costituzioni di molti paesi. Il diritto all’acqua e i diritti dei contadini sono adesso riconosciuti dalle Nazioni Unite.

Ma nonostante queste vittorie ci troviamo di fronte ad una montagna di ingiustizie, con la crisi ambientale, economica, con il militarismo e la guerra, per molti aspetti peggio di 15 anni fa. Dato che nuove rivoluzioni portano una nuova generazione di attivisti nel movimento per la giustizia globale, il FSM ha bisogno di una sostanziale riflessione per attrezzarsi a queste sfide. Più attenzione alla partecipazione, al programmare, agli spazi aperti, all’apprendere effettivo, anziché rigurgiti di ovvietà. A livello nazionale c’è bisogno di un modo migliore di garantire che possano arrivare nuovi attivisti e prendere il controllo del Forum – un limite su quanto spesso ogni individuo può partecipare fornirebbe un interessante orientamento.

Gli attivisti devono guardare alla continuazione della rivoluzione in Tunisia e all’avvio della rivoluzione nel FSM

 

 

 

 

4. Jordan Flaherty: Unità e dissenso nei movimenti sociali

Jordan Flaherty è un giornalista del Louisiana Justice Institute. Questo articolo è stato pubblicato su Truth-out.org ed è “Copyright,Truthout.org. Reprinted with permission”

 

Circa 50.000 persone, di 5.000 organizzazioni in 127 paesi dei cinque continenti, hanno partecipato al Forum sociale mondiale a Tunisi. Scegliendo di incontrarsi a Tunisi quest’anno il Forum ha evocato lo spirito della rivolta del 2011 che ne ha a sua volta ispirate altre nel mondo. Ma questa “convergenza” ha anche sollevato questioni sulla direzione di marcia di questi movimenti, come sulla importanza della continuazione del processo del Forum sociale mondiale.

Al FSM, nato in Brasile, che in anni passati ha visto la presenza di Hugo Chavez e del presidente brasiliano Lula Da Silva, è stato accreditato il notevole peso nella costruzione e nel consolidamento di un’ampia sinistra in America Latina e le connessioni con strategie condivise tra i movimenti nel mondo. Tuttavia, il FSM è sempre stato diviso. Diverse proteste si sono espresse all’interno del FSM, in particolare nel 2007 a Nairobi, quando un gruppo di manifestanti rovesciò uno stand alimentare che a loro avviso simboleggiava la svendita alle multinazionali fatta dal Forum e una mancanza di accessibilità per gli abitanti locali privi di mezzi.

Le contraddizioni e i conflitti della primavera araba si sono pienamente manifestati. Mentre un gruppo discuteva sulle strategie per rovesciare il Governo siriano, altri manifestavano lì vicino a sostegno del Presidente Bashar al-Assad. Altrove nel Forum, si discuteva se davvero la Libia fosse migliorata senza Gheddafi.

Mentre molti parlavano dei movimenti politici islamici, per esempio i Fratelli musulmani, come forze regressive, altri vedevano l’Islam politico come parte di un fronte antimperialista. A dimostrazione dell’importanza di questi dibattiti in centinaia hanno fatto la fila per ascoltare le parole di Tariq Ramadan, un professore di studi islamici contemporanei e figura importante nel dibattito sul ruolo dell’Islam in Occidente.

Un’ area del Forum, chiamata “Global Square” (piazza globale) era organizzata da attivisti dei movimenti anarchici e “orizzontalisti” come Occupy e 15-M in Spagna, molti dei quali erano critici nei confronti della politica del FSM e dei suoi organizzatori.

Mentre Occupy è svanito dalle prime pagine negli Stati Uniti, era chiaro che il suo nome ancora risuonava per il mondo. Quando nella cerimonia di apertura è stato menzionato il nome di Occupy è scoppiato il più grande applauso della serata.

“Davvero ho trovato uno stretto legame tra il movimento Occupy e la Tunisia” – ha detto Mabrouka Mbarek, una eletta dell’Assemblea Costituente.”E’ proprio come se la Tunisia avesse catalizzato un movimento globale. Improvvisamente ognuno ha avuto il coraggio di occupare!”

