Bruno Giorgini: Siamo tutti Bartleby

| 27 Gennaio 2013 | Comments (0)

 

 

 

9. Racconta l’antico legislatore che si ha democrazia laddove nessun sapere viene disperso. Succede invece che a Bologna, sede dell’Università più antica del mondo, un centro culturale autogestito dagli studenti, il Bartleby, venga murato. Più precisamente l’unico e solo centro culturale autogestito da studenti dell’Alma Mater. Murato non da ignoti teppisti notturni, magari di matrice fascista, ma dall’Autorità Accademica in sinergia con l’Autorità Cittadina, il Comune, sub specie di scadenza della convenzione, non rinnovata. Autorità Cittadina e Accademica che d’ora in poi non potranno più vantare la lettera maiuscola. Non so se esistano altri casi in cui un rettore e un sindaco alzano un muro per interdire un centro culturale che opera in un ateneo. L’università dovrebbe essere luogo di studi e di cultura per eccellenza,  quindi plaudendo e aiutando quando studenti si adoperano per produrre cultura. La costruzione di un muro per impedire l’accesso a un centro di cultura, è l’esatto contrario di un gesto kalos kai agathos, bello e buono nell’antico greco classico qui in lettere latine. Ovvero si tratta di un gesto brutto e malvagio, direi anche un po’ vile da parte del potere contro un gruppo, un collettivo di giovani studenti, nonchè un gesto molto triste. Forse le autorità accademiche non sentono e/o non ascoltano il grido corale di disperazione, mascherato da goliardata, che a ogni laurea risuona: dottore dottore del buco del culo, a significare che la laurea è percepita valere come il buco del culo.

Esperienze come quella di Bartleby possono invece contribuire a dare un senso a questa università pubblica, dove il diritto allo studio viene preso a martellate e il valore sociale della laurea appare sempre più degradato, per non dire degli sbocchi professionali. Erigendo quel muro il rettore e il sindaco hanno perso ogni autorevolezza, in primis morale poi nel senso della capacità di mediazione creativa a fronte di un conflitto, e infine nel senso del capire le dinamiche sociali proponendo forme di governo delle stesse, insieme rispettose della democrazia, e del dissenso. Hanno perso ogni autorevolezza urbi et orbi, non solo nella cinta delle mura bolognesi. Diventerà inevitabilmente una narrazione globale, internet e social network aiutando, nonchè gli studenti Erasmus sparsi in tutta Europa facendosene portatori. In questa catastrofe dell’autorevolezza istituzionale ben figura l’assessore Frascaroli, che senza tema del ridicolo, il paternalismo lo è sempre tanto più quando viene propugnato da una donna, accusa i giovani studenti di essere infantili poichè rifiutarono, e rifiutano, la proposta di un locale nella lontana periferia. Bisogna essere ben incompetenti per non sapere che una delle principali caratteristiche attrattive dello studio bolognese è il fatto che il “campus” si innerva e diffonde nella città storica.

L’ università e la città sono inestricabilmente intrecciate, l’una intrisa nell’altra da secoli, la città intra moenia è il luogo sociale delle aggregazioni studentesche siano esse politiche, culturali, di studio, di allegra brigata o altro. Basta camminare di notte nel centro cittadino, dal Pratello a Porta Zamboni, passando per Piazza e sotto il Pavaglione fino alla cinta dei viali,  per rendersene conto. Proporre a un centro culturale come Bartleby, eminentemente studentesco, di spostarsi nella lontana periferia equivale a invitare un coltivatore di grano affinchè semini un campo sugli Appennini laddove cominciano le nevi. Nemmeno una spiga potrebbe crescere. Anche se forse verrà un tempo in cui la lontana perferia diventerà città, seppure la politica del Comune non pare per ora orientata in questa direzione. Ovviamente i giovani murati si arrabbiano, ovviamente alzano la voce e induriscono le parole. Così scrivono su un volantone che il rettore e il sindaco hanno loro dichiarato guerra, concludendo “dissotteriamo l’ascia di guerra”, o qualcosa del genere, cito a memoria.

