Giordano Sivini: Le trasformazioni del sindacato negli Stati Uniti

| 5 Aprile 2013 | Comments (6)

 

 

 

6. Pubblichiamo integralmente gli atti del seminario C’è un futuro per il sindacato? Quale futuro? organizzato dalla Fondazione Claudio Sabattini e tenuto a Roma il 5 aprile 2013. La numerazione degli interventi corrisponde all’ordine in cui sono stati fatti.

 

Il mio intervento si divide in due parti: la prima riguarda la normativa, la seconda parte le trasformazioni del Sindacato negli Stati Uniti.

La normativa risale al New Deal e voglio cominciare con una citazione di Sabattini, che dice in uno dei suoi interventi: “Il diritto sociale degli Stati Uniti è cambiato ad opera di Roosevelt, nel 1935, quando ha riconosciuto il Sindacato americano per la prima volta. In precedenza il Sindacato è sempre stato combattuto e quelli che erano considerati fuori dal sistema li hanno abbattuti a colpi di fucile con l’Agenzia Pinkerton, la mafia e altri. Il Sindacato americano è sempre stato un Sindacato di mercato, non ha mai pensato di essere un’altra cosa, ha sempre pensato di essere un agente del mercato che contatta la forza lavoro, che rappresenta, e la contatta da un punto di vista economico, contratta il valore sul mercato essendo un agente del mercato della forza lavoro americana in tutte le sue condizioni”.

Questa è la base della legislazione nata nel New Deal, la quale non ha subito nessuna modifica, tranne nel 1947 per limitare gli scioperi e per consentire ai singoli Stati di apportare modifiche. Chi ha fatto fare una certa evoluzione alla normativa è stato il National Labor Relations Board, un organismo di nomina presidenziale, le cui tendenze sono cambiate a seconda delle Presidenze repubblicane o democratiche.

La normativa ha per obiettivo la contrattazione collettiva, tenendo conto del fatto che la contrattazione collettiva, quando è realizzata nelle norme previste dal New Deal, ha la prevalenza sulla contrattazione individuale, che non incontra limiti: il datore di lavoro può licenziare quando vuole, l’unico limite è il salario minimo stabilito a livello federale, che può essere ritoccato in aumento a livello degli Stati.

L’organizzazione sindacale è funzionale alla contrattazione. Per avere un’organizzazione sindacale bisogna guardare al posto di lavoro. Quando il 30% almeno dei lavoratori inoltra al National Labor Relations Board la richiesta di organizzarsi, questo – dopo averla vagliata – decide se chiamare i lavoratori ad una consultazione.

Non è scontato il fatto che nella consultazione i lavoratori approvino a maggioranza la proposta di organizzarsi sindacalmente. Dalle statistiche risulta che questo avviene solo in circa la metà delle consultazioni. Una volta, comunque, che c’è l’approvazione della maggioranza dei lavoratori, l’organizzazione sindacale deve dimostrare di essere capace di realizzare quello per cui è stata costituita, cioè la contrattazione. Ha, di norma, un anno di tempo per negoziare il contratto, che poi viene sottoposto al referendum dei lavoratori. Anche questo non è scontato: circa il 30% delle organizzazioni sindacali messe in piedi attraverso il referendum non riescono, poi, a realizzare il contratto entro i termini. Tutto questo indica che c’è un intervento molto pesante dei datori di lavoro, sia per far fallire il referendum per l’organizzazione, sia per far fallire la funzione della stessa.

Nel settore privato i sindacati erano arrivati ad organizzare il 30% dei lavoratori, ma dal 1980, con la finanziarizzazione e la globalizzazione, è iniziato un trend decrescente: attualmente i lavoratori del settore privato organizzati sono solo il 6%. Nel settore pubblico la situazione è diversa; complessivamente è organizzato sindacalmente il 30%, una percentuale che non è variata molto nel tempo. Inoltre in 12 Stati è possibile per le organizzazioni sindacali essere riconosciute sul posto di lavoro quando c’è una richiesta del 51% dei lavoratori, senza indire elezioni.

Il fatto che l’organizzazione sindacale sia legata al posto di lavoro fa sì che ci siano decine di migliaia di organizzazioni locali. Ogni anno il National Board indice consultazioni elettorali, recentemente, in media 2.000 elezioni, nella prima metà degli anni 2000 più di 4.000.

