Dario Davanzo: L’eredità di Stefano Rodotà. Diritto d’amore

| 26 Giugno 2017 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo da il sole 24 ore.com del 26 giugno 2017

L’amore è il sentimento più forte fra tutti e quindi respinge chi vuole impadronirsene, il diritto è prepotente e invece vorrebbe impadronirsi di tutto”.

Di tutte le frasi che Stefano Rodotà ha pronunciato nella sua lunga vita di giurista è questa quella che mi è affiorata alla mente quando ho appreso della sua scomparsa. L’aveva pronunciata qualche anno fa nel corso di un’intervista rilasciata alla RAI in occasione della pubblicazione di “Diritto D’Amore” (La Terza – novembre 2015) uscito proprio a ridosso delle discussioni in Senato per l’approvazione della legge sulle Unioni Civili. “Sono compatibili, sono pronunciabili insieme, le parole diritto e amore? O appartengono a logiche conflittuali, tanto che l’una e l’altra cercano reciprocamente di sopraffarsi?”. Con questa domanda per niente banale apre l’analisi del rapporto storico, culturale e filosofico tra due entità così lontane fra loro, costrette a misurarsi da sempre o, meglio, a confrontarsi per trovare un’unità di misura comune che possa metterle in relazione e regolarne i rapporti.

Curioso che la notizia della scomparsa di Stefano Rodotà mi abbia raggiunto proprio mentre cammino lungo le vie della Pride Square di Milano, il village che viene allestito ogni anno per la settimana di festeggiamenti legata al Milano (Gay) Pride. Indaffarato nei preparativi, tra una chiacchiera con un amico e un confronto con un volontario, la notizia si è mischiata a mille altre informazioni, richieste e domande, rimanendo sullo sfondo. Mi ha colpito soltanto dopo quando mi sono fermato per guardarmi attorno ed è riaffiorata alla mente quella frase, accanto a me coppie di ragazzi che si tengono per mano, si abbracciano sorridenti, scherzano affettuosamente fra loro.

Mi trovo in un luogo simbolo, se c’è un campo di battaglia sul quale amore e diritto si sono confrontati più sanguinosamente che in altri è proprio quello delle unioni civili. Non a caso Stefano Rodotà lo ha sempre citato come esempio emblematico, sostenendo a piena voce la necessità di non negare i legami sociali esistenti consentendo anche a questa forma di amore di accedere alla sfera giuridica.  Un ambito in cui il confronto è stato crudo e ha visto i due contendenti non risparmiarsi alcun colpo, in una battaglia durata anni. Ma Stefano Rodotà non ha mai riservato parole troppo dure al diritto (al contrario della politica): non è assolutamente semplice dare forma riconoscibile a “un movimento ineguale, irregolare e multiforme” (…) Qualcosa che, per la propria intima natura, si presenta irriducibile all’esigenza di un diritto che parla invece di eguaglianza, regolarità, uniformità” (Diritto D’Amore, La Terza – Novembre 2015). Allora se il diritto vuole avvicinarsi all’amore deve trasformare stesso e lasciare spazio all’irrazionalità coniugandosi con il non diritto in un equilibrio per nulla scontato.

Da fine giurista, tuttavia, era anche consapevole che nella ricerca di questo equilibrio il diritto non può abdicare al suo ruolo di garanzia di libertà, non può prescindere dal disposto dell’articolo 3 della Costituzione deve rendere concretamente possibile, in ogni momento l’eguaglianza di tutti i cittadini. E’ lo Stefano Rodotà estremo sostenitore dei diritti civili che parla: “I diritti, dovremmo ormai averlo appreso, sono indivisibili, e quelli civili non sono un lusso, perché riguardano libertà e dignità di ognuno” (da Repubblica – 20 gennaio 2016).

Non solo uguaglianza quindi, ma anche dignità sociale “Per vivere – ci ha ricordato Primo Levi – occorre un’ identità, ossia una dignità. La persona, dunque, non può essere mai separata dalla sua dignità. La rottura di questo nesso ci precipita nell’ indegnità, nella costruzione di “non persone”, o almeno verso forme insidiose di segregazione” (Repubblica – 17 luglio 2011).

Sono questi gli argomenti che usa a sostegno del riconoscimento dell’unione fra coppie dello stesso sesso. Stefano Rodotà non si capacitava di come di fronte a posizioni assunte dalla Carta dei diritti fondamentali (che ha cancellato il requisito della diversità di sesso per il matrimonio) dalla Corte Europea su diritti dell’uomo, e dai PAesi più civilizzati, il dibattito sulle unioni civili fosse ancora posseduto da convenienze politiche, forzature ideologiche, intolleranze religiose.

In Pride Square accanto a tante manifestazioni di affetto, vedo anche un papà con due bambini, uno di loro ride forte indicando il fratellino. Si è disegnato sulla guancia un arcobaleno con un pastello multicolore, di quelli che si trovano tipicamente sulle bancarelle di queste manifestazioni, ma ha esagerato ed è arrivato a colorarsi perfino le labbra e sta sputacchiando via il colore. Mi domando se abbiano una mamma o un altro papà. Una riflessione che nemmeno io avrei fatto qualche anno (potrei addirittura parlare di mesi) fa.

Stefano Rodotà ci aveva parlato anche di questo, perché se si vogliono sostenere eguaglianza e pari dignità sociale non si può tornare ad avallare una penalizzazione dei figli nati fuori dal matrimonio già eliminata dalla riforma del diritto di famiglia del 1975. Non si possono avere bambini si serie A e bambini di serie B in omaggio all’integrità di un’immagine di famiglia cosiddetta tradizionale e naturale.

Anche perché “si dovrebbe ricordare che la Costituzione parla della famiglia come società “naturale” non per evitare qualsiasi accostamento alle unioni tra persone dello stesso sesso (…) Ma per impedire interferenze da parte dello Stato in «una delle formazioni sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita»” (da Repubblica 20 gennaio 2016).

 

Category: Donne, lavoro, femminismi, Editoriali

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