Ma anch’io per esempio prima sono rimasto esterrefatto, non ci credevo, quindi abitando a due passi ho voluto vedere coi miei occhi l’orrendo muro e mi sono arrabbiato parecchio, e mica poco vergognato per l’università dove ho passato alcune decine d’anni della mia vita, e parole grosse mi sono venute alle labbra. Per un momento ho pensato a un impazzimento del potere, che come è noto non ama l’autorganizzazione nè tantomeno l’autogestione dal basso, insomma mi è venuto in mente che l’autorità accademica e cittadina fosse andata out of jail, fuori dai gangheri (Shakespeare), o fuori dai coppi come si dice  a Bologna. Dopo è arrivata la pezza, peggiore del buco: la lettera di una cinquantina di docenti,  riportata in www.inchiestaonline.it

La lettera è strutturata in tre parti. Nella prima si parla di “toni minacciosi e a tratti apertamente violenti con cui il collettivo aggredisce” l’ateneo e il suo rettore, e siamo ai fantasmi con un buon tasso di delirio. Nella seconda si rincara la dose con “l’evocazione” del “sangue” e della “guerra”, invitando tutti i lavoratori dell’università a non manifestare alcun ascolto nè solidarietà nei confronti di Bartleby, e siamo al surrealismo con un pizzico di “intimidazione” sotto traccia. La terza è un capolavoro di ipocrisia viscida, parlando di eccesso di protagonismo che nuocerebbe agli altri studenti e giovani, nonchè di pretese eccezionali di Bartleby, non ricevibili in tempi di crisi economica. Intanto notiamo che nella lettera non si fa cenno al nodo in discussione, se il centro culturale Bartleby abbia o no il diritto di esistere e operare nel tessuto del “campus” urbano bolognese.

Senza sciogliere questo nodo con un dibattito pubblico e franco in università e in città,  si alza soltanto fumo e polvere inquinati e inquinanti. Poi si tratta in tutta evidenza di una lettera che definirei borderline: qualcuno si è sentito troppo solo, esposto non alla “violenza” e “minacce” studentesche, ma probabilmente al biasimo più ampio dentro la comunità universitaria, e quindi ha voluto mettere le mani avanti. Con una acrobazia logica e una inversione temporale, la lettera decodificata ci dice: abbiamo murato il Bartleby perchè lì dentro ci sono i “violenti”, che vogliono la “guerra” e lo “scorrere del sangue”, la cultura è un puro pretesto, per di più vogliono essere protagonisti, oibò, questi giovani, che imparino a stare al loro posto, sottomessi come si conviene.

Ora a parte il fatto che le inversioni temporali per ora funzionano solo nella fantascienza, rimane da comprendere perchè e come persone dotate di ragione e intelligenza possano sottoscrivere un tale cumulo di proposizioni che violano la logica, il principio di causa e effetto, la causa viene nel tempo prima dell’effetto e non viceversa come i simpatici  cinquantadue (52) professori fanno, nonchè mi sembra compaia una certa debolezza ethica. Per finire si rimprovera ai giovani Bartleby di usare un linguaggio “violento” e “guerresco”, proprio quando il segretario del PD dice “ sbraneremo” chiunque ci voglia coinvolgere nell’affaire del Monte dei Paschi. Non mi pare proprio un discorso senza alcuna violenza verbale, sbranare è verbo feroce e sanguinolento per eccellenza. Nel panorama della comunicazione agiscono poi le guerre in corso con l’italica partecipazione, guai a non esserci magari un po’ defilati, vuoi mica mancare la guerra giusta, ultima la guerra del Mali, di cui si vede parla e scrive ovunque, e che dire della violenza verbale di ogni confronto televisivo tra gli onorevoli e quant’altro. Certamente in filigrana si intravede la paura di trovarsi di  fronte a un nuovo ‘77, una rivolta di massa degli studenti, accentuata dalla crisi economica generale, e dalla specifica crisi culturale, scientifica, di ruolo dell’università.