Le organizzazioni a livello locale fanno capo ad Unioni nazionali di mestiere o di settore; sono attualmente un centinaio che fanno parte, a loro volta, dell’American Federation of Labor, oppure della Change to win organization, nata 8 anni fa per scissione della prima, ma rispetto alla quale non c’è molta differenza. Queste due grandi organizzazioni nazionali federali hanno funzione essenzialmente di rappresentanza e di promozione, non di contrattazione.

Una volta che l’organizzazione si è stabilita sul posto di lavoro, questa ha un grosso potere, perché per legge rappresenta tutti i lavoratori di quel posto di lavoro.

Anche qui voglio citare Sabattini: “Non c’è diritto alla contrattazione per chi, impresa per impresa, è minoritario. Le leggi rooseveltiane questo dicono ed è stato un passaggio decisivo nella storia della cultura americana”.

Vige la regola dell’union shop o del closed shop in gran parte degli Stati, sono 14 gli Stati che non seguono questa regola. L’organizzazione sindacale riconosciuta ha la rappresentanza esclusiva di tutti i lavoratori, ma ogni nuovo assunto nell’impresa deve entro un mese iscriversi al Sindacato o, per lo meno, pagare al Sindacato le quote perché svolga la sua funzione di rappresentanza.

C’è nel contratto, anche quello della Chrysler, che, se un lavoratore nuovo assunto entro un mese non si iscrive o non paga le quote, l’impresa deve licenziarlo. In opposizione a questa logica vige un altro sistema, che è cavalcato dalla rappresentanza repubblicana in molti Stati, quello del right to work, il diritto al lavoro. E’ una campagna che viene fatta per indebolire il Sindacato, ma sostanzialmente ha la funzione di consentire a quelli che non vogliono iscriversi al Sindacato sul luogo di lavoro di non essere cacciati dall’impresa e di non subire altre conseguenze; vieta anche la raccolta delle quote sindacali tramite i datori di lavoro.

Questo principio del rigth to work viene deciso da leggi statali. A Ottobre anche il Michigan, dove ha sede tutta la Chrysler, ha votato per il right to work, che entrerà in funzione quando cesserà la validità dei contratti esistenti. Nel 2015 nella Chrysler il Sindacato dell’auto non potrà reclamare automaticamente l’iscrizione di tutti i lavoratori ed il licenziamento da parte dell’impresa di quelli che non verseranno le quote.

Questa in sintesi è la normativa e adesso, rapidamente, passo a parlare della trasformazione del Sindacato.

La normativa era misurata per la fase fordista ed i Sindacati erano riusciti ad ottenere in quella fase incrementi salariali, indennità e il welfare (copertura sanitaria e pensionistica efficace) per le famiglie dei loro lavoratori. Dopo la finanziarizzazione e la globalizzazione, a partire dagli anni ’80, è iniziato un processo di regresso, un passaggio dalla fase di conquiste ad una fase che viene chiamata delle “concessioni”.

Un altro processo importante è quello della concentrazione dell’organizzazione del sistema sindacale. A partire agli anni ’80 e ’90 un centinaio di organizzazioni sindacali sono scomparse, assorbite da organizzazioni più grandi e, alla fine di questo processo, ci sono ora, tra il centinaio di organizzazioni esistenti a livello federale, 5 grandi organizzazioni che hanno assorbito quelle più piccole per ragioni finanziarie e per crisi organizzativa.

Che cosa significa questo? Che i confini originari di intervento delle Unioni si sono sempre più allargate; queste 5 organizzazioni hanno interessi di contrattazione in vari settori. Un processo analogo è successo anche nel settore dell’auto: il Sindacato dell’auto, che aveva nel massimo fulgore, negli anni ’70, oltre un milione di iscritti, è passato negli anni ’90 a 500, e attualmente, dopo la crisi, a 350.000, di cui però neanche la metà appartiene al settore dell’auto o delle organizzazioni di imprese fornitrici dell’auto. Si è espanso in alcuni settori dell’università, in alcuni settori degli ospedali, è andato ad organizzare anche i lavoratori dei Casinò: tutto questo per rafforzarsi soprattutto finanziariamente come organizzazione.

Sia la concentrazione dell’organizzazione sindacale, sia questa espansione oltre i confini delle originali funzioni di rappresentanza, portano a quello che credo si possa chiamare un Sindacato “pigliatutto”.

