Luciana Castellina: Per una “fusione calda” di società e politica

| 9 Aprile 2015 | Comments (0)

 

 

 

Diffondiamo dal numero 16 di Sinistra Lavoro del 9 aprile 2015

Credo che un nuovo Partito sia necessario e possibile. e non credo che un partito da solo possa bastare. Ritengo che la nascita della coalizione messa in campo da Landini sia un decisivo contributo in questo senso: ridà voce a chi da tempo non ce l’ha, e avvia, anche, un modo nuovo di essere del sindacato. servirà a tutti, partiti esistenti e futuri. Mi interessa discutere in forme più ravvicinate con Sel, così come continuare a farlo con l’Altra Europa e tutti i   soggetti interessati a questo processo costituente, compresi quelli che oggi patiscono la deriva renziana del loro partito, il Pd.

 

Nei giorni scorsi qualche quotidiano ha dato la sorprendente notizia che «la Castellina torna in politica». io, per la verità, pensavo di non esserne mai uscita, ma non sono stata sorpresa dell’annuncio: è ormai corrente l’idea che la politica sia cosa solo dei partiti e dei deputati, non dei cittadini. Perciò non fanno politica movimenti e associazioni, né    singolarmente, né in coalizione.

E ovviamente neppure io che da 20 anni non ho più partito, e tanto meno mandato parlamentare, e sono “solo” partecipe di quel che si muove a sinistra nella società. se questa settimana vengo ufficialmente riammessa nella categoria dei «politici» è perché avrei accettato di dialogare con un partito, Sel; col quale ho peraltro dialogato sempre, sia pure in forme più casuali.

Trascorsa la Pasqua voglio dar conto delle ragioni che mi hanno indotto ad accettare il confronto più serrato e diretto che a me e a qualche altro compagno è stato offerto da sel, per — come ha detto il suo coordinatore nazionale Nicola Fratoianni — «andare con Sel oltre Sel e dare così maggior forza alla nostra convinta volontà di apertura».

E’ ormai da tempo che siamo impegnati nella costruzione di un nuovo soggetto politico che colmi la voragine che si è aperta a sinistra. sappiamo che i tentativi finora esperiti sono andati a finire male e siamo tutti convinti che non dobbiamo ripercorrere le stesse strade perché erano sbagliate: ritenere cioè che basti una sommatoria di sigle.

Gli arcobaleni sono belli da vedere ma finché i colori restano distinti e non si innestano l’uno nell’altro creando una cosa nuova non si tratta di un buon simbolo per rap- presentare l’agognato soggetto. non solo: non basta neppure che si mescolino i colori dati, occorre anche aggiungerne di nuovi e di- versi, quelli che affiorano nella società e non sono ancora partiti ma nemmeno gruppi organizzati, e sono la maggioranza delle forze che occorre aggregare.

io sono abbastanza ottimista per- ché penso che in questo ultimo anno abbiamo fatto qualche passo avanti nella direzione giusta come prova l’esperienza del- l’Altra Europa che, con tutti i suoi limiti e persistenti non superate differenze di opinione su scelte non secondarie, sta tuttavia pro- cedendo. sono ottimista anche perché, a differenza del passato, i più consistenti fra i partiti veri e propri, Sel e Rifondazione comunista, hanno accettato di aprirsi al processo costituente. senza sciogliersi — sarebbe una follia — ma offrendo la propria disponibilità ad impegnarsi in qualcosa che non può che essere un lungo pro- cesso: nel corso del quale superare positivamente le diversità, e, soprattutto, ritrovare una capacità di rappresentanza sociale che a tutti manca. Per questo ritengo che la nascita della coalizione messa in campo da Landini sia un decisivo contributo in questo senso: ridà voce a chi da tempo non ce l’ha, e avvia, anche, un modo nuovo di essere del sindacato. servirà a tutti, partiti esistenti e futuri.

in questo contesto credo che Sel abbia compiuto i passi più coraggiosi: non solo perché, essendo l’organizzazione più consistente e dotata di un non piccolo drappello di parlamentari, è quella che avrebbe potuto esser più tentata dall’autosufficienza, ma perché ha dimostrato in quest’ultimo anno di voler procedere concreta- mente nel confronto con gli altri: ne sono la prova la bella esperienza di human factor e la partecipazione alle liste prima e poi ai comitati dell’Altra Europa. e ora con questa certo anomala proposta: l’apertura dei suoi organismi dirigenti alla partecipazione di non iscritti per rendere più solido, all’interno dello stesso partito, il ponte verso l’esterno. Per questo sono stata contenta che mi abbiano proposto di essere nel drappello che sperimenterà questo passaggio.