Ma mai come in questo caso la paura è stata cattiva consigliera, perchè ha coinvolto nel teatro dell’assurdo e in un abisso di imbecillaggine molti docenti per altro brave persone intelligenti, di cui alcuni ben conobbero prima il ’68, e poi il ’77, e forse ancora ricordano come ciò che oggi essi scrivono di Bartleby assomigli, per fortuna solo allo stadio iniziale, e quindi si è ancora in tempo per tornare a posizioni più ragionevoli, assomigli dicevo in modo addirittura grottesco a ciò che a quei tempi di loro non ancora professori scrivevano e dicevano giornali e uomini specie del PCI, bugie falsità e calunnie poi smentite dalle stesse sentenze della magistratura, e su cui il PCI, soprattutto per merito di Renzo Imbeni, fece ampia, seppure mai completa, autocritica. A questo proposito mi sono venute in mente alcune cose. La prima è la visita che Tito Carnacini Rettore, fece da solo una sera all’istituto di Fisica “A. Righi” occupato, era una delle prime occupazioni, per capire discutendo con questi strani studenti seduto con noi in un’aula. La seconda viene dalla teoria della dinamica di folla, dove compare l’effetto herd, gregge, e mi pare proprio che questo sia il caso, rimanendo da scoprire chi è il pastore.  O forse pastore non c’è ma soltanto il riflesso da cani di Pavlov a difesa della corporazione che ha ottuso il giudizio razionale e appannato l’intelligenza, nonchè la sensibilità democratica. Ma veniamo alla terza cosa. Una storia che mi raccontò Roberto Roversi, credo l’abbia anche scritta. Discorrendo di un libro che mi aveva entusiasmato, Coppi e il Diavolo di Gioanbrerafucarlo, Roberto mi disse che l’aveva letto d’un fiato andando in treno a Roma, seduto sullo strapuntino in corridoio. A Roma a far che? A subire l’interrogatorio di un giudice a proposito delle “Descrizioni in atto”, poema denso di ethica civile in rivolta contro le ingiustizie del mondo, e intriso di profonda bellezza, pubblicato sotto forma di ciclostilato, chissà mai potessero configurare un qualche reato di sovversione. Una roba da matti che si afflosciò come un palloncino bucato ma accaduta. Tra l’altro non mi pare privo di significato che Roversi, come Benni e Celati sia uno dei numi tutelari di Bartleby, nessuno di loro accademico.

Ma non vorrei sottrarmi alla riflessione sulla violenza che pare tanto occupare le menti dei nostri/e 52 professori/e. Lo faccio con le parole di Luisa Muraro, filosofa, che in “Dio è violent” (2012) scrive: “a chi detiene un potere quale che sia, io non mi presento dichiarando che ho rinunciato all’uso della forza fino alla violenza se necessario.” E aggiunge: “ Non penso tuttavia che rinunciare alla forza equivalga ipso facto a un’automutilazione. Può essere il contrario, se la rinuncia come una potatura ben fatta, contribuisce a far nascere o a potenziare la forza morale insieme alla determinazione politica: basta fare un nome, quello di Martin Luther King.” Ecco la questione posta nella sua interezza. Tutti, la crisi avanzando, debbono interrogarsi, gli studenti di Bartleby come i professori e i cittadini, oserei dire: persino le forze di polizia. Sapendo che l’esercizio della  forza (morale) in forma non violenta, se si vuole l’azione politica attraverso la non violenza attiva, con disobbedienza civile a latere, richiede coraggio, disciplina, generosità, fantasia, tecnica, e comporta quando le cose si fanno serie e dure rischi assai elevati. Ma anche che questa non violenza attiva può produrre maggiore determinazione politica in chi la pratica, e più grande consenso e solidarietà in chi vi assiste.