Torno al discorso delle concessioni. A partire dal 1980 c’è un arretramento complessivo dei Sindacati. Dice ancora Sabattini: “Nel 1937 il riconoscimento del Sindacato è avvenuto in cambio dell’accettazione da parte del sindacalismo che non avrebbe più fatto sabotaggio nelle fabbriche, altrimenti non ci sarebbe stato riconoscimento”.

Il problema principale delle Unions, sia prima della crisi, sia dopo la crisi, è sempre stato quello di avere buone relazioni con le imprese, facendo attenzione a limitare al massimo gli scioperi ufficiali e non solo per evitare la spesa delle Casse di sostegno agli scioperanti, ma soprattutto perché c’è l’impegno a controllare le locals affinchè il management abbia assicurata l’agibilità sui posti di lavoro.

Ci sono stati pochi, anche se significativi, scioperi proclamati dalle Unions; ma ci sono stati – soprattutto nel periodo della riorganizzazione produttiva – moltissimi scioperi spontanei che solo in rari casi sono stati legittimati dalle Unions.

La politica delle concessioni ha portato all’accettazione di misure come il congelamento dei salari, la rinuncia ad indennità, la riduzione dei servizi sanitari ed il blocco dei fondi pensione. Nella metà degli anni 2000 è successo qualche cosa di diverso: per parare la minaccia di ulteriori interventi sulla massa salariale degli occupati, i Sindacati hanno proposto il sistema dei due livelli salariali. I vecchi lavoratori, pur avendo rinunciato ad una serie di indennità, hanno mantenuto inalterato il livello del salario. I nuovi sono stati assunti a mezzo salario, per fare lo stesso lavoro dei vecchi assunti, e con la stessa efficacia nei risultati.

Iniziata in alcuni settori, questa pratica si è diffusa nell’industria dell’acciaio, dell’abbigliamento, degli attrezzi agricoli, dei mezzi pesanti. Su questa base la General Electric sta riportando negli Stati Uniti attività che aveva decentrato all’estero.

Attraverso la serie di concessioni successive siamo arrivati alla piena collaborazione tra imprese e Sindacati. Il settore dell’auto è emblematico. Bob King, Presidente del Sindacato dell’Auto, dice: “Abbiamo il legittimo interesse che la nostra produttività sia elevata per aumentare il numero dei nostri iscritti e dare luogo sul lungo termine alla sicurezza del lavoro. Non sarà possibile se non siamo competitivi a livello mondiale, ecco il motivo della nostra partnership”.

Chiudo, ancora una volta citando Sabattini. Nel 2002 ha detto: “Ovviamente il processo, se vogliamo introdurre una nota di ottimismo, che sta portando all’estinzione del Sindacato italiano, non parte dal Movimento sindacale italiano, ma ha avuto origine negli Stati Uniti e poi, via via, ha conquistato l’Europa e l’Italia affermando, facendo diventare senso comune e cultura diffusa, che la forza lavoro può essere considerata come uno dei tanti strumenti della produzione”.

 

 

Category: Fondazione Claudio Sabattini, Osservatorio Stati Uniti

About Giordano Sivini: Giordano Sivini è nato a Trieste nel 1936. Laureato in Scienze politiche e libero docente in Sociologia politica è stato professore ordinario di sociologia politica all'Università della Calabria e Direttore del dipartimento di Sociologia e di Scienza Politica negli anni 1972-76 e 1990-96. Si è occupato prevalentemente di problemi relativi al sistema politico italiano (partiti ed elezioni) negli anni '60 e prima metà degli anni '70, poi di teoria politica. Negli anni '80 e prima metà degli anni '90 ha lavorato su problematiche relative allo sviluppo dell'Africa, con numerose missioni in diversi paesi anche per conto della Cooperazione italiana allo sviluppo. Successivamente ha rivolto l'impegno di ricerca, da un lato, all'emigrazione dall'Africa e, dall'altro, ai problemi dell'agricoltura e dello sviluppo rurale in una prospettiva di comparazione europea. Ha, infine, dal 2003, rivolto la sua attenzione ai rapporti politici internazionali occupandosi di crisi finanziarie, sviluppo rurale, politiche agricole, migrazioni, Africa. Tra i suoi ultimi libri: Il banchiere del papa e la sua miniera. Lotte operaie nel villaggio minerario di Cave del Predil (Il Mulino, 2009); Resistance to modernization in Africa (Transaction, 2007); La resistenza dei vinti: percorsi nell'Africa contadina (Feltrinelli, 2006;) (a cura di) Le migrazioni tra ordine imperiale e soggettività, (Rubbettino, 2005).

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