e’ evidente che ho accettato anche per due altre e consistenti ragioni: perché sebbene io non abbia mai aderito a Sel — perché tutt’ora critica su molte cose — sono certa- mente affine, per storia e memoria, alla formazione politico-culturale di questa organizza- zione.

in secondo luogo perché non mi piace la demonizzazione dei partiti, anzi, dell’idea stessa di partito che è emersa in questo periodo, fino — come alcuni hanno proposto — a volerli escludere dal processo costituente in atto.

guido viale ha scritto il 1 aprile sul manifesto che i partiti sarebbero, tutti, ceto politico, mentre le organizzazioni che operano nella società civile sarebbero tutte illibate e naturalmente unitarie. sento nella sua ipotesi di esclusione di ogni forma partitica l’eco dell’idea negriana della «moltitudine», come somma di tante proteste che nella loro immediatezza finirebbe per rovesciare il sistema di potere dominante e di per sé dar vita ad una alternativa. in una società sempre più complessa come quella in cui viviamo è      difficile trovare in natura un corpo sociale omogeneo e compatto, perno dell’alternativa, come fu nel secolo scorso il movimento operaio.

il capitalismo avanzato non uni- fica ma disarticola il corpo sociale in figure contrapposte e rende sempre più difficile l’affermarsi di una coscienza alternativa, anche perché questa è sempre meno semplice soddisfazione di bisogni immediati ma richiede, per soddisfarli, un progetto di trasforma- zione del modo stesso di produrre, di consumare, e dunque degli stessi bisogni e valori. la mediazione politica e culturale è dunque sempre più, e non meno, necessaria; e va operata ad un li- vello sempre più alto.

la degenerazione oligarchica dei partiti nasce dal fatto che da tempo gli stessi partiti di massa non son stati in grado di rappresentare questa soggettività organizzata, questo — direbbe Gramsci — «intellettuale collettivo», in grado di compiere una si- mile mediazione. e questo è accaduto perché a partire da un certo momento lo stesso Pci non è stato più capace (o non ha più voluto) spezzare la separazione tra economico/sociale e politico. Per questo non mi piace la pole- mica anti-partito che non si accompagna a una critica anche molto più drastica dei partiti esi- stenti, ma che anziché generica deve diventare circostanziata e deve accompagnarsi ad una riflessione seria su quanto ha nella no- stra storia portato a questa separazione.

un disastro — su questo credo siamo tutti d’accordo — che non può certo esser superato grazie a piccole avanguardie minoritarie, come fu in qualche modo l’illusione di una parte della nuova sinistra postsessantottesca.

Un nuovo partito come lo vogliamo non può affermarsi senza che vi sia un grande movimento di massa, sociale e al tempo stesso politico, nel senso di arrivare ad esercitare, da subito — e ricorrendo anche a forme di democrazia diretta ma organizzata — una funzione di concreta assunzione di responsabilità di gestione di pezzi della società, andando quindi al di là di una mera azione rivendicativa. non dunque la semplice, immediata espressione della società civile, ma, per l’appunto, di una democrazia       organizzata.

Per questo oggi ancor più che nel passato contrapporre polemicamente il livello sociale a quello politico non mi pare abbia senso, e per questo penso anche, però, che non basti l’accumulo della protesta.

occorre, credo, recuperare fino in fondo il senso della politica, e superare l’idea della democrazia come semplice somma di garanzie e diritti individuali, per riconquistare quello spazio deliberativo che solo può venire se esistono soggetti collettivi dEtati di un progetto di trasformazione e capaci di collegare società e istituzioni. se si supera l’idea che la democrazia sia garantita da una maggioranza estratta da «un elenco di votanti».

Questa frase l’ha citata Zagrebelsky nella relazione tenuta nella bellissima seduta che alla camera dei deputati ha celebrato i cento anni di Ingrao.

così come quella di Leonardo Paggi, le due relazioni hanno sottolineato con forza come la nostra costituzione verrebbe stravolta se i soggetti fossero semplici individui elettori e non, come era stato previsto, rappresentanti di un pro- getto collettivo come erano i partiti politici di massa.