Il tema del genere e del ruolo delle donne è stato ampiamente presente. L’organizzazione del Forum aveva invitato le donne ad aprire il Forum inclusa Besma Khalfaoui, vedova del leader dell’opposizione tunisina assassinato, Chokri Belaid, che ha parlato tra gli applausi.

Organizzazioni come la Marcia mondiale delle donne, un movimento femminista internazionale ha svolto un ruolo importante nel Forum, tenendo ferma la centralità di questi temi.

Tuttavia alcuni seminari e spazi erano dominati da uomini – problema ancor più evidente nelle sessioni organizzate da Europei che in quelle organizzate da attivisti di altre regioni.

Il movimento per la Palestina libera era ben rappresentato e il forum si è concluso con circa 10000 manifestanti nella giornata palestinese della terra (30 marzo) La liberazione della Palestina era un punto di assoluto consenso nel Forum, ma c’era tensione tra attivisti e rappresentanti della Autorità di Ramallah.

Mentre negli Stati Uniti, Al Jazeera, l’emittente televisiva basata in Qatar, è spesso vista come la voce della primavera araba, nel Forum veniva criticata da attivisti locali perché sostenitrice di regimi repressivi nella regione.

Shams Abdi, giovane ed energica attivista della Unione generale degli Studenti tunisini, ha rifiutato una intervista al reporter di Al Jazeera, definendo l’emittente tv un “progetto sionista”.

Ma la esplosione di un conflitto in pubblico si è verificata alla chiusura della assemblea dei movimenti sociali, quando qualcuno della delegazione marocchina è salito sul palco contro la dichiarazione letta, a sostegno della indipendenza del popolo del Sahara occidentale.

Centro della discussione in oltre 1000 seminari è stata la critica al capitalismo e all’imperialismo, e le lenti attraverso le quali queste lotte venivano guardate erano in contrasto con il quadro di riferimento delle convergenze degli attivisti americani.

Per esempio, le questioni sollevate dal movimento LGBT sono state a tema solo in poche delle 1000 sessioni e quasi impossibile trovare al forum temi come i diritti dei lavoratori/trici del sesso, antirazzismo organizzato da parte di bianchi, abolizione del carcere e aborto – non a causa di alcuna politica ufficiale, ma semplicemente perché nessuna organizzazione aveva proposto incontri su questi temi.

Molti nord africani celebravano le rivoluzioni della regione, ma esprimevano anche paura per l’avanzata elettorale di forze di destra e per il sostegno al neoliberismo dell’attuale Governo. Hamouda Soubhi, attivista marocchino, del Comitato organizzatore del WSF, vede un momento di rischi e di opportunità. “Per noi è come l’inizio della lotta, la Tunisia vuol dire al mondo: basta con la paura, cambieremo questa regione”

Molti al forum rifiutavano il termine di Primavere arabe, perché implicherebbe il concetto di una stagione che termina rapidamente, mentre quest’onda rivoluzionaria è appena cominciata.

Samir Amin, economista marxista che vive in Senegal, ha detto che il rovesciamento dei regimi in Tunisa e in Egitto è stato il primo passo di un processo continuo, ma i nuovi Governi non sono un miglioramento significativo. “Questo gigantesco movimento popolare si è liberato dei dittatori Ben Ali e Mubarak, ma non del sistema.” Ha detto Amin. “I Fratelli musulmani che sono al potere in entrambi i paesi rappresentano la continuazione dello stesso sistema. …la stessa cosiddetta politica liberista, la stessa sottomissione all’imperialismo, lo stesso disastro sociale”. Ma ha anche detto che il più grande cambiamento rappresentato da questo periodo è una nuova consapevolezza, che cambiare è possibile. “Adesso il popolo, che ha provato a se stesso di essere capace di rovesciare ogni dittatura, si libererà anche dei fratelli musulmani”.

I Tunisini al Forum hanno condannato gli accordi segreti che si è scoperto che il Governo ha recentemente stipulato con il Fondo Monetario Internazionale. “Quando ho letto della teoria dello Shock , mi sono detto: oddio, sta succedendo in Tunisia” ha detto Mbarek, membro della Assemblea Costituente che ha cercato di combattere contro questi accordi segreti usando il suo ruolo di rappresentante eletta. “Stanno per mettere fine ai sussidi, aumenteranno il prezzo del gas e quello della farina; ristruttureranno completamente il sistema bancario. Tutto ciò è avvenuto senza nessuna discussione nel Parlamento”.