A questo punto come si svilupperà la dinamica. Una prima possibilità è che i Bartleby e compagnia continuino a andare in giro di sgombero in sgombero, fin quando o il movimento si esaurisce, ma mi pare improbabile, oppure arriverà un punto d’impatto con tutte le conseguenze del caso. Seconda possibilità. Riprende una trattativa seria, che tiene in conto le esigenze di Bartleby, e trova una soluzione accettabile, una trattativa condotta in prima persona dal rettore, in stretto contatto con il sindaco, talchè essi riacquistino quel po’ che possono le loro maiuscole, cioè il rispetto dei Bartleby seppure nel conflitto dei diversi interessi e opinioni. Perchè di questo si tratta, le autorità hanno perso il rispetto, qui c’è la faglia che può produrre il terremoto. Colmarla non è compito o responsabilità dei Bartleby ma delle autorità stesse, tenendo fuori per favore improvvide/i assessore/i. Nessuno si faccia ingannare dal fatto che oggi sono poche centinaia a percorrere le strade, sotto ce ne sono altri mille in ebollizione, che possono in fretta moltiplicarsi. Terza soluzione, la più audace e interessante, politicamente ricca e complessa. Rimettere in circolo la democrazia egualitaria attraverso gli Stati Generali dell’Università, tornano le maiuscole. Vuol dire invitare tutti a confrontarsi, un confronto tra eguali al di là delle diverse posizioni, studenti, precari, ricercatori, docenti, tecnici eccetera sul ruolo e i compiti dell’università nella crisi, tentando di raccogliere le idee e  le ragioni di una convivenza sinergica tra le varie componenti, nelle loro differenze, per costruire insieme un programma di sviluppo condiviso. Poi si torna alle normali istituzioni e divisioni del lavoro e dei ruoli con tanto di gerarchie ma con ben diversa consapevolezza, e con una missione comune perchè definita insieme. Non accadranno questi Stati Generali penso, ma tant’è. In fine una raccomandazione, se posso permettermi, ai Bartleby giustamente arrabbiati. Conosco personalmente Ivano Dionigi,  egli non va confuso con la sua funzione di massima autorità accademica. In altro contesto forse sarebbe venuto al vostro centro per raccontarvi di Lucrezio, su cui ha svolto studi affascinanti, o a parlarvi del classico magari della ribellione di Antigone che non rispetta la legge della città in nome di una sua legge morale. Insomma siete in presenza di una persona con molte qualità, seppure nella sua funzione rettorale questa volta abbia commesso un errore grave, per sè innanzitutto, e per voi è ovvio. Da ultimo vi propongo la famosa definizione di politica data da Don Milani, la politica è una mano tesa al nemico perchè cambi, talchè anch’egli potrebbe diventare Bartleby. Continuando voi, noi, tutti di fronte a ogni comando e/o prepotenza a ripetere: preferirei di no, o per dirla con il nostro comune amico Celati, “avrei preferenza di no”. E, essendo nei dintorni del giorno della memoria, come non ricordare “Preferirei di no”, libro di Giorgio Boatti, dove si raccontano le storie dei dodici (12) professori universitari che nel 1931 rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo, dodici su milleduecentocinquanta (1250), un po’ meno dell’ un per cento (1%).


 

 

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Category: Bartleby a Bologna

About Bruno Giorgini: Bruno Giorgini è attualmente ricercatore senior associato all'INFN (Iatitutp Nazionale di Fisica Nucleare) e direttore resposnsabile di Radio Popolare di Milano in precedenza ha studiato i buchi neri,le onde gravitazionali e il cosmo, scendendo poi dal cielo sulla terra con la teoria delle fratture, i sistemi complessi e la fisica della città. Da giovane ha praticato molti stravizi rivoluzionari, ha scritto per Lotta Continua quotidiano e parlato dai microfoni di Radio Alice e Radio Città. I due arcobaleni - viaggio di un fisico teorico nella costellazione del cancro - Aracne è il suo ultimo libro.

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