«Nel nostro tempo — scriveva Ingrao 30 anni fa — l’individuo, per essere individuo, e persino per contare come elettore, ha dovuto costituirsi in associazione, ed è attraverso questo associarsi che ha potuto affermare la sua individualità politica». la crisi attuale della democrazia, in Italia ma anche altrove, ha la sua radice principale proprio nel venir meno della dimensione collettiva della politica. il crollo della credibilità dei partiti è l’effetto diretto della scomparsa della militanza, del coinvolgi- mento, che ha a sua volta         determinato l’estremo impoverimento della democrazia..

«il voto non basta», scriveva Ingrao. e neppure la sola lotta rivendicativa. occorre una soggettività politica che è sempre collettiva ed ha la sua insostituibile forma organizzata nei partiti. E’ certo vero che i partiti necessari non potranno essere uguali a quelli che furono anche i migliori, bando alle nostalgie. e però la riabilitazione della politica e    l’impegno a pensare e a costruirne di nuovi e adeguati è altrettanto importante di quello che anima chi pensa di dover ripensare le forme del sindacato e dei movimenti.

O cercheremo di muoverci tutti su tutti i livelli, senza contrapporre l’uno all’altro, senza reciprocamente demonizzarsi, o non credo che ce la faremo. la riflessione cui i 100 anni di Pietro ingrao ci hanno sollecitato può aiutarci. ecco perché mi interessa discutere in forme più ravvicinate con Sel, così come continuare a farlo con l’Altra Europa e tutti i   soggetti interessati a questo processo costituente, compresi quelli che oggi patiscono la deriva renziana del loro partito, il Pd.

 

 