Per molti tunisini la speranza della rivolta del 2011 è cresciuta, contro le forze intransigenti del capitale globale. Mbarek ha sottolineato la somiglianza con le tattiche del FMI a Cipro. “A Cipro il FMI è stato davvero contento di trovare una soluzione che non richiedeva dibattito parlamentare. Il destino del popolo tunisino non deve essere discusso tra questa Istituzione internazionale e un Governo dimissionario”.

Richiamandosi al lascito del già Presidente del Burkina Faso, Tomas Sankara, Mbarek ha anche parlato di unirsi con altre nazioni in un movimento globale contro il debito. “In Tunisia, dopo una rivoluzione che si è espressa su temi economici e sociali ma anche con la volontà di veder rappresentate le aspirazioni del popolo, tutto sta crollando perché abbiamo politiche economiche che non vengono neanche discusse da un rappresentante e vengono spinte verso una modalità post-shock”

Sul costo di milioni di dollari e di una grande quantità di risorse, si è aperta la discussione se il FSM deve continuare ad esistere e se si è compromesso per i finanziamenti che l’organizzazione riceve per rendere possibile l’incontro. In alcune sessioni di discussione sul futuro del Forum, i partecipanti hanno parlato del bisogno di continuare a lavorare per costruire alleanze basate su strategie condivise. “Sono le stesse banche che ci stanno cacciando fuori dalle nostre case che adesso ristrutturano la Tunisia” ha detto Maria Poblet di Causa Justa/ Just Cause, una del gruppo di attivisti e organizzatori che hanno partecipato, nella delegazione US Grassroots Global Justice

Il Forum, nei suoi momenti migliori, rappresenta la speranza di una società giusta. Nelle decine di migliaia di persone presenti – che rappresentano i milioni che vogliono venire, ma non possono – c’è un sentimento palpabile che un nuovo mondo sta nascendo. Hiba Lameeri , una quindicenne tunisina, era tra coloro che hanno ispirato speranza con le sue parole e la sua presenza. Lameeri ha dato voce alle preoccupazioni di molti tunisini, dicendo che l’attuale Governo sta seguendo una agenda economica liberista. “Abbiamo la libertà, possiamo parlare. Un evento come questo non sarebbe stato possibile al tempo di Ben Ali. Ma il capitalismo c’è ancora, come l’imperialismo. Niente è cambiato socialmente, economicamente, culturalmente”.

Laameri è stata colpita dall’esperienza del forum e pensa che contribuirà a dare energia agli attivisti locali. “Sono sempre stata una persona che vedeva quello che era sbagliato e mi dicevo sempre: Perché qualcuno non fa qualcosa per questo? E in questi giorni di Forum ho capito che quel qualcuno ero io.”

 

 

 

5. La carovana Liberté et Democratie

Progetto Periferie attive promosso da GVC, Ya Basta e Accun (www.globalproject.info/it)

 

A Sidi Bouzid, da dove è iniziata la rivoluzione, ha avuto inizio la formazione del progetto Periferie Attive. Si tratta di un progetto promosso da GVC, storica Ong italiana, dalla Ass. Ya Basta e ACCUN, associazione tunisina nata dopo la rivoluzione. L’idea, diffusa attraverso la Carovana Liberté e Democratie, svoltasi subito dopo il FSM, è quella di sostenere ed appoggiare tre media center nel cuore della Tunisia, dove tutto è iniziato due anni fa e dove più estreme sono le condizioni di miseria e di sfruttamento, e dove la lotta per il cambiamento non si è mai fermata. Le città interessate sono Sidi Bouzid, Regueb e Menzel Bouzaiane. Qui sotto, le conclusioni della Carovana.

Dopo quasi due settimane di intensissimo lavoro la Carovana Liberté et Démocratie fa il suo rientro in Italia dalla Tunisia. Un’esperienza che ha avuto nel portale indipendente Globalproject.info un fondamentale strumento di narrazione ed approfondimento: circa 50 articoli prodotti, che hanno consentito di entrare con profondità nelle diverse questioni messe a tema, centinaia di interviste ai tanti protagonisti incontrati ed una quantità enorme di materiale multimediale di diverso tipo.