Category: Donne, lavoro, femminismi, Politica

About Luciana Castellina: Luciana Castellina (Roma, 1929) è una politica, giornalista e scrittrice italiana, parlamentare comunista, più volte eurodeputata, autrice di numerose pubblicazioni, presidente onoraria dell'ARCI dal 2014.Figlia unica del rappresentante milanese di commercio Gino Castellina e di Lisetta Liebman, un'ebrea triestina, frequenta il Liceo Tasso di Roma per poi laurearsi in legge alla Sapienza. Nel 1947 partecipa al primo Festival della Gioventù a Praga e in quello stesso anno si iscrive al PCI. Appena laureata diventa funzionaria della FGCI, del cui settimanale Nuova Generazione sarà direttrice fino al 1962. Brevemente giornalista presso il quotidiano Il Paese, nel 1963 va a lavorare presso la sezione femminile del PCI diretta da Nilde Iotti. Allontanata da Botteghe Oscure dopo l'emarginazione subita dalla corrente "ingraiana" all'XI congresso del PCI è stata impegnata nell'UDI[5] della cui presidenza è stata anche membro. E' stata arrestata parecchie volte per ragioni politiche: il 14 luglio del 1948 in occasione delle manifestazioni di protesta contro l'attentato a Palmiro Togliatti; e poi nel 1950 e nel 1956 in analoghe circostanze. Nel 1963 in occasione di una protesta degli edili romani (poi risultata una provocazione di Gladio, la rete segreta della Cia) è rimasta a Regina Coeli per quasi due mesi. E' stata anche arrestata ad Atene e espulsa dalla Grecia in occasione del colpo di stato dei colonnelli nel 1967. Radiata dal PCI nel 1970 assieme al nucleo fondatore della rivista (poi quotidiano e anche Movimento Politico Organizzato) Il manifesto, di cui è stata redattrice e poi sempre collaboratrice. Il Manifesto nel 1974 si unifica all'ala sinistra del PSIUP diretta da Vittorio Foa, dando vita al Partito di Unità Proletaria per il comunismo. Eletta nella lista Democrazia Proletaria (cartello elettorale fra varie organizzazioni della nuova sinistra) al Consiglio regionale del Lazio nel 1975, al consiglio comunale di Roma e quindi alla Camera dei Deputati nel 1976, in cui è stata anche capogruppo. Nel 1979 viene nuovamente eletta, ma ora nelle liste del PDUP che non fa più parte della coalizione DP, sia alla Camera dei Deputati, che al Parlamento Europeo per il quale opta dopo pochi mesi[9]. Nel 1983 viene nuovamente eletta alla Camera (dove resterà un solo anno), e nel 1984 al Parlamento Europeo. Nel 1984 il PDUP decide in un congresso straordinario di sciogliersi e di entrare (per alcuni di rientrare) nel PCI. Castellina diventa membro della Direzione del Partito. Rieletta nel Parlamento Europeo nel 1989, diventa vicepresidente della Delegazione permanente per l'America centrale e del Sud. Quando viene proposto lo scioglimento del PCI Luciana Castellina è tra i primi firmatari della mozione 2 (presentata da Ingrao e firmata tra gli altri da Natta e Magri) che vi si oppone. Nel 1992 entra nel partito di Rifondazione Comunista che si è formato nel frattempo, dove diventa direttrice del settimanale Liberazione (quotidiano). Il 5 aprile 1992 è rieletta deputato alla Camera in Umbria con Rifondazione comunista, ma si dimette il 6 maggio successivo. Nel 1994 è eletta nuovamente al Parlamento Europeo (incarico che manterrà fino al 1999), diventando presidente della Commissione per la cultura, la gioventù, l'istruzione e i mezzi di informazione (1994-1997) e della Commissione per le relazioni economiche esterne (1997-1998). Nel 1996 lascia RIfondazione Comunista insieme ad un folto gruppo per dissensi con la linea del segretario Fausto Bertinotti. Fra il 1980 e il 1984 ha diretto, assieme a Claudio Napoleoni e Stefano Rodotà il settimanale Pace e Guerra. Negli anni '80 è stata anche vicepresidente della Lega per i diritti dei popoli, di cui era presidente il premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel e coordinatore, assieme al presidente della Bertrand Russel Foundation, Ken Coattes, del movimento pacifista europeo (European Nuclear Desarmement). Dal 1999 al 2003 è presidente dell'Agenzia per la promozione del cinema italiano all'estero "Italia cinema". E' stata anche nel CdA della Fondazione Basso, e presidente onorario di Cineuropa.org quotidiano online del cinema europeo. Fra il 2007 e il 2010 ha insegnato come professore a contratto, all'Università di Pisa. Nel 2014 è stata eletta presidente onoraria dell'ARCI. Inoltre è stata insignita della decorazione di commendatore della Repubblica Argentina e di quella di ufficiale delle Arti e delle Lettere della Repubblica Francese.Il suo libro Cinquant'anni d'Europa - una lettura antiretorica (Utet, 2007), è uscito in occasione del cinquantenario della nascita dell'Unione europea.Per ETS nel 2008 ha pubblicato Eurollywood. Il difficile ingresso della cultura nella costruzione dell'Europa. Nel 2010 ha collaborato al volume collettivo Europa 2.0 Prospettive ed evoluzioni del sogno europeo[, edito da Ombre corte, a cura di Nicola Vallinoto e Simone Vannuccini con un saggio sul tema dell'identità europea. Attualmente è membro del Consiglio Nazionale dell'Arci e Presidente Onorario del sito sul cinema europeo Cineuropa.org. Nel 2011 ha pubblicato La scoperta del mondo (Nottetempo), ovvero il suo diario dai quattordici ai diciotto anni, che racconta la sua adolescenza e la sua iniziazione politica. Il libro è stato finalista al 65simo Premio Strega. Nel 2012, con Siberiana (Nottetempo) ha fornito un "diario di viaggio" che intreccia "memorie di cose viste, lette e pensate durante la sua lunga esperienza politica e culturale", in una terra che, "nel ricordo della prigione di ghiaccio che stringeva le catene dei forzati nelle miniere dello zar e dei dissidenti nei gulag staliniani, si rovescia, per i russi, nel simbolo di un perenne Far West dello spirito".Il 29 Gennaio 2015 Nichi Vendola e il gruppo parlamentare di SEL annunciano che nelle prime tre votazioni per l'elezione del presidente della Repubblica voteranno Luciana Castellina per poi aderire dalla quarta votazione alla candidatura, avanzata dal Partito Democratico, di Sergio Mattarella. Nella prima votazione ottiene 37 voti, risultando così la terza più votata dopo Ferdinando Imposimato e Vittorio Feltri. Già sposata con il dirigente comunista Alfredo Reichlin, ha avuto da lui due figli,entrambi economisti: Lucrezia (che insegna alla London Business School) e Pietro (che insegna all'università Luiss di Roma). Il 29 marzo 2015 entra a far parte della presidenza nazionale di Sinistra Ecologia Libertà, il partito guidato da Nichi Vendola.

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