La Carovana, oltre ad aver consentito a tutti i partecipanti di arricchirsi dal punto di vista umano e culturale, costituisce un rilevante crocevia sul piano politico, in grado di determinare nuovi strumenti di lettura della fase che stiamo vivendo e stimoli importanti nella costruzione di un’agenda dei movimenti sociali che possa realmente essere significativa.

In primo luogo la questione dello spazio euromediterraneo, che si sta definendo sempre più come spazio meta-geografico in grado di trasformarsi in un interessante laboratorio politico, all’interno del quale si produce un piano reale di confronto e di azione comune tra movimenti. Tutto questo ovviamente deve misurarsi con un panorama ricco di specificità, che al loro interno contengono dinamiche molteplici ed ancora molto difficili da comprendere in maniera complessiva.

La situazione del mondo arabo in generale e della Tunisia in particolare non la scopriamo certo adesso, ma la Carovana ci ha dato modo di toccare con mano le contraddizioni, di penetrare dentro le tensioni sociali di un Paese che, ad oltre due anni dalla cacciata di Ben Alì, si presenta come tutt’altro che pacificato.

La Tunisia presenta un estrema polverizzazione sociale, frutto di un aumento continuo dei tassi di disoccupazione, in particolare tra le donne ed i laureati, e di un abbassamento costante dei livelli di benessere.

Le manifestazioni di apertura e chiusura del Forum Mondiale sono state lo specchio delle tensioni politiche e sociali presenti nel Paese, e più in generale in tutta la regione araba. La componente salafita, che abbiamo già più volte descritto come altamente minoritaria ma sempre in grado di provocare ed impossessarsi della scena mediatica, rappresenta sicuramente un elemento di instabilità, soprattutto per il suo ambiguo rapporto con Ennahda, il partito dell’Islam moderato maggioritario all’interno dell’assemblea Costituente.

Gran parte delle tensioni presenti nel Paese sono inoltre il frutto di una continuità, dal punto di vista delle politiche economiche e finanziarie e degli assetti sociali, dell’attuale governo con la dittatura di Ben Ali. Una continuità che se da un lato vede un forte rapporto di interdipendenza economica con l’Europa della Troika e della BCE, dall’altro ha visto emergere una governance islamica che, qui come altrove, agisce in maniera assolutamente funzionale al mantenimento delle strutture esistenti.

All’interno di questo panorama ci sono tanti altri aspetti interessanti, che riguardano i movimenti dal basso e la loro capacità di produrre una reale trasformazione complessiva.

Da Tunisi a Sidi Bouzid riscontriamo un quadro estremamente ricco ed articolato di soggetti che operano nella direzione del cambiamento: mediattivisti, writers, artisti di ogni genere, collettivi di donne, movimenti di disoccupati e laureati, attivisti sociali, membri della miriade di associazioni nate in Tunisia dopo la caduta di Ben Ali, esperienze sindacali.

In questo momento per tutte queste realtà si sta ponendo il problema di come pesare realmente nel processo di cambiamento epocale che si è aperto nel Paese, riuscendo a costruire percorsi collettivi e forti, capaci di dare corpo alla costruzione di un’alternativa sociale complessiva.

L’elemento che più colpisce parlando con queste persone, ed in generale interloquendo con la gente, è che il termine “rivoluzione” è diventato un topic comune, uno sfondo reale all’interno del quale è nata una nuova quotidianità. In Tunisia ci rendiamo conto in maniera evidente che la rivoluzione è un processo e non un momento, che siamo di fronte ad un “tempo di rivoluzioni”, nel quale sono protagonisti soprattutto i tanti giovani che due anni fa sono scesi in strada ed hanno avuto il coraggio di sfidare e destituire un dittatore che sedeva da oltre vent’anni sul trono del potere e che oggi continuano a pensare, desiderare, esprimersi, lottare.

Ma l’esistenza di un “tempo di rivoluzione”, si coglie soprattutto nella possibilità di costruire un’area di d’azione collettiva e moltitudinaria tra le due sponde del Mediterraneo, che sia immediatamente in grado di esprimere un’alternativa.

Per questa ragione l’euromediterraneo da elemento geografico e culturale si trasforma in uno spazio politico, all’interno del quale diventa centrale l’agire in forma di coalizione, sperimentando nuove forme di organizzazione politica in grado di operare dentro la contemporaneità per trasformare l’esistente.

La Carovana ci ha permesso di vivere direttamente la forza e la potenzialità di muoversi come movimenti avendo l’euromediterraneo come orizzonte comune fatto di rivendicazioni e desideri, che viaggiano da nord a sud nella molteplicità dei conflitti con al centro i temi della libertà, di un reddito per tutti contro lo sfruttamento della finanza, della difesa dei beni comuni.

L’esperienza tunisina ci ha insegnato che l’alternativa all’austerity, alla dittatura della finanza, alle politiche della Troika non è un’utopia, ma una dimensione di possibilità che possiamo praticare insieme.

Per questo con lo spirito e le modalità della coalizione che vogliamo aprire un percorso pubblico di discussione e di lotte territoriali che ci traghetti verso Blockupy Frankurt, la due giorni di mobilitazioni contro la Banca Centrale Europea organizzata nella città assiana il prossimo 31 maggio e 1 giugno. Perché la Tunisia “ce n’est q’un debut”. Ci vediamo a Francoforte. Per un euromediterraneo di diritti e dignità.

 

Firma: Associazioni Ya Basta Emilia Romagna, Marche, Nordest, Perugia; Adesioni: Associazione Sport alla Rovescia Palestra Popolare TPO (Bologna), Polisportiva Assata Shakur (Ancona), Palestra Popolare Rivolta (Marghera), Polisportiva Independiente (Vicenza), Aut Side Social Football (Rimini), Polisportiva Ackapawa (Jesi), Polisportiva San Precario (Padova), Hic sunt leones Football Club (Bologna); Partecipa: Progetto Melting Pot Europa

 

6. Dichiarazione della Iniziativa Donne

Dichiarazione all’Assemblea dei movimenti sociali del FSM di Tunisi, 30 marzo 2013. Per contatti Dynamique femmes FSM 2013; E- mail: ahlem.dynafemmes@gmail.com

 

Siamo molto contente della grande presenza di donne, di associazioni di Donne e femministe che hanno partecipato al Forum sociale mondiale a Tunisi nel marzo 2013, e affermato la loro solidarietà alle lotte delle donne nel mondo e più in particolare a quelle della regione araba.

Le varie e diverse attività svoltesi nella settimana hanno messo in evidenza una analisi comune :

-le politiche di austerità e la mondializzazione liberista toccano maggiomente le donne e colpiscono sempre più duramente le popolazioni ;

-le guerre fomentate nel mondo (Palestina, Siria, Libano, Mali, Congo…) utilizzano i corpi delle donne come arma di guerra e rafforzano lo sfruttamento sessuale (stupri, matrimoni precoci e forzati…);

-l’accresciuto peso degli estremismi e dei poteri religiosi sulla politica, che si iscrive nel quadro di una ristrutturazione del mercato mondiale, costituisce una minaccia per l’emancipazione delle donne.

Il loro obiettivo mira a instaurare una società post-rivoluzione basata su un nuovo potere teocratico attentando ai fondamenti dello stato di diritto e dando al patriarcato una impronta di religiosità.

Lo statuto delle donne diventa così una grande questione politica per le società e le istituzioni attraverso l’istaurazione di una violenza quotidiana per escludere le donne dallo spazio pubblico ; queste politiche retrograde si collocano all’interno delle stesse politiche economiche liberiste che stanno instaurando l’austerità in tutto il mondo.

Attualmente le donne sono le prime ad essere colpite dall’arretramento dei diritti economici e sociali e dalla precarietà generalizzata.

Noi donne, di associazioni e femministe, dichiariamo :

-il nostro forte attaccamento alla universalità dei diritti fondamentali delle donne ;

-la nostra volontà che la CEDAW (Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione delle donne), ratificata, sia la base della costituzionalizzazione dei diritti delle donne, in particolare nei paesi arabi;

-il nostro diritto a beneficiare delle ricchezze mondiali  (come l’acqua, la proprietà della terra, le ricchezze minerarie…);

-la nostra determinazione a lottare contro tutte le forme di violenza fatta alle donne (stupri, molestie sessuali);

-esigiamo la protezione delle donne rifugiate nelle zone di conflitto vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale.

 

Noi donne chiediamo al Consiglio internazionale del FSM :-includere l’assemblea delle donne nel programma ufficiale del FSM :

-rafforzare la presenza di associazioni femministe nella composizione del Consiglio internazionale diversificando la loro rappresentanza ;

-la messa in opera di una reale volontà e di mezzi per permettere di promuovere una effettiva parità, sia nella composizione del Consiglio internazionale che nell’organizzazione trasversale dei dibattiti; che l’attribuzione dei fondi di solidarietà tenga conto della presenza delle donne ;

-la effettiva realizzazione di una rete internazionale di solidarietà con le donne tunisine in lotta per i loro diritti fondamentali.

 

1 A denunciare a più riprese questa ondata di violenza, ad additarne la pericolosità rispetto alla sorte della transizione, era stato lo stesso Belaid. Egli aveva previsto perfettamente l’impennata drammatica che avrebbe avuto il ciclo di attacchi premeditati a esponenti e sedi dell’Ugtt e dei partiti di opposizione.

2 In Tunisia si fa un certo abuso di questa formula, che viene adoperata per indicare ogni aggregazione di cittadini attivi e rivendicanti qualche diritto. Data la problematicità del concetto, preferiamo usare la formula tra virgolette.

3 Il termine “salafita” è assai generico. Del movimento di riforma d’ambito sunnita che va sotto il nome di as-salafiyya occorre infatti distinguere almeno fra la tendenza detta scientifica -letteralista, quietista, di solito pacifica- e la tendenza jihadista e/o takfirista. Secondo quest’ultima, il jihad è da condurre non solo contro l’Occidente e gli «infedeli», ma anche contro regimi, poteri e gruppi interni ai Paesi a maggioranza musulmana considerati apostati.

4, Un’analoga debolezza di reazione si era registrata rispetto alla ben più grave vicenda di Jabeur Mejri e Ghazi Béji. Ricordiamo che il 25 giugno 2012 i due giovani di Mahdia sono stati condannati anche in seconda istanza a sette anni e mezzo di carcere e a un’ammenda di 1200 dinari per turbamento dell’ordine pubblico e offesa alla morale, per aver postato in Facebook testi e immagini reputati blasfemi, in realtà per essersi dichiarati atei. La condanna fu approvata dal portavoce ufficiale del presidente della Repubblica, il “laico” Moncef Marzouki, storico oppositore del regime benalista e a suo tempo attivo difensore dei diritti umani. Béji, condannato in contumacia, era riuscito sottrarsi al carcere preventivo con la fuga.

5 Questo articolo è stato terminato il 28 maggio 2013.

6 In effetti non v’è stato alcun allargamento della maggioranza del governo Jebali, fondata sull’alleanza, spesso confusa e incoerente, fra Ennahda, il CPR et Ettakatol. L’unica modifica è il conferimento di quattro ministeri a personalità “indipendenti”, tre magistrati e un diplomatico.

7 Nell’imminenza delle elezioni del 23 ottobre 2011 il movimento salafita aveva invitato a votare per Ennahda.

8Alcune fonti giornalistiche hanno parlato di due vittime. Di certo a essere stato ucciso è il ventisettenne Moez Dahmani, immigrato in Italia, dove viveva da alcuni anni. I genitori hanno dichiarato che il loro unico figlio, in Tunisia per una vacanza di pochi giorni, era del tutto estraneo ad Ansar al-Sharia e agli scontri con la polizia: http://www.kapitalis.com/societe/16179-tunisie-societe-inhumation-de-jeune-homme-mort-hier-lors-des-affrontements-a-la-cite-ettadhamen.html

Si calcola che dalla caduta del regime benalista a oggi tra i salafiti, veri o presunti, vi siano state ben 17 vittime, uccise dalle forze dell’ordine o morte in carcere per sciopero della fame.

9 Vedi in proposito: International Crisis Group, Tunisie : violences et défi salafiste. Rapport Moyen-Orient/Afrique du Nord, n°137, 13 février 2013.

10 In : F. Rahali, Congrès d’Anssar Alchariaâ : l’enjeu social et démocratique encore à l’épreuve , « Nawaat », 21 maggio 2013 : http://nawaat.org/portail/2013/05/21/tunisie-congres-danssar-alchariaa-lenjeu-social-et-democratique-encore-a-lepreuve/

11 Basta citare il caso di Siliana, accaduto a fine novembre del 2012, quando quasi l’intera cittadinanza partecipò allo sciopero generale, riuscendo a tener duro per ben quattro giorni. Per stroncarne la resistenza il ministero dell’Interno inviò forze speciali che spararono sui manifestanti con fucili caricati a pallettoni, facendo ben 250 feriti, alcuni gravi. Vedi A. Rivera, Caccia ai cinghiali umani in Tunisia. Con l’apporto del made in Italy, “MicroMega”, 12 luglio 2012: http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/12/07/annamaria-rivera-caccia-ai-cinghiali-umani-in-tunisia-con-l%E2%80%99apporto-del-made-in-italy/

12Per i prodotti alimentari aveva raggiunto, nel mese di febbraio 2013, l’8,6%, cioè il tasso più alto negli ultimi sette anni.

13 Vedi: Jean-Pierre Séréni, La Tunisie aux portes du FMI, « Le Monde Diplomatique », 23 aprile 2013 : http://www.monde-diplomatique.fr/carnet/2013-04-23-Tunisie

14 Il riferimento è al Centro di traumatologia e grandi ustionati, che ha preso il nome di Ospedale « Mohamed Bouazizi », situato a Ben Arous, non lontano da Tunisi.

15Per cogliere l’ampiezza e l’importanza delle autoimmolazioni pubbliche nei Paesi del Maghreb e soprattutto nella Tunisia prima e dopo la Rivoluzione del 14 gennaio 2011, nonché l’estensione del fenomeno in alcuni paesi europei e in Israele, si veda: A. Rivera, Il fuoco della rivolta. Torce umane dal Maghreb all’Europa, Dedalo, Bari 2012.

 

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Category: Osservatorio Palestina, World social forum

About Alessandra Mecozzi: Alessandra Mecozzi Nata a Roma il 14 novembre 1945. Né marito né figli. Ho due sorelle, un fratello e un mucchio di nipoti, madre novantunenne. Liceo Tasso e Università La Sapienza di Roma. Laureata nel 1970 con una tesi sulla Cgil. All’Università ho conosciuto la politica e il movimento studentesco, incontrato per la prima volta il sindacato. Non iscritta a nessun partito, dopo 2 anni di FGCI. Dalla fine del 1970 alla Fiom nazionale. Dal 1974 al 1990 alla FLM prima, poi alla FIOM di Torino/Piemonte. Nel 1975, con il gruppo dell’Intercategoriale donne cgil cisl uil di Torino, conosco e pratico il femminismo, nel sindacato e alla casa delle donne. 1983: primo convegno internazionale su donne e lavoro “Produrre e riprodurre”; 1987 : costruiamo Sindacato Donna nella CGIL. La politica per la pace, la incontro a Gerusalemme e nei territori palestinesi occupati, nel 1988, con donne italiane, palestinesi e israeliane (“Donne a Gerusalemme”, Rosenberg&Sellier), dopo una breve esperienza nei campi profughi palestinesi in Libano, in seguito a un appello di Elisabetta Donini. Nel 1989, eletta nella Segreteria Nazionale della Fiom, torno a Roma. Dal 1996, responsabile dell’Ufficio internazionale e, successivamente, anche della rivista della fiom Notizie Internazionali. Contribuisco alla nascita di “Action for Peace” (2001) un progetto di molte associazioni, per la presenza di missioni civili in Palestina/Israele; dal 2002 nel Coordinamento Europeo per la Palestina (ECCP). Partecipo dal 2001 - Genoa Social Forum - al processo del Forum sociale mondiale e del Forum sociale europeo. Dal 2012, “libera dal lavoro”, sono volontaria con “Libera” per l'area medio oriente e maghreb-mashreq e presidente della associazione “Cultura è Libertà, una campagna per la Palestina